Quinta Domenica di Quaresima
- Gv 11,1-45
Un certo Lazzaro di
Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era
quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi
capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli:
«Signore, ecco, colui che tu ami è malato».
All'udire questo, Gesù
disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio,
affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta
e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel
luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I
discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci
vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno
cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se
cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».
Disse queste cose e
poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a
svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si
salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che
parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è
morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate;
ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri
discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
Quando Gesù arrivò,
trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da
Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria
a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò
incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se
tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che
qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo
fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione
dell'ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi
crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in
eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il
Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
Dette queste parole,
andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e
ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era
entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata
incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo
Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere
al sepolcro.
Quando Maria giunse
dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli:
«Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che
erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò:
«Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò
in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro
dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che
costui non morisse?».
Allora Gesù, ancora
una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro
di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose
Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro
giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di
Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti
rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma
l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai
mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto
uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù
disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».
Molti dei Giudei che
erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in
lui.
Spiegare il vangelo di Giovanni non è un’impresa semplice. Si tratta di un
vangelo costruito per riportare il significato teologico delle parole e dell’insegnamento
di Gesù e lo fa attraverso immagini e racconti che non hanno un significato
storico, ma teologico(1).
In questo episodio l’evangelista costruisce
il racconto con tutta la scenografia ed i personaggi accuratamente scelti in
modo di farci capire che la resurrezione di Lazzaro è la personificazione e la
comprensione a livello comunitario di questa solenne affermazione di Gesù: ”Io sono la resurrezione e sono la vita” (Gv 11,25).
La spiegazione è complessa e deve esse fatta
frase per frase, per questo il post sarà molto lungo, e di questo mi scuso(2).
“Un certo Lazzaro di Betània(3), il villaggio di Maria e di Marta
sua sorella, era malato”, l’evangelista compone questa espressione ricalcandola su
quanto nel primo capitolo aveva scritto:
”Filippo
era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro” (Gv1,44). Questa indicazione potrebbe
sembrare superflua, ma invece indirizza il lettore alla comprensione del
significato del brano: infatti l’evangelista, nel presentare Lazzaro(4),
Maria e Marta, ricalca la presentazione di questi tre discepoli perché sono i
discepoli che sono attaccati alle idee dell’AT. Infatti Filippo diceva: ”abbiamo trovato colui del quale hanno
scritto Mosè nella legge e i profeti” (Gv1,45): i discepoli non hanno
ancora capito la novità portata da Gesù.
L’evangelista ci dà la prima chiave di
lettura: qui c’è una comunità che, pur avendo accolto e dato adesione a Gesù, è
ancora condizionata dalla tradizione religiosa dell’AT e togliersi dalla pelle
e dalla testa una tradizione religiosa è un’impresa difficilissima, anche ai
nostri giorni: basta vedere le difficoltà che incontrano le novità del Concilio
Vaticano II ad affermarsi.
Vediamo da chi è
composta questa comunità: Lazzaro è l’unico malato in questo vangelo che porta
un nome poichè Gesù aveva detto che le sue pecore le chiamava per nome per
farle uscire dal recinto (Gv10,2), cioè
dalla istituzione religiosa. Poi “Maria e … Marta sua sorella”; in tutta la narrazione Maria occupa sempre il
posto centrale, che è il posto più importante.
Gesù non entrerà nel villaggio(5).
Per incontrare Gesù occorre uscire dal villaggio, che simboleggia il luogo
della morte; “Maria era quella che
cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo
fratello Lazzaro era malato” (Gv11,2).
Qui l’evangelista anticipa quello che ci sarà
nel capitolo successivo: la comunità cristiana, vedendo che la vita è stata
capace di superare la morte, fa un banchetto nel corso del quale Maria(6)
inonda di profumo questa comunità. L’evangelista anticipa già la resurrezione
di Gesù, perché Gesù dirà ”conservate
questo profumo per il momento della mia morte" (Gv12,7). Invece non lo
faranno e dovranno comperare quaranta chili di profumo per imbalsamare Gesù.
Non hanno ancora compreso che la vita indicata da Gesù è capace di superare la
morte.
“Le sorelle mandarono
dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato» (Gv11,3). Questa espressione
“colui al quale vuoi bene” è la stessa con la quale, in questo vangelo, si
indica il discepolo amato da Gesù: attenzione, non significa il cocco di Gesù, perché
Gesù non ha un discepolo prediletto, ma sottolinea che la relazione normale di
Gesù con i suoi discepoli è quella di amore.
L’evangelista
vuol farci comprendere che Lazzaro è un discepolo perfetto, è come il discepolo
anonimo(7), quello al quale Gesù mostra il suo amore. L’evangelista
vuol mostrare in Lazzaro quali sono gli effetti dell’adesione a Gesù: chiunque
dà completa adesione a Gesù, avrà questi effetti.
Qui
c’è una contraddizione dal punto di vista storico: gli dicono ”colui al quale
tu vuoi bene è malato”, la prima cosa sarebbe lasciare tutto quanto e
precipitarsi a Betania. Invece, quando Gesù sente questo, dice: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la
gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato».(Gv11,4).
In passato, quando non c’erano gli strumenti
attuali per la comprensione dei vangeli, si diceva: Gesù non s’è mosso, ha
aspettato che Lazzaro morisse per fare il miracolo. Pensate l’assurdo, oserei
dire la bestemmia: Gesù strumentalizza la vita delle persone per fare mostra
delle sue capacità!
Non è assolutamente nulla di tutto questo.
Gesù è chiaro: la malattia, essendo la malattia di un discepolo che gli ha dato
adesione, non lo condurrà alla morte, perché l’incontro con Gesù cambia la
situazione e l’identità dell’individuo, gli comunica e gli trasmette una vita
capace di superare la morte.
La condizione di immortalità a quell’epoca
era pensata soltanto per la divinità, soltanto per gli dei. Ebbene Dio non è
geloso di questa sua condizione, ma la comunica anche ai suoi.
“Gesù amava Marta e
sua sorella e Lazzaro” (Gv11,5).
Questi tre nomi, rappresentano una comunità e Maria è
sempre al centro. “Quando sentì che era
malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava” (Gv11,6). Gesù non è venuto per
alterare il ciclo normale dell’esistenza delle persone eliminando la prima
morte biologica, ma a dare alla morte un nuovo significato ed è questo che l’evangelista
ci vuol fare comprendere.
“Poi disse ai
discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!»”. e i discepoli tremano: “I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e
tu ci vai di nuovo?» (Gv11,7-8).
Gesù
era scappato dalla Giudea perché (vedere il cap. 10) nel tempio di Gerusalemme,
aveva dichiarato: ”Io sono il pastore”,
considerando così illegittimi e illegali tutti gli altri pastori. Gesù è andato
giù pesante, ha detto che sono ladri perché si sono appropriati del gregge che
non è loro; sono anche assassini perché non pascolano il gregge, ma lo uccidono
per il proprio interesse. I sommi sacerdoti hanno tentato di ammazzarlo, ecco il
motivo della paura dei discepoli.
“Gesù rispose(8):
«Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non
inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte,
inciampa, perché la luce non è in lui» (Gv11,9-10). Giovanni vuole indicare che l’attività
di Gesù è la continuazione della attività creatrice del Padre e il Padre e Gesù
sono una sola cosa.
“Disse queste cose e
poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico(99, si è addormentato;
ma io vado a svegliarlo» (Gv11,11).
Nella
tradizione cristiana primitiva, la morte degli individui veniva chiamata un
dormire; infatti il termine cimitero è una parola greca che significa il
dormitorio.
“Gli dissero allora i
discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà» (Gv11,12). Non comprendono il
linguaggio di Gesù e l’evangelista specifica: “Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse
del riposo del sonno” (Gv11,13). Pur seguendo Gesù, i
discepoli non sono entrati pienamente in sintonia con il suo messaggio.
Gesù risponde e qui c’è una evidente contraddizione
nella risposta di Gesù. “Allora Gesù disse loro apertamente: ”Lazzaro
è morto – è un discepolo amato da Gesù, è il componente della
comunità che è morto, ed ecco la contraddizione tra l’annuncio della morte e l’allegria
che Gesù vuol comunicare ai suoi - e io mi rallegro per voi di non essere stato
là perché voi crediate. Forza andiamo da lui!” (Gv11,14-15). Questo
paradosso tra la morte e l’allegria vuole essere un anticipo della vittoria
definitiva di Gesù sulla morte. Gesù parla di Lazzaro come fosse un vivo, dice:
“Andiamo da lui”, Gesù non va a
resuscitare un morto, ma va ad incontrare un vivo.
“Allora Tommaso,
chiamato Dìdimo…” -
il soprannome di Tommaso nel vangelo è Didimo, cioè gemello: è il discepolo che
più assomiglia a Gesù(10). Infatti sentite cosa dice: ”…disse
agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!»” (Gv11,16 ). Gesù non chiede di
dare la vita per lui perché è lui che comunica la vita a noi, Pietro che dichiarerà
di dare la vita per il Signore, finirà tradendolo miseramente.
Arriviamo così all’incontro drammatico di
Gesù con la comunità e con la realtà della morte. “Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro
giorni era nel sepolcro” (Gv 11,17). Perché questa precisazione “quattro giorni”? Nel mondo
ebraico si seppelliva il cadavere e c’era la credenza che per tre giorni lo
spirito del morto rimanesse nella tomba, fintanto che ì tratti del viso erano
ancora riconoscibili.
Ma quando dal quarto giorno in poi, il
processo di putrefazione era avanzato e non si riconosceva più il volto del cadavere,
lo spirito della persona scendeva - secondo la concezione dell’epoca - nello
sheol, cioè nella caverna sotterranea che era il regno dei morti(11).
La precisazione “quattro giorni” significa che Lazzaro è completamente morto, ed
è già in stato avanzato di putrefazione.
“Betània distava da Gerusalemme meno di
tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il
fratello..” (Gv11,18-19). Con questa frase l’evangelista ci fa
capire cos’è che non va: Gesù è dovuto scappare da Gerusalemme perché i Giudei(12) cercavano di fargli la pelle e adesso gli
stessi vanno a confortare Marta e Maria. L’evangelista vuol ribadire che questa
è una comunità che non ha ancor rotto con l’istituzione religiosa(13)
e per questo, come c’è scritto negli Atti degli Apostoli, ”godeva della simpatia di tutto il popolo” (Att 2,47).
“Marta dunque, come udì che veniva Gesù,
gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa” (Gv 11,20). Maria è l’immagine
del dolore che paralizza le persone e non va incontro a Gesù; Marta, appena si
incontra con Gesù, lo investe esprimendogli tutta la sua pena, ma anche tutto
il suo rimprovero. Gli avevano mandato a dire: “guarda il tuo amico è malato” e
Gesù non si è mosso.
“Marta disse a Gesù: «Signore, se tu
fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!” (Gv11,21). E’ il rimprovero al Signore, che nei momenti
di difficoltà, sembra che non muova un dito. Marta sperava in una guarigione,
perché ancora non sa che Gesù non è venuto per prolungare la vita delle
persone, ma è venuto per donare alle persone una vita di una qualità tale che è
capace di superare la morte. Marta non dà a Gesù il tempo per rispondere, lo
rimprovera e subito gli da i suoi consigli, ha pronta la ricetta.
“Ma anche ora so” - lei si rifà alla sua
esperienza- “che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la
concederà” (Gv11,22). Marta sa, ma il suo sapere è condizionato dal passato,
dalla tradizione religiosa; non si è ancora aperta alla novità di Gesù e si
vede da ciò che suggerisce a Gesù. Dice: ”so che qualunque cosa chiederai” - e il verbo chiedere
adoperato dall’evangelista significa la richiesta di un inferiore verso un
superiore e non eventualmente il verbo domandare che in greco significa la
richiesta di una persona a un suo pari. Marta pensa che Gesù sia un inviato da
Dio, un profeta di Dio, il più eccellente, straordinario, ma non ha capito
ancora che Gesù e Dio sono la stessa cosa.
Marta, secondo la tradizione religiosa, crede
nel Dio capace di resuscitare i morti(14). Gesù parlerà invece di un
Dio che non fa morire.
Gesù porta una novità che forse è novità
ancor oggi; infatti molti cristiani pensano ancora alla maniera ebraica. Molti
pensano davvero che i morti resusciteranno alla fine dei tempi, ma questo era
il pensiero giudaico, ma non è il pensiero cristiano. Gesù è venuto a
presentare il Dio che non fa morire, che trasmette una vita di una qualità tale
che si chiama eterna, non per la durata, ma per la qualità che è
indistruttibile.
“Gesù le disse: «Tuo
fratello risorgerà»” (Gv 11,23).
Marta
rimane male, Marta si sarebbe aspettata che Gesù le avesse detto: ”io
resusciterò tuo fratello”.
La resurrezione di Lazzaro non è dovuta a una
nuova azione di Gesù (vedremo che Gesù su Lazzaro non compie nessun gesto) ma è
l’effetto della permanenza della vita in questo individuo.
Marta risponde in maniera seccata, malamente,
quasi da maleducata; dice: «So che risorgerà
nella risurrezione dell'ultimo giorno» (Gv11,24). Marta di nuovo si rifà a quello che sa. Se
voi, a una persona che è nel dolore per la morte di una persona cara, andate a
dire “consolati che resusciterà”, non solo non la confortate, ma la gettate
nella disperazione: conta poco sapere che la persona che mi è morta,
resusciterà alla fine dei tempi, quando sarò morto pure io. A me manca adesso! E’
adesso che io mi sento dilaniato e soffro per la morte della persona cara.
L’evangelista vuol portare un cambio radicale
nel modo di concepire la morte e la vita. “Gesù le disse: io sono…” –
“Io sono” è il nome di Dio – “…la
resurrezione e la vita”. La
sua presenza comporta la resurrezione perché lui è la vita. In Gesù c’è la
pienezza della vita di Dio e Gesù la comunica a tutti quanti lo seguono e lo
accolgono.
Ed ecco la prima delle affermazioni: “chi
crede…” – credere nel vangelo significa dare adesione – “…in
me, anche se muore, vivrà” (Gv11,25); Gesù si rivolge alla comunità,
che sta piangendo uno dei suoi componenti dicendo: ”Se questo che voi piangete
morto ha dato adesione a me - e Lazzaro abbiamo visto è il discepolo perfetto -
anche se adesso muore vivrà”.
Ma la seconda e più importante affermazione
perché riguarda noi che siamo vivi, ”chiunque vive e crede in me, non muore” (Gv
11,26). Gesù si rivolge alla
comunità, a noi che siamo vivi e che gli diamo adesione, affermando che non
faremo esperienza della morte.
Marta sperava in una resurrezione lontana,
Gesù invece si identifica con la resurrezione che è immediata. Noi che siamo
vivi e che abbiamo dato adesione a Gesù non faremo l’esperienza della morte.
Questo è l’autentico messaggio cristiano: Gesù non
resuscita i morti, ma comunica ai vivi una vita che è capace di superare la
morte. I cristiani non credono che resusciteranno, ma credono che sono già
resuscitati. Se leggiamo le lettere di Paolo troveremo questa espressione nella
lettera agli Efesini (Ef 2,6)”…con lui ci ha anche resuscitati”.
Ci saremmo aspettati ci resusciterà. No. Con lui ci ha anche resuscitati. Analoga
è quella nella lettera ai Colossesi (Col
3,1): “…se dunque siete resuscitati in
Cristo”.
La credenza dei primi cristiani è che, per
aver dato adesione a Gesù, avevano da quel momento una vita di una qualità
tale, che quando verrà il momento della morte biologica questa verrà superata.
In un vangelo apocrifo, il vangelo di Filippo,
c’è questa espressione interessantissima: “Chi dice prima si muore e poi si
risorge, sbaglia”. Se non si risuscita prima mentre si è ancora in
vita, morendo non si risuscita più.
E’ chiaro che viene l’obiezione: come
possiamo dire che non moriamo, quando vediamo che la gente muore? Nel NT si
parla di morte seconda(15) e a questa che si riferisce Gesù.
Spiegare cosa significa morte seconda è
complesso e mi devo aiutare con una specie di grafico, la parabola della vita. All’inizio
della nostra esistenza c’è una crescita nella vita fisica e raggiungiamo la
pienezza; dopo questo momento di pienezza, irrimediabilmente, comincia il
declino fisico.
Noi possiamo fare tutte le ginnastiche,
mettere tutte le creme che vogliamo, arriva il declino fino alla fermata totale
di questa vita fisica: le cellule del nostro organismo cominciano a morire, a
non rigenerarsi, si deteriorano finché arriva - speriamo il più lontano
possibile – il momento della dissoluzione .
Noi non siamo solo carne, abbiamo una vita
interiore che cresce con la persona e
quando arriva al momento della pienezza non segue il declino fisico, ma
continua a crescere. Si giunge così alla prima morte, la morte biologica alla
quale tutti inevitabilmente andiamo incontro, ma la vita interiore continua; c’è
il rischio che quando arriva il momento della morte fisica non ci sia una vita
interiore che possa continuare: questa è la seconda morte.
Qual è il messaggio di Gesù? Non è venuto a
liberarci dalla morte biologica, fisica. Questa è irrimediabile, ma come scrive
Paolo in una delle sue lettere: ”Mentre l’uomo esteriore va declinando,
l’uomo interiore si rafforza” (2Cor4,16).
Gesù non resuscita i morti, ma è venuto a
comunicare ai vivi una vita di una qualità tale, capace di superare la morte.
Gesù chiede a Marta se crede in questo: “«Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo…”
–
prima sapeva, adesso “crede”, c’è una crescita nella comunità – “…che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo»” (Gv11,27).
Prima Marta credeva che Gesù fosse un profeta
straordinario, adesso capisce che Gesù è Dio sono un’unica cosa.
“Dette queste parole, andò a chiamare
Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama»” (Gv11,28). Di
nascosto, perchè? Abbiamo visto che è una comunità che gode della simpatia
delle autorità religiose. Fintanto che Gesù è ritenuto un profeta non c’è
nessun problema, ma quando la comunità arriva a credere che Gesù e Dio sono la
stessa cosa si scatena la persecuzione.
Quando Gesù di fronte al Sommo Sacerdote
riconoscerà di essere il figlio di Dio, il Sommo Sacerdote si straccia le vesti
e dice: “Bestemmia”. Quando la comunità riconoscerà che in Gesù si manifesta la
pienezza di Dio, incomincia la persecuzione. Qui l’evangelista l’anticipa.
“Udito questo, ella si alzò subito e andò
da lui” (Gv11,29). L’arrivo di Gesù toglie Maria dall’immobilità in cui
giaceva. Siamo alle battute finali, c’è un crescendo e l’evangelista
arricchisce di significato ogni termine.
Gesù non era entrato nel villaggio e non
entra. E’ il luogo della tradizione, il luogo della morte: per vedere Gesù
bisogna uscire dalla tradizione e dal luogo dei morti; nel vangelo di Luca
quando le donne arrivano al sepolcro trovano gli angeli che dicono: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo”
(Lc24,5). Questo bisognerebbe
scriverlo in ogni cimitero . Se crediamo che la persona è viva, la cosa più
inutile è il cimitero.
“Gesù non era entrato
nel villaggio, ma si trovava ancora là…”; il testo greco dice “ma si trovava ancora nel luogo” e questa è la traduzione più
corretta perché il termine luogo nel vangelo di Giovanni è usato per indicare
il tempio. Quando Caifa decide di ammazzare Gesù dice: “…perché non vengano i Romani e ci distruggono il luogo (il tempio)…”.
L’evangelista vuol dire che la presenza di Gesù è l’unico santuario dal quale
si irradia la vita e la gloria di Dio, non più un edificio in muratura, ma una
persona vivente.
“…dove Marta gli era
andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla,
vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a
piangere al sepolcro” (Gv11,30-31).
Per ben tre volte ci sarà la ripetizione del
verbo piangere (il numero tre sta ad indicare la completezza dell’atto) e
vedremo quale significato attribuire a questo verbo.
L’unica cosa che sanno fare i Giudei, legati
alla tradizione religiosa, è pensare alla morte, è pensare a piangere. Credono
alla resurrezione nell’ultimo giorno, alla fine dei tempi, ma quella non è una
consolazione.
Seguendo la discepola, escono anche loro dal
villaggio, si incontrano con Gesù. “Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi
piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe
morto!»” (Gv11,32). La ripetizione del
rimprovero a Gesù, sottolinea che questo è il sentimento più forte della
comunità, è una comunità che chiede a Gesù: “Ma tu dove eri nel momento del
bisogno?”.
“Gesù allora, quando
la vide piangere,…” - notate come non c’era bisogno della sottolineatura del
verbo piangere – “…e piangere anche i
Giudei che erano venuti con lei…” – Maria piange, piangono i Giudei: il verbo
piangere viene ripetuto tre volte – “…si commosse profondamente…” qui la traduzione non sembra corretta, sembra
quasi forzata al pensiero interpretativo del traduttore e non all’intento
dell’evangelista.
Infatti il verbo greco tradotto con “commosse
profondamente” indica invece un atto energico, indignato, con il quale si vuol
reprimere o il sentimento proprio o l’azione altrui. Potremmo dire fremette, ma
fremette non dà l’idea dell’indignazione; forse è meglio dire: “Gesù sbuffò”.
Gesù sbuffa perché non tollera che venga fatto il cordoglio funebre, disperato,
per Lazzaro, esattamente come ha fatto nell’altra resurrezione, alla casa della
figlia di Jairo, dalla quale cacciò via tutti quanti (Mc5,22 e seg. oppure Lc8,41 e seg.).
Gesù sbuffa perché non tollera che la sua
comunità, Maria e Marta, siano senza speranza come i Giudei che credono nella
resurrezione alla fine dei tempi. “…e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!»” (Gv11,33-34).
Gesù incomincia a prendere le distanze e ci
avviciniamo al cuore del racconto. E’ uno dei pochi casi, nel vangelo, in cui
un singolo episodio occupa tanto spazio. Sia Maria che i Giudei piangono, fanno
il lamento funebre che indica la disperazione per qualcosa che è irrimediabile.
“Gesù scoppiò in
pianto”.. qui
l’evangelista sta attento all’uso esatto dei termini e non adopera il verbo
piangere, come purtroppo qualche traduttore fa, ma adopera un altro verbo che
significa letteralmente “lacrimare”. Mentre Maria e i Giudei piangono ed
esprimono la disperazione per qualcosa che non è più, Gesù non piange, non
esprime la disperazione, però lacrima ed esprime il dolore.
E’ molto importante questa distinzione tra i
due verbi, che indica l’esatto comportamento che si deve avere nei confronti
della morte. Quando muore la persona cara non ci sarà la disperazione come per
chi sa che tutto è finito e non c’è nessuna speranza; naturalmente c’è il
dolore, perché fisicamente, concretamente, quella persona che accarezzavamo,
che coccolavamo non esiste più. Continua la sua vita, ma in una maniera differente.
Gesù non è un alieno che di fronte alla morte
canta: Alleluia, alleluia! come in certi gruppuscoli si suole fare. Di fronte
alla morte non c’è disperazione, ma senz’altro c’è il dolore. Un dolore sereno
che naturalmente permane.
Se prendiamo questa lettura dal punto di
vista letterale, non possiamo fare a meno di chiederci: “Ma perché Gesù lacrima,
perché Gesù perde il tempo a lacrimare quando sa già che resusciterà Lazzaro?”.
Vedete, questa è una delle tante incongruenze
che fanno comprendere anche a chi non ha conoscenze esegetiche, che non si può
leggere questo brano in modo letterale.
Gesù non è venuto a rianimare un cadavere, ma
a liberare la comunità dall’idea della morte che è in loro e le lacrime di Gesù
mostrano il suo dolore e il suo affetto per questo discepolo amato.
“Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo
amava!»”. Non
capiscono. Per loro l’azione è al passato, non capiscono che da parte di Gesù l’azione
di amare, di provare affetto per il discepolo non viene interrotta dalla morte,
ma continua dopo la morte. “Ma…” - e qui l‟evangelista
ci dà già un anticipo di quello che Gesù sta per fare – “…alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi
al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse»” (Gv11,37).
Nella guarigione del cieco Gesù aveva
ripetuto le stesse azioni del creatore. Il creatore, secondo il libro della
Genesi, impastò del fango e fece l’uomo. Nella guarigione del cieco nato, Gesù
con la saliva e della terra fa del fango e lo spalma sugli occhi del cieco
nato. Gesù, in quegli atti, completava la creazione.
Qui cerca di far comprendere alla comunità
qual è la vera creazione: la vera creazione non termina, come la prima, nella
morte, ma in una vita che è capace di superare la morte.
“Allora Gesù, ancora
una volta commosso profondamente,…” – meglio dire “ancora sbuffando” – “… si recò al sepolcro: era una grotta e
contro di essa era posta una pietra” (Gv11,38).
Non sono indicazioni
superflue, abbellimenti del racconto. L’evangelista dice che era una grotta: la
parola grotta, letteralmente spelonca, è la stessa che nel libro della Genesi
viene usata per indicare il luogo dove vennero seppelliti i tre grandi padri
del popolo di Israele, Abramo, Isacco, Giacobbe con le loro mogli. L’evangelista,
dicendo che il sepolcro era una grotta, sottolinea che Lazzaro è stato
seppellito alla maniera giudaica. La comunità non ha compreso la novità di Gesù
e lo ha seppellito alla maniera giudaica, “e contro vi era posta una pietra”.
Per ben tre volte nella narrazione compare il
termine pietra. Ricordo che il numero tre significa che l’azione è completa.
Mettere contro una pietra, significa la fine di tutto.
L’espressione che adoperiamo nel nostro
linguaggio ”metterci una pietra sopra“ deriva da questi usi funerari; quando
metti la pietra sopra è tutto finito, non c’è più nessuna speranza.
Il racconto continua con tre ordini da parte
di Gesù che l’evangelista ci presenta in forma diretta, all’imperativo, sono
ordini che non si possono discutere.
Il primo è: “Disse Gesù: «Togliete la pietra!»”. Ovvero siete voi che dovete
togliere la pietra messa sopra che rappresenta la fine definitiva. “Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore:
è lì da quattro giorni»” (Gv11,39).
La fede che prima Marta aveva espressa, aveva
detto: “Sì io credo”, adesso vacilla di fronte alla realtà. Un conto è credere,
un conto è trovarsi di fronte alla realtà. La realtà sembra contraddire quello
a cui si crede.
Segue il versetto 40, la chiave per
comprendere tutto l’episodio: ”Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?»”
(Gv11,40).
Nel colloquio che Gesù ha avuto con Marta,
Gesù non ha parlato di gloria di Dio, ma ha parlato di vita. L’evangelista unisce
questi due termini: la gloria di Dio si manifesta in una vita che è stata
capace di superare la morte. Ma tutto questo dipende dalla fede di Marta, se
Marta crede vede, se non crede non vede niente.
La resurrezione di Lazzaro può essere vista
soltanto con gli occhi della fede da quelli che credono, quelli che non credono
non vedono niente(16). Ed è importante quello che Gesù dice: “…se
credi, vedrai…”.
A Gesù avevano chiesto: “Quale segno tu ci
fai perché vediamo e crediamo”. Gesù inverte la formulazione, occorre credere
per poter vedere. Il segno non conduce l’uomo alla fede, ma al contrario è la
fede che produce il segno.
La gente gli diceva “mostraci un segno che
noi vediamo e crediamo”. Gesù dice: “no, credete e diventerete voi un segno che
si può vedere”. Da ora in poi la resurrezione di Lazzaro viene condizionata
dalla fede della sorella.
“Tolsero dunque la
pietra”; di fronte al rimprovero di Gesù la comunità
decide di togliere la pietra messa sopra eliminando la frontiera tra i morti e
i vivi e si apre alla vita. “Gesù allora alzò gli
occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato…”. (Gv11,41).
Ricordate, Marta aveva chiesto a Gesù di
chiedere al Padre. Gesù non chiede, ma lo ringrazia. Il verbo ringraziare, che
è lo stesso da cui deriva poi il termine eucaristia, in questo vangelo appare
soltanto tre volte; secondo la tecnica letteraria dell’epoca, questo dimostra
che sono avvenimenti collegati: due volte nell’episodio della condivisione dei
pani e la terza nella resurrezione di Lazzaro.
Questo ci fa capire il significato dell’eucaristia:
è la condivisione dei pani, cioè il farsi pane per gli altri, quello che
permette alle persone di avere una vita capace di superare la morte. L’evangelista
collega così strettamente l’eucaristia e la resurrezione, il dono generoso di
quello che si è e di quello che si ha, espresso nella condivisione dei pani,
comunica una vita capace di superare la morte.
Ecco perché Gesù in altro episodio di questo
vangelo aveva detto: “Chi mangia questo pane, vive in eterno” (Gv6,58).
“…Io sapevo che mi dai
sempre ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano
che tu mi hai mandato» (Gv 11,42).
Gesù
era stato accusato dalle autorità di farsi uguale a Dio, adesso Gesù dimostra
che lui e il Padre sono una cosa sola.
Siamo
arrivati al momento culminante della narrazione. “Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!»” (Gv 11,43).
E’
il secondo imperativo, già anticipato da Gesù: “Verrà l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la mia
voce e ne usciranno” (Gv5,28). E’ la voce del Dio della vita, che chiama alla
vita coloro che sono sprofondati nella morte.
Naturalmente non è che questi stavano lì ad
aspettare questa voce del Signore, sono già resuscitati tutti quanti; la
comunità, però, non se n’è resa conto. La resurrezione esisteva prima di Gesù,.
Gesù ce ne ha fatto prendere coscienza.
Notate la descrizione, Gesù chiama: “Lazzaro
vieni fuori”. Ma non viene fuori Lazzaro. L’evangelista scrive “Il
morto uscì”. Avrebbe dovuto scrivere correttamente “Lazzaro uscì”.
Lazzaro è ormai con il Padre, Lazzaro è già resuscitato, Lazzaro è già nella pienezza
dell’amore di Dio.
Quello che deve uscire non è Lazzaro, è il
morto. I primi commentatori di questo vangelo, vedendo questa descrizione
strana dicevano: “miracolo nel miracolo” perché “Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende…” come faceva questo morto, che era legato, a
uscire dal sepolcro, non si sa “…e il viso avvolto da un sudario” (Gv11,43).
Questa maniera di seppellire i morti non era
quella in uso tra i Giudei. Il cadavere veniva lavato con aceto, profumato e
poi veniva posto un lenzuolo sopra. L’evangelista adopera questa espressione per
sottolineare che Lazzaro è legato come un prigioniero, prigioniero della morte.
Sono tanti i salmi che descrivano la morte
come una prigionia. Un esempio: “mi
stringevano funi di morte, ero preso nei lacci dello sheol (Sal113,3) - lo
sheol è il regno dei morti – mi
avvolgevano i lacci della morte…”.
Per il sudario il riferimento è al profeta
Isaia che nel capitolo 25 afferma: “Egli,
il Signore strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia, cioè il
sudario, di tutti i popoli, eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio,
asciugherà le lacrime di ogni volto.”
La
comunità deve cambiare mentalità e liberarsi di un Lazzaro morto e legato con
le funi della morte Abbiamo detto ci sono tre imperativi, il terzo è: “Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare»”. Sciogliendo il morto
è la comunità che si scioglie dalla paura della morte.
Proviamo ad immaginarci di essere, realmente,
di fronte alla tomba della persona cara che ci è morta ultimamente. Per un
avvenimento straordinario questa persona resuscita; cosa faremmo? Lo
accoglieremo, lo festeggeremo, qualcuno un po’ schizzinoso gli darà una lavata.
Invece l’ultimo imperativo di Gesù è “…lasciatelo andare” (Gv11,44).
Questa è una contraddizione: ci sono le
sorelle disperate che piangono il morto, il morto resuscita, invece di dire:
accogliamolo, andiamo incontro, “lasciatelo andare!”
Questo verbo andare, è stato usato da Gesù
per indicare il suo cammino verso il Padre, “Dove io vado, voi non potete
venire”. Gesù dice: “Lasciate andare Lazzaro verso la pienezza del Padre”. Gesù
non restituisce, come ci si sarebbe aspettato, Lazzaro ai suoi, ma lo lascia
libero di andare.
Non è che Lazzaro debba ancora andare dal
Padre, c’è già. E’ la comunità che deve lasciarlo andare senza trattenerlo come
un morto: fintanto che noi piangiamo disperati, per la morte di una persona
cara, la teniamo legata, immobilizzata, nelle funi della morte.
Con
questo episodio si chiede un cambio di mentalità alla comunità cristiana per
passare dalla concezione giudaica della morte a quella cristiana. Ed ecco il
finale “Molti dei Giudei che erano venuti da
Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto…” - chi? Maria o Gesù? L’evangelista
è ambiguo, è azione di Gesù ma è anche azione di Maria – “…credettero
in lui” (Gv11,45).
Gesù ha mostrato che Lazzaro è vivo, ma è
stata la comunità, rappresentata da Maria. che ha sciolto il morto e lo ha
lasciato andare, che ha compreso che la qualità di vita comunicata da Gesù
supera l’esistenza della morte.
La morte non solo non distrugge l’individuo,
ma lo potenzia; la morte è una ri-creazione, una resurrezione, una nuova
creazione nella quale la persona viene ricreata completamente da Dio..
L’episodio trattato non è di comprensione
immediata. Quando undici anni fa, in seminario, per la prima volta mi sono
accinto a studiarlo, sono rimasto interdetto; mi ci sono voluti cinque anni per
capirlo a livello intellettuale; sì, perché il testo è chiaro, ma prima che ti
entri nella mente e nella coscienza, ti devi scrostare tutte le tradizioni che
ti trovi dentro e ricostruirne di nuove. Una volta compreso mi è servito
immensamente nel momento che è mancata mia moglie.
Se qualcuno si trova sconcertato di fronte a
questo episodio e alla sua interpretazione, sappia che è normale: la causa è
legata alla lettura dei vangeli in chiave letterale, e quindi “cieca”, che
veniva effettuata fino a cinquanta anni fa e che ha impregnato la nostra
memoria. Ma Cristo è più grande delle tradizioni sbagliate.
Note: 1.
Cioè non è affatto detto che le nozze di Canaa o la risurrezione di Lazzaro
siano fatti realmente accaduti, ma certamente simboleggiano e spiegano il
messaggio di Gesù. L’evangelista, per avvertire di questo il lettore, pone
delle chiavi di lettura che permettono di comprenderne il significato. Nelle
nozze di Canaa, per esempio, la chiave di lettura è la presenza di Maria al
banchetto, cosa assolutamente impossibile nella cultura ebraica dove alle
donne, compresa la sposa, era vietato essere presenti o soltanto servire nel
banchetto nuziale. – 2. L’esegesi che segue è liberamente tratta dalla
conferenza di Padre A. Maggi tenuta a Montefano
il 4 maggio 2003 presso il Centro Studi Biblici “G. Vannucci”. – 3. Betania, in ebraico beth-ani,
vuol dire “casa dei poveri”. – 4. Lazzaro, in ebraico el-azar,
vuol dire “Dio ha aiutato”. – 5. Tutte le volte che nei vangeli troviamo
l’espressione “il villaggio”
significa resistenza alla novità di Gesù. Il villaggio è il luogo condizionato
dalla tradizione e quindi resistente alla novità portata da Gesù. – 6. Da
notare l’idea che vuole affermare l’evangelista: mentre in questo brano Marta
dice ”…puzza…”, l’effetto della morte è il puzzo, dopo l’insegnamento di Gesù l’effetto della
vita è il profumo. – 7. Cioè il discepolo
presente sotto la croce, simbolo di tutti i discepoli di Gesù, passati e
soprattutto futuri. – 8. Per comprendere questa risposta, bisogna
avere chiara la metodica seguita da Giovanni per la costruzione del suo
vangelo: questo evangelista struttura tutto il suo vangelo nell’arco di una
settimana. Infatti qui siamo al giorno sesto e Il giorno sesto nel libro della
Genesi è il giorno della creazione dell’uomo e in Gesù si manifesta la pienezza
della creazione dell’individuo. – 9. Prima
Lazzaro era stato chiamato amico di Gesù, colui al quale tu vuoi bene. Adesso
Gesù dice il nostro amico. L’amicizia è una relazione normale fra i
componenti della comunità e tra questi e Gesù. Non c’è una situazione di
sudditanza, di soggezione, ma di amicizia. – 10. Il povero Tommaso, ingiustamente passato alla storia come il
discepolo incredulo, è quello che nel vangelo dà la più alta professione di
fede verso Gesù. E’ l’unico che dice a Gesù ”mio Signore e mio Dio”. Tommaso,
nel vangelo di Giovanni, ha un ruolo importante: è nominato per ben sette volte
e, secondo la simbologia dei numeri, significa la perfezione. – 11. E’ quello
che in greco è chiamato Ade e in latino Inferi; quest’ultimo da non confondere
con Inferno, che è una costruzione teologica medioevale non presente nel NT. –
12. Con il termine Giudei Giovanni
intende generalmente i dirigenti del popolo, ma in questo caso, per la
vicinanza a Gerusalemme, indica anche il popolo. – 13. Le comunità cristiane
del primo secolo (il Vangelo di Giovanni è stato scritto alla fine del primo
secolo) non erano viste come una novità da perseguitare, ma uno dei tanti
gruppi religiosi, che in quell’epoca sorgevano come funghi. – 14. Ricordo che questa tradizione era relativamente recente
e risaliva a circa due secoli prima della nascita di Gesù. Le prime idee in tal
senso sono riportate nel libro di Daniele e, in seguito, nei libri dei
Maccabei. I sadducei non accettavano questa tradizione perché non era compresa
nella Legge lasciata da Mosè. – 15. Anche al di fuori
del NT si parla di morte seconda: S. Francesco, nel suo Cantico delle creature,
scrive:
“Laudato si' mi Signore, per sora
nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po' skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.”
da la quale nullu homo vivente po' skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.”
L’ultimo versetto è poi andato in disuso perché era in contrasto con la
teologia tommasea che si andava affermando in quel periodo. - 16. Situazione analoga a quella di Maria di Magdala che (Gv 20,16) non riesce a vedere Gesù
nell’uomo che le parla finchè non sente il richiamo della fede.