Terza Domenica del Tempo
Ordinario – Mc 1,14-20
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù
andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è
compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Passando lungo il mare di Galilea,
vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare;
erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò
diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo
fratello, mentre anch'essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò.
Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono
dietro a lui.
Marco introduce(1) la predicazione di
Gesù in Galilea con due versetti che rappresentano il primo dei sommari di cui
è ricco il suo vangelo: “Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù
andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio…”.
La notizia secondo cui Gesù ha iniziato il suo
ministero pubblico dopo l’arresto di Giovanni il Battista contrasta con quanto
riportato dall’evangelista Giovanni nel suo vangelo nel quale ricorda
un’attività parallela dei due (cfr. Gv
3,22-24); d’altro canto Marco stesso narrerà solo in seguito l’arresto e la
morte di Giovanni (Mc 6,17-29). È
probabile che egli voglia qui separare nettamente l’opera del Battista da
quella di Gesù per motivi più teologici che storici, mettendo così in luce una
tendenza(2) che sarà accentuata maggiormente da Luca (cfr. Lc 3,19-20;16,16).
Invece di recarsi in Giudea, zona densamente
abitata e dove avevano sede le principali istituzioni giudaiche, Gesù torna in
Galilea, sua terra d’origine. L’evangelista non ignora che in Is 8,23 essa è chiamata «Galilea delle
genti», appellativo che all’epoca di Gesù richiamava il carattere misto (ebrei
e gentili) della sua popolazione (cfr. Mt
4,15).
Il termine «proclamare»,
con cui è indicata l’attività di Gesù in Galilea, in greco indica l’azione pubblica
fatta da un araldo; con questo termine i primi cristiani indicavano l’annunzio
della salvezza fatto dagli apostoli (cfr. At
8,5; Rm 10,8; 1Cor 1,23).
L’espressione «vangelo di Dio», appartiene anch’essa al linguaggio della prima
comunità cristiana (cfr. Rm 1,1; 15,16;
2Cor 11,7) e indica non la buona novella che ha per oggetto Dio, ma quella
che proviene da Dio stesso, in quanto autore della salvezza.
Gesù si presenta dunque come colui che, in nome
di Dio, annunzia la salvezza imminente (cfr. 2Cor 5,20). L’espressione «proclamare
il vangelo di Dio», pur rispecchiando il modo di esprimersi dei primi
cristiani, ha però profonde radici bibliche. Il verbo «evangelizzare» infatti è usato nella seconda e nella terza parte
del libro di Isaia per indicare il lieto annunzio della prossima liberazione
rivolto ai giudei esiliati in Mesopotamia e ai primi rimpatriati (cfr. Is 40,9; 52,7; 61,1).
Il lieto annunzio proclamato da Gesù è espresso
con una frase molto concisa: prima di tutto egli afferma, con un linguaggio che
si ispira all’apocalittica giudaica, che «il
tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino»; il «tempo», cioè il periodo dell’attesa, è arrivato al termine; di
conseguenza il «regno di Dio», cioè
l’esercizio pieno e definitivo della sovranità divina in questo mondo, «è vicino», o meglio si è reso prossimo,
sta per realizzarsi in questa terra. In altre parole sta ora iniziando il
periodo finale della storia, caratterizzato dal fatto che Dio stesso interviene
per far riconoscere e accettare pienamente la sua sovranità non solo su
Israele, ma su tutta l’umanità.
Al tempo di Gesù li tema della regalità di Dio
era molto sentito nel giudaismo. Esso gettava le sue radici nell’esperienza
primordiale di Israele, il quale attribuiva il titolo di re al Dio che lo aveva
liberato dalla schiavitù d’Egitto. In questo contesto la regalità di Dio
assumeva una dimensione soprattutto di misericordia, e suscitava l’impegno per
una liberazione interiore basata su norme di giustizia e di uguaglianza.
Il periodo trascorso in esilio aveva conferito a
questa esperienza un aspetto di universalismo e una forte dimensione
escatologica(3): Dio è re di tutta l’umanità, ma non ha ancora
rivelato pienamente la sua sovranità, cosa che farà quanto prima sconfiggendo
in modo definitivo le potenze nemiche, identificate spesso con l’impero romano,
oppressore dei giudei. Gesù afferma dunque che questa attesa apocalittica, in
tutta la sua dimensione universalistica, sta per essere adempiuta: egli si
riserva però di spiegare con più precisione le modalità con cui ciò avverrà.
All’annunzio del lieto messaggio fa eco un
invito: «convertitevi e credete nel
vangelo». Come già aveva fatto
Giovanni Battista, Gesù invita i suoi ascoltatori a «convertirsi» (dal greco metanoein, cambiare mente4)
ma per fare ciò è necessario «credere nel vangelo», cioè aprirsi al lieto
annunzio ed essere disposti a basare su di esso tutta la propria vita.
La
conversione, secondo Gesù, è un orientamento diverso della propria esistenza:
le persone vivono centrate su se stesse e Gesù dirà che “Chi vive per sé, si
distrugge”, perché la persona, sia umanamente che fisicamente, si sviluppa
soltanto se vive per gli altri. Credente o no, una persona cresce e si sviluppa
quando vive orientato verso gli altri. Gesù, che è venuto a portare la vita,
dice: “Se non orientate diversamente la vostra esistenza, non avete nulla a che
fare con il regno di Dio”.
L’annunzio di Gesù è un «vangelo» in quanto mette in primo piano non ciò che gli uomini
devono fare per ottenere il favore di Dio, ma ciò che Dio stesso sta facendo
per coinvolgere il suo popolo in un grande progetto di liberazione, che trova
nell’antica idea della regalità di Dio il suo carattere distintivo.
È significativo il fatto che Gesù annunzia non se
stesso e le sue prerogative, ma l’opera di Dio in un mondo dominato da potenze
che ne impediscono l’attuazione. Agli ascoltatori egli chiede di convertirsi,
cioè di lasciarsi coinvolgere, di non opporre resistenza all’azione di Dio in
questo mondo.
Il primo gesto compiuto da Gesù dopo il suo
ritorno in Galilea è stato, secondo Marco, la chiamata di alcuni discepoli, che
ebbe luogo mentre Gesù stava «passando
lungo il mare di Galilea», cioè il lago di Genezaret(5). I primi
chiamati sono due fratelli, Simone e Andrea, i quali stanno svolgendo il loro
lavoro di pescatori(6). Per la loro professione, che precludeva loro
un’osservanza precisa e costante della legge, essi appartenevano a quello che i
farisei chiamavano con disprezzo il «popolo della terra7». È
significativo che uno dei primi due, Andrea, porti un nome greco; ma anche il
nome dell’altro, Simone, è una trasposizione greca di Simeone.
Ai due Gesù rivolge l’invito: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». È dunque lui che prende l’iniziativa, chiamandoli al suo seguito. Il
significato simbolico della pesca può essere ricavato da un brano di Geremia (Ger 16,16); da questo parallelo si
ricava che ciascuno dei prescelti, sotto la guida di Gesù, dovrà diventare un
centro di aggregazione per altre persone disposte ad accettare il regno di Dio.
In altre parole essi dovranno lasciarsi coinvolgere nel progetto di Gesù, per
annunziare con lui la venuta del regno di Dio e per chiamare tutto Israele alla
conversione e al perdono reciproco.
All’invito perentorio di Gesù i primi due
chiamati lasciano «subito», senza
tergiversare, le loro reti, che rappresentano tutto il loro avere, e lo
seguono; il verbo «seguire» rievoca l’esperienza
di Israele, che nell’esodo si è lasciato guidare da Dio e ha preso l’impegno di
«camminare nelle sue vie» (cfr. Dt 10,12).
Essi rispondono, come aveva fatto Abramo, con una silenziosa obbedienza,
abbandonando le proprie sicurezze e affrontando un cambiamento radicale di
vita.
La chiamata dei primi discepoli mostra qual era
la risposta che Gesù si aspettava quando annunziava la venuta del regno di Dio
e invitava alla conversione. L’evangelista sottolinea come la loro chiamata sia
dovuta esclusivamente a Gesù, il quale sceglie egli stesso uomini adulti e
maturi, impegnati in una precisa attività professionale. Così facendo egli si
distacca dai dottori della legge i quali non sceglievano, ma accoglievano
giovani studenti che facevano richiesta di essere guidati nello studio della
legge. Il fatto che i prescelti siano semplici pescatori mette ulteriormente in
luce la gratuità della loro vocazione e al tempo stesso mostra come Gesù,
cominciando dagli ultimi, voglia veramente arrivare a tutto il popolo.
Lo stesso invito è rivolto anche a un’altra
coppia di fratelli, Giacomo e Giovanni, ugualmente pescatori, i quali seguono
Gesù lasciando il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni: anche qui
appare la radicalità di un gesto che implica l’abbandono non solo di una
persona cara, il padre, ma anche di una piccola impresa a gestione familiare,
in cui la presenza di garzoni è segno inequivocabile di una certa prosperità.
Dal punto di vista storico la chiamata dei primi
discepoli non può essere avvenuta se non dopo un certo periodo, quando cioè
Gesù era già noto in forza della sua predicazione: e di fatti Luca la situa in
un momento successivo (Lc 5, 1-11).
Il fatto che Marco ponga questo episodio subito all’inizio della sua attività
rivela un interesse non tanto biografico, quanto piuttosto teologico: il regno
di Dio annunziato da Gesù manifesta la sua vera natura ed efficacia anzitutto
nell’aggregazione di persone disposte ad assumerlo su di sé e ad accettarne
tutte le conseguenze.
Note: 1. Questa esegesi è stata liberamente ricavata da un
articolo di Padre Alessandro Sacchi riportato su www.Nicodemo.it. – 2. Il fatto storicamente
accertato che circa cento anni dopo la morte di Gesù esistessero ancora
discepoli di Giovanni il Battista che si contrapponevano ai cristiani, fa
comprendere come gli evangelisti che hanno scritto verso la fine del I secolo
tendessero separare l’attività del Battista da quella di Gesù. – 3. Cioè una
dimensione riferita alla fine dei tempi. – 4. Nel IV d.C. circa venne
effettuata la traduzione dei vangeli dal greco in latino,
chiamata in seguito Vulgata, che in parte è opera di Girolamo, sulla quale per
secoli la Chiesa cattolica ha basato tutta la sua teologia e la sua
spiritualità. In questa traduzione l’invito di Gesù “convertitevi” era tradotto “fate
penitenza”. Ma Gesù non ha mai chiesto di fare alcuna penitenza, anzi, era
contrario a questo tipo di atteggiamenti, cosa confermata anche da Paolo (cfr. Col 2,16-23). La Chiesa si è arroccata
su questa traduzione latina anche quando era ormai chiaro che era una
traduzione del tutto inesatta e che bisognava ritornare al testo originale
greco, creando problemi morali e interpretativi che ancora oggi sta pagando in
termini di credibilità e di consenso. –
5. La denominazione del Lago di Genezaret come “mare di Galilea” non è un banale
errore geografico, ma un preciso concetto teologico; infatti il lago confinava
con i territori dei gentili e quindi separava Israele dai pagani esattamente
come il Mar Rosso separava la terra promessa dall’Egitto, terra di
schiavitù. – 6. Luca invece inquadra la
loro vocazione in un contesto di miracolo, la pesca miracolosa (cfr. Lc 5,1-11). – 7. Cioè
quella parte di Israele che, non seguendo integralmente tutta la Legge, non
poteva essere considerata idonea a risorgere dopo la morte. E’ significativo
che Gesù scelga loro come proclamatori del vangelo considerando così
l’osservanza o meno della Legge come del tutto ininfluente nella vita
dell’uomo.