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Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


martedì 22 novembre 2011

Domenica 27 novembre 2011 – Prima Domenica di Avvento

Mc 13,33-37

Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

Il significato di questo piccolo brano, letto al difuori del contesto del discorso di Gesù, può essere inteso addirittura al contrario di ciò che l'evangelista voleva trasmettere. Come è successo in altre occasioni, è impossibile comprendere il significato di questi versetti senza leggere la parte del cp.13 che li precede (Mc 13,1-32) e per questo la riporto qui di seguito:

Mentre usciva dal tempio, uno dei suoi discepoli gli disse: «Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!». Gesù gli rispose: «Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta».

Mentre stava sul monte degli Ulivi, seduto di fronte al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea lo interrogavano in disparte: «Di' a noi: quando accadranno queste cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per compiersi?».

Gesù si mise a dire loro: «Badate che nessuno v'inganni! Molti verranno nel mio nome, dicendo: «Sono io», e trarranno molti in inganno. E quando sentirete di guerre e di rumori di guerre, non allarmatevi; deve avvenire, ma non è ancora la fine. Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno terremoti in diversi luoghi e vi saranno carestie: questo è l'inizio dei dolori.

Ma voi badate a voi stessi! Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe e comparirete davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro. Ma prima è necessario che il Vangelo sia proclamato a tutte le nazioni. E quando vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi prima di quello che direte, ma dite ciò che in quell'ora vi sarà dato: perché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo. Il fratello farà morire il fratello, il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato.

Quando vedrete l'abominio della devastazione presente là dove non è lecito - chi legge, comprenda -, allora quelli che si trovano nella Giudea fuggano sui monti, chi si trova sulla terrazza non scenda e non entri a prendere qualcosa nella sua casa, e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. In quei giorni guai alle donne incinte e a quelle che allattano!

Pregate che ciò non accada d'inverno; perché quelli saranno giorni di tribolazione, quale non vi è mai stata dall'inizio della creazione, fatta da Dio, fino ad ora, e mai più vi sarà. E se il Signore non abbreviasse quei giorni, nessuno si salverebbe. Ma, grazie agli eletti che egli si è scelto, ha abbreviato quei giorni.

Allora, se qualcuno vi dirà: «Ecco, il Cristo è qui; ecco, è là», voi non credeteci; perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi per ingannare, se possibile, gli eletti. Voi, però, fate attenzione! Io vi ho predetto tutto.

Vegliare per la venuta del Figlio dell'uomo

In quei giorni, dopo quella tribolazione,

il sole si oscurerà,

la luna non darà più la sua luce,

le stelle cadranno dal cielo

e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.

Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo.

Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.

In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.

Quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre.

 

Il discorso che fa Gesù è quindi molto complesso sia per il modo con cui è stato scritto sia per il significato delle sue parole. Da questo brano Matteo ricaverà, quarant'anni più tardi, un brano del tutto analogo (Mt 24,37-44). Ugualmente farà Luca (Lc 21,8-36).

Come ho fatto spiegando il brano di Matteo(1), ripeto anche qui che Gesù NON STA PARLANDO DELLA FINE DEL MONDO(2) e che il lettore, che non ha particolari cognizioni specifiche, può interpretare il brano in questo senso fondamentalmente a causa di una traduzione un po' carente(3).

Gesù, alla fine del cap. 12, si trova nel tempio di Gerusalemme dove ha avuto scontri con gli scribi e con i sadducei, ha messo in guardia il popolo dal comportamento di questi signori e dal loro potere, ed è andato in bestia nell'osservare come le norme instaurate dai farisei costringessero una povera vedova a dare al tesoro del tempio i pochi spiccioli che possedeva nonostante che la legge di Mosè indicasse il contrario, cioè che la vedova dovesse essere aiutata a vivere con il tesoro del tempio.

Gesù è quindi nella migliore condizione psicologica per formulare un'invettiva potente contro il potere politico e religioso del suo tempo - e di tutti i tempi - che non dedica nemmeno un istante ad aiutare il popolo a migliorare la propria condizione di vita: il brano che stiamo esaminando contiene proprio questa invettiva.

"Mentre usciva dal tempio, uno dei suoi discepoli gli disse: «Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!»". Nella lingua greca(4) questo discepolo si riempie la bocca di ammirazione perchè il suono delle parole rende quest'idea: quando dice "guarda che pietre" in greco suona "potapoi litoi",una frase che riempie la bocca!

"Gesù gli rispose: «Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta»".

Gesù annunzia la rovina del tempio di Gerusalemme e quindi della istituzione giudaica(5). Il discepolo non sembra spaventato, anzi dice: «Di' a noi: quando accadranno queste cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per compiersi?».Non è spaventato perché si credeva che nel momento di massimo pericolo per Gerusalemme ci sarebbe stato l'intervento di Dio.

Gesù inizia allora ad annunciare la distruzione di Gerusalemme e la chiama "…questo è l'inizio dei dolori" traduzione che non esprime il senso delle parola di Gesù perché il termine usato dall'evangelista è "i dolori del parto", dolori quindi finalizzati ad una nuova vita e che vengono cancellati dalla gioia. Gesù non sta parlando di una dramma, della fine di tutto: per Gesù la distruzione di Gerusalemme è un fatto positivo, perché incomincia ad eliminare tutto ciò che impedisce la comunione tra Dio e gli uomini; certamente, però, sarà dolorosa come un parto: "Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe e comparirete davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro… Il fratello farà morire il fratello, il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome… ".

In tutto questo disastro ecco una luce: "…Ma prima è necessario che il Vangelo sia proclamato a tutte le nazioni". Gesù è convinto che la sua parola, testimoniata dalla sua morte in croce, si diffonderà ovunque e sarà causa e principio di questi avvanimenti.

"Quando vedrete l'abominio della devastazione presente là dove non è lecito - chi legge, comprenda -, allora quelli che si trovano nella Giudea fuggano sui monti, chi si trova sulla terrazza non scenda e non entri a prendere qualcosa nella sua casa, e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. In quei giorni guai alle donne incinte e a quelle che allattano!". Gesù riprende qui, a titolo di esempio ("…chi legge, comprenda…") un avvenimento accaduto nel II secolo a.C. quando Antioco Epifane vietò i sacrifici a Jahve nel tempio e li sostituì con quelli a Giove Olimpo per indicare che quando il tempio sarà profanato occorrerà fuggire il più rapidamente possibile da Gerusalemme perché le conseguenze per chi rimarrà saranno spaventose(6).

Ed ecco la gioia dopo i dolori del parto: "In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte". L'evangelista scrive adoperando espressioni prese dal profeta Isaia nei capitoli 13,14 e 34, quindi questo è un linguaggio profetico che va interpretato alla luce della storia di Israele e della sua cultura.

Nel mondo pagano che circondava Israele, il sole e la luna erano degli dei. Dare culto a Jahve invece che a queste divinità era quello che distingueva Israele dai pagani, ma nonostante tutto il culto degli astri costituiva una grande tentazione per il popolo giudaico.

Israele, almeno fino alla deportazione a Babilonia, non era un popolo monoteista, cioè non aveva la credenza in un dio solo; la teofania sul monte Sinai, più che un avvenimento è stata la sintesi fatta durante la deportazione in Babilonia di un processo di revisione teologica che è durato secoli.

La cosa che più imbarazza gli archeologi israeliani è portare alla luce tanti santuari dove, a fianco della stele di Jahve, c'è la stele di sua moglie Ashera o Asera (o, secondo la dicitura fenicia, Astarte).

È stato un processo lento di elaborazione teologica che è possibile ricostruire leggendo attentamente i profeti; all'epoca di Gesù il processo si era concluso da tempo e gli astri erano considerati ormai false divinità, per cui quello che descrive Gesù riguarda il mondo pagano. Non si tratta di un giudizio finale, né tanto meno della fine del mondo, ma di un cambiamento d'assetto del mondo allora conosciuto. Sole e luna rappresentano le divinità pagane e l'evangelista vuole indicare che la religione pagana perde il suo splendore e l'idrolatria entra in crisi, perché Gesù, nel versetto 10, aveva detto: "prima è necessario che il vangelo sia predicato a tutte le nazioni pagane, a tutti i pagani". Viene escluso un giudizio contro l'umanità o contro determinati popoli, ma è l'eclissi delle false divinità quale frutto dell'annunzio del messaggio di Gesù.

Prima di proseguire, per rendere chiari i concetti che seguono, è necessario dare un'idea di come era la cultura dell'epoca, quali erano le credenze di allora in merito alla terra ed al cielo. La terra era pensata così: al centro della terra c'era Israele, al centro di Israele c'era la Giudea, al centro della Giudea c'era Gerusalemme, al centro di Gerusalemme c'era il tempio e al centro del tempio c'era il santuario con la presenza di Dio.

Gerusalemme era quindi l'ombelico del mondo. La terra aveva il mare come confine, era posata su delle colonne e sotto la terra c'era il soggiorno dei morti, che nella lingua ebraica si chiama Sheol, cioè colui che inghiotte. Nella traduzione greca lo Sheol diventa Ade – una delle divinità della mitologia greca – e in latino, diventa Inferi, da non confondere assolutamente con inferno, che è una concezione teologica medievale sviluppatasi tra il IV ed il VI secolo d.C.

Sopra la terra, così credevano gli ebrei, c'erano sette cieli; nel primo cielo erano collocati il sole, la luna – non pensavano che fossero mobili – e le stelle. Poi c'era un secondo cielo, quindi un terzo cielo nel quale veniva collocato il "seno di Abramo", dove Paolo narra che fu rapito in estasi. Poi si sale fino al settimo cielo(7), la residenza di Dio.

La distanza tra un cielo e l'altro, secondo gli scribi che amavano questi calcoli, era di cinquecento anni di cammino.

Questo cielo è piuttosto popolato: ci sono la luna, il sole e le stelle e gli elementi dello zodiaco, le dodici costellazioni che influivano notevolmente sulla vita degli uomini(8).

Nello spazio fra la terra e il cielo c'erano i demòni che, più erano vicini al cielo, più erano buoni, ad esempio Gadel, il demònio della fortuna.

I demòni cattivi erano l'ubriachezza, l'insolazione, le malattie e tutti quei fenomeni naturali che gli ebrei allora non riescivano a spiegarsi.

Un gradino più in basso gli ebrei posizionavano i dèmoni, da non confondere con i demòni. I dèmoni erano delle semi-divinità che potevano influire sulla vita dell'uomo.

Così, secondo gli ebrei, l'uomo è un poveretto che si trova sotto l'influsso dello zodiaco, dei demòni maligni, dei demòni buoni e dei dèmoni.

Gli ebrei pensavano che da Dio, che era nel settimo cielo, si espandesse una energia vitale verso gli uomini che era contrastata da quelle che erano chiamate le "potenze". Forse molti ricordano che una volta, in un prefazio della messa, si elencavano i cori angelici: Troni, Dominazioni, Principati, Potestà e Forze; era una interpretazione arbitraria dovuta al fatto che la Chiesa non conosceva le usanze ebraiche(9). Troni, Dominazioni, Principati, Potestà e Forze non erano cori angelici nel senso cattolico del termine, ma erano chiamate "potenze", avevano usurpato il ruolo di Dio nei cieli e influivano negativamente sugli uomini.

Riprendo l'esame del testo e traduco letteralmente: "Il sole e la luna perdono lo splendore e gli astri andranno - o staranno – cadendo dal cielo" . L'evangelista non adopera, come ci saremmo aspettati, cadranno, ma adopera un tempo verbale che in greco indica una caduta continuativa, cioè questo non è un annuncio per il futuro, ma è un annuncio al presente ma che continua nel tempo. La caduta è un fenomeno che avrà luogo durante tutta l'epoca che segue la tribolazione.

Sole e luna perdono la luce e le stelle incominciano a cadere dal cielo. Per comprendere cosa sono questi astri forse ci aiuta la lettura di un brano di Isaia, dove prende in giro il re di Babilonia: aveva voluto salire tanto in alto che è finito tanto in basso (Is 14,12 e ss) "Come mai sei caduto dal cielo astro del mattino, figlio dell'aurora? Come mai sei atterrato, tu che calpestavi le nazioni? Tu dicevi in cuor tuo: «Io salirò in cielo, innalzerò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio, mi siederò sul monte dell'assemblea, la parte estrema del settentrione. Salirò sulla sommità delle nubi, sarò simile all'Altissimo»". Astro del mattino, in latino, fu tradotto con Lucifero, cioè portatore di luce e, nella confusione totale dei primi secoli, venne indicato come angelo decaduto e invece era Nabucodonosor, il re di Babilonia che non si era accontentato di essere una stella, ma voleva raggiungere il posto di Dio; invece è stato fatto discendere nel soggiorno dei morti.

Le stelle indicano i potenti, i principi, i re, gli imperatori che rivendicavano condizioni divine. A quell'epoca, il faraone era un dio, figlio di dio, l'imperatore romano era una divinità. Tutti coloro che comandavano, pretendevano di stare lassù, in cielo, di essere persone che avevano una condizione divina. Le stelle che cadono dal cielo sono i re, i principi pagani e i regimi che li rappresentano.

Queste stelle cadono perché poggiano il loro potere sulla luna e sul sole. Quando il sole e la luna si oscurano, cominciano a cadere una dopo l'altra perchè fondavano il loro potere su una religione che, con l'annuncio di Gesù, si è rivelata falsa.

"…e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte". Abbiamo già detto chi sono queste potenze; nel vangelo di Marco sono il simbolo dei poteri oppressori che rivendicano capacità di vita e di morte sulle persone.

Sono termini e concetti tanto lontani da noi, che è difficile comprendere; per far capire direi, banalizzando, che queste potenze, oggi, sono le multinazionali che fanno il bello e cattivo tempo, che decidono la vita e la morte dei popoli, secondo i loro interessi.

"Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria". L'evangelista vuol dire che l'arrivo del Figlio dell'uomo(10) rappresenta una vittoria dell'umano sul disumano, della vita sulla morte. Ogni volta che un uomo diventa Figlio dell'uomo, cioè realizza tutto sé stesso in una pienezza di vita e d'amore, quelli che lo vedranno, cioè le stelle e tutti i poteri, incominceranno a cadere.

Ogni volta che crolla un regime ingiusto, una dittatura, un sistema di potere, è l'uomo che si afferma, la dignità dell'uomo viene confermata(11). Non si tratta di una visione che si realizza in una sola occasione, ma sarà continuativa nel tempo. Il Figlio dell'uomo lo "vedranno arrivare nelle nubi" e le nubi non sono il veicolo, ma il contesto che circonda il Figlio dell'uomo. Per comprendere questo occorre ricordare che, nell'episodio della trasfigurazione, la nube conteneva la parola di Dio, quindi Gesù vuol dire che il risollevarsi dell'uomo è espressione della volontà di Dio. Non solo, ma "arrivare nelle nubi con grande potenza" rappresenta la forza della vita di Dio; "e gloria", l'aggettivo grande riguarda sia la potenza sia la gloria. La grande gloria rappresenta la dignità dell'uomo di fronte alle potenze di morte che vedono così contestato tutto il loro potere e il loro rango.

Ogni qualvolta che cade una legge ingiusta che mina, impedisce, limita la dignità dell'uomo, si scopre sempre di più il volto di Dio. È un cammino lento nell'umanità, ma percettibile ed incessante(12).

È interessante che la venuta non si attribuisca a Cristo o al Signore, ma al Figlio dell'uomo: è nell'uomo che si manifesta la pienezza di vita che porta alla condizione divina.

"Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo". Il termine angelo significa messaggero, inviato di Dio; in Marco esiste l'identificazione tra angeli e uomini, infatti Marco inizia il suo vangelo dicendo "Ecco io mando il mio angelo davanti a te" e questo angelo è Giovanni Battista. Gli angeli sono tutte quelle persone che ci hanno fatto sentire un desiderio di cambiamento interiore e di mettere la nostra vita in sintonia con l'amore di Dio. Noi, oggi, non usiamo questo linguaggio, diciamo che abbiamo avuto un incontro che ha significato un passo decisivo nella nostra crescita.

"…radunerà i suoi eletti…" splendida questa immagine della moltitudine dei discepoli di Gesù che rialza la testa di fronte agli oppressori.

"Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte". Negli altri vangeli Gesù invita a comprendere "i segni dei tempi", in Marco parla del risvegliarsi del fico; il significato è lo stesso: i discepoli di Gesù non possono estraniarsi dal mondo, ma vivere nel mondo seguendo il modificarsi del pensiero, dei costumi, del senso etico e comprendere, attraverso questi segni, quando i tempi sono maturi per un risollevarsi dell'uomo, per un aumentare della sua dignità, ed agire in conseguenza.

"In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.

Quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre". Qui è evidente l'intervento posteriore di un secondo autore: la seconda frase si riallaccia benissimo alla precedente "…sappiate che egli è vicino, è alle porte" e ne è la corretta conclusione. La prima frase, invece, torna a riguardare la caduta di Gerusalemme che, in effetti, non ha alcuna attinenza al discorso sin qui fatto, cosa messa ancora più in evidenza dal brano che segue e che riguarda il brano che il liturgista ha indicato come vangelo di questa domenica:

"Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!»".

Ora che abbiamo compreso il significato del brano che precede, capiamo subito cosa vuole dire Gesù con il suo invito a vigilare: il crollo delle dittature, le cadute di leggi inique o di precetti religiosi immotivati possono non iniziare per una nostra volontà, ma devono essere completate con i nostri atti perché solo se noi non rimaniamo addormentati o indifferenti queste cadute saranno definitive. Se invece rimarremo addormentati queste dittature, queste leggi inique o questi precetti religiosi immotivati saranno sostituiti con altri peggiori e noi potremo solo rimpiangere l'occasione che abbiamo perduto.

 

Note: 1. Vedi esegesi del vangelo di domenica 28 novembre 2010. – 2. Tutti, dai testimoni di Geova alle varie madonne delle apparizioni, hanno il pallino fisso della fine del mondo. Il vangelo di Matteo, nella traduzione del 1974, terminava con queste parole "Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo". E' stata questa traduzione, non corretta, che ha alimentato questo tipo di credenza. Con grande soddisfazione ho visto che, nella nuova traduzione del NT della C.E.I, la finale del vangelo di Matteo è stata modificata: "Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino a quando questo tempo sarà compiuto". Non si parla più della fine del mondo ma la fine di un tempo, di un'epoca. Qui rieccheggia la concezione filosofica greca della scuola gnostica che divideva il tempo in ere o epoche (aiȍn = eone, era, epoca). Secondo lo gnosticismo il passaggio da un'era all'altra era segnato da sconvolgimenti e catastrofi. – 3. Io sono sempre quello che pensa male, ma non me la sento di dire che i traduttori non sono stati "capaci" di tradurre un brano correttamente e preferisco cercare di capire le motivazioni che hanno spinto a fare un certo tipo di traduzione. I motivi possono essere legati alla tradizione antica che la corretta traduzione potrebbe smentire; oppure legati al desiderio che il lettore non abbia alcun dubbio su un determinato comportamento morale; oppure, e penso che questo sia il motivo legato a questo brano, vi sia l'intenzione di incutere timore in modo da spingere il lettore a comportarsi in modo conseguente. Salvo poi constatare che, con questi mezzi, si allontana il popolo dalla Chiesa e lo si spinge all'ateismo. – 4. Nel redigere questa spiegazione è stato utilizzato materiale proveniente dalla conferenza "Il Figlio dell'uomo nel Vangelo di Marco" tenuta da P. Andrea Maggi a Montefano (An) dal 30.06 al 5.07.2003. – 5. Se è vero che questo vangelo è stato scritto alla fine degli anni 40, cioè circa 20 anni prima della distruzione di Gerusalemme, è probabile supporre che questa introduzione possa essere stata modificata dopo il 70 d.C. (da Matteo o da altri) per rafforsare il significato dell'invettiva di Gesù. – 6. Secondo Giuseppe Flavio, storico ebreo-romano e testimone della distruzione di Gerusalemme del 70 d.C., i romani innalzarono più di 500 croci contemporaneamente per sopprimere i ribelli. – 7. Da qui è presa la nostra frase, oggi parzialmente in disuso, che, per indicare che una persona è felice al massimo grado, si dice che è "al settimo cielo". – 8. Ancora oggi c'è gente superstiziosa che crede all'oroscopo: niente è cambiato!! – 9. Fino a circa il 1950 il Talmud, il libro sacro degli ebrei che descrive la legge trasmessa oralmente da Mosè e che contiene quasi tutte le usanze e credenze ebraiche in essere all'epoca di Gesù, non poteva essere letto dai cristiani (ed in particolare dai cattolici) perché era considerato opera demoniaca. Fino al 1700 se qualcuno trovava un libro del Talmud lo bruciava nella piazza di una chiesa. Però a partire dalla metà degli anni '50, quasi nessun esegeta si è mai più permesso di affrontare la spiegazione di un brano di vangelo senza disporre di un testo di Talmud. Nonostante questo ancora oggi non sono reperibili testi del Talmud tradotti in italiano, anche se si parla insistentemente di una traduzione che dovrebbe essere edita fra due o tre anni. Io stesso uso un testo tradotto dall'ebraico in inglese. – 10. Mi permetto di sottolineare qui, ma lo ripeterò in seguito, che sia Marco che Matteo ed in seguito Luca (Lc 21,8-36) non parlano mai della venuta di Cristo o del Figlio di Dio, ma del Figlio dell'uomo, una allocuzione che in aramaico significa semplicemente uomo e che in Daniele (Dn 7,13-14) acquista il significato dell'uomo che raggiunge la pienezza della vita e quindi entra nella sfera divina, il destino di ciascuno dei discepoli di Gesù in ogni tempo. – 11. Luca, sviluppando questo concetto, scriverà: "Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi ed alzate il capo. Perché la vostra liberazione è vicina" (Lc 21,28). – 12. Per avere una cognizione di questo, è sufficiente paragonare le condizioni di vita delle popolazioni nei secoli che ci precedono con quelle attuali: pur in presenza di grosse sacche di ingiustizia, la condizione di vita media umana è nettamente migliorata.

 

 

 

lunedì 21 novembre 2011

Introduzione al vangelo di Marco

Domenica prossima, I domenica di Avvento Anno B, inizia il ciclo liturgico nel quale si utilizza prevalentemente il Vangelo di Marco. Queste note permettono di conoscere, almeno superficialmente, sia l'autore che la linea teologica che persegue.

 

Molti(1) studiosi ritengono che Marco si possa identificare col Giovanni Marco (talora chiamato soltanto Marco o soltanto Giovanni2), di cui parlano abbastanza spesso gli Atti degli Apostoli e alcune lettere di Paolo. Anzi, da questi cenni, si traggono elementi per ricostruire una vera e propria «vita» di Marco(3), una vita non priva di avventure.

In Atti 12,12 si racconta che Pietro, dopo essere uscito di prigione a Gerusalemme, si recò alla casa di Maria, «la madre di Giovanni chiamato Marco, dove erano radunati in preghiera un buon numero di persone». Di qui si ricaverebbe che Marco doveva essere un personaggio ben noto e di famiglia benestante, dato che la sua casa era abbastanza grande per ospitare le riunioni della comunità cristiana(4).

Le altre informazioni desumibili dagli Atti e dalle lettere di Paolo, fanno pensare che Marco fosse cugino di Barnaba (Col 4,10) e avesse partecipato per un periodo all'attività missionaria di Paolo e Barnaba come loro «aiutante», durante un viaggio in Asia Minore (At 12,25; 13,5). Ma a Perge, in Panfilia(5), Giovanni Marco li lasciò e ritornò a Gerusalemme (At 13,13). Questo abbandono dovette irritare profondamente Paolo, tanto che, quando decise di intraprendere con Barnaba un secondo viaggio missionario e questi voleva ancora portare con sé Giovanni Marco, Paolo entrò in dissidio aperto con Barnaba e preferì separarsi anche da lui(6): si scelse un altro collaboratore, mentre Barnaba partì per diversa meta col cugino (At 15,36-41).

Se si tratta sempre del medesimo Marco, si può supporre che Paolo si fosse riconciliato poi con lui, dato che in alcune lettere scritte durante la prigionia (forse a Roma) lo menziona come collaboratore al suo fianco (Col 4,10; Fm 24) e, più tardi, in 2 Tm 4,11, quando Marco non si trova più accanto a lui, chiede al destinatario (che forse è a Efeso) di condurglielo. Certo desta qualche perplessità la vicenda per cui Marco prima sarebbe stato in contatto con Pietro a Gerusalemme, poi con Paolo e infine ancora con Pietro, di cui avrebbe trasmesso la predicazione.

E non basta: altri autori antichi aggiungeranno ulteriori tappe alla biografia di Marco. Eusebio di Cesarea riporta due informazioni molto dubbie che creeranno confusione nella tradizione successiva:

- la prima (Historia Ecclesiastica II,16,1) è che Marco sarebbe stato mandato in Egitto a predicarvi il Vangelo, che già aveva scritto, e qui avrebbe fondato chiese ad Alessandria divenendone vescovo. La notizia ha scarse probabilità di essere autentica, dato che proprio gli autori alessandrini (Clemente, Dionigi, Origene) non ne parlano.

- la seconda informazione (Historia Ecclesiastica II,24) è che il suo successore nell'episcopato ad Alessandria avrebbe iniziato il ministero nell'ottavo anno di Nerone (62 d.C.), il che dovrebbe significare anche (e fu inteso in questo senso) che in quell'anno Marco sarebbe morto. Ma il dato non si concilia con le altre notizie sul rapporto con Pietro (e Paolo) a Roma, perché il 62 è anteriore all'anno della morte dei due Apostoli (che sarebbero morti martiri durante la persecuzione neroniana, tra 64 e 68). Tuttavia Gerolamo lo riprenderà e lo tramanderà, proprio come dato relativo alla morte di Marco (ad es., in De viris illustribus VIII). Di qui nasce la tradizione che è alle origini della Basilica di S. Marco a Venezia: i Veneziani nell'828 avrebbero trafugato da Alessandria le reliquie di S. Marco e le avrebbero portate a Venezia: per custodirle avrebbero quindi edificato la Basilica intitolata a lui(7).

Anche i dati ricavabili dal Vangelo stesso non sono ritenuti dalla maggior parte degli studiosi moderni utili a confermare le notizie della tradizione per quanto riguarda il rapporto di discepolato tra Marco e Pietro e la composizione del Vangelo come trascrizione della predicazione di Pietro(8).

Gli studiosi che difendono la validità della tradizione adducono il rilievo dato dall'evangelista alla figura di Pietro in molti casi, ma anche, talora, il fatto che proprio Pietro nel Vangelo di Marco non di rado faccia una «brutta figura» (indizio dell'umiltà di Pietro stesso!); la vivacità descrittiva di molti episodi che presupporrebbe il racconto di un testimone oculare, perfino la «spontaneità dello stile», ecc. Ma non sono in realtà elementi determinanti, perché non si può dimostrare che Pietro abbia nel Vangelo di Marco un ruolo maggiore rispetto agli altri Vangeli, anzi: sono omessi alcuni episodi importanti, come il primato di Pietro (cfr. Mt 16). La ricerca, poi, nel Vangelo, di tracce di una «teologia petrina», così come di una «teologia paolina», non dà poi frutto, anche perché una «teologia petrina» non esiste e le eventuali affinità con la teologia di Paolo, che invece conosciamo, si limitano a concetti non caratteristici. Gli studiosi adducono inoltre, come elemento negativo, il fatto che l'autore del vangelo non sembra conoscere esattamente i luoghi della Palestina, fatto che contrasterebbe con l'ipotesi che i racconti provenissero da un testimone come Pietro. Ma questo è un punto che meriterebbe una discussione particolare: certe «inesattezze» geografiche non sempre sono indizio di ignoranza e andrebbero interpretate(9).

In ogni caso, quand'anche Marco avesse effettivamente attinto ai ricordi di Pietro, oggi si tende a pensare che non siano questi l'unica fonte utilizzata da Marco, sebbene, essendo il primo vangelo (come oggi viene riconosciuto10) e non avendo quindi termini di confronto, sia difficile trovare nel vangelo le diverse possibili fonti.

Qualcuno ha supposto che Marco sia stato presente ad alcuni fatti della vita di Gesù e che parli di se stesso quando riporta lo strano episodio, non ripreso dagli altri vangeli, del giovinetto che al momento dell'arresto di Gesù prima si mette al suo seguito avvolto in un lenzuolo, poi fugge nudo (Mc 14,51-52). Ma si tratta di un'ipotesi priva di fondamento e del tutto improbabile(11).

Per quanto riguarda l'ambientazione a Roma della redazione del vangelo, le conferme interne al testo potrebbero essere i frequenti latinismi (kenturiôn = centurio; kodrantês = quadrantes, ecc.), certe spiegazioni di costumi ebraici (cfr. Mc 7,1-4 sulle usanze di purità) e termini aramaici (cfr. Mc 5,41; 15,34, ecc.), che sembrerebbero presupporre un pubblico non giudaico e non palestinese.

Si pensa normalmente che il Vangelo di Marco, a differenza di quello di Matteo, più nettamente di carattere giudaico, si rivolgesse a fedeli di provenienza pagana. Tuttavia, neppure tutti questi elementi sono univoci: ad esempio i latinismi, in quanto termini tecnici del gergo militare, giuridico ed economico erano diffusi in tutto l'impero e non implicano necessariamente che l'autore scrivesse a Roma o in occidente. Più forti sono gli indizi relativi a un pubblico non giudaico.

Invece si può dire che la convinzione di un'estrema fedeltà dell'evangelista Marco alla tradizione preesistente(12) sia tra le più diffuse ancora oggi, e anzi si sia rafforzata dal momento in cui si arrivò a supporre che questo vangelo fosse il primo. Recentemente, uno studioso come Jean Carmignac(13) ha rivalutato molto la testimonianza di Papia(14), che gli consente di riconoscere, dietro ai vangeli attuali, tradizioni, o addirittura vangeli antecedenti, molto più antichi, scritti originariamente in ebraico e dà credito all'esistenza di un Vangelo di Pietro, che Marco avrebbe tradotto.

II Vangelo di Marco ha poi caratteristiche sue che possono renderlo particolarmente interessante. Il primo fenomeno sorprendente è la strana "peripezia" che questo Vangelo ha subito tra l'antichità e i nostri giorni.

Nell'antichità esso, pur riconosciuto subito dalle comunità ecclesiali come libro canonico, viene gradualmente messo in secondo piano rispetto agli altri Vangeli e non viene quasi mai commentato(15). E questa situazione è perdurata fino a tutto il 1700 nell'ambito scientifico, ma nell'uso liturgico si può dire che l'ostracismo è continuato fino alla riforma del 1973, quando, in adempimento alle nuove disposizioni conciliari, le letture evangeliche sono state ripartire in tre cicli, dedicati ciascuno a uno dei Vangeli sinottici (Matteo, Marco, Luca), e il Vangelo di Marco è diventato protagonista del ciclo B.

Oggi è il Vangelo più studiato a livello scientifico(16). Il motivo principale è che viene considerato il Vangelo più antico e vicino alle origini, quindi "genuino".

L'interesse principale che ha spinto all'indagine sui Vangeli è quello di ricostruire la biografia di Gesù, di risalire ai fatti. Recentemente ha suscitato curiosità, anche nell'ambito dell'informazione giornalistica (e qualche polemica), la questione della scoperta, tra i papiri dì Qumran, di un presunto frammento di questo vangelo che potrebbe così essere datato in un'età molto "alta" (prima del 50 d.C.)

A livello divulgativo, viene propagandato come il Vangelo più vivo, più realistico, più "pittoresco": contiene pochi discorsi e più fatti, e narrati con maggior vivacità e concretezza. All'estero se ne fanno, a partire dal 1978, anche recite drammatizzate e commenti romanzati(17) .

Per quanto riguarda l'aspetto teologico dei racconti evangelici, si può riconoscere che l'interesse a prenderlo in considerazione ha avuto anche un rilievo autonomo negli studi del 1900 e ha comportato si può dire un'altra "rivoluzione" nella valutazione dei vangeli e in particolare del Vangelo di Marco, soprattutto perché ha incominciato a incrinarsi la convinzione di potersi servire dei Vangeli come documenti storici e di poter quindi arrivare sulla base di essi a una "biografia di Gesù".

Proprio partendo dalla lettura di Marco, W. Wrede(18) nel 1901 individuava la presenza in questo Vangelo di una intenzione teologica determinante, che presiede alla ricostruzione dei fatti, e che egli identificava con il famoso "segreto messianico": Marco cioè avrebbe di proposito sottolineato, fino al punto di farne un motivo caratteristico del suo Vangelo, la volontà di Gesù di imporre il silenzio sulla sua messianicità.

Lo si vede da tutta una serie di episodi analoghi: l'imposizione ai demòni di tacere sulla sua identità di Figlio di Dio, il comando più volte ripetuto a coloro che sono stati guariti da lui di non dirlo a nessuno, fino all'ordine dato anche ai discepoli, dopo il riconoscimento da parte di Pietro che egli è il Cristo, di tacere; anche a proposito della rivelazione avvenuta nella trasfigurazione, Gesù chiede loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, ma questa volta precisa: "fino alla risurrezione" (Mc 9,9). Questo motivo - è la scoperta conseguente di Wrede - è una costruzione artificiosa, fratto di riflessione teologica dell'evangelista, il quale ha ribaltato sulla vicenda di Gesù la consapevolezza acquisita dalla comunità cristiana, a proposito dell'identità di Gesù, dopo la risurrezione.

Il Gesù presentato dal vangelo non è dunque tanto il Gesù storico (sebbene Wrede sia convinto che in Marco più che negli altri vangeli restino comunque tracce di questo Gesù storico), quanto il Gesù rivisto dalla comunità cristiana.

Un aspetto importante da mettere in rilievo è che Wrede è arrivato a queste conclusioni (a intravedere, cioè, la presenza nel vangelo di uno schema unitario) attraverso un'analisi globale e sistematica del vangelo, non limitandosi più, come spesso facevano gli studiosi precedenti, a studiare singoli passi.

Anche se la tesi specifica di Wrede sarà per più versi criticata e corretta successivamente(19), si è però imposta l'esigenza di dare adeguato rilievo alla personalità dell'evangelista e alla sua visione teologica, di non limitarne il ruolo a quello di un semplice compilatore e raccoglitore di tradizioni. Un'importante sintesi storiografica di A. Schweizer sulle ricerche intorno alla "vita di Gesù" si intitolerà Von Reimarus bis Wrede, cioè "Da Reimarus a Wrede", proprio a evidenziare il mutamento di rotta che si è avuto negli studi a partire da questo momento.

Per quanto non siano mancati eccessi e conflitti tra impostazione storica e impostazione teologica, la ricerca esegetica odierna cerca di tener presenti entrambi i puliti di vista: non nega il fondamento storico del contenuto dei vangeli, ma ammette che ogni evangelista ha scelto e disposto il materiale secondo una sua prospettiva teologica, che comporta accentuazioni diverse e correzioni rispetto agli altri.

Per tutti i vangeli vale la dichiarazione di Giovanni: "Questi [segni] sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome" (Gv 20,31).

Ma al di là di questo scopo fondamentale, è diversa l'interpretazione della figura di Gesù e della sua opera nei diversi vangeli, almeno in quanto ciascuno ha messo in rilievo aspetti diversi.

Per il Vangelo di Marco, tradizionalmente considerato il più "primitivo", non solo perché più antico, ma anche nel senso di ingenuo, semplice, immediato, legato ai fatti, privo di elaborazione, e quindi di una vera e propria teologia, questa scoperta ha comportato conseguenze di rilievo per una nuova valutazione della sua opera(20). Un tempo veniva visto come l'estremo opposto rispetto al Vangelo di Giovanni, che appare indiscutibimente il più teologicamente elaborato; oggi si riconosce invece che ci sono affinità tra i due.

E così quella che sembrava semplicità, trasparenza, limpidezza, oggi si è tramutata in ambiguità e oscurità per gli studiosi. Oggi si ammette che il Vangelo di Marco è il più sfuggente e misterioso, quindi il più difficile da interpretare. E' ancora aperto il dibattito su quale sia effettivamente la teologia di Marco.

La domanda "Chi è Gesù?" è il grande tema del Vangelo di Marco, ma gli studiosi non sono d'accordo sulla risposta. C'è chi pensa che il Gesù di Marco sia innanzitutto il Risorto, il Vivente, il Signore; chi lo vede come taumaturgo, "uomo divino", superiore agli uomini divini dei pagani; chi nota la centralità della croce, l'orientamento dominante di tutto il vangelo verso la passione.

Sembrano soprattutto in opposizione il Gesù dei miracoli, quale emerge dalla prima parte del vangelo, e il Gesù delia croce, che caratterizza la seconda parte, ma già si affaccia nella prima (cfr. Mc 3,6).

Se la centralità della croce è un punto acquisito dalla ricerca, resta da spiegare la funzione della storia antecedente di Gesù, dei miracoli (che pure sono particolarmente ampi in Marco) e della presenza dei discepoli accanto a Gesù, che è costante e caratteristica (Gesù non fa nulla senza i discepoli); in particolare il rapporto di Gesù coi discepoli, la loro crescente "incomprensione" e cecità nei riguardi delle cose dette e fatte da Gesù è un altro tema peculiare di Marco, che non si può trascurare.

E' importante non puntare tutto su un solo aspetto, tener conto dell'insieme, ripercorrere tutti i momenti dall'inizio alla fine, seguire passo passo l'andamento drammatico del racconto. E' possibile riconoscere comunque che questi temi dell'identità di Gesù e dell'incomprensione dei discepoli sono alla base di uno schema complessivo del vangelo,

Certo Marco presenta, rispetto agli altri evangelisti, più contrasti, sproporzioni, paradossi, oscurità, tensioni. Gli altri cercano di semplificare, attenuare, facilitare.

Un caso è già l'episodio del battesimo di Gesù che Marco pone nel prologo stesso del suo vangelo (Mc 1,9-11), non c'è qui nessuna premessa: "venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni". Invece Matteo (Mt 3,13-17) cerca di prevenire dubbi e difficoltà spiegando le ragioni di questo battesimo con un dialogo tra Giovanni Battista e Gesù.

Si veda pure la chiamata dei primi discepoli (Mc 1,16-20): Luca la introduce (Lc 5,1-11) dopo aver parlato della predicazione di Gesù e di alcuni miracoli e la inserisce nell'episodio della pesca miracolosa, sicché si capisce meglio perché questi pescatori (Pietro, Giacomo e Giovanni) avessero seguito Gesù.

Marco invece la pone proprio all'inizio della missione di Gesù e delinea una scena assolutamente essenziale, ellittica, quasi astratta, in cui all'improvviso ordine di seguirlo, consegue l'immediata risposta dei chiamati. Gesù non sì era ancora manifestato in alcun modo, era uno sconosciuto che passava dì là, eppure quei pescatori intenti al lavoro a una semplice sua parola lasciano tutto, lavoro, barca, famiglia, per andargli dietro.

Un altro esempio è quello del grido di Gesù sulla croce che in Marco ha il carattere drammatico, quasi disperato del Salmo 22,1 (Mc15,34: "Dìo mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?"), e viene sostituito in Luca (Lc 23,45) dall'invocazione rasserenante del Salmo 31,6: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito".

Per non parlare della conclusione, che è sorprendente: dopo la scoperta della tomba vuota e l'annuncio dell'angelo, le donne fuggono spaventate senza dire niente a nessuno (Mc 16,8). Non abbiamo le apparizioni del risorto, come negli altri vangeli(21). Oggi si è portati a leggere il Vangelo di Marco appunto come un dramma aperto.

E tuttavia non si può dire che sia ancora molto praticata una lettura davvero "letteraria", cioè attenta alla redazione finale del testo nella sua unità compositiva, nelle sue coordinate interne, nei suoi elementi formali, strutturali, simbolici. Resta prevalente l'interesse storico o teologico che spinge alla ricerca delle fonti, delle tradizioni preesistenti, degli apporti personali dell'evangelista, delle differenze rispetto agli altri evangelisti, per lo più in funzione di risalire alla "storia di Gesù" e alla storia dell'elaborazione dei materiali compiuta nell'ambito della comunità. Si attraversa Marco più che leggere Marco, si cerca soprattutto ciò che non appartiene a Marco, più che ciò che Marco dice.

Note: 1. Le notizie qui riportate sono state in parte desunte dall'articolo "Marco" redatto a cura di Clementina Mazzucco e Andrea Nicolotti pubblicato sul sito www.christianismus.it e dalle dispense di letteratura cristiana antica della prof.ssa Mazzucco per l'anno accademico 2006-07. – 2. Da notare la concomitanza del nome semitico (Giovanni) con quello latino (Marco) in uso presso le persone che per lavoro od affari avevano continui contatti con i romani i quali avevano difficoltà a pronunciare i nomi ebraici. – 3. Cfr. in particolare F. M. Uricchio - G. M. Stano, Vangelo secondo Marco, Torino, Marietti, 1966, pp.1-4, paragrafo intitolato: «Cenni biografici su Marco»; oppure O. Battaglia, Introduzione al Nuovo Testamento, Assisi, Cittadella Editrice, 1998, pp. 91-92. – 4. Da quanto riportato negli Atti si evince una situazione che meriterebbe di essere approfondita: per quale motivo Pietro, uscito di prigione, non si reca da Giacomo, capo, in quel momento, della Chiesa di Gerusalemme, ma preferisce la casa di Marco dove vi erano in preghiera cristiani senza la presenza degli apostoli? Si può supporre, come prima ipotesi, che si fosse formata una scissione tra la fazione di Giacomo, legata fortemente al giudaismo farisaico, e un'altra fazione aperta ai gentili e Pietro si affida a quest'ultima che forse ritiene più vicina a lui. – 5. Zona dell'attuale Turchia. – 6. Questa è la dimostrazione del carattere collerico di Paolo, cocciuto fino alla presunzione. E' grazie a questo carattere che Paolo è riuscito diffondere per tutto il mondo greco-latino la parola di Gesù. – 7. Cfr. F. M. Uricchio - G. M. Stano, Vangelo secondo Marco, Torino, Marietti, 1966, p.3 n° 5. Analogamente Padova vanta il possesso delle spoglie di Luca, in realtà solo del corpo, perché il cranio si trova attualmente a Praga, essendo stato là trasferito in età medievale. Proprio in questi anni si stanno facendo ricerche sull'autenticità di tali spoglie: cfr. G. Leonardi, Sulle orme dell'evangelista Luca e visita alla sua tomba, in «O odigos- La guida» 18 (1999), pp. 7-11. – 8. A tutto questo si aggiungono i forti dubbi, nati nella seconda metà del XX secolo, sulla reale presenza di Pietro a Roma. E' elevata la probabilità che l'apostolo non si sia mai mosso dalla Palestina. – 9. Spesso, in tutti i vangeli, inesattezze di tipo geografico non costituidcono errori, ma chiavi di lettura appositamente inserite dall'evangelista per indicare al lettore il significato del brano evangelico al di là di quello letterale. – 10. J. Carmignac posiziona la redazione del vangelo di Marco intorno agli anni 40-50 d.C. o comunque molto prima del vangelo di Matteo (circa 40 anni); cfr La nascita dei Vangeli sinottici, traduzione italiana, Milano, Ed. Paoline, 1986 (ed. orig. Paris 1984), pp. 61. – 11. Su questo episodio cfr. C. Mazzucco L'arresto di Gesù nel Vangelo di Marco (Mc 14,43-52), in «Rivista Biblica» XXXV (1987), pp. 257-282. Si deve tener conto della fuga precedente di tutti i discepoli e del rapporto, dapprima antitetico, ma alla fine simile, del comportamento di questo giovinetto rispetto a quello dei discepoli. Con questa scena aggiunta Marco sottolinea più intensamente la solitudine e l'abbandono di Gesù nel momento in cui entra nella passione. – 12. Vedi Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica III,39,15: "Marco, divenuto interprete di Pietro, scrisse accuratamente, ma non certo in ordine, quanto si ricordava di ciò che il Signore aveva detto o fatto". – 13. J. Carmignac, La nascita dei Vangeli sinottici, traduzione italiana, Milano, Ed. Paoline, 1986 (ed. orig. Paris 1984), pp. 61 ss. – 14. Vescovo di Gerapoli nel II secolo. – 15. Agostino non considerava Marco un vero evangelista, ma un "valletto e compendiatore" di Matteo, una sorta di Bignami ante litteram (cfr De consensu evangelistarum I,2); ma rilevare errori macroscopici nell'opera di Agostino è diventato ormai un fatto comune. – 16. La bibliografia è ormai immensa: si consideri che nel 1981 uno studioso, H M. Humphrey, ha pubblicato un intero volume bibliografico relativo agli studi usciti tra il 1954 e il 1980; F. Neirynck ha fatto uscire nel 1992 un altro volume, di ben 718 pagine, sulla bibliografia 1950-1990. Alcuni commenti recenti sono davvero imponenti; si pensi ai due volumi di R. Pesch, rispettivamente di pp 664 e 840, tradotti in italiano nel 1980-1982; al volume, di pp. 964, di J. Gnilka, tradotto nel 1987; ai due volumi, complessivamente di pp. 842, di J. Ernst, tradotti nel 1991, ecc. - 17. Cfr. B. Standaert, II Vangelo secondo Marco, traduzione italiana, Roma, Boria, 1984 (ed. orig. Paris 1983), p,7. – 18. Das Messiasgeheimnis in den Evangelien zugleich ein Beitrag zum Verstàndnis des Markusevangeliums (Il segreto messianico nei Vangeli insieme a un contributo per la comprensione del Vangelo di Marco), Gottingen 1901. – 19. Nel senso che si è pensato che già Gesù avesse effettivamente consapevolezza della propria morte e risurrezione e intendesse già lui servirsi del segreto a scopo didattico: per guidare gradualmente a comprendere il senso della sua missione. Oggi, dopo circa un secolo, questa convinzione è sottoposta a nuove elaborazioni. – 20. E' significativo da questo punto di vista, uno studio come quello di J. Ernst, che si intitola Marco. Un ritratto teologico, Brescia, Morcelliana, 1990. – 21. I versetti di Mc 16,9 e seguenti riportati nel testo CEI non sono di Marco, ma sono stati aggiunti in seguito (presumibilmente nel II secolo) da un autore che ha cercato così di riempire quello che sembrava un vuoto. In realtà l'assenza della descrizione delle apparizioni del Risorto testimoniano l'antichità del testo in quanto negli anni 40 – 50 ancora non si era formata e sedimentata la tradizione relativa alle apparizioni stesse.