Domenica
4 agosto 2013 – XVIII Domenica del Tempo Ordinario
Lc 12,13-21
Uno della folla gli
disse: «Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità». Ma egli
rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E
disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche
se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una
parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli
ragionava tra sé: «Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò
così - disse -: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi
raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai
a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e
divèrtiti!». Ma Dio gli disse: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta
la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?». Così è di chi accumula
tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
Il brano in esame fa parte di quei capitoli del vangelo che Luca dedica
al viaggio di Gesù verso Gerusalemme(1). Verso la fine di questa sezione,
Luca introduce una piccola raccolta di detti sul distacco dai beni materiali e
sulla fiducia nella provvidenza (Lc
12,13-59), di cui la liturgia riporta qui la prima parte. Il brano si
articola in due momenti: esortazione generale contro l’avarizia (vv. 13-15) e
parabola del ricco insensato (vv. 16-21). Ambedue sono esclusivi di Luca.
La prima parte del testo si apre con un intervento inatteso: “Uno della folla gli disse: «Maestro, di' a mio fratello
che divida con me l'eredità»”. Per comprendere questa domanda occorre fare riferimento al contesto
culturale dell’epoca, in cui spettava ai dottori della Legge dirimere le
vertenze giudiziarie in base alla Torah. Il fatto che l’interessato ricorra a Gesù
perché lo aiuti a risolvere il suo problema dimostra il credito che egli godeva
presso la gente come maestro. Al tempo stesso è il segno di un malinteso circa
la sua personalità, che viene messa sullo stesso piano della figura, ormai in
parte istituzionalizzata, del rabbino(2).
“Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha
costituito giudice o mediatore sopra di voi?»”. Gesù non
accetta questa identificazione: Gesù non vuole avere il ruolo di giudice o di arbitro nelle questioni
riguardanti i rapporti tra le persone: il suo compito si situa quindi su un
livello diverso da quello delle scelte immediate e concrete. Egli è venuto a
dare un insegnamento circa i valori fondamentali a cui deve ispirarsi chi intende
entrare nel regno, in quella che sarà la comunità cristiana.
Su questo piano si colloca ora la sua risposta: “E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni
cupidigia perché, anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende da
ciò che egli possiede»”.
In questo detto l’attenzione viene focalizzata sulle motivazioni
fondamentali dalle quali dipende il senso della vita. Gesù mette in guardia i
discepoli dall'avidità: essa consiste nel «volere sempre di più», che spinge a
concentrare tutte le proprie risorse fisiche e mentali nell’ammassare beni
materiali. Per dimostrare la stoltezza di questo comportamento Gesù fa
osservare che la vita di una persona non dipende dalla grande quantità di beni
materiali che egli possiede. In questo contesto il termine greco usato da
Luca per «vita» (zôê) designa non
l’esistenza materiale, che effettivamente dipende in gran parte da ciò che si
possiede, ma la vita di relazione, di rapporto con gli altri che in questo
rapporto è destinata a diventare piena e felice, cioè il senso della vita. Gesù
non nega che, per raggiungere questo tipo di vita, i beni materiali svolgano un
certo ruolo, ma ne sottolinea l’inefficacia nella misura in cui essi
«sovrabbondano», dando origine ad atteggiamenti di egoismo tali da impedire i
sentimenti, gli affetti e la solidarietà con gli altri. La frizione tra i due
fratelli per la spartizione dell'eredità dipendeva in ultima analisi
dall'insaziabile avidità umana. È questa quindi che bisogna rimuovere prima di
affrontare il loro problema concreto. La parabola successiva rappresenta un
nuovo contributo per affrontare correttamente questo tipo di problemi.
“Poi disse loro una parabola: «La
campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra
sé: «Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti?...”
L’esempio portato da Gesù fa perno sul cambiamento di condizione che si è
verificato nella vita di un proprietario terriero: il personaggio in questione,
pur essendo già ricco, si arricchisce ancora di più non a causa di traffici
illeciti, ma per l’eccezionale rendimento della campagna; è possibile che
l’aumento dei suoi beni dipendesse anche dallo sfruttamento degli operai, ma
ciò non entra nella sfera d’interesse di questa parabola. Per gestire tutto
quel ben di Dio che la fortuna gli ha dato egli cerca di organizzarsi: “…Farò così - disse -: demolirò i miei magazzini e ne
costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni”. Anche
questa decisione in se stessa non è criticata: la previdenza per il domani
rientra infatti nella corretta amministrazione di qualsiasi azienda.
Ciò che viene valutato negativamente è invece la considerazione
successiva: “Poi dirò a me stesso:
Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia,
bevi e divèrtiti!»”. Il ricco possidente parla a se stesso, programmando un futuro di
godimento e di gioia. Da questa riflessione appare che il ricco è preoccupato
unicamente per la soddisfazione dei suoi bisogni materiali, credendo
ingenuamente di trovare in ciò la sua felicità, senza pensare minimamente ai
bisogni degli altri. Ma sopratutto egli dimostra di non pensare al limite
invalicabile che la morte mette al godimento dei beni materiali.
“Ma Dio gli disse: «Stolto, questa
notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi
sarà?»”.
Dio stesso qualifica l’uomo ricco come «stolto» e gli annunzia una morte
improvvisa, ponendo di riflesso un interrogativo circa la fine che faranno tutti
i suoi beni: chi li godrà?(3) La sua stoltezza consiste quindi in
ultima analisi nell’aver fatto dipendere la sua felicità da cose effimere, che
da un momento all’altro possono scomparire, invece che da quanto resta
stabilmente. Questo pensiero viene ripreso nel commento di Gesù: “Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce
presso Dio»”.
Tutti coloro che accumulano per se stessi e non pensano, per prima cosa,
agli altri, cioè non si arricchiscono «presso Dio», sprecano quanto Dio ha
regalato loro. Vanno, quindi, in aperto contrasto con il regno, con la volontà
di Dio.
L’esortazione di Gesù e la successiva parabola mettono in discussione la
ricerca della propria sicurezza e realizzazione mediante il possesso dei beni
materiali. Oggetto primario della critica di Gesù è la convinzione comune
secondo cui con i soldi si può ottenere tutto. I beni materiali possono essere
utili per raggiungere certi scopi e sono dati a qualcuno perché ne faccia parte
a tutti coloro che ne hanno bisogno. Solo se essi diventano un segno e un
veicolo di solidarietà e fraternità, allora sono utili per conseguire non solo il
benessere materiale, ma anche la pienezza della vita.
All’atteggiamento adottato dal ricco della parabola Gesù non propone come
alternativa una vita ascetica, staccata dalle cose materiali e proiettata verso
un’altra vita con la speranza di ottenere in essa, magari in altro modo, tutte
quelle cose a cui si è rinunciato in questa. Al contrario egli propone il
godimento solidale dei beni di quaggiù. La spiritualità cristiana non consiste
nella rinunzia ai beni materiali, ma nell’impegno per far sì che essi siano a
disposizione di tutti, non isolatamente ma in un contesto di condivisione. Il
regno di Dio non esclude il progresso materiale, al quale dà invece una grande
importanza, a patto però che sia condiviso da tutti. Un benessere disponibile
ad alcuni ma inaccessibile ad altri comporta l’infelicità anzitutto per chi ne
dispone egoisticamente. Ciò che degrada le persone è proprio il disinteresse
per l’altro, chiunque egli sia.
In questo contesto la morte rappresenta un evento decisivo, non tanto per
quello che aspetta l’individuo nell’aldilà, quanto piuttosto perché smaschera
l’assurdità sia della cupidigia, sia di una vita garantita e assicurata dai
beni materiali. Solo nella prospettiva della morte l’uomo può discernere ciò che
è stabile da quello che è illusorio e caduco. La morte diventa perciò una
grande maestra di vita. Il tentativo di rimuovere il pensiero della morte
appare così come la più grande stoltezza, perché preclude l’unica possibilità
di dare un senso alla propria vita.
Note: 1. L’esegesi del brano è
tratta liberamente da un articolo di P. Alessandro Sacchi pubblicato su
Nicodemo.net. – 2. Rabbino o rabbi; parola ebraico-aramaica che significa
maestro. Dopo le due rivolte ebraiche (70 e 134 d.C.) che porteranno alla
distruzione definitiva del Tempio e di Gerusalemme, saranno i rabbini a
ricostruire l’ebraismo a Jamnina. – 3. Recentemente Papa Francesco in una sua
omelia ha affermato: “Non ho mai visto un carro funebre seguito da un furgone
per traslochi…”