(segue
dalla domenica precedente)
4.10.
Istituzioni: il Sinedrio
Il termine Sinedrio deriva dal greco synèdrion
che significa “assemblea”; era un'alta corte di giustizia di cui si fa per
la prima volta menzione nella Bibbia nel primo Libro dei Maccabei (14,28). Il trattato talmudico noto come Sanhedrin(1) afferma che
esisteva un Grande Sinedrio, composto da settantuno elementi (sinedrini), e un Piccolo Sinedrio
composto da ventitre membri soltanto. Sul numero di componenti del Grande
Sinedrio non c'è accordo, lo stesso Sanhedrin nella Ghemarah, il commentario
alla Misnah, riporta che secondo il rabbi Judah il Grande Sinedrio era composto
da settanta elementi soltanto.
Il Grande Sinedrio di Gerusalemme era presieduto dal
Sommo Sacerdote e composto da una sezione religiosa di ventitre membri
(sadducei), da una sezione legale di ventitre scribi (esperti della Legge, di
estrazione generalmente farisea) ed una terza sezione popolare di ventitre
membri anziani(2). L’istituzione di questa assise viene fatta
risalire alle istruzioni impartite da Mosè (cfr. Nm 11,16-17): Il Signore
disse a Mosè: “Radunami settanta uomini tra gli anziani d’Israele, conosciuti
da te come anziani del popolo e come loro scribi; conducili alla tenda del
convegno; vi si presentino con te. Io scenderò e parlerò in quel luogo con te;
prenderò lo spirito che è su di te per metterlo su di loro, perché portino con
te il carico del popolo e tu non lo porti più da solo.
Le cause civili meno importanti potevano essere
risolte da un numero di giudici ridotto; per le cause capitali occorrevano
almeno ventitre giudici, quindi si doveva convocare il Piccolo Sinedrio, ma nel
caso di una tribù che avesse commesso nel suo insieme un fatto perseguibile, oppure
nel caso di un falso profeta o del sommo sacerdote, potevano essere
processati solo davanti al Grande Sinedrio al gran completo (Sanhedrin, cap.1,
folio 2a).
La definizione di Piccolo Sinedrio e l'osservazione
che secondo il Sanhedrin i reati minori potevano essere giudicati da tribunali
ridotti, fa pensare che esistessero in realtà più sinedri, in varie città della
Giudea. Questo peraltro sembra confermato dal Nuovo Testamento che parla di
tribunali utilizzando proprio la parola greca al plurale sunšdria (cfr. Mt 10,17).
Del resto è impossibile pensare che tutte le cause della Giudea, anche le più
semplici e insignificanti, venissero discusse sempre dallo stesso organo visto
come un tribunale unico.
A Gerusalemme esisteva un Grande Sinedrio, presieduto
dal Sommo Sacerdote; si trattava del tribunale più importante della Giudea.
Esso teneva le sue riunioni in un’apposita ala del Tempio. Il Sinedrio
disponeva di un proprio corpo di guardia e quindi era in parte responsabile
dell’ordine pubblico. Il Talmud Babilonese afferma che nell'epoca del secondo
tempio il Sinedrio si occupava soprattutto di cause religiose e civili, sia
capitali che non, che avevano una qualche relazione con la legge mosaica. Le
sue decisioni avevano valore di legge e venivano normalmente accettate
dall’autorità romana(3).
Il Sinedrio è stato sciolto definitivamente dopo la
caduta di Gerusalemme e la distruzione del Tempio durante la guerra del 66-74 d.
C.
In epoca romana erano quindi di competenza del Grande
Sinedrio di Gerusalemme:
la difesa dell’ordine pubblico, soprattutto nell’area
del Tempio, per questo era a disposizione del Sinedrio un corpo di guardia
comandato dal Capitano del Tempio, (cfr. At
4,1-2);
la potestà ordinaria giudiziale religiosa e civile per
tutti i casi che riguardavano la Torah; il Sanhedrin elenca tutti i casi in cui
i reati erano di competenza del Sinedrio, si andava dai reati religiosi, agli
abusi sessuali, alle cause civili inerenti questioni economiche, ecc....
il potere esecutivo per il cui esercizio, così come
per la tutela dell’ordine pubblico, poteva anche ricorrere alle coorti romane;
secondo il Nuovo Testamento romani e giudei collaborano per arrestare Gesù.
Per esercitare il potere giudiziario venivano
istituiti i processi. Il processo si divideva in varie fasi: il controllo e la
verifica dei testimoni,
il dibattimento che consisteva nell’esame dell’accusato (giudizio) e infine l’emissione di
un verdetto (o sentenza), raggiunto per votazione da
parte dei membri del Sinedrio, che poteva comportare la pena di morte per i
reati più gravi nelle cause capitali o si limitava a un semplice esborso economico
per le cause civili.
Si giungeva al processo dopo un arresto dell’imputato (autorizzato
da un mandato del Sinedrio) che doveva avvenire sempre di giorno salvo in caso
di “flagranza” del reato. Esistevano regole ben precise per le sedute del
processo: come per l’arresto, le sedute processuali dovevano sempre tenersi
durante il giorno (prima del tramonto). Il Sanhedrin, cap. 4, folio 32a,
stabilisce che tutte le cause, siano esse civili o capitali, richiedono, per la
loro conclusione, che fossero espletate delle indagini e almeno un
interrogatorio.
Il Sanhedrin distingue poi le procedure da seguire nel
caso delle cause non capitali (o civili) e delle cause capitali:
Cause non capitali: la causa inizia sempre durante il giorno e può concludersi nel corso
dello stesso giorno oppure durante la notte; nella Ghemarah, il commentario
alla Misnah contenuta nel Sanhedrin, è citato a sostegno di questa procedura il
passo di Es 18,22 che dice: "essi dovranno giudicare il popolo in ogni
circostanza", quindi anche di notte o dopo il tramonto. Per le cause
non capitali bastava la maggioranza di un solo giudice del Sinedrio per
condannare o assolvere l'imputato. Inoltre nell'esaminare la causa si doveva
sempre iniziare con gli argomenti a favore dell'accusa.
Cause capitali: le cause capitali si possono concludere il giorno stesso in cui sono
iniziate solo se il verdetto è di assoluzione altrimenti vengono interrotte
prima della sera e riprendono il giorno dopo ma sempre in modo che si
concludano di giorno (Sanhedrin, cap. 4, folio 32a). In pratica, avvicinandosi
il tramonto, al termine della prima seduta si tiene una prima votazione: se
l’esito è favorevole all’imputato allora questi viene immediatamente
rilasciato. Se invece l’esito è sfavorevole all’imputato oppure se la seduta si
protrae oltre i limiti di legge, allora la seduta stessa viene sospesa e può
riprendere solo il giorno seguente. Il commentario alla Misnah cita il passo di
Es 25,4 a sostegno di questa
procedura: "fa appendere al palo i
colpevoli, davanti al Signore, al sole"; una condanna a morte deve
avvenire solo in pieno giorno, davanti al sole. Secondo la Misnah del
Sanhedrin, poi, nel caso di una causa capitale occorre una maggioranza di
almeno due giudici per emettere una sentenza di condanna, mentre basta una
maggioranza di un solo giudice per prosciogliere l'imputato. Nella cause
capitali, poi, il procedimento deve sempre iniziare con la discussione degli
argomenti a sostegno dell'innocenza dell'imputato.
Il Sanhedrin ordina poi esplicitamente che le cause
non si dibattano mai alla vigilia di un sabato oppure di una qualunque
festività (cfr. Sanhedrin, cap. 4, folio 32a).
L’imputato aveva il diritto di utilizzare una consulenza
legale; se non poteva disporre di un difensore, o non aveva le possibilità
economiche per pagarlo, ne veniva nominato appositamente uno per lui che agisse
in sua difesa. Per la legge mosaica non poteva venire richiesto a un accusato
di testimoniare a proprio sfavore. In generale anche una confessione volontaria
non era sufficiente per ottenere una condanna. L'esame dei testimoni era
eseguito molto scrupolosamente per evitare che un imputato venisse accusato
ingiustamente. Il processo poteva svolgersi anche in assenza dell’imputato
perché latitante, ma il caso era infrequente. Quando un processo capitale è
terminato e l'accusato è riconosciuto colpevole del reato, il condannato è
portato via per essere giustiziato.
Un araldo doveva annunciare la sentenza di condanna a
morte in modo che questa fosse resa pubblica ed eventuali testimoni potessero
ancora intervenire per discolpare l'imputato.
La condanna più diffusa nel mondo ebraico era la
lapidazione. Prima dell'esecuzione o durante la stessa, era possibile intervenire
per portare nuovi elementi a discolpa del condannato; persino lo stesso
condannato poteva interrompere l'esecuzione chiedendo di ritornare in tribunale
fino a quattro-cinque volte, purchè le sue dichiarazioni fossero significative.
Il ruolo dei testimoni nel processo ebraico è di
fondamentale importanza. Infatti non c’è una accusa ufficiale o un pubblico
ministero che accusa di qualche reato l’imputato(4). Sono i
testimoni che fungono da pubblica accusa, oppure sostengono la tesi di una
parte piuttosto che dell'altra.
La condanna per un reato capitale non è possibile se
questa è basata sulla testimonianza accusatoria di un solo testimone. Nel caso di
presenza di due testimoni, cioè il numero legale minimo, questi devono
concordare in ogni più piccolo particolare nelle loro versioni dei fatti. Il
fondamento di questa norma si trova nel Deuteronomio e nei Numeri:
Dt 17,6: Colui che dovrà morire sarà messo a morte sulla
deposizione di due o di tre testimoni; non potrà essere messo a morte sulla
deposizione di un solo testimone.
Dt 19,15: Un solo testimonio non avrà valore contro alcuno, per
qualsiasi colpa e per qualsiasi peccato; qualunque peccato questi abbia
commesso, il fatto dovrà essere stabilito sulla parola di due o di tre
testimoni.
Nm 35,30: Se uno uccide un altro, l'omicida sarà
messo a morte in seguito a deposizione di testimoni, ma un unico testimone non
basterà per condannare a morte una persona.
Del resto anche il Sanhedrin prevedeva almeno due
testimoni concordi tra loro nel formulare un capo di accusa per procedere nel
dibattimento, prendendo ispirazione da questi passi della Torah. I testimoni
venivano portati in una stanza e letteralmente "terrorizzati".
Il ruolo fondamentale da loro giocato doveva essere ben chiaro onde evitare che
potessero dichiarare il falso. Dopo di che iniziava un esame dei testimoni ad
uno ad uno, iniziando da quello più anziano. Dopo l'interrogatorio del primo
testimone veniva data udienza a un secondo testimone. Se le due testimonianze
erano concordi si procedeva all'esame del caso. Altrimenti si procedeva a
incrociare le varie testimonianze in modo da trovarne almeno due tra loro
concordi e coerenti. L'affidabilità dei testimoni veniva valutata molto
attentamente (Sanhedrin, cap. 3, folio 29a). Nelle cause economiche i
falsi testimoni potevano riparare pagando, ma nel caso una falsa testimonianza
provocasse la morte di un imputato innocente il falso testimone veniva
processato e, se la sua falsa testimonianza veniva provata, veniva condannato a
morte (Sanhedrin, cap. 4, folia 37a e 37b).
Non risulta che i testimoni dovessero sottostare ad
alcun giuramento. Si supponeva infatti che il comandamento mosaico “non fornirai falsa testimonianza” fosse
sufficiente ad evitare spergiuri e menzogne. A questo si aggiungevano ulteriori
deterrenti: un testimone che mentiva nel corso di un processo per reati
capitali punibili con la pena di morte diventava lui medesimo passibile di
condanna capitale. Quindi è presumibile che i testimoni pesassero con cura le
proprie dichiarazioni per non subire sanzioni. Se l’accusato veniva condannato
alla pena di morte i testimoni erano obbligati a presenziare all’esecuzione,
nel caso della lapidazione dovevano scagliare la prima pietra, quella che
causava la morte del condannato. Questo coinvolgimento in prima persona e
responsabilizzazione della figura del testimone si rendevano necessari data la
particolare delicatezza della funzione che essi espletavano.
Dt 17,7: La mano dei testimoni sarà la prima contro di lui per
farlo morire; poi la mano di tutto il popolo; così estirperai il male in mezzo
a te.
Dt 19,16-20: Qualora un testimonio iniquo si alzi contro qualcuno
per accusarlo di ribellione, i due uomini fra i quali ha luogo la causa
compariranno davanti al Signore, davanti ai sacerdoti e ai giudici in carica in
quei giorni. I giudici indagheranno con diligenza e, se quel testimonio risulta
falso perché ha deposto il falso contro il suo fratello, farete a lui quello
che egli aveva pensato di fare al suo fratello. Così estirperai il male di
mezzo a te. Gli altri lo verranno a sapere e ne avranno paura e non
commetteranno più in mezzo a te una tale azione malvagia.
Veniva usata una grande cura nella scelta dei membri
della corte giudicante. L’età minima era di quarant’anni ed ogni membro doveva
avere avuto esperienze in almeno tre “uffici” pubblici di crescente dignità.
Ogni membro doveva essere di impeccabile onestà e tenuto nella più alta
considerazione dai suoi concittadini e dovevano essere ebrei stretti (cioè sia
da parte di madre che di padre). Ogni membro che avesse particolari interessi
nell’esito del giudizio veniva escluso. La corte doveva decidere innocenza o
colpevolezza solo sulla base delle prove e delle testimonianze presentate in
aula. Il Sinedrio si riuniva in un’ala del Tempio di Gerusalemme. Il Sommo
Sacerdote poteva giudicare ma anche essere a sua volta giudicato, poteva
testimoniare ma subire anche una testimonianza contro di lui. Il re, invece,
non poteva essere giudicato dal Sinedrio e non poteva neppure sedere in
giudizio, nè poteva testimoniare o subire testimonianze. Il suo potere era
quindi del tutto indipendente dal Sinedrio (Sanhedrin, cap. 2). Il Sinedrio
aveva anche il dovere di proteggere e difendere l’accusato durante il processo,
fino alla emissione della sentenza definitiva. In nessun caso i membri della
corte potevano permettersi di colpire o percuotere l’accusato.
Note: 1. Il Talmud Babilonese è costituito da vari
trattati scritti dai rabbini, quello che si occupa dettagliatamente del
Sinedrio prende il nome di Sanhedrin, contiene 11 Capitoli i
quali, al loro interno, sono divisi in due "livelli" testuali, la Misnah, che costituisce la documentazione
più antica sulla legge orale raccolta dai rabbini, e la Gemarah, il commentario alla Misnah, raccolto in tempi più recenti
fino al V-VI secolo dopo Cristo. Il Talmud
Babilonese nell'edizione inglese del rabbi I. Epstein è consultabile
online in rete al seguente link: http://www.come-and-hear.com/tcontents.html.
2. Il gruppo degli anziani era costituito da persone
altolocate, capi del popolo e notabili, quasi tutti sadducei. – 3. I rapporti
tra l'autorità romana e il Sinedrio non sono mai stati chiariti del tutto in
quanto mancano documenti storicamente attendibili al di fuori di quanto
riportato nel Nuovo Testamento. – 4. La mancanza
della pubblica accusa è singolare in quanto sia il diritto persiano che quello
greco (entrambi i popoli hanno governato per secoli Israele) lo prevedevano.
Anche il diritto romano prevedeva la pubblica accusa.
(continua la prossima
domenica)