XIX Domenica del Tempo Ordinario – Gv 6,41-51
Allora i Giudei si
misero a mormorare contro di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso
dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui
non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: «Sono disceso dal cielo»?».
Gesù rispose loro:
«Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che
mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Sta scritto nei profeti:
E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato
da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che
viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha
la vita eterna.
Io sono il pane della
vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è
il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane
vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane
che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Il discorso(1) del pane di vita (Gv 6,22-69) è iniziato con un brano nel quale si afferma che il
Padre dà il vero pane dal cielo per mezzo del Figlio dell’uomo (Gv 6,25-35); il brano successivo
sottolinea come questo pane si identifichi con la persona stessa di Gesù (Gv 6, 37-40). Nel brano proposto dalla
liturgia per questa domenica, l’accento si sposta in un primo momento
sull’ammaestramento di Dio; questi versetti sono chiaramente una parentesi che
interrompe lo sviluppo dei pensieri: in essa si approfondisce il tema già
accennato precedentemente, dove Gesù aveva detto che il Padre attira a lui
coloro che sono destinati alla salvezza (cfr. Gv 6,37-40). Subito dopo si ritorna al tema centrale del discorso,
tutto incentrato su Gesù pane di vita.
“Allora i Giudei si misero a mormorare
contro di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo».”
Il brano inizia con la reazione dei giudei di fronte alla pretesa
avanzata da Gesù di essere il pane disceso dal cielo, cioè il mediatore finale
della salvezza. Il verbo greco tradotto con mormorare
è lo stesso usato nella traduzione greca(2) di Es 16,7;17,3 per indicare il comportamento dei figli di Israele nel
deserto. Per costoro la mormorazione consisteva nel mettere in discussione la
parola di Dio, ritenendo che non fosse capace di attuare ciò che aveva
promesso.
I giudei invece ritengono che la pretesa di Gesù di essere il pane
disceso da cielo sia eccessiva. Essi infatti soggiungono: “E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di
Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire:
«Sono disceso dal cielo»?».”
Egli non può dire di essere disceso dal cielo dal momento che è uno di
cui conoscono molto bene i rapporti famigliari. Per lo stesso motivo, secondo
Marco, Gesù non era stato accolto nel suo villaggio (cfr. Mc 6,1-6). Nei due casi si può ravvisare la concezione giudaica del
Messia nascosto e rivelato improvvisamente da Dio in modo eclatante. Di Gesù si
conoscevano i genitori: come dunque poteva affermare di essere il pane disceso
dal cielo?
Alle parole dei giudei Gesù risponde: “«Non
mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha
mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno”.
Essi non hanno motivo di mormorare. La possibilità stessa di andare a
lui, di credere nel suo ruolo, è opera del Padre: egli si limita a far
risorgere (3) coloro che, per opera del Padre, si aggregano a lui. A
conferma di ciò egli cita un testo del Deuteroisaia, nel quale si dice: “Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio.” (cfr. Is 54,13). Questa affermazione si
richiama ad altre che, presentando l’alleanza, la caratterizzano con un
rapporto che nasce non da una imposizione esterna (la legge), ma da un
intervento interiore di Dio sul cuore stesso dell’uomo (cfr. Ger 31,31-34; Ez 36,31-34; Dt 30,6).
Gesù commenta poi in questo modo il testo citato: “Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui,
viene a me.”: è in base a una illuminazione divina(4) che si aderisce a
Gesù. E conclude: “Non perché qualcuno
abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità,
in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna”. Come già
l’evangelista aveva sottolineato nel prologo (cfr. Gv 1,18), solo colui che viene dal Padre lo ha visto e può dare la
vita eterna a chi crede in lui. La mormorazione dei giudei è quindi senza
fondamento: essa deriva non della fedeltà alle Scritture, ma dal rifiuto
opposto alla testimonianza interiore di Dio che accompagna l’annunzio di Gesù.
“Io sono il pane
della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti;
questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.”
Il primo libro della Bibbia, la Genesi, afferma che Dio
aveva creato l’uomo per l’immortalità. L’ultimo libro della Bibbia,
l’Apocalisse, afferma che Dio ridarà all’uomo questa immortalità. Ora, Gesù, in
questo brano, ci dice che questa immortalità ci è già ridonata attraverso la
fede e l’Eucaristia: “…perché chi ne mangia
non muoia…”. Si potrebbe obiettare anche noi insieme ai Giudei: ma
anche coloro che mangiano il Pane eucaristico, muoiono come tutti! Ebbene, Gesù
afferma che il nutrimento eucaristico ricevuto nella fede mette il fedele in
possesso, fin d’ora, di una “vita eterna” sulla quale la morte fisica non ha
alcuna presa.
Vi è però una condizione che spesso sfugge, o che
allontaniamo dai nostri pensieri perché non siamo tanto disposti ad accettarla.
“Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se
uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne
per la vita del mondo».”
Mangiare il Corpo di Cristo non è un rito magico; l’atto
di accogliere Cristo in noi significa che vogliamo(5) entrare in
comunione con lui, significa che noi condividiamo in tutto e per tutto la
Parola di Cristo, anche e soprattutto quell’unico comandamento che ci ha
lasciato: “amatevi
l’un l’altro come io vi ho amato” (Gv
13,34); il comandamento che ha sostituito e superato i comandamenti del
Sinai.
Quel
comandamento è stato annunciato pochi minuti dopo che Gesù aveva lavato i piedi
ai suoi discepoli (Gv 13,5-11), e
questo non era un servizio piacevole, visto che si camminava praticamente
scalzi e le vie della città erano anche le fogne.
Accostarsi all’eucaristia vuol dire accettare di fronte
a Dio e a tutta la comunità di divenire noi stessi pane per gli altri, di
aiutare gli altri ovunque vi sia bisogno, anche a scapito dei nostri interessi,
anche se l’altro non merita nemmeno di essere guardato, anche se abbiamo
ricevuto da lui il più feroce dei torti.
È questa la condizione fondamentale per accostarsi alla
mensa di Cristo, è questo l’“abito nuziale” di cui parla Matteo (Mt 22,11-12, la parabola del banchetto nuziale); è per far comprendere questo che Paolo ha
sottolineato con gravità “chi mangia e beve senza riconoscere(6)
il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna”(1Cor 11,29).
Se noi ci nutriamo del corpo di Cristo, se noi diveniamo
pane per gli altri, adeguandoci quindi alla volontà di Dio, riceviamo l’adempimento
della promessa di Cristo: la vita eterna.
Note: 1. Questa esegesi è liberamente tratta da un articolo di P.
Alessandro Sacchi pubblicato si ww.NICODEMO.net. – 2. Si intende qui
quella detta dei Settanta (II – I secolo a.C.). – 3. La
dicitura “nell’ultimo giorno” è
tipica della teologia ebraica, non rientra in quella cristiana dei primi anni e
solo dopo circa due secoli verrà riesumata. Gesù parla di “ultimo giorno” per farsi capire poichè si rivolge a dei farisei e
non ai suoi discepoli. – 4. Se facciamo riferimento anche agli altri vangeli,
questa “illuminazione divina” è
destinata a tutti, nessuno escluso. – 5. La componente della volontà, dell’atto
fatto per propria decisione e non subìto, è fondamentale nel sacramento
dell’Eucaristia. Cristo ha detto ”prendente e mangiate”; non ha detto
“aprite le labbra che vi imbocco”; imboccare è l’atto che si compie a favore
dei bambini, degli inconsapevoli. Il gesto di accogliere la particola nelle
nostre mani e di portarla noi, liberi nella nostra specifica decisione, alla
bocca, sottolinea la nostra comunione consapevole con il Cristo, con tutto
quello che questo comporta. Sulla stessa linea è il fatto di ricevere il
sacramento in piedi, da figli e non da servi come nel caso di riceverlo in
ginocchio. – 6. Il senso del verbo conoscere o riconoscere nella mentalità
orientale ed ebraica in particolare, supera notevolmente quello che ha nella
lingua italiana. Tale verbo indica non solo il verificare l’identità
dell’altro, ma sottolinea soprattutto l’unione stretta fra due individui; nel
caso di un uomo ed una donna esprime infatti l’unione sessuale.