Tutti i Santi – Mt 5,1-12a
In quel tempo, vedendo le
folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi
discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito, perché
di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel
pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno
in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame
e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché
troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché
vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la
giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi
insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro
di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra
ricompensa nei cieli».
Fare l’esegesi di questo brano richiederebbe la scrittura di un libro,
tanto numerosi sono i concetti e le sorprese nascoste in queste poche frasi.
Qui c’è tutto il cristianesimo, quello vero, libero da dogmi e norme di diritto
che lo hanno snaturato nello sviluppo lungo i secoli. Questa è davvero la voce
di Dio.
Per contenere lo scritto in poche pagine, esaminiamo la prima
beatitudine; tenete presente che le altre beatitudini sono sostanzialmente
sviluppi e ampliamenti della prima.
“Gesù salì su il
monte e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli". Questo monte
è fondamentale, perché è la condizione per poter sperimentare Gesù resuscitato.
Gli evangelisti non
adoperano nemmeno una parola a caso: in questo passo anziché scrivere il
termine "popolo", che in bocca agli ebrei ha il significato di
"popolo eletto", l'evangelista scrive le "folle",
che è un termine che riguarda tutti, sia il popolo di Israele, sia i pagani. Matteo
è ebreo, ma ha una capacità non comune di guardare al di là del muro di casa in
contrasto con quella che era la culrura prevalente della sua epoca.
Per Gesù non esiste
più un popolo eletto da Dio, perché ogni preminenza di un popolo fa scaturire
un desiderio di dominio, di supremazia, di razzismo e di violenza. Niente è più
nefasto di quando un popolo si considera eletto, superiore agli altri e
investito di una missione particolare, perché da questo scaturisce sempre la
violenza.
"Vedendo le
folle, Gesù salì sul monte". In queste righe può sembrare che Gesù,
vedendo le folle, se ne voglia allontanare salendo sul monte, ma non è così.
L'unica altra volta che viene usata questa espressione "vedendo le
folle" è nel capitolo 9 di Matteo, quando l'evangelista scrive: "Vedendo
le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore
senza pastore"(Mt 9,36).
La salita di Gesù sul
monte è anch'essa espressione di questa compassione per il popolo, dal quale
Gesù non si allontana, ma a cui si rivolge invitandolo ad entrare nel regno di
Dio, abbandonando definitivamente la condizione di pecore perdute1
per entrare nella condizione dei beati2.
Scrive l'evangelista:
"salì sul monte". Questa espressione non intende una località
geografica, ma allude a due monti principali nella storia di Israele: il monte
Sinai, dove Dio diede a Mosè le sue leggi (Es 31,18), per cui l’evangelista
invita a pensare che il monte delle beatitudini sostituisca d’ora in poi il
monte Sinai, ed il monte Sion, il luogo dove risiedeva il tempio e la gloria di
Dio. Il Dio di Gesù non si manifesta più in un tempio, ma attraverso la messa
in pratica delle beatitudini da parte nostra.
"Prendendo
allora la parola, insegnava loro dicendo: Beati i poveri in spirito, perché di
questi è il regno dei cieli".
Questa è la prima
delle beatitudini ed è la più importante, perché poi tutte le altre beatitudini
sono la conseguenza della prima.
C'è, purtroppo, la
convinzione che Gesù abbia detto "Beati i poveri"! Gesù non ha
mai detto che i poveri sono beati; i poveri sono disgraziati ed è compito della
comunità dei credenti toglierli dalla condizione di povertà.
Le religioni sono
state definite oppio dei popoli, ed in particolare questa accusa è stata
rivolta al cattolicesimo, spesso con ragione. L'oppio è una sostanza che
addormenta e rende inattiva la gente: in passato, per ignoranza e, purtroppo,
anche per interesse, ai poveri è stato fatto questo insegnamento: siete i
prediletti dei Signore, siete i preferiti del Signore, il Signore vi considera
beati, perché andrete in paradiso, per cui state tranquilli e contenti nel
vostro stato.
Gesù, nel Vangelo di
Matteo, dice "beati i poveri in spirito"; solo nel Vangelo di
Luca, che ha anch'esso le beatitudini, Gesù dice "beati voi poveri",
ma in quel caso si rivolge unicamente ai discepoli che già hanno abbandonato
tutto e, da poveri, lo hanno seguito.
Qui è importante
comprendere cosa significa "in spirito". Al termine "in
spirito" si possono dare tre significati.
Il primo, "poveri
di spirito" intendendo le persone che hanno dei problemi mentali o
delle difficoltà di relazione oppure di apprendimento; sinceramente è molto
difficile che Gesù abbia beatificato questa categoria, specialmente in questo
discorso che assume il significato del nuovo decalogo; sicuramente le persone
in difficoltà non vanno emarginate, anzi sarà compito della comunità cristiana
soccorrerle e confortarle, ma è un significato così riduttivo, che non può
essere stata questa l’intenzione di Gesù.
Può poi significare
"poveri nello spirito" e questa, naturalmente, è stata
l'interpretazione che ha avuto più successo negli anni passati. Sono coloro che
pur possedendo tante ricchezze ne sono spiritualmente distaccati. A convalida
di questa interpretazione, non potendo prendere nessun esempio di un ricco
buono nel Nuovo Testamento, si è dovuti andar in cerca di modelli nell'Antico
Testamento, come Abramo, Giobbe o Salomone.
Ma dal contesto del Vangelo
di Matteo e del discorso della montagna si vedrà che non si può essere "poveri
nello spirito" senza essere materialmente poveri. Gesù non si
accontenta di chiedere al ricco, invitato a seguirlo, un distacco spirituale
dalle sue ricchezze, ma dice "va’, vendi quello che possiedi e dallo ai
poveri"(Mt 19,21) e
continua: "difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo
ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago3,
che un ricco entri nel regno dei cieli"(Mt
19,23-24).
Ci sono soltanto due
uomini ricchi nei Vangeli: uno è Giuseppe di Arimatea, che essendo considerato
"discepolo di Gesù"(Mt
27,57) deve aver certamente lasciato i suoi beni, perché Gesù ha detto
"chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio
discepolo"(Lc 14,33) e
l'altro è Zaccheo.
Zaccheo è descritto,
nel Vangelo di Luca (Lc 19,1-10),
come "piccolo di statura". Anche in questo caso l'evangelista
non è andato con il metro a misurarne l'altezza, ma ci vuol dire che Zaccheo,
poiché è ricco, non è all'altezza di vedere Gesù. Il ricco vive ad un livello
tale che non è quello degli "alti", ma per l'evangelista è quello dei
"bassi" che non possono vedere Gesù. Zaccheo vedrà Gesù quando
deciderà di sbarazzarsi delle sue ricchezze e di restituire quattro volte tanto
a quanti aveva imbrogliato.
Perciò l'unica
interpretazione possibile è "poveri per lo spirito".
Per Gesù il metro per
valutare la grandezza della persona sta nella sua generosità. Se la persona è
generosa, vale ed è splendida; se la persona non è generosa, può essere la più
pia, la più devota di questo mondo, recitare tutte le preghiere del mondo, ma
agli occhi di Gesù non vale niente. Per questo Gesù invita tutti i credenti a
fare un passaggio dalla categoria di "ricchi" alla categoria
di "signori".
Nei Vangeli c'è
differenza tra questi due termini. Il ricco è colui che ha, il signore è colui
che dà. Questo è il passaggio che Gesù ci vuol portare a fare: da ricchi -
coloro che hanno e tengono per sé - diventare signori come lui stesso, ossia
persone che danno agli altri quello che hanno. Quindi, non è un invito a una
diminuzione dell'individuo, ma a una pienezza dell'individuo e questo va
sottolineato, perché c'è quasi paura ad accogliere il messaggio di Gesù, che
sembra quasi una trappola che ci voglia togliere qualcosa.
No, Gesù non ci vuole
togliere qualcosa, ma vuole consentire all'uomo di arrivare alla pienezza, ad
essere, come Lui, signore. Per questo, nel discorso della montagna, c'è la
prima beatitudine che racchiude e riassume tutto l'insegnamento.
Se il cristianesimo,
malinteso, è stato denunciato come oppio dei popoli, il messaggio di Gesù, se
ben interpretato, è l'adrenalina dei popoli, perché causa una rivoluzione nel
comportamento, in quanto ogni credente si impegna ad eliminare le cause della
povertà.
Diceva un grande dei
nostri tempi, il vescovo brasiliano monsignor Edel Camara: "Se io mi
occupo dei poveri, subito dicono che sono un santo, ma quando indago sulle
cause della loro povertà, mi danno del comunista". Ecco cosa siamo
chiamati a fare: naturalmente occuparci dei poveri, ma soprattutto eliminare le
cause che provocano la povertà.
Diceva uno dei primi
Padri della Chiesa, Giustino: "Colui che ama il prossimo deve dunque
pregare e darsi da fare perché il suo prossimo abbia le stesse cose che ha lui".
Ecco la scelta della povertà!
Gesù non ci chiede di
spogliarci, non ci chiede di andare ad aggiungerci ai tanti, troppi poveri che
già l'umanità produce. Non è questo il messaggio di Gesù; Gesù ci chiede di
vestire chi non ha di che vestirsi e, se siamo onesti e coscienti, possiamo ben
vestire tante altre persone senza bisogno di andare noi in giro nudi o
mendicanti. Quindi, non si tratta di togliere quello che si possiede, ma di
consentire che anche gli altri lo possano avere.
Questa
interpretazione era comune nei primi tempi della Chiesa; poi, per tutte le
traversie storiche e politiche che la Chiesa ha avuto, è stata abbandonata, ma
i primi Padri della Chiesa hanno compreso benissimo, specialmente quelli di
lingua greca, che Gesù non elogiava la povertà, ma invitava a eliminare le
cause della povertà.
C'è uno dei primi
Padri della Chiesa, Clemente da Alessandria, che dice chiaramente: non è detto
"beati i poveri", ma "beati coloro che hanno voluto
diventare poveri a causa della giustizia". Il termine "povertà",
che va spiegato, non significa "miseria", ma disponibilità a
condividere generosamente quello che si ha e quello che si è, con chi non ha e
con chi non è.
Un altro grande Padre
della Chiesa, Basilio di Cesarea, scrive: "Questi poveri di spirito non
sono diventati poveri per nessun'altra ragione che l'insegnamento del Signore
che ha detto va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri". Infine,
anche Cromazio d'Aquilea, Padre della Chiesa di lingua latina, lo ha compreso:
"Non ogni povertà è beata, perché spesso è conseguenza della necessità;
beata dunque la povertà spirituale... di coloro che rinunciano ai beni del
mondo ed elargiscono spontaneamente le proprie sostanze".
Ecco quindi il
significato vero di cosa dice Gesù: coloro che volontariamente, per amore
(questo significa per lo spirito), decidono di condividere generosamente quello
che hanno, sono beati, perché di questi (e non di altri) si occupa Dio.
Rimane ancora da
comprendere la frase “perché di questi è il regno dei cieli".
Non conoscendo questa
espressione, perché usata unicamente da Matteo (mentre tutti gli altri
evangelisti parlano di "regno di Dio"), si era sempre pensato
all'aldilà. Per cui la spiegazione che veniva data era: i poveri vanno in paradiso!
Ma l'espressione "regno dei cieli" non indica mai l'aldilà.
Gli ebrei evitano,
tutte le volte che possono, di nominare Dio e di scrivere il nome di Dio,
usando dei sostituti, quindi, "regno dei cieli" non significa
il regno dell'aldilà, ma è un'espressione ebraica che significa "costoro
hanno Dio per re"; cioè, la scelta coraggiosa di condividere quello
che si ha e quello che si è con gli altri non porta nessuna conseguenza
negativa, perché di questi si occupa Dio, di questi e non di altri.
La scelta volontaria
della povertà causa immediatamente l'intervento di Dio; non è una scelta per il
futuro - "avranno Dio per re" o "di essi sarà il regno
dei cieli" -, ma questo avviene nel momento preciso in cui ci
impegniamo a condividere generosamente.
La generosità è una
caratteristica che tutti possono avere, meno i ricchi. Il ricco è tale perché
non è generoso: se fosse generoso, non sarebbe ricco.
Per tornare ad
un'altra bellissima immagine, Basilio, Padre della Chiesa, paragona la
ricchezza a un fiume. Il fiume, la ricchezza, è valido soltanto se fluisce e
irriga e comunica vita, ma se il fiume si ferma l'acqua stagna e va in
putrefazione. Quindi la ricchezza, quando viene trattenuta per sé, produce
effetti mortali; quando invece viene elargita produce la vita.
A questo punto
permettete una piccola parentesi. Quando si parla di intervento di Dio, e io ci
credo fermamente, di presenza di Dio, di assistenza da parte di Dio, non
significa un Dio Babbo Natale o Fata dai capelli turchini con la bacchetta
magica, che risolve le situazioni della vita. La presenza di Dio nella
nostra esistenza non toglie le difficoltà a volte tragiche e dolorose che la
vita ci presenta, ma ci dà una maniera nuova per viverle e per affrontarle.
Questa prima
beatitudine corrisponde al primo comandamento della legge di Mosè: "Non
avrai altri dèi di fronte a me"(Es
20,3). La divinità che il popolo è tentato di adorare è il dio Mammona, la
ricchezza, il profitto.
Tutte le altre sette
beatitudini sono soltanto una conseguenza di questa prima beatitudine, che
potremmo semplificare in questo modo: occupatevi del bene, della felicità e del
benessere degli altri, perché così finalmente permetterete al Padre di
occuparsi della vostra felicità. E il cambio è vantaggioso.
Note: 1. Cioè
coloro che seguono i tanti pastori, o sedicenti pastori, o che si presumono
tali. - 2. Cioè coloro che, guardandosi intorno, sanno distinguere i falsi
pastori e riconoscono in Gesù l'unico pastore. – 3. La cruna dell’ago era una
piccola apertura nelle mura di una città, generalmente a lato di una delle
porte, attraverso la quale passavano coloro che volevano entrare in città dopo
l’ora di chiusura delle porte. L’apertura, con una larghezza inferiore alla
larghezza delle spalle di un uomo, costringeva, per entrare, a procedere di
lato ritraendo l’addome, e quindi si era del tutto inermi nei confronti delle
guardie poste a difesa della porta. Nell’attraversamento si era impediti da
un’eventuale obesità, caratteristica specifica dei ricchi che erano gli unici a
potersi permettere di mangiare in abbondanza a quei tempi.