XXV Domenica Tempo Ordinario
- Mt 20,1-16
Il regno dei cieli è
simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata
lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li
mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che
stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: «Andate anche voi nella vigna;
quello che è giusto ve lo darò». Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso
mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque,
ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: «Perché ve ne state qui tutto
il giorno senza far niente?». Gli risposero: «Perché nessuno ci ha presi a
giornata». Ed egli disse loro: «Andate anche voi nella vigna».
Quando fu sera, il
padrone della vigna disse al suo fattore: «Chiama i lavoratori e da' loro la
paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi». Venuti quelli delle cinque del
pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi,
pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero ciascuno un
denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: «Questi
ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo
sopportato il peso della giornata e il caldo». Ma il padrone, rispondendo a uno
di loro, disse: «Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me
per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest'ultimo
quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso
perché io sono buono?». Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».
Dopo
il lungo discorso di Gesù sul comportamento dei fedeli nelle comunità,
normalmente chiamato discorso ecclesiale, Matteo apre una nuova parte del suo
vangelo che descrive una svolta nella predicazione di Gesù, infatti egli lascia
la Galilea e si avvicina a Gerusalemme; questo lo porterà ad attraversare la
Parea ed entrare in Giudea.
Durante
il cammino Gesù prosegue l’insegnamento ai suoi discepoli. Matteo segue, nel
suo racconto, quanto riportato da Marco (cfr. Mc 10,1-52) ad eccezione della parabola raccontata in questo brano che è esclusiva
di Matteo.
Proprio questa caratteristica di esclusività fa
comprendere al lettore le motivazioni che hanno spinto Matteo ad inserirla nel
suo racconto e le finalità della parabola.
Si
può facilmente ipotizzare che nella comunità di Matteo vi fossero degli attriti
tra persone di etnia ebraica e quelle di etnia greco-romana, come pure tra
persone provenienti dalla cultura farisaica che non gradivano la vicinanza con
i pubblicani o comunque esponenti di categorie considerate lontane da Dio.
La
parabola mette tutti sullo stesso piano e sottolinea che l’ingresso nel regno
(o la retribuzione finale, se vogliamo dare un significato escatologico alla
parabola) è un dono e come tale non dipende da meriti comunque acquisiti.
“Il regno dei cieli è
simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata
lavoratori per la sua vigna.”
La
vigna era uno dei modi biblici di chiamare Israele e il padrone è evidentemente
Dio (cfr. Is 5,1-7;
Ger 2,21; Ez 17,6-10; 19,10-14).
“Si accordò con loro
per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna.”
Le modalità con cui sono assunti gli operai seguono
le usanze palestinesi del tempo di Gesù: il primo ingaggio avviene al mattino
verso le ore sei; il salario pattuito di un denaro, che essi accettano senza problemi,
era il valore di mercato di una giornata di lavoro.
I
primi operai che vengono assunti all’alba sono evidentemente i giusti di
Israele che fin dall’inizio hanno seguito Dio ed hanno lavorato per Israele; essi
attendono la ricompensa sulla base dell’alleanza di Abramo rinnovata con Mosè.
“Uscito poi verso le
nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse
loro: «Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò»...”
Il padrone non si ferma, continua ad uscire e ad
assumere operai. Le assunzioni avvengono secondo la divisione greco-romana
della giornata. A quelli assunti nella mattinata dice che darà loro quanto è
giusto, senza precisare la cifra. Essi rappresentano le pecore smarrite di
Israele, i pubblicani, le prostitute, i pastori, insomma i lontani da Dio.
A quelli assunti nel pomeriggio il padrone si rivolge
con tono di rimprovero; essi rappresentano i gentili, gli esponenti del mondo
greco-romano, che richiedono un particolare invito per entrare a far parte del
regno (e qui un pensiero all’opera di Paolo, certamente nota a Matteo, si
impone).
“Quando fu sera, il
padrone della vigna disse al suo fattore: «Chiama i lavoratori e da' loro la
paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi»”.
Qui
Matteo pone la chiave di lettura di tutta la parabola; infatti il comportamento
del padrone è inusuale, sicuramente provocatorio, vuole la reazione negativa
dei primi assunti. Il compenso, infatti, è uguale per tutti, indipendentemente
dal lavoro fatto, e i primi assunti brontolano esattamente come gli ebrei della
comunità di Matteo che non accetavano di buon grado la vicinanza nelle
assemblee dei gentili e dei “peccatori” convertiti. Si sentivano infatti gli
“eletti”.
“Ma il padrone, rispondendo a uno di loro,
disse: «Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un
denaro? Prendi il tuo e vattene.”
L’appellativo “amico” (hetaire), con cui
il padrone si rivolge a uno dei primi, assume normalmente in Matteo una
sfumatura di rimprovero (cfr. Mt 22,12;
26,50), quasi una presa di distanza.
Le lamentele dei primi, sia pure umanamente comprensibili, non sono
giustificabili perché il padrone, dando a tutti la stessa paga, non ha tolto
nulla a loro, ma semplicemente ha voluto dimostrare la sua bontà verso tutti.
“Ma io voglio dare
anche a quest'ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che
voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?».
Il
testo originale recita: “…Oppure il tuo occhio è
malvagio perché io sono buono?...”. D’accordo, il
testo della traduzione CEI 2008 è più chiaro del testo originale, ma parlare di
“occhio malvagio” rende molto bene l’idea dell’atteggiamento
indispettito degli operai della prima ora.
Le parole del padrone costituiscono la sostanziale
interpretazione della parabola. Con esse Gesù intende sottolineare che
l’ingresso nel regno dei cieli non va considerato come una ricompensa dovuta
per diritto, in base ai meriti personali, ma come un dono gratuito, espressione
della misericordia infinita di Dio.
E’ la fine della teologia del merito,
l’annullamento della mortificazione come mezzo di conquista della salvezza, una
glorificazione del dono come immagine primaria di Dio.
“Così gli ultimi
saranno primi e i primi, ultimi».
La
conclusione del brano ne è anche la sintesi; è una frase già citata da Matteo
in 19,30 anche se in modo inverso ed il fatto che sia già stata utilizzata fa
pensare che questa frase avesse un’origine separata dalla parabola.
Questa parabola ha molte affinità con la parabola
lucana del figliol prodigo; sembra quasi che Gesù abbia voluto legittimare, nei
confronti dei farisei, il suo atteggiamento in favore dei pubblicani, dei
peccatori e in genere delle persone emarginate per motivi sociali, economici o
religiosi, basando la sua azione sulla bontà del Padre in favore di tutti.
Gesù però non esclude l’impegno di ciascuno per
«fare» la volontà del Padre (cfr. Mt 7,24-27; 22,11-13), mentre sottolinea la completa gratuità
della salvezza. Infatti tutti gli operai chiamati a lavorare nella vigna hanno
accettato l’invito e hanno compiuto il loro dovere. Se la ricompensa è un dono
e non dipende dalla quantità del lavoro fatto, questo non deve creare riduzioni
nel servizio del regno, ma al contrario portare il cristiano a dare il meglio
di sé come segno di gratitudine per un dono immeritato.
Le implicazioni sociali della parabola sono molto
importanti. Il fatto che tutti siano uguali davanti a Dio significa che a
ciascuno è dovuto quanto è richiesto per la sua sopravvivenza e per la sua
realizzazione come persona. Nessuno deve essere giudicato per quanto è capace
di produrre, in campo sia economico che sociale o religioso, ma in base alla
sua dignità umana. E’ tutta una questione di amore.