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Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


giovedì 27 maggio 2010

… lo sollevò sulle sue ali …

Pensieri in libertà di un vecchio rompiscatole

(Parte prima, pagg 13- 19)

Religione e fede Abitualmente si usa denominare le religioni che credono in un unico Dio, le religioni monoteiste, come religioni del libro. Questo perché l'ebraismo, l'islam e il cristianesimo hanno un libro nel quale è espressa la volontà di Dio. Ma quella di Gesù può essere definita anch'essa una religione del libro? La risposta è no, anche se la Bibbia è fondamentale per alimentare ed indirizzare la nostra fede, perché quella di Gesù non è una religione, e tanto meno, quindi, è una religione del libro. Infatti per religione si intende quell'insieme di atteggiamenti, di comportamenti che l'uomo ha nei confronti di Dio o che l'uomo deve fare nei confronti di Dio. Nella religione ciò che l'uomo ottiene da Dio è frutto del merito maturato con le azioni. Attenzione, però: da questo ne conseguirebbe che il cristianesimo non è diverso da altre religioni; questa constatazione, questa conclusione ha portato al sincretismo odierno, così aspramente combattuto da papa Benedetto XVI. Al contrario il messaggio di Gesù, e soprattutto la sua persona e la sua vita, non può essere catalogato dentro la categoria della religione perché Gesù in maniera inedita, in una maniera talmente nuova, che noi, dopo 2000 anni facciamo ancora una fatica immensa a percepirne l'ampiezza, Gesù dicevo, ha proposto una relazione con Dio completamente diversa. Con Gesù incominciano a contrapporsi due linee che sono una opposta all'altra. La linea portata avanti da Giovanni Battista era una linea rivolta a Dio. Con Gesù, c'è un cambio di rotta, con Gesù la linea è rivolta verso l'uomo. Mentre l'obiettivo della spiritualità della religione ebraica era Dio, con Gesù l'obiettivo non è più Dio, ma è l'uomo. Con Gesù inizia la fede: la fede non è il dono di Dio agli uomini. La fede è la risposta degli uomini al dono d'amore che Dio fa a tutti quanti, Se ne ha la prova nel Vangelo di Luca quando Gesù purifica dieci lebbrosi (1). Uno soltanto torna indietro e, guarda caso, era un samaritano; oggi diremmo, un extracomunitario. Tutti sono stati guariti, ma soltanto di colui che torna indietro Gesù dice: la tua fede ti ha salvato; la fede non è un dono di Dio agli uomini, ma, al contrario, è la risposta degli uomini al dono di Dio, un dono di Dio che fa a tutti quanti senza distinzione di meriti. Questo cambio di rotta non è stato indolore. Giovanni il Battista ha riconosciuto in Gesù l'atteso, il messia. Giovanni aveva presentato una immagine dell'uomo tutto rivolto verso Dio, un Dio il cui codice di santità (2) escludeva dal suo raggio d'azione tutti quelli che non osservavano questo codice. Le parole di Giovanni Battista sono parole tremende: presenta il messia con parole agghiaccianti e dice: "Già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più potente di me e io non son degno neanche di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco. Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile" (3). Il povero Giovanni Battista non riesce a comprendere il cambio di rotta di Gesù e va in crisi: in carcere manda un ultimatum che ha tutto il suono di una scomunica: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?" (4). Io ho annunziato un messia che castiga, ma mi vengono a dire che tu vai a pranzo con i peccatori, che ti chiamano ubriacone, ghiottone, che le prostitute vengono a cena con te; sei quindi tu, (Giovanni Battista è pronto a ritirare la sua adesione a Gesù) o ne dobbiamo aspettare un altro? Gesù, mandando la risposta al Battista dice: riferitegli non tanto quello che dico, (non le teorie) ma riferitegli la pratica ed elenca tutti atteggiamenti (nessuno di questi è rivolto verso Dio) in cui Dio rivolge la sua azione benefica per la felicità degli uomini. Quindi dirà: "Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella. E beato è chiunque non sarà scandalizzato di me!" (5).

La fede e l'amore Capitolo 13 del Vangelo di Giovanni: "Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». Gli disse Simon Pietro: «Non mi laverai mai i piedi!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete mondi». Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi." (6) Siamo nell'ultima cena e l'evangelista, in maniera solenne, dice: "Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e da Dio ritornava.."; con questa premessa ci si aspetterebbe qualcosa di solenne, un discorso di alto profilo. L'evangelista, invece, prepara qualcosa di talmente importante che Giovanni lo costruisce come un film al rallentatore, moltiplicando i verbi di tutta l'azione. Gesù, "si alzò da tavola, depone il mantello, prende un asciugatoio e se lo cinse attorno alla vita". Gesù si prepara a lavare i piedi ai discepoli. Normalmente la lavanda dei piedi veniva fatta sempre prima della cena, non durante la cena, per motivi comprensibili di opportunità in quanto non era giusto far mangiare le persone con il cattivo odore proveniente dai piedi degli invitati. A quel tempo la gente camminava scalza, le calzature erano un articolo di lusso e potete immaginare che cosa fossero le strade. Erano in terra battuta e costituivano anche le fognature: i piedi si sporcavano di terra, di polvere, il tutto mescolato allo sterco di uomini e animali. I piedi erano la parte più sporca e più impura degli uomini. Gesù fa questo atto durante la cena per focalizzare su di se tutta l'attenzione dei suoi discepoli. "Poi versò dell'acqua in un catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli ed ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto". Gesù si mette a lavare i piedi dei discepoli. In quell'epoca lavare i piedi a qualcuno era compito degli esseri ritenuti inferiori verso i superiori. Era obbligata a lavare i piedi la moglie al marito, il figlio al padre, lo schiavo al padrone, il discepolo al maestro. Gesù, che è il maestro, si mette a lavare i piedi ai discepoli. E' qualcosa di inaudito, è qualcosa di sconcertante, qualcosa che cambierà per sempre il concetto di Dio. La società, a quella epoca, era concepita in maniera piramidale. Al di sopra della piramide c'era Dio, al vertice della piramide c'era il sommo sacerdote o il re; a volte esercitavano entrambi la stessa funzione. Poi venivano i sacerdoti, i principi, ecc.; l'ultimo strato di questa piramide era costituito dai servi; al di sotto, c'erano gli schiavi che non avevano diritti civili. Gesù rovescia la piramide. Dio non sta in alto. Dio sta in basso insieme a chi serve. E' un cambiamento completamente radicale: lavando i piedi ai discepoli, Gesù non si abbassa, ma innalza i suoi al suo livello. La vera grandezza, così, non consiste nel comandare, ma nel servire gli altri. Ecco il Dio di Gesù: non è un Dio che sta in alto e che concede centellinando le sue grazie agli uomini che gli devono continuamente chiedere: "Ascoltaci Signore". E' un Dio che serve. Non solo, Gesù, che è Dio, non attende che gli uomini si siano purificati per farli avvicinare a Lui, ma è lui che li accoglie e li purifica. La religione ebraica diceva che l'uomo deve essere degno per avvicinarsi a Dio; con Gesù si verifica il contrario: accoglimi e diventi degno, accoglimi e sarai purificato. Spesso ci sono persone che vivono situazioni che la religione o la morale definiscono di impurità. Non devono più disperarsi: il Signore non è schizzinoso e non pretende prima un'anticamera di purificazione da parte delle persone, ma è lui che si fa incontro e incomincia lì, dalla parte più sporca, più sudicia dell'uomo, lì incomincia la sua attività di purificazione. Ma il gesto di Gesù non è stato accettato da tutti i discepoli. Pietro non lo ha accettato perché forse è l'unico che ha capito: "Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: "Signore, tu a me, lavi i piedi?". Pietro ha capito: se Gesù, che è il maestro, lava i piedi ai discepoli, se vuole restare il leader del gruppo dovrà farlo pure a lui. La replica di Gesù è immediata: "Rispose Gesù: «Quello che io faccio tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Non mi laverai mai i piedi»". Pietro rifiuta. Un Dio che serve gli uomini non può essere accettato da chi vive per il potere e Pietro sentiva la sua posizione come una posizione di potere. Non accettare il gesto di Gesù, significa non essere disposti a comportarsi come lui. La risposta di Gesù non consente alternative: "Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me»" : se non accetta di farsi lavare i piedi, e di conseguenza non da' la disponibilità a lavare i piedi degli altri, non ha più nulla a che fare con Gesù. Questo non è valido soltanto per Pietro, ma per tutti i credenti o i seguaci di Gesù in tutti i tempi. Gesù ha bloccato Pietro, ma lui è furbo e cerca la scappatoia gettando l'atto di Gesù nella liturgia, nel rito, non nella realtà di tutti i giorni. "Allora gli disse Simon Pietro: «Signore, allora non solo i piedi, ma anche le mani e il capo»". La festa della Pasqua era imminente; la religione ebraica imponeva una serie di riti di purificazione: lavare le stoviglie, purificare la casa (da cui derivano le nostre "pulizie di Pasqua" di buona memoria) e, nelle pulizie personali, lavarsi le mani e il capo. Pietro, che ha capito che deve mettersi al servizio degli altri, ma non ne ha nessuna voglia, cerca di sminuire l'atto di Gesù buttandolo sul liturgico, sul simbolico. Gesù non è d'accordo. "Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, è tutto mondo e voi siete mondi, ma non tutti»". Ciò che purifica, non è la partecipazione a un rito, ma gli effetti che questo rito può avere nel suo comportamento con gli altri. Siamo alla conclusione del brano: occorre però seguire con attenzione i gesti che ha fatto Gesù. All'inizio abbiamo visto che Gesù si è alzato, ha deposto il mantello, ha preso l'asciugatoio e se lo è messo attorno alla vita. Adesso l'evangelista scrive che "Quando Gesù ebbe lavato loro i piedi e riprese il mantello, si sdraiò di nuovo e disse loro: «Sapete ciò che io vi ho fatto?»". C'è soltanto una cosa che si è dimenticato di fare, e volutamente: si è messo il grembiule per lavare i piedi ai discepoli, ma non s'è l'è più tolto. Gesù non si presenta con paramenti sacri, Gesù non si presenta vestito da sacerdote con paramenti religiosi: l'unica caratteristica che distingue Gesù è il grembiule, non se lo toglie; non per una dimenticanza dell'evangelista, ma perché l'evangelista vuol dire che il distintivo che identifica la presenza di Gesù è il grembiule, il servizio reso per amore. Gesù indica con questo brano che la vera dignità dell'uomo non viene diminuita dal servizio, ma al contrario, è il servizio che gliela conferisce. Gesù, al fine di evitare che il gesto da lui compiuto venga frainteso come un gesto di umiltà, come un gesto simbolico, afferma: "«Voi mi chiamate il Maestro e il Signore e dite bene perché lo sono. Se dunque io ho lavato a voi i piedi, il Signore e il Maestro, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri»". Per Gesù, essere il Signore, essere il maestro, non significa collocarsi al disopra degli altri, ma al disotto. Se essi lo riconoscono come il maestro, devono imparare da lui; se lo riconoscono come Signore, gli devono dare adesione. Ha scritto l'evangelista: "Dovete imparare a lavare i piedi gli uni gli altri". Questo verbo 'dovere' è un verbo che, in greco, ha la radice della parola debito. Lavare i piedi agli altri, non significa un gesto della propria santità, da far sfolgorare la luminosità della propria aureola, ma pagare un debito nei confronti dell'altro. L'amore verso l'altro non deve essere fatto per acquistare dei meriti personali, ma perché si è coinvolti dall'amore del Signore. Questo della lavanda dei piedi è un brano molto importante, perché ci fa comprendere chi è Dio. Se Dio è quello con il grembiule, è quello che si mette al servizio della mia vita, veramente la vita cambia. Paolo nella lettera ai Romani dirà: "Ma di cosa vi preoccupate, di cosa state ad angosciarvi? Se Dio è per voi, se Dio stesso si mette al servizio vostro, ma di cosa vi andate a preoccupare?" Non vengono tolte naturalmente le situazioni spiacevoli o gli avvenimenti negativi della propria esistenza, ma viene data una capacità nuova per viverla. Più avanti nel Vangelo di Giovanni, dopo aver effettuato il lavaggio ai piedi ai discepoli, Gesù lascia il comandamento nuovo, l'unico comandamento della comunità cristiana e dice: amatevi l'un l'altro e non dice come io vi amerò, infatti non parla del dono che lui farà di sé stesso sulla croce, ma dice: amatevi tra di voi come io vi ho amato: cioè lavando i piedi. L'amore non è reale se non si traduce in un gesto che lo comunica, ma questo gesto può essere soltanto offerto, mai imposto. Quando l'amore viene imposto, non è più tale ma si chiama violenza. L'amore va sempre offerto, mai imposto. Gesù non obbliga mai, Gesù non impone mai; Gesù è amore e il suo amore lo offre. Questo è il criterio per poter discernere quando un insegnamento viene da Dio o non viene da Dio. Quando una dottrina, una verità ci viene imposta, non viene da Dio, perché Dio non impone. Se viene imposta, chiunque sia ad imporla, non può venire da Dio perché se venisse da Dio potrebbe essere soltanto offerta.

La fede che porta frutto Giovanni non sarà il solo a trovarsi in difficoltà di fronte a Gesù. Il cambiamento portato da Gesù è stato talmente clamoroso, talmente devastante che la stessa madre e i parenti di Gesù vanno per catturarlo perché dicono: Gesù è pazzo! (7). Questa nuova spiritualità di Gesù cambia radicalmente la relazione dell'uomo con Dio e di conseguenza la relazione dell'uomo con gli altri. Nel Vangelo di Giovanni (15,1-17) basta soltanto il primo versetto per vedere un cambiamento radicale nella spiritualità: «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo purifica perché porti più frutto. Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati." Gesù, ai suoi discepoli, dopo aver lavato loro i piedi annunzia: "Io sono la vera vite e il padre mio è il vignaiolo". Tra le tante piante a cui riferirsi, Gesù ha scelto la vite. Vuole evidentemente sottolineare la trasmissione della linfa vitale che passa attraverso i rami e si trasforma in frutto. Gesù parla di vera vite e del Padre suo come vignaiolo. Ed ecco la prima dichiarazione di Gesù: "Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie". E' opportuno collocare questo insegnamento di Gesù all'interno del gesto che ha fatto: Gesù ha lavato i piedi ai discepoli, ha comunicato loro tutto il suo amore attraverso questo servizio. Lui è la vite, la linfa vitale di questo amore si trasmette al tralcio. Ma il tralcio - cioè il componente della comunità cristiana – che, pur ricevendo questo servizio d'amore da parte di Gesù, rifiuti di servire gli altri; il tralcio che pur avendo ricevuto nell'eucaristia il Gesù che si fa pane spezzato per noi, a sua volta non si fa pane spezzato per gli altri, dice Gesù: "E' un tralcio completamente inutile". Il valore della persona risiede tutto nel bene concreto che fa agli altri. Gesù non valuta il valore di una persona per le sue devozioni, per le sue preghiere, per la sua spiritualità, per la lunghezza delle sue orazioni, per l'assiduità della frequenza al culto. Gesù valuta la persona nella sua capacità di mettere la propria vita a servizio degli altri. L'unico criterio che Gesù ha per indicare il valore di una persona, è la generosità: tutti possono essere generosi. La generosità non dipende dalla cultura, non dipende dalla salute, non dipende da niente. Gesù, nella sua comunità, vuole tutti Signori; Signore è colui che dà. Non c'è posto per i ricchi: il ricco è colui che ha. Chi tiene per sé, non ha posto nella comunità di Gesù: vi sono tutti Signori, cioè tutti capaci di dare. Gesù sottolinea che il tralcio, pur restando unito a lui e ricevendo questa linfa vitale del suo servizio e del suo amore, non lo trasforma in frutto per gli altri, è inutile. La conseguenza è che il Padre, l'agricoltore, lo taglia. Nessuno è giudice della crescita e del frutto dei fratelli se non il Padre. Guai chi si sente autorizzato a giudicare il proprio fratello. Ognuno di noi potrà produrre frutto, ma in tempi e con modalità differenti, perché dipende dalla nostra vita, dipende dal nostro tessuto spirituale, morale, sociale, dipende dalla nostra storia, dipende da tante cose. Gesù è chiaro: il tralcio non viene eliminato né giudicato dagli altri tralci, non viene eliminato neanche da Gesù, ma dal Padre. Il Padre sa se questa linfa che è ricevuta, porta frutto o non porta frutto e lo elimina. "… ogni tralcio che porta frutto, lo purifica perché porti più frutto …" In passato, purtroppo, questo verbo 'purificare' veniva tradotto con 'pota' e ha dato origine alle immagini più tremende di Dio: il tralcio che porta frutto il Padre lo pota. Dio veniva presentato come un vignaiolo pazzo che andava nella vigna e, dove trovava un bel tralcio, zach, lo tagliava. Chi ha letto S. Agostino conosce questa questione perché Agostino, che è vissuto tra il IV ed il V secolo, ha potuto leggere i Vangeli nell'originale in lingua greca, prima che gli errori della traduzione in latino ne snaturassero parzialmente il contenuto, parla appunto di "purificare". Le persone esperte in viticultura sanno che se c'è una attività difficilissima è quella della potatura perché una potatura sbagliata può causare danni irrimediabili alla vite. Sotto la spinta di quella traduzione sbagliata, tutto quello che accadeva di brutto nella vita veniva considerato una potatura che il Signore aveva dato. Il Signore, per farti crescere, per farti santificare, ti ha potato, ti ha tolto quel figlio, ti ha tolto la salute, ti ha tolto il coniuge, cioè la sofferenza come strumento di crescita. La croce. Si diceva, tutti quanti hanno una croce, una prova per dimostrare l'amore che si ha per Dio, la propria fedeltà. E' una immagine che, associata alla volontà di Dio, non poteva non provocare un sordo rancore verso questo Dio che pota le persone e pota gli affetti familiari. La gente dice: sia fatta la volontà di Dio, quando non riesce a fare altrimenti, quando, di fronte a una malattia, a una situazione brutta, si trova con le spalle al muro: sia fatta la volontà di Dio!!. La volontà di Dio coincide sempre con gli avvenimenti tristi della propria esistenza. Veniva spiegato che è il Signore che pota. Gesù non dice che il Padre, il vignaiolo, pota, ma il Padre purifica. L'azione del Padre, importantissima, è la liberazione costante, crescente e progressiva di tutti quegli elementi nocivi che impediscono al tralcio di portare più frutto. E' interesse del vignaiolo che il tralcio porti un frutto sempre più abbondante. Quando il Padre individua nel tralcio un elemento nocivo, un qualcosa che gli impedisce di portare più frutto, è lui che lo toglie, è lui che lo purifica. Non è l'uomo che deve scrutare se stesso, vedere i propri difetti, impegnarsi attraverso l'ascetismo, individuare le tendenze negative che ha e cercare di estirparle. Nulla di tutto questo. Gesù ci chiede questo: voi preoccupatevi soltanto di aumentare il vostro amore e il servizio agli altri. Se c'è qualcosa di negativo nella vostra esistenza, se c'è qualcosa di nocivo, non voi, il Padre lo eliminerà. L'individuo non deve più individuare i propri aspetti negativi e cercare di estirparli anche perché può causare dei disastri tremendi nella propria esistenza. Nella prima lettera a Giovanni, c'è una espressione che è straordinaria: invita ad amare: "Da questo conosceremo che siamo nati dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore" - il cuore, nel mondo ebraico, non è la sede dell'affetto, ma è quella che noi oggi chiamiamo la coscienza – "qualunque cosa esso ci rimprovera, Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa" (1 Gv 3,19-20). E' una affermazione straordinaria. La nostra coscienza viene modellata dalla morale corrente che ci fa ritenere buone certe cose, negative altre. Ma dice l'autore di questo brano: anche se la tua coscienza ti rimprovera qualcosa, Dio è infinitamente più grande della tua coscienza. Tu preoccupati soltanto di amare. Se nella tua vita ci sono aspetti negativi, non te, non gli altri tralci devono fare i giudici dei fratelli, e neanche Gesù, perché Gesù è comunicazione d'amore, sarà compito del Padre la eliminazione costante e progressiva di questi elementi nocivi. Se questi elementi rimangono, si vede che, agli occhi del Signore, non sono poi così nocivi. Questo è un versetto che può dare tanta serenità e cambiare il nostro rapporto con Dio. Gesù elimina l'idea della perfezione spirituale, quel piedistallo al proprio io al quale non si riesce mai ad arrivare. Metti via l'idea della perfezione spirituale, mettiti invece a servizio degli altri in modo immediato e concreto. Annuncia ancora Gesù: "Voi siete già liberi" - cioè già puri – "per il messaggio che io vi ho già annunciato". C'è una purezza iniziale che viene dalla accoglienza del messaggio di Gesù, l'accoglienza di quel messaggio che è stato chiamato 'la buona notizia'. Accogliere Gesù, non diminuisce la persona, ma la potenzia. L'accoglienza del messaggio di Gesù ridà la purezza iniziale. E ancora: "Dimorate in me ed io in voi. Come il tralcio non può fare frutto da se stesso se non dimora nella vite, così anche voi se non dimorate in me". Qui c'è la grande domanda che dobbiamo avere il coraggio di fare: ma Dio è onnipotente o no? Dipende tutto da noi. Nella vite scorre la linfa vitale, se la linfa trova dei tralci che la accolgono, questa si trasforma in frutto, ma se i tralci non sono attaccati alla vite, la vite può avere tutta la linfa vitale che vuole, ma non riesce produrre niente. E continua Gesù: "Io sono la vite e voi i tralci. Chi dimora in me ed io in lui porta molto frutto perché senza di me non potete fare nulla". Senza l'amore l'uomo non vale assolutamente niente. L'unica cosa che vale nella vita, è il bene concreto che si è fatto agli altri. Tutto il resto non vale niente. Avete capito perché Gesù ha parlato proprio di vite? Ora ce lo fa capire: "Chi non dimora in me viene gettato via come un tralcio e si inaridisce e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano". Gesù si è rifatto alle immagini della vite, perché nel libro del profeta Ezechiele c'era questa immagine, Dio che dice: "Che pregi ha il legno della vite di fronte a tutti gli altri legni della foresta? Si adopera forse quel legno per farne un oggetto?". Il legno della vite è inutilizzabile, perché non ci si può fare un manico, qualcosa che possa servire. Il legno della vite è buono soltanto per trasportare e trasmettere la linfa, ma non serve assolutamente ad altro e va bruciato. Gesù si rifà a questa immagine della vite perché dice: "il tralcio ha valore soltanto nella misura che riesce a produrre frutto, altrimenti non vale niente, lo gettano nel fuoco e lo bruciano".

Note 1. Lc 17, 11-19 2 .Vedi il Libro del Levitico. 3. Mt 3, 10-12 4. Mt 11, 2-6 5. Lc 7,22 6. Gv 13, 1-15

7.. Mc 3, 20-21