sabato 12 dicembre 2015
Avviso a coloro che seguono il post
Il commento all'enciclica Laudato Sì è finito. Sono stato pessimista sui tempi, ma meglio così. In giornata lo spedirò via e-mail a tutti coloro che, tramite e-mail, me l'avevano richiesto e a coloro che penso siano interessati.. Se altri che seguono il blog volessero il testo del commento, mi facciano conoscere il loro indirizzo che provvederò ad inviarlo.
mercoledì 9 dicembre 2015
Terza Domenica di Avvento
Terza Domenica di Avvento –
Lc 3,10-18
[Alle folle che
andavano a farsi battezzare da lui, Giovanni diceva: «Razza di vipere, chi vi
ha fatto credere di poter sfuggire all'ira imminente? Fate dunque frutti degni
della conversione e non cominciate a dire fra voi: «Abbiamo Abramo per padre!».
Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Anzi,
già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà
buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco»]1.
Le folle lo
interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche
ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». Vennero anche
dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo
fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato
fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo
fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno;
accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era
in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non
fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con
acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i
lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano
la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma
brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
Per
comprendere in modo completo il significato del brano di questa domenica, è necessario
leggere e comprendere i versetti che lo precedono.
“Alle folle che andavano a farsi battezzare da lui, Giovanni diceva:…”
Questo movimento delle folle verso il battesimo indicato da Giovanni viene
espresso in greco con una forma verbale(2) che letteralmente
significa “escono, si allontanano”, dando l’idea di un distacco, un uscir fuori
e un allontanarsi da un modo di vivere non più confacente ai nuovi tempi.
Diversamente da
Matteo che riserva il richiamo di Giovanni ai farisei e ai sadducei (Mt 3,7), Luca indirizza l’esortazione (dai
duri toni escatologici) alle folle. La diversità dei destinatari denuncia le
diverse posizioni storiche e culturali dei due evangelisti(3).
“«Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all'ira
imminente?...” L’espressione è molto dura e non trova un suo equivalente
nell’A.T. né in altre parti del N.T. Il testo greco dice “ghennémata
echidnòn”, che letteralmente significa “generazione, figlio, prole,
progenie di vipere”. Il riferimento alla vipera, che possiede in sé un veleno
mortale e della quale l’umanità è dichiarata discendente diretta, rimanda al
primordiale serpente della genesi che ha inoculato nel primo uomo il veleno della
rivolta contro Dio (Gen 3,4-5);
queste folle sono quindi definite da Giovanni come ribelli a Dio. E’ questo
veleno che secondo Giovanni provoca l’ira di Dio. Tale termine ricorre in tutto
l’A.T. circa 300 volte. Il motivo prevalente di tale ira trova la sua matrice
primordiale nell’infedeltà del popolo dalla “dura cervice” nei confronti di Dio(4).
Tale ira è qui
qualificata come “imminente”. Questa imminenza ci colloca in un contesto
di un giudizio che non ammette più
appelli ed è, quindi, definitivo; perciò l’appello alla conversione assume toni
drammatici. Occorre, però, contestualizzare queste parole, che del resto Gesù non
farà proprie, nella mentalità del tempo: secondo gli scribi il Messia aveva
come compito principale l’uccisione di tutti i peccatori che, con la loro
presenza e la loro vita, impedivano la costituzione del Regno di Dio; di qui le
minacce di Giovanni.
“Fate dunque frutti degni della conversione e
non cominciate a dire fra voi: «Abbiamo Abramo per padre!»”. Il verbo
“fate”, un imperativo esortativo, è reso in greco(5) in modo tale da
indicare l’inizio di un processo di conversione, che deve coinvolgere l’uomo
fin da subito; si tratta dunque di un concreto impegno esistenziale che deve
produrre un visibile cambiamento nello stile di vita e nel modo di comportarsi(6).
Ma c’è di più: negli ebrei era profondamente radicato il senso della loro
appartenenza al popolo eletto, il diretto erede delle promesse che Dio aveva
fatto ad Abramo. Da ciò il popolo traeva la conclusione che, per definizione, era salvo e
salvaguardato da Dio da tutti i suoi nemici, indipendentemente dal proprio
comportamento (Ger 7,1-12).
“Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad
Abramo”.
L’affermazione di Giovanni
è dura: l’essere “figli di Abramo”
non costituisce davanti a Dio nessun titolo di merito e tantomeno è garanzia di
salvezza, poiché i veri “figli di Abramo
sono quelli che vengono dalla fede.” (Gal
3,7).
“Anzi, già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero
che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco»”. L’ira
imminente contenuta nel versetto precedente trova qui la sua esplicitazione.
L’imminenza è data dal fatto che la scure è già pronta per troncare gli alberi
che non portano frutto, richiamandosi ai “frutti degni di conversione”. Qui
viene ulteriormente confermata l’appartenenza di Giovanni alle concezioni
teologiche dell’AT che verranno drasticamente rivoluzionate da Gesù; egli
affermerà che Dio ama i peccatori e li spinge amorevolmente verso una
conversione da lui desiderata.
Siamo
così giunti al brano di questa domenica. Di fronte a queste affermazioni e
minacce, la folla reagisce nel modo più umano possibile: “Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?»”. La risposta
di Giovanni è sorprendente: finora ha parlato come un profeta
veterotestamentario, minacciando fuoco e fiamme: ora Luca (si, qui è evidente
lo zampino di Luca) gli fa dire cose che saranno proprie della predicazione di
Gesù. Un profeta dell’AT avrebbe rivolto prima di tutto il pensiero a Dio, a
far si che la conversione fosse, come primo atto, una conversione verso Dio.
Nelle risposte di Giovanni Dio scompare e “l’altro”
assurge ad oggetto della conversione.
“Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia
a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». Vennero anche dei
pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo
fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato
fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo
fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno;
accontentatevi delle vostre paghe»”. Il tema di fondo su cui vertono le risposte
è l’amore colto nella vita quotidiana e fatto di piccoli atti concreti che
vanno dalla condivisione dei propri beni al rispetto delle persone, della loro dignità
e dei loro diritti; dall’onestà e correttezza nei rapporti sociali al porre
freno alla propria cupidigia, ingordigia e all’arrivismo sociale, che portano
inevitabilmente alla sopraffazione e a calpestare lo spazio esistenziale degli
altri i cui confini nessuno può in qualsiasi modo violare.
Luca quindi pone come
parametro di raffronto della sincerità della propria conversione l’etica(7)
dell’amore, che trova il suo fondamento nell’affermazione dell’altro, colto
come un valore che deve guidare i rapporti sociali e personali del nuovo
credente. È la regola che Gesù stesso ha lasciato ai suoi discepoli: “Da questo tutti sapranno che siete miei
discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). Un amore che va al di là di ogni sentimento, simpatia o
emozione e si definisce come un atteggiamento esistenziale di totale apertura e
donazione di sé all’altro, di piena accoglienza dell’altro in se stessi.
“Poiché il popolo era in attesa e tutti,
riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo,
Giovanni rispose a tutti dicendo:…” Questa frase si apre presentando un “popolo
in attesa”. Tale popolo è lo stesso Israele, che dal tempo della
profezia di Natan al re Davide(8) (1010-970 a.C.) attendeva la
venuta di un messia liberatore e restauratore del regno di Israele. La frase introduce
il tema delle identità di Giovanni e di Gesù. Essa è costruita in tre parti: le
prime due distinte da due verbi con diverso soggetto (a: “il popolo era in attesa”; b: “tutti si
domandavano”); la terza parte deve definire se Giovanni è il preannunciato
Messia atteso dalle genti.
Analizziamo un attimo
la porzione di frase “tutti si domandavano”. Se da un
lato il termine “popolo” definisce storicamente
Israele, l’espressione “tutti” è
onnicomprensiva e abbraccia oltre che il popolo anche tutti coloro che, pur
ponendosi vicino ad Israele, tuttavia se ne stanno fuori. Luca è il teologo della
storia della salvezza universale, la quale pur partendo da Israele si espande “fino ai confini della terra” (At 1,8). Pertanto, se da un lato
l’attesa era propria di Israele, dall’altro l’interrogarsi sull’identità di
Giovanni apparteneva all’intera umanità credente. Il verbo greco, che è stato
tradotto con “si domandavano”, è “dialoghizoménon” che letteralmente
significa: “pensare, giudicare, valutare, discutere, computare, calcolare”. Non
si trattava quindi semplicemente di qualche interrogativo che ci si poneva
intimamente, ma di un vero e proprio dibattito che coinvolgeva interamente ogni
uomo ed era posto al centro della sua vita(9). L’attesa del Messia
spingeva dunque il popolo e tutti i timorati di Dio(10) ad
interrogarsi e ad interpretare i segni dei tempi in un ampio dibattito
comunitario.
“«Io vi battezzo con acqua; ma viene colui
che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali.
Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco….” La frase riguarda il
confronto personale tra Giovanni e Gesù, due figure che fin da subito Luca
contrappone l’una all’altra(11). Le grandezze dei due personaggi e
delle epoche, che essi in qualche modo incarnano, sono definite dalle
espressioni: " ...è più forte di me", "...non sono
degno di slegare i lacci dei sandali".
Il termine “ischiroteros”
(più forte), esprime una netta e inequivocabile superiorità vincente di Gesù
sul Battista. La qualità di questa forza è definita dall’espressione “non
sono degno di slegare i lacci dei sandali". Essa fa riferimento alla
legge ebraica del Levirato che prevedeva, nel caso di morte di un marito, che
il fratello del defunto sposasse la moglie per garantire continuità alla
famiglia. In caso di rifiuto del fratello, toccava ad un altro parente che, per
accettare la sposa, esprimeva il consenso con l’atto di sciogliere i sandali a
chi si era rifiutato, sputarci dentro e rimettere i sandali ai piedi. Giovanni
afferma così che non sarà lui a sposare(12) Israele, ormai da tempo
vedovo, ma Gesù.
La diversità dei due
personaggi, che Luca pone tra loro a confronto, e la distanza che li separa
vengono rilevate anche dalla sostanziale diversità dei due battesimi: "Io vi battezzo nell'acqua ... costui vi
battezzerà in Spirito Santo e fuoco".
L’azione del
battezzare di Giovanni è posta nel presente, che è il tempo proprio in cui egli
opera, cioè quello dell’AT; un tempo che trova in lui il suo compimento e la
sua conclusione.
La figura di Gesù è
caratterizzata da due verbi uno posto al presente (“viene uno”), l’altro al futuro (“costui vi battezzerà”). I due movimenti sono tra loro strettamente
correlati dallo stesso soggetto. Viene evidenziato il senso del battezzare di
Giovanni, mettendone in rilievo la natura: l’acqua che lo diversifica, ma non
lo contrappone allo Spirito Santo e fuoco del battesimo proprio di Gesù.
Acqua e Spirito non
sono due realtà contrapposte, ma complementari, l’una richiama da vicino
l’altra e ne è una sorta di prefigurazione. Già nella prima pagina della Bibbia
acqua e Spirito sono poste in uno stretto connubio: “Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e
lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.” (Gen 1,2). Anche in Ezechiele l’acqua viene abbinata allo Spirito e
prelude ad una nuova creazione, che rigenererà l’uomo a Dio(13).
L’acqua
veterotestamentaria è figura pertanto dello Spirito che viene donato da Dio a
tutti i credenti rigenerandoli al suo mondo e ricollocandoli nella stessa
dimensione divina. Essa parla di una nuova creazione che troverà il suo
compimento soltanto per mezzo dello Spirito, di cui essa è figura.
L’azione battezzante
di Gesù oltre che dallo Spirito Santo è caratterizzata anche dal fuoco. Esso
rappresenta Dio stesso, ne è simbolo e metafora (cfr. Dt 4,24; 5,25; 9,3; Is 33,14; Ger 20,9; 23,29; Ml 3,2 Eb 12,29)
come la nube che di notte illuminava il cammino di Israele e lo difendeva dagli
assalti degli egiziani (Es 13,21;14,24);
esso accompagna la venuta di Dio (Is
4,5;66,15) e costituisce quasi il suo habitat naturale, esprimendone
la presenza (cfr. Es 3,2; 19,18; Dt 4,33;
9,10; 10,4; Is 30,30; Dn 7,10; Gl 2,3).
Gesù, dunque,
battezzerà in Spirito Santo e fuoco, cioè immergerà l'uomo in una nuova
dimensione, quella divina, che Luca, come Matteo, associa qui al fuoco.
“Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il
frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Con
molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo”. L’immagine che
viene riportata è tratta dal mondo agricolo del tempo: il contadino dopo aver
mietuto il grano lo raccoglie sull’aia. Il grano, avvolto dalla pula, deve
esserne liberato. Pertanto il contadino prende il ventilabro, una pala in
legno, e getta in aria il grano. Il vento porta via la pula, mentre il grano ripulito
cade nuovamente sull’aia. La pulitura del grano quindi è l’ultimo atto prima
che il grano venga riposto nei granai.
Ritorna qui la
concezione del giudizio che la chiesa primitiva renderà evidente nell’Apocalisse.
Ciò che opera le
pulitura dalle scorie del grano è il vento, che nel linguaggio biblico è figura
stessa dello Spirito Santo (cfr Gv 3,8;
At 2,2).
L’immagine di Gesù che Giovanni presenta nel vangelo di Luca è ancora
caratterizzata da forti tinte giudiziali, come era proprio della tradizione Q,
utilizzata anche da Matteo. È probabile che questa tradizione riproduca più da
vicino una caratteristica tipica del personaggio storico del Battista, come
risulta anche dal fatto che egli, ormai in carcere, manderà due discepoli da
Gesù per chiedergli se sia veramente lui quello che deve venire o se devono
aspettarne un altro (cfr. Lc 7,18-19; Mt 11,2-3) perché constatava una evidente
diversità di comportamento di Gesù da quello che lui aveva predicato.
In effetti questo brano mette in evidenza un aspetto problematico della
figura di Gesù: è stato anche lui un annunziatore del giudizio di Dio, come lo
presentano alcuni testi evangelici (pochi, in verità), oppure ha concentrato
tutto il suo insegnamento sulla paternità di Dio, lasciando cadere ogni
riferimento alla minaccia e al castigo? Alla luce del messaggio evangelico
preso nella sua globalità si può dire che egli ha messo l’accento in modo
unilaterale sulla bontà infinita di Dio (lieto annunzio), non escludendo però
il richiamo alla responsabilità che si assume chi la rifiuta e si chiude alle
esigenze di una vita di amore e di servizio nei confronti degli altri.
Note: 1. I versetti racchiusi in parentesi quadre non
sono stati compresi dal liturgista nel brano domenicale, ma sono estremamente
utili per la comprensione dello stesso brano. – 2. Participio presente
medio-passivo “ekporeuomenois”. – 3. Matteo, di cultura ebraica,
riflette il forte contrasto e la rottura con il giudaismo presente all’epoca
(75-80 d.C.), ed è quindi fortemente polemico con il culto e con il potere
giudaici, per cui si scaglia contro i loro rappresentanti, rimarcando loro
caparbia incredulità. Luca è un convertito dal paganesimo ed è di cultura
greca. I suoi interessi lo aprono al mondo intero, superando le ristrette
polemiche proprie delle prime comunità cristiane. – 4. “…Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo e ho visto
che è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro
di loro e li distrugga. Di te invece farò una grande nazione».” (Es 32, 7-10).
E’ questa ottusità nei confronti di Dio che, secondo Giovanni, provoca la
violenta reazione divina. – 5. Questo effetto è ottenuto con l’uso di “poiésate”,
un aoristo di tipo ingressivo. – 6. Gesù chiamerà l’uomo ad un cambiamento di
mentalità (metànoia) cioè a un diverso modo di porsi di fronte alla vita
e di fronte agli altri. Da notare che in questo brano il testo greco non dice “eis
metanoian” la quale cosa indicherebbe un comportamento che condurrà alla
conversione e, quindi, preparatorio ad essa, ma dice “tès metanoìas”
un’espressione che indica la natura stessa di questo fare: esso deve esprimere
e testimoniare una reale ed intima conversione che coinvolge l’uomo nel
profondo del suo cuore. – 7. L’esortazione a “Fare frutti degni della conversione” (Lc 3,8a) e il triplice “Che cosa dobbiamo fare” dei versetti
seguenti (Lc 3,10.12.14) lasciano
chiaramente intendere che la questione qui non è teologica, ma squisitamente
etica, cioè ha a che fare con il comportamento dei credenti nei confronti degli
altri. – 8. L’attesa di un messia che avrebbe reso stabile e forte il Regno
d’Israele trova la sua origine nella promessa che il profeta Natan aveva
rivolto a Davide: “Ora dunque riferirai
al mio servo Davide: Così dice il Signore degli eserciti: io ti presi dai pascoli, mentre seguivi il
gregge, perché tu fossi il capo d'Israele mio popolo; sono stato con te ovunque sei andato; anche per il futuro
distruggerò davanti a te tutti i tuoi nemici e renderò il tuo nome grande come
quello dei grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo a Israele mio popolo e
ve lo pianterò perché abiti in casa sua e non sia più agitato e gli iniqui non
lo opprimano come in passato, al tempo in cui avevo stabilito i Giudici sul mio
popolo Israele e gli darò riposo liberandolo da tutti i suoi nemici. Te poi il
Signore farà grande, poiché una casa farà a te il Signore. Quando i tuoi giorni
saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la
discendenza uscita dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli
edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del
suo regno. Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. Se farà il male, lo
castigherò con verga d'uomo e con i colpi che danno i figli d'uomo, ma non
ritirerò da lui il mio favore, come l'ho ritirato da Saul, che ho rimosso dal
trono dinanzi a te. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti
a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre». Natan parlò a Davide con
tutte queste parole e secondo questa visione.” (2Sam 7,8-17). – 9. L’espressione
“in cuor loro” non significa
intimamente, ma interamente, pienamente. Il cuore non è per l’ebreo la sede dei
sentimenti, ma esprime l’interezza della persona, la centralità della sua vita.
– 10. Con l’espressione “timorati di Dio” venivano definiti tutti i pagani che
pur non appartenendo al popolo ebraico, tuttavia ne erano simpatizzanti e si
aggregavano al culto di Jhwh osservandone la Legge. – 11. La contrapposizione
tra Giovanni e Gesù è significata in greco dalle due espressioni “egò mèn ùdati baptìzo màs [...]
érchetai dè iscuròteros
mu”. Le due particelle “mèn”
e “dè” evidenziano la
contrapposizione dei soggetti ai quali sono riferite: la prima riguarda
Giovanni, la seconda Gesù. Nella traduzione italiana la contrapposizione è resa
con il “ma”. – 12. In tutto l’AT il rapporto di Israele con Dio è descritto
come il rapporto tra due sposi. – 13. “Vi
prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo.
Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le
vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò
dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò
un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo
i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi.” (Ez 36,
24-27).