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Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


domenica 14 ottobre 2012

Domenica 21 ottobre 2012. XXIX Domenica del Tempo Ordinario

Mc 10, 35-45

[Mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano sgomenti; coloro che lo seguivano erano impauriti. Presi di nuovo in disparte i Dodici, si mise a dire loro quello che stava per accadergli: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà»](1)

Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».

Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

 

Il brano di oggi non presenta grandi difficoltà interpretative se lo si legge tutto, a partire dal versetto 32.

Iniziando la salita a Gerusalemme, Gesù vuole smentire le attese e le aspettative dei dodici(2): "Mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano sgomenti; coloro che lo seguivano erano impauriti."

L'evangelista dice: "…erano nella strada…"; nelle interpretazioni normalmente si seguono le chiavi di lettura che l'evangelista ci dà: "nella strada" è il collegamento che fa l'evangelista ad un altro episodio, alla parabola dei quattro terreni dove Gesù semina il suo messaggio (cfr. Mc 4,1-9). Nella spiegazione che segue la parabola, Gesù dice che il seme è la sua parola, il suo messaggio, ma, mentre sta per cadere, non fa in tempo ad arrivare per terra, che arriva il satana e lo porta via. Questa indicazione è importante ed è la chiave di lettura di tutto il brano. Il satana, nel vangelo di Marco, come negli altri vangeli, rappresenta il potere.

Gesù sta dicendo qualcosa che deve essere preso molto sul serio. Vuol dire che coloro che appartengono alla sfera del potere, sono completamente refrattari al messaggio di Gesù.

"…per salire a Gerusalemme…" ormai siamo alla tappa conclusiva, Gesù sta andando a scontrarsi con l'istituzione religiosa; "…Gesù camminava davanti a loro…" camminano in gruppo, ma Gesù va avanti, diritto verso Gerusalemme; "…ed essi erano sgomenti…" i dodici, che accompagnano Gesù, sono sconcertati ("sconcertati" e non sgomenti, sembra essere la traduzione più corretta).

Siamo al terzo annuncio della passione, e i dodici (cioè l'Israele che segue Gesù) non capiscono e sono sconcertati. Notate la sottigliezza dell'evangelista, aggiunge: "…coloro che lo seguivano erano impauriti." Ci sono due gruppi dietro Gesù. Ci sono quelli che lo accompagnano e sono i dodici che hanno uno sconcerto perché - e sarà una costante del vangelo - non capiscono mai il messaggio di Gesù. La tradizione religiosa in loro è talmente forte da impedire la comprensione del messaggio di Gesù.

C'è un altro gruppo, che indica coloro che non sono compresi in Israele, quindi coloro che vivevano fuori della legge o coloro che provenivano dal mondo pagano, questi lo seguono. Per l'evangelista è una denuncia tremenda: questi lo seguono, gli altri no, i dodici si limitano ad accompagnare Gesù.

C'è differenza tra accompagnare e seguire. Accompagnare significa accompagnare fisicamente, vanno dietro Gesù. Seguire significa avere accettato, non solo la figura di Gesù, ma anche il suo messaggio. La reazione di questi che lo seguivano è la paura: hanno capito tutto. I dodici non hanno capito.

Gesù separa i due gruppi: "Presi di nuovo in disparte i Dodici, si mise a dire loro quello che stava per accadergli: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà»".

Gesù non parla di Messia, ma parla di "Figlio dell'uomo"(3), non quello atteso dalla tradizione d'Israele, ma l'uomo che raggiunge la pienezza di vita in questa sua esistenza.

Gesù parla ai dodici, non al resto del gruppo, che credono ancora nella validità delle istituzioni religiose giudaiche e che seguono Gesù come un riformatore dell'istituzione corrotta, le istituzioni sacre sulle quali si reggeva Israele: il tempio, la legge, il sacerdozio, dovevano essere purificate dal Messia. Il contrasto tra Gesù e i suoi è che Gesù non è venuto a purificare questa istituzione, ma ad eliminarla, o almeno a insegnare ad ignorarla.

Gesù è uscito dall'ambito del sacro, ne ha estirpato le radici e ha fatto vedere quanto erano marce e velenose: quelle istituzioni che, secondo la religione, dovevano permettere la comunione con Dio, Gesù le denuncerà come ostacoli che la impedivano. Ecco perché è stato ammazzato.

Gesù avverte i dodici - che credono ancora nella validità dell'istituzione religiosa - che a Gerusalemme, centro del sistema religioso, le massime autorità religiose, gli scribi e la legge lo ammazzeranno. Gesù dice che, non solo lo condanneranno a morte, ma lo consegneranno ai pagani. Israele consegnerà il suo liberatore ai pagani, rinunciando definitivamente alla propria liberazione. L'evangelista adopera quattro verbi che esprimono l'odio e la violenza in un crescendo: "lo derideranno", il verbo in greco è molto forte, significa scarnificare moralmente una persona, molto più che deriderlo, "gli sputeranno addosso" lo sputo era segno di disprezzo, "lo flagelleranno"(4). L'oggetto di queste azioni è "Il Figlio dell'uomo".

Qui la denuncia dell'evangelista è tremenda: le autorità religiose sanno che la realizzazione del progetto di Dio sull'umanità segna la loro fine. L'abisso che le autorità hanno creato tra Dio e l'uomo, attraverso Gesù, Figlio dell'uomo, viene annientato e con questo anche la loro funzione di mediatori. La realizzazione dell'uomo è una minaccia ai loro interessi, al loro prestigio. La religione non fa crescere l'uomo, perché, per assicurare la sua esistenza, ha bisogno d'inculcare nell'uomo il senso d'indegnità inventando il peccato.

Quale persona di buon senso arriverebbe mai a concepire che Dio, se mangi grilli e cavallette è contento, ma se mangi il maiale e la lepre no perchè secondo la Torah sono animali impuri (cfr Dt 14,7 e s.); oppure se le persone non osservano tutte le prescrizioni e i condizionamenti sulla vita sessuale, Dio chiude i rapporti con loro!

Mentre nel Figlio dell'uomo si manifesta il massimo dell'umanità, le autorità religiose sono capaci di esprimere il massimo della disumanità. Ma "dopo tre giorni risorgerà(5)": le forze delle tenebre non possono nulla contro la forza della vita. La luce sarà sempre più forte delle tenebre.

Gesù ha gettato la parola, ma c'è il satana, il potere: "Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo»."

Lo chiamano maestro, dovrebbero apprendere da lui, in realtà vogliono imporre la loro idea con arroganza. Sono due discepoli che, insieme a Pietro, ai quali Gesù ha posto un soprannome negativo: Giacomo e Giovanni, in aramaico, sono chiamati 'Voanerghes', 'figli del tuono', cioè autoritari e violenti.

"Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra»".

La richiesta è di ottenere dei posti d'onore. Gesù ha parlato chiaramente eppure questi non capiscono: chi è centrato sui propri bisogni e sulle proprie necessità, è completamente refrattario al messaggio di Gesù; è talmente chiuso che, anche quando sente la parola del Signore che dovrebbe metterlo in crisi, non pensa che sia per lui, ma la proietta ad altri.

La gloria di cui parlano non è la gloria celeste, ma si intendeva con quella parola il giorno della intronizzazione del re. Al momento in cui il re veniva consacrato come tale, chi deteneva il potere con lui, sedeva alla sua destra e alla sua sinistra. Questi due, facendo lo sgambetto agli altri, perché tutti quanti ambiscono allo stesso potere, di nascosto vanno vicino a Gesù "Mi raccomando, quando vai a Gerusalemme, i posti più importanti sono per noi." Gesù non poteva essere più chiaro di così: "Vado a Gerusalemme per essere ammazzato" e questi, per tutta risposta, "Dacci i posti più importanti".

Gesù aveva già denunciato i discepoli che "hanno orecchi, ma non intendono, hanno occhi ma non vedono" (cfr Mc 8,18). Quando nel vangelo troviamo sordi o ciechi, non sono handicap fisici, ma interiori. I sordi sono Giacomo e Giovanni che ascoltano, ma non intendono. I ciechi sono Giacomo e Giovanni perché vedono Gesù, ma in realtà non lo vedono perché hanno gli occhi tappati dalla figura del loro Messia.

Se andiamo nel vangelo di Matteo, dopo questa richiesta dei due discepoli, c'è l'episodio, che è unico nei vangeli, dei due ciechi di Gerico che si rivolgono a Gesù e gli chiedono: "Figlio di Davide"…. Ecco la loro cecità. I ciechi di Gerico sono Giacomo e Giovanni che sono ciechi perché chiamano Gesù figlio di Davide. Gesù non è figlio di Davide, Gesù è Figlio dell'uomo.

La richiesta di Giacomo e Giovanni è tanto più grave, se si tiene conto che, dopo il secondo annuncio della passione (anche questo incompreso) ai discepoli che discutevano tra di loro chi fosse il più grande, Gesù, anche questa volta, proprio rivolgendosi ai dodici, aveva detto: se uno vuole essere il primo di tutti, sia il servo di tutti. Giacomo e Giovanni non intendono essere gli ultimi, ma i primi, non i servi, ma i padroni, e non sanno che questa richiesta li allontana definitivamente da Gesù, che si è fatto ultimo e servo di tutti. Ricordate che questi due fratelli sono stati protagonisti della trasfigurazione di Gesù? Avevano quindi tutti gli strumenti per comprendere.

L'idea di un Messia dominatore giustifica la loro concezione del Regno di Dio come una struttura di potere ed è quella che stimola la loro ambizione.

"Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Questa frase è piuttosto difficile da rendere in italiano perché in greco Gesù dà l'idea che l'acqua, nella quale si è immersi per il battesimo, travolge tutto con il suo impeto; Gesù sta chiedendo di entrare in una situazione di sofferenza nella quale la vita è travolta: mentre per i discepoli sedere alla destra o alla sinistra di Gesù significa assicurarsi le prime poltrone al palazzo, per Gesù si tratta di affrontare il disonore di una morte infamante.

Gesù adopera l'immagine del calice perché nei banchetti, colui che lo presiedeva, lo dava a ciascuno, ognuno aveva il suo calice. Il calice raffigurava simbolicamente la sorte riservata a ciascuno. "Il calice che io bevo" indica la sorte che mi è destinata e bere il calice è l'espressione della morte, del martirio, l'amaro calice della morte.

"E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato»".

Qui il discorso è ambiguo. I discepoli hanno chiesto i posti d'onore, Gesù sta parlando della sua crocifissione e di coloro che saranno crocifissi con lui, a destra e a sinistra, perché sulla croce sarà proclamata la regalità di Gesù. Troveremo, nel momento della crocifissione, l'espressione "il re dei Giudei". Gesù verrà proclamato re sulla croce e i posti, a destra e a sinistra di Gesù, corrispondono a quelli dei crocifissi con lui.

Gesù dichiara che non può assegnare quei posti se non a quelli per i quali è preparato, cioè quelli che, nel momento della prova, sanno caricarsi della croce e rispondere con il dono della vita come lui. Giacomo e Giovanni non ne saranno capaci; in questo vangelo essi arriveranno fino al Getsemani, ma quando vedono le truppe catturare Gesù, scompaiono e non appariranno più nel resto del vangelo.

Occupare quei posti non dipende da Gesù, ma dai discepoli. Come ogni discepolo, poi nel tempo, anche Giacomo e Giovanni troveranno la morte nel martirio.

"Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni". Come nel secondo annuncio della passione, scoppia l'ennesima lite all'interno del gruppo dei seguaci di Gesù, che si sdegnano, non per le pretese di Giacomo e di Giovanni, ma perché questi due fratelli hanno tentato di fare le scarpe al resto del gruppo.

"Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono."

La denuncia di Gesù è grave perché il titolo di cui si fregiavano questi re e imperatori era quello di benefattori del popolo, di salvatori del popolo. Gesù non si lascia ingannare e non riconosce l'autorità di coloro che "sono considerati capi delle nazioni", ma non lo sono, "spadroneggiano su di esse e i loro grandi le dominano". Per dimostrare ai dodici quanto sia inaccettabile la loro idea di Messia di potere, Gesù fa un parallelo con le tirannie pagane e tenta ancora una volta - è la terza volta - di fare comprendere chi è, che cosa vuole fare e che il suo regno, la comunità cristiana, non ha nulla a che vedere con quello sperato e immaginato dai discepoli.

"Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti." Gesù avverte che la sua comunità non dovrà mai imitare le strutture di potere esistenti nella società ma rifarsi alla struttura d'amore della famiglia dove l'uno è al servizio degli altri. Dentro la comunità, la caratteristica non è quella del dominio, ma del servizio, volontariamente reso per amore. Quando nella comunità cristiana si istaurano le strutture di potere, che sono quelle di spadroneggiare e di dominare, non è più una comunità cristiana.

E' difficile, per i discepoli, accettare questo discorso di Gesù, perché Gesù sta parlando del regno di Dio e loro invece stano aspettando la restaurazione gloriosa del regno d'Israele .

Negli Atti degli Apostoli, Gesù resuscitato chiama i discepoli e fa loro un corso intensivo di catechismo di quaranta giorni su quest'unico tema. Per quaranta giorni parlò loro del regno di Dio e al quarantesimo si alza un discepolo: "Ma il regno d'Israele?". L'idea era talmente radicata che, se gli evangelisti ci insistono, è per farci capire che anche noi abbiamo delle idee talmente radicate che ci rendono refrattari al messaggio di Gesù.

"…il primo tra voi sarà schiavo di tutti". È strana questa espressione di Gesù sulla schiavitù. Nella società pagana esistevano padroni e schiavi. I seguaci di Gesù non possono mai allinearsi con i primi, i padroni, ma devono mettersi volontariamente accanto a quelli che soffrono l'oppressione e fare tutto quello che è possibile per cambiare la loro condizione di schiavi. All'interno della comunità siamo tutti fratelli, tutti abbiamo la stessa dignità: chi ambisce ad essere grande si mette volontariamente a servizio degli altri. Al di fuori della società, sempre dalla parte degli ultimi. Tra il padrone e lo schiavo, sempre dalla parte dello schiavo.

"Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti»." Questo versetto contiene un'insegnamento decisivo e straordinario, che da solo cambia completamente il modo di rapportarsi dell'uomo con Dio: il Dio della religione, in tutte le religioni, è un Dio di un profondo egoismo, è un Dio che crea l'umanità per essere servito dagli uomini. Con Gesù, vera unica manifestazione di Dio, questa immagine di Dio viene definitivamente cancellata.

E' un terremoto. Se Dio non vuole essere più servito, tutte quelle strutture che permettevano il servizio a Dio non hanno più ragione di esistere. Gesù sta distruggendo alle radici l'impianto della religione. La religione consiste nel servizio a Dio, l'offerta, il sacrificio, tutto viene fatto nei confronti di Dio. Il Dio di Gesù, non ha bisogno di niente, non chiede niente agli uomini, ma è lui che si comunica tutto. È la differenza tra la religione e la fede. Nella religione è Dio che chiede, nella fede è Dio che dà.

Gesù si presenta come modello di pienezza umana alla quale ogni uomo può e deve aspirare. Rispetto ai suoi, Gesù, non sarà come i dominatori della terra, il padrone che rivendica la sua superiorità ed esige il servizio, ma come uno che lo presta.

Se comprendiamo questo versetto, il rapporto con Dio cambia radicalmente, e, di conseguenza, cambia il rapporto con gli altri. È Dio che si offre a noi ed è Dio che mette tutto quello che è e quello che ha, a nostro servizio.

Questo servizio, scrive l'evangelista, arriva "a dare la sua vita in riscatto per molti". È importante comprendere cosa voglia dire "in riscatto". Il termine riscatto è lo stesso da cui poi arriva il termine redenzione o redentore; Cristo è il redentore, cioè colui che ha pagato il riscatto. Normalmente, nella nostra spiritualità, nella predicazione, facciamo tanta confusione! A livello popolare, se chiedete alle persone cosa significa che Gesù è il redentore, da cosa ci ha liberato, rispondono che ci ha liberati dai peccati. Poi, se provate a chiedere: «Allora tu non pecchi più?». «Io sì». «E allora da cosa ci ha liberato?»

La liberazione di Gesù è finalizzata al riscatto. Il riscatto risponde a una norma giuridica di Israele: quando un familiare veniva fatto schiavo - o durante una guerra o più spesso per debiti perché non poteva pagare - era fatto schiavo con tutta la sua famiglia. Il congiunto, che aveva la parentela più vicina a questi, aveva l'obbligo di pagare la somma di riscatto per liberare lo schiavo. Riscatto significa liberazione; Dio veniva chiamato il redentore d'Israele, perché aveva liberato il suo popolo dalla schiavitù egiziana. Gesù dice che lui, Figlio dell'uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire fino al punto di dare la sua vita in riscatto - cioè per liberare - molti. "Molti", non significa che Gesù sceglie un gruppo a scapito di un altro; la sua salvezza, la sua liberazione è offerta a tutti, ma quelli che l'accolgono sono i molti perché non tutti l'accolgono.

Da cosa Gesù è venuto a liberarci? C'è una particolarità che non cessa di scandalizzare nel vangelo di Marco: Marco è l'unico evangelista che, in maniera fragorosa e ostentata, omette sempre, nel suo vangelo, il termine legge. La legge era quella che era stata data da Dio a Mosé per l'alleanza tra Dio e Israele, suo popolo.

È molto più clamoroso ignorare che evidenziare, e Marco omette sempre il termine legge. Nelle lettere di Paolo, possiamo vedere il significato di questo riscatto. C'è una lettera molto bella di Paolo ai Galati, che al versetto 3,13 recita: "Cristo ci ha riscattati" - e Paolo la spara grossa - "dalla maledizione della legge". Se lo sentivano potevano lapidarlo perché, per la mentalità ebraica, sta bestemmiando. La legge, l'alleanza tra Dio e gli uomini, che permetteva l'unione tra Dio e gli uomini, Paolo la dichiara "maledizione". È una denuncia terribile! Non solo la legge non favorisce la comunione con Dio, ma l'impedisce.

Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge diventando lui stesso maledizione per noi, come è scritto "maledetto chi è appeso al legno"(6) (cfr Dt 21,23).

Una implicazione molto importante è comprendere da che cosa Gesù ci ha liberati. Seguendo il ragionamento di Paolo, Gesù ci ha liberati dalla legge e la forza della legge è il peccato. Gesù ha liberato gli uomini dal senso del peccato che è stato inventato dalla legge, dalla religione.

Non esiste il peccato se non negli ordinamenti della religione. La religione ti convince, tu ci credi e se trasgredisci, soltanto nella religione puoi trovare la maniera per essere perdonato. Essendo il peccato invadente tutti gli aspetti, anche intimi, della persona, faceva sì che l'uomo si trovasse in una situazione di continua indegnità nei confronti di Dio e non riuscisse mai a percepirne l'amore.

La liberazione che Gesù ci ha dato, liberando l'uomo dalla legge, è che essa non è più norma di comportamento nella comunità cristiana, Gesù ha liberato gli uomini dal senso del peccato della religione. La liberazione di Gesù è quella che permette, liberando l'uomo dal senso del peccato, la comunione con Dio. Il senso del peccato è quello inventato dalla religione: sono trasgressioni a precetti, a comandamenti, inosservanze, tabù sessuali, tabù alimentari.

Gesù non fa questo per diminuire il significato del peccato ma per dargli il suo giusto valore. Ricordo la bella definizione del peccato data dal Concilio: che non è tanto un'offesa a Dio - Dio non si offende mai - ma il peccato è una diminuzione per l'uomo.

Quando Gesù elenca dei peccati mai riporta quelli che riguardano il culto, quelli che riguardano il rapporto con Dio, ma sempre azioni negative che impediscono alla persona di crescere e fanno del male agli altri.

Dobbiamo avere il terrore e l'orrore di danneggiare l'altro, di fare del male all'altro perché il danno che si fa all'altro, l'altro lo può superare, ma in te rimane per sempre. Se uno mi fa del male io, con il tempo, posso perdonarlo. Ma per il male che lui mi ha fatto, in lui rimane un buco nero che non sarà mai più ricomposto. Paradossalmente, è meglio ricevere del male piuttosto che farlo agli altri. Chi fa il male agli altri, diminuisce sé stesso e questa diminuzione può portare alla paralisi dell'individuo.

Gesù ci ha liberati, ci ha riscattati dalla legge, dal peccato della legge, per permettere a ogni credente di raggiungere, come lui, la condizione di Figlio dell'uomo. Se noi siamo sempre condizionati, spaventati, intimoriti, non potremo mai crescere. Gesù è venuto a servirci, ci comunica la sua vita, ci libera da questo senso del peccato che impedisce il rapporto con Dio e consente all'uomo, una volta liberato dal peccato, di indirizzare tutte le energie nei confronti dell'altro.

Gesù non chiede che dobbiamo centrarci sulla nostra perfezione spirituale, che è tanto lontana e irraggiungibile quanto grande è la nostra ambizione, ma Gesù ci chiede di centrarci sul dono di noi stessi, che è immediato e concreto quanto grande è il nostro amore.

 

Note: 1. Il testo contenuto nelle parentesi quadre non è stato inserito dal liturgista nel brano di questa domenica. – 2. Mi sembra opportuno ricordare che non sono esattamente dodici gli individui che Gesù ha scelto come apostoli; il numero dodici (che ricorda il mitico numero delle tribù d'Israele), non rappresenta dodici individui che Gesù ha selezionato e scelto per seguirlo, ma rappresenta gli appartenenti al popolo d'Israele, che hanno scelto di seguire Gesù. Di fatto, non troverete in nessun vangelo una lista esatta dei dodici apostoli di Gesù perché non sono elementi storici, ma elementi teologici. La lista dei dodici è stata sempre rappresentata così: ci sono tre che sono i più tenaci, i "leader" del popolo e sono Pietro, Giacomo e Giovanni. Sono quelli che Gesù prende sempre nelle sue iniziative, perché, se riesce a convincere questi, per gli altri non ci saranno eccessive difficoltà. Ci sono i rimanenti otto, quasi anonimi perchè hanno un nome, ma i nomi non sono uguali nelle liste dei vangeli e, salvo qualche eccezione, non compiono nessuna attività nei vangeli. Infine l'ultimo è sempre Giuda, il traditore. Attraverso questo schema gli evangelisti vogliono dire che l'Israele, che ha seguito Gesù, è composto da un piccolo gruppo di seguaci entusiasmati, ma condizionati dalla loro ideologia: pensano di seguire il Messia trionfatore. Poi c'è una massa anonima che, anziché seguire Gesù pensa di seguire il futuro Re; quindi una piccola parte rappresentata da Giuda - un nome che ricorda la Giudea, la regione santa - che lo tradirà. – 3. Ricordo che, ogni qualvolta nei vangeli troviamo l'espressione Figlio dell'uomo, non riguarda solo Gesù, ma è estesa a tutti quanti desiderano, come lui, raggiungere la pienezza umana in questa esistenza. – 4. Non confondiamo il flagello con la frusta. Il flagello era una frusta, ma alla fine delle corde aveva un pezzo di ferro o un osso così ad ogni colpo toglieva via un pezzo di carne. – 5. Quando Gesù dice che il terzo giorno resusciterà, non sta dando indicazioni per il triduo pasquale! Se avete provato a calcolare i giorni, neanche a stirarli ne vengono fuori tre. Il tre significa ciò che è completo, ciò che è totale. Voi mi darete la morte, ma io tornerò in vita definitivamente, completamente, totalmente. Gesù non poteva essere più chiaro di così. – 6. Gesù è diventato maledizione perché ha trasgredito, ha ignorato la legge, e ha fatto la fine dei maledetti da Dio: la morte in croce era riservata i maledetti da Dio.