1.
Premessa
In alcune religioni i
sacerdoti, purificati attraverso riti e sacralizzati, sono considerati il
necessario tramite tra gli uomini e la divinità. Sono persone che si separano
dai comuni mortali per avvicinarsi al sacro e per sacralizzare ciò che è
profano, attraverso sacrifici, riti e liturgie.
In Israele erano gli
appartenenti alla tribù di Levi, i leviti, che formavano - ereditariamente,
ossia con privilegi tramandati di padre in figlio - la casta sacerdotale ed erano
genericamente addetti al culto divino; mentre, tra i figli di Levi, quelli che
discendevano da Aronne, fratello di Mosè, erano i sacerdoti veri e propri,
incaricati di stabilire il contatto con il divino: “I loro fratelli leviti
erano addetti a ogni servizio della Dimora nel tempio di Dio. Aronne e i suoi
figli bruciavano le offerte sull’altare dell’olocausto e sull’altare
dell’incenso, curavano tutto il servizio nel Santo dei Santi e compivano il
rito espiatorio per Israele, secondo quanto aveva comandato Mosè, servo di Dio”
(1Cr 6,33-34).
Seppure ereditario, il
sacerdozio ebraico prevedeva alcune caratteristiche fisiche, in mancanza delle
quali non si poteva essere ordinati, perché il libro del Levitico prevedeva 142
difetti impedienti.
Le famiglie sacerdotali
erano suddivise in 24 classi che, dopo l'esilio, si alternavano, periodicamente
e con turni molto rigidi, nel servizio al Tempio. Le prime dieci classi erano
molto importanti e Zaccaria era nell'ottava: “Al tempo di Erode, re della
Giudea, vi era un sacerdote di nome Zaccaria, della classe di Abia, che aveva
in moglie una discendente di Aronne, di nome Elisabetta” (Lc 1,5).
Al tempo di Gesù si
pensa che potessero esserci fra dodici e diciottomila sacerdoti, anche se
qualche studioso parla addirittura di settantamila individui. Essi conducevano
una vita normale e salivano al Tempio per le grandi feste religiose e poteva
capitare, per estrazione, quasi sempre una volta nella vita, di essere chiamati
ad offrire l’incenso nel tempio di Gerusalemme. Così accadde a Zaccaria (il
padre di Giovanni Battista, che avrebbe dovuto diventare anch’egli
ereditariamente un sacerdote): “Avvenne che, mentre Zaccaria svolgeva le sue
funzioni sacerdotali davanti al Signore durante il turno della sua classe, gli
toccò in sorte, secondo l’usanza del servizio sacerdotale, di entrare nel
tempio del Signore per fare l’offerta dell’incenso” (Lc 1,8-9).
Luca inizia il suo
vangelo parlando di Zaccaria che si era recato a Gerusalemme per compiere il
suo servizio sacerdotale, ma egli era talmente preso dalla liturgia, da non
riuscire a credere alle parole che Dio gli stava rivolgendo. I riti della
religione avevano preso il sopravvento sulla fede, la vuota liturgia lo aveva
reso sordo, incredulo alle parole di vita che venivano da Dio.
A Gerusalemme la casta
sacerdotale era al vertice della piramide del potere, con a capo il Sommo
Sacerdote e il Sinedrio, che era formato dai sommi sacerdoti che appartenevano
alle famiglie nobili, dagli anziani del popolo che erano la nobiltà non
clericale, dagli scribi, il magistero indiscusso, e dai farisei, gli osservanti
perfetti delle Legge e dei precetti.
Anche ad Atene e a Roma
c’era un gran numero di sacerdoti, ma non esisteva una teocrazia, per cui il
loro compito si esauriva nelle preghiere, nel culto e nei sacrifici. A
Gerusalemme invece era stato messo in piedi un sistema tale da concentrare
potere religioso e civile nelle mani di poche persone che controllavano anche
l’intero sistema finanziario.
E purtroppo l’esperienza
storica ha dimostrato che quando è il clero che detta le leggi, lo fa per il
suo bene esclusivo e per i partiti e le fazioni guelfe, che non mancano mai
dove c’è da mangiare; lo sapeva anche Gesù: “Si compiacciono dei posti
d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe” (Mt 23,6). E il popolo, i cittadini?
Siano sottomessi a Dio o a chi comanda in nome di Dio.
Il Tempio era allora la
più grande banca del medio oriente, e l’enorme quantità di denaro ed oro che vi
affluiva, aveva profondamente corrotto coloro che ne erano i responsabili, che
erano divenuti avidi di denaro, ricchezza e potere. E il Sommo Sacerdote in
carica, come rappresentante del popolo davanti a Dio, era il capo indiscusso
del potere religioso e civile, esercitato dal clero (sacerdoti e leviti ad essi
subordinati), con l'appoggio determinante degli scribi e dei farisei. Ma
nessuno si ribellava perché: “Dio lo vuole”. Fino a Gesù.
La distruzione
definitiva del Tempio ad opera dei Romani fece sparire i sacerdoti
dall’orizzonte del popolo ebraico, ma già nella comunità di Qumran, dove si
erano rifugiati alcuni sacerdoti che si opponevano alla corrotta classe
sacerdotale di Gerusalemme, c’era la sicura convinzione che la comunità nella
sua interezza, e non il Tempio, fosse il santuario vivente di Dio.
Nei vangeli i sacerdoti
sono tutti personaggi negativi, refrattari alla parola del Signore: da Zaccaria
che non ha creduto alla promessa divina, al sacerdote della parabola del “buon
samaritano”. I sommi sacerdoti, quelli al vertice della piramide del potere
religioso, erano la crema della feccia, quelli che maggiormente temevano le parole
e i gesti di quel galileo, tanto da ucciderlo per mano degli odiati romani: “Ma
uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non
capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo
muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!»” (Gv 11,49-50). Gesù stava facendo saltare
il sistema.
Gesù non era un
sacerdote perché non era un discendente di Levi, ma era un laico, che, se
avesse messo piede nello spazio sacro del Tempio, sarebbe stato lapidato, come
qualsiasi altro laico. Non lo erano i suoi discepoli né gli apostoli, né lo
saranno per secoli, secondo la volontà di Gesù.
Nei vangeli troviamo Gesù
sempre e solo nel portico di Salomone - cioè il portico dei laici, degli uomini
– dove passeggiava e insegnava.
Gesù, attaccando con
violenza il sistema religioso giudaico, prefigurando la distruzione del Tempio
e la fine del sacerdozio, ha combattuto la sua più feroce battaglia contro il
clero di Gerusalemme. Uno che va dicendo che Dio non è nel Tempio ma che vive
nell’intimo dell’uomo, che non chiede né offerte né sacrifici, ma che si offre,
che il sacerdozio non è solo inutile, ma dannoso perché si frappone tra il
Padre e i figli, costui deve morire, per volontà del clero, che si sente
minacciato nel suo potere.
"La rivoluzione di
Gesù di Nazareth era stata nel denunciare questa piramide di mediatori e di
mediatori dei mediatori, nel dare ai poveri la gioiosa certezza che il loro
rapporto con Dio era immediato. Lo potevano chiamare Padre senza passare
attraverso le strutture del tempio e le legittimazioni del Sinedrio"
(Ernesto Balducci1).
L’apostolo Paolo, nella
prima metà del I secolo, poco dopo la morte di Gesù, comincia la sua attività evangelizzatrice
fondando le prime Chiese come comunità dalla struttura molto democratica,
basata sui carismi, doni che lo Spirito, in maniera differenziata, dà a tutti,
in funzione della crescita della comunità, per formare una fraternità, nella
collaborazione. Dare voce a tutti serve ad edificare la comunità nella
comunione (Koinonia).
Ma già dopo pochi
decenni, come dimostrano le Lettere Pastorali, si va perdendo la
compartecipazione e le Chiese assumono una struttura verticistica patriarcale,
con qualcuno che prevale sugli altri, una struttura che si regge su una
trasmissione di potere tramite l’imposizione della mani, con la sacralizzazione
del presbitero (che somiglia sempre più ad un sacerdote, anche se non lo è), una
figura che si separa dagli altri, tradendo le parole di Paolo in Gal 3,26-26: “Tutti
voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti
siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo
né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti
voi siete uno in Cristo Gesù”.
E’ già finita
l’uguaglianza e sono ignorati i doni dello Spirito. Durante i secoli a venire,
la figura del presbitero si fossilizza, diventando una figura immutabile del potere
maschile misogeno, legato alla distinzione fra maschio (degno) e femmina
(indegna).
Nei primi secoli un
presbitero o un vescovo (era all’inizio una questione solo di nome e non di
competenze) erano scelti tra i più saggi della comunità, che avessero una sola
moglie (cioè che non praticassero la poligamia anche se consentita dalla Torah),
e che, soprattutto, sapessero educare bene i loro figli perché questa capacità
li rendeva utili alla comunità.
Infatti nella Chiesa
primitiva il termine sacerdote veniva riservato solo a Cristo e alla sua
Chiesa, intesa nella sua globalità di popolo sacerdotale. Poi, il popolo di Dio
esercitava il sacerdozio con ministeri diversi, cominciando dalla famiglia,
primo ministero sacerdotale, e poi tutti gli altri ministeri, compreso quello
presbiterale o episcopale, che non era disgiunto dalla famiglia, perché erano
tutti sposati.
All'inizio, a capo delle
comunità, c'erano anche donne come, per esempio, è scritto in Rom 16,1-2: “Vi
raccomando Febe, nostra sorella, che è al servizio della Chiesa di Cencre:
accoglietela nel Signore, come si addice ai santi, e assistetela in qualunque
cosa possa avere bisogno di voi; anch’essa infatti ha protetto molti, e anche
me stesso”.
Nelle comunità
apostolica di Gerusalemme invece il problema di Paolo non esisteva e l’unico
ministero voluto da Pietro fu il diaconato (Atti 6,1-6). Lo stesso Simone
Pietro non fu mai né presbitero né tanto meno vescovo e, in senso stretto,
neanche papa (non si ha nemmeno la certezza di una sua presenza a Roma).
Nella Roma imperiale il
sommo pontefice era l’imperatore. Poi si chiamarono cosi i vescovi di Roma, con
ambizioni di potere, che raggiunsero l’acme con Bonifacio VIII che si mise in
testa la tiara, ad indicare il potere totale e universale. L’uso della tiara è
poi scomparso(2).
Più tardi la comunità
dei fedeli avrà bisogno di una struttura logistica e si organizzerà con figure
di servizio che sono appunto i diaconi, i presbiteri ed i vescovi. E ancora
oggi l’ordinazione dei preti infatti si chiama “presbiterale” e non
sacerdotale.
Presbiteri e vescovi
sono chiamati a pascere il gregge, a guidarlo in pascoli erbosi e a
proteggerlo, dando, se necessario, la vita per i fedeli loro affidati. Questo
in passato non è sempre avvenuto e il pericolo è, purtroppo, sempre incombente
e le deviazioni possibili: c’è sempre il pericolo, reale, che chi è chiamato a
servire, tenda a comandare.
Inoltre troppo spesso i
preti (diminutivo di presbiteri) non disdegnano, anzi amano, essere chiamati
sacerdoti, avendo tradito il messaggio evangelico. E cosi sono ricomparsi, con
i “sacerdoti”, i templi, i santuari, gli altari. I sacrifici, le divine
liturgie tra nuvole di incenso, ma la fede è scarsa e chi si nutre della parola
di Dio lo capisce: “Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo:
Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me” (Mt 15,7-8).
Note:
1. Ernesto Balducci (Santa Fiora
1922 – Cesena 1992) è stato un presbitero, editore, scrittore ed intellettuale
italiano. 2. L'ultima cerimonia di incoronazione papale con imposizione della
tiara vi fu nel 1963 in occasione dell'elevazione al Soglio di papa Paolo VI,
che cessò successivamente l'uso dello storico simbolo pontificio. La tiara
venne messa in vendita e acquistata dal card. F.J. Spellman, arcivescovo di New
York, utilizzandone il ricavato per le missioni africane. L'uso del triregno fu
sostituito in toto con quello della mitra.
(segue la settimana successiva)