(segue dalla domenica
precedente)
E’
chiaro che il loro ritorno non fu accolto dalle popolazioni residenti in
Palestina in modo molto amichevole. Anche se parlavano la loro stessa lingua (o
quasi, perché col tempo si era imbastardita inglobando parole e frasi egiziane)
andavano ad occupare territori sui quali i residenti reclamavano la proprietà.
Dopo
circa un secolo, le discussioni, le scaramucce, i dissidi si andarono
attenuando e l’organizzazione cominciò a prendere piede e ad assumere una
struttura molto particolare scelta dalla
prima Confederazione di tribù dell’epoca dei Giudici (XI – X secolo a.C.- Gs 24,1-28), portato ad esempio dai
profeti più radicali come Amos, Osea e Michea: la società si deve strutturare
attorno al valore centrale del "dono", del dare, della generosità,
della solidarietà.
L’organizzazione si basa su gruppi "di mille,
cento, cinquanta, dieci", che sono le unità di combattimento delle milizie
hyksos. Sono milizie popolari che formulano modelli per l'organizzazione
sociale. O forse, al contrario, l'organizzazione sociale formula modelli per
l'inquadramento militare delle milizie. In realtà, milizia e organizzazione
sociale conformano un'unità dialettica: il popolo è organizzato per risolvere
tutte le sue necessità, tra cui quelle di difesa militare, senza esercito
professionale. Di fronte all'attacco degli eserciti professionali delle monarchie
circostanti, la Confederazione metteva facilmente in piedi la sua
organizzazione militare.
Questa non è solo una organizzazione socio-militare,
ma un sistema per risolvere il problema
sociale mediante un programma di distribuzione tra i bisognosi, perché in
questo progetto di società non è previsto possano esserci bisognosi.
Ma non tutti sono d’accordo; con il tempo viene
ugualmente a crearsi una classe di proprietari che rompono il patto sociale e
rivendicano la costituzione di uno stato, anzi, di una monarchia; così,
all’inizio del primo millennio Israele vede insediarsi due re in due stati
diversi, il Regno del Nord e il Regno di Giuda a sud. Contemporaneamente si
assiste al formarsi di una casta sacerdotale che lentamente monopolizza la
religione separandosi dal popolo.
Un
altro fattore favorisce il passaggio al regime monarchico: le aggressioni
militari. I Filistei (presumibilmente
migranti fuggiti da Creta dopo l’esplosione del vulcano dell’isola di Santorini
e stabilitisi nella zona costiera) attaccarono ed anche dominarono in parte Israele
per il pericolo che rappresentava una sua possibile espansione verso le coste e
per poter sfruttare le fertili colline dell'entroterra; gli Amaleciti(1),
commerciavano con gli Arabi e sentivano la concorrenza di Israele che premeva
anche verso quella direzione per instaurare commerci a sua volta. Di
conseguenza in Israele si sente la necessità di una difesa centralizzata, cioè la
creazione di un esercito professionale che richiedeva quindi un sostentamento tramite
tasse o tributi.
La
monarchia riceve dalla casta sacerdotale lo strumento principe per governare:
la Legge o Torah che si basa su una rielaborazione del codice di Hammurabi
(redatto quasi 700 anni prima), ma privato delle pene da comminare a chi non vi
ottempera; a questo si provvederà nei secoli successivi con una casistica degna
di miglior fine (vedi Levitico e Deuteronomio).
Se
la si mette a confronto con la leggi presenti nei paesi circonvicini, si tratta
di una legge molto avanzata dal punto di vista etico:
- - inizia
con un omaggio a Dio ed invita a glorificarlo
- -
sancisce come fondamentale la dignità umana
anche in età avanzata sottolineando che è compito dei discendenti mantenere al
meglio i propri progenitori
- -
stabilisce il principio della inviolabilità
della persona umana
- -
inserisce un duro comandamento a condanna dei
disonesti, dei corruttori, dei traditori, degli operatori di inganni,
comandamento inspiegabilmente tradotto nelle lingue moderne con “non commettere
adulterio” oppure “non fornicare” oppure “non commettere atti impuri” frasi che
non corrispondono, se non in minima parte, alla parola ebraica nehaf (2
- -
prosegue garantendo il diritto alla proprietà
- - stabilisce l’obbligo di riferire la verità in
giudizio
- - chiude
condannando lo stupro(3) (che doveva essere piuttosto frequente in
quel contesto culturale) e l’appropriazione indebita tipica delle classi più
elevate.
1.2. Dalla monarchia alla
schiavitù babilonese.
Nel
Pentateuco sono citati 44 nomi di re di Israele ripartiti tra il regno del Nord
ed il regno di Giuda. Di questi solo di alcuni si hanno riscontri archeologici
univoci; di altri o non si ha alcun riscontro o solo cenni non confermabili.
Sorprende
l’assoluta assenza, sia in campo archeologico, sia in quello documentale, di
tracce del re Davide al punto che negli studiosi della Bibbia, anche
israeliani, si è ormai attestata la convinzione che sia, come Mosè, una
costruzione mitica utilizzata come arma psicologica nelle trattative tra
Israele e i dominatori Assiro – Babilonesi.
Il
periodo monarchico fu caratterizzato da turbolenze dinastiche e religiose. Furono
pochi i re a rimanere fedeli a Dio soprattutto a causa di matrimoni di
“convenienza” con figlie di re circonvicini che portavano in Israele la loro
corte di sacerdoti e fedeli di altri dei. La successione solo poche volte
avvenne per via ereditaria. Più spesso si verificò una successione per colpo di
mano con assassinio del legittimo pretendente al trono.
Il Regno di Israele (chiamato anche Regno del Nord, Samaria o Efraim) rimase uno stato indipendente fino a circa il 731 a.C., quando fu conquistato e annesso all'impero assiro. Gli Assiri avevano come consuetudine di riservare l’esercizio dell’arte militare alle persone che possedevano un albero genealogico esclusivamente di etnia assira, mentre tutti gli altri lavori inerenti alla produzione agricola ed all’artigianato erano svolti da deportati da nazioni conquistate. Per questo il Regno di Samaria fu svuotato della maggior parte degli artigiani che furono deportati in Assiria; in Samaria, per riempire i vuoti così formati, furono portati popoli provenienti da altre parti dell’impero assiro. Questa commistione di etnie produsse nei secoli una popolazione meticcia (i samaritani) particolarmente invisa agli israeliti perché abbracciavano una religione anch’essa meticcia spesso in contrasto con il Pentateuco, di cui i samaritani ne avevano riscritto una parte.
Il
Regno di Giuda (chiamato anche Regno del Sud) rimase uno stato indipendente
fino al 586 a.C., quando fu conquistato e annesso all'impero babilonese e parte
del popolo ebraico venne deportato a Babilonia.
Il
periodo monarchico impresse nella cultura ebraica un vero e proprio marchio le
cui conseguenze si vedono ancora oggi nello Stato di Israele. Quel periodo, nei
secoli successivi, fu idolatrato al punto da essere considerata un’epoca d’oro
anche se non lo fu affatto. E’ stato in questo periodo che gli ebrei si
convinsero di essere il popolo eletto in virtù del particolare rapporto con
Dio. A nulla valsero le predicazioni di alcuni profeti (pochi, in verità) che
affermavano una sostanziale eguaglianza con i popoli circonvicini. E’ chiaro
che con queste premesse ogni futura occupazione di Israele da parte delle
nazioni più forti in quel momento, era subita dal popolo con una insofferenza
decisamente superiore a quella prevedibile per quella condizione.
Con
la deportazione in Babilonia inizia un periodo di grande sofferenza di Israele
perché perde ogni possibilità di ricostruirsi come stato libero fino al 14
maggio 1948 quando lo stato
d'Israele venne proclamato da
David Ben Gurion; lo stato è ufficialmente entrato in essere il 15, quando,
alla mezzanotte, terminò il mandato britannico.
1.3. Dall’editto di Ciro
all’occupazione romana.
La
notte tra il 5 e il 6 ottobre 539 a.C., Ciro II imperatore di Persia entrava in
Babilonia senza incontrare alcuna resistenza e si autoproclamava re di
Babilonia; in tal modo, Ciro prese possesso dell'impero neobabilonese, di cui
facevano parte anche la Palestina e la Siria.
L'impero
persiano mantenne la sua posizione di preminenza per quasi due secoli. Motivo
non ultimo della stabilità di un tale impero fu il fatto che i Persiani
trattarono i popoli sottoposti al loro dominio con maggiore tolleranza di quanto
in precedenza non avessero fatto Assiri e Babilonesi.
I Persiani,
senza dubbio nel proprio interesse, permettevano che i popoli loro sottomessi
conservassero i modi di vita tradizionali, in particolare i culti ereditati dai
padri, e addirittura li favorivano. In alcuni casi essi ripristinarono i culti
locali che i Babilonesi avevano messo al bando.
Tale
politica religiosa dei Persiani ebbe importanti conseguenze anche per il culto
che si celebrava nel tempio di Gerusalemme, per la colonia ebraica d'Egitto e
per i Giudei deportati a Babilonia.
Nel 538,
probabilmente su richiesta di questi ultimi, Ciro emanò un editto in cui si
consentiva agli ebrei deportati il ritorno nella patria e si ordinava la
ricostruzione del tempio di Gerusalemme distrutto dai Babilonesi e la
restituzione degli arredi incamerati un tempo da Nabucodonosor; le spese per la
ricostruzione sarebbero state sostenute dalle finanze pubbliche dello stato
persiano. Il testo originale di questo decreto è contenuto in Esd 6,3-5.
Il periodo
dell’occupazione persiana fu, per gli ebrei, un periodo di pace e di sviluppo
economico. I governatori furono tutti di etnia ebraica e favorirono la
riscoperta delle tradizioni religiose. In questo periodo, soprattutto sotto il
governatorato di Esdra, vennero riordinati gli scritti sacri fino ad assumere
una struttura molto simile alla Bibbia che conosciamo. Una conseguenza
culturale importante dell’occupazione persiana fu il progressivo uso della
lingua aramaica (persiano) anche in ambito familiare con il confinamento
dell’uso dell’ebraico nella liturgia del Tempio e della sinagoga.
Note: 1. Popolo di probabile origine araba considerati come discendenti di un ancestrale personaggio di nome Amalek, ricollegato alla discendenza
di Iram, figlio di Sem, figlio di Noè. Amalek
era uno degli sceicchi di Edom. – 2. Fa
sorgere il sospetto che non fu consentita la traduzione letterale di questo
comandamento perché rappresentava un duro monito nei confronti di chi gestiva
il potere politico o religioso. – 3. Il verbo “desiderare” in ebraico è un
verbo fattuale e significa “agire fortemente per ottenere”, per cui “desiderare
la donna d’altri” è, in buona sostanza, un elegante modo di dire “stuprare”;
analogamente il desiderare la casa, l’asino ecc. di altri, corrisponde alle
parole di Gesù “… divorano le case delle
vedove…” Mc 12,40 detto con riferimento agli scribi.
(segue la prossima domenica)