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Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


sabato 11 settembre 2010

… lo sollevò sulle sue ali …

Pensieri in libertà di un vecchio rompiscatole

(Parte terza, pagg 92– 97)

(segue: La fede e la morte; l'addio di Tarcisio e di Giuliana)

La tematica della malattia e della morte viene affrontata dagli evangelisti, in particolare da Giovanni con la narrazione della malattia, morte e risurrezione di Lazzaro (Gv 11, 1 – 44):

"Era allora malato un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, il tuo amico è malato».

All'udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro. Quand'ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava. Poi, disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce». Così parlò e poi soggiunse loro: «Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se s'è addormentato, guarirà». Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensarono che si riferisse al riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Orsù, andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».

Venne dunque Gesù e trovò Lazzaro che era già da quattro giorni nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di due miglia e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello. Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà». Gli rispose Marta: «So che risusciterà nell'ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo».

Dopo queste parole se ne andò a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo: «Il Maestro è qui e ti chiama». Quella, udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei che erano in casa con lei a consolarla, quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando: «Va al sepolcro per piangere là». Maria, dunque, quando giunse dov'era Gesù, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: «Dove l'avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Vedi come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?».

Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». E, detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare».

Sembra un brano chiaro, di facile interpretazione, ma non è così: se correttamente interpretato, mette a nudo delle sorprese fondamenteli per il cristiano.

Innanzi tutto è necessario fare un distinguo: quelle che vengono chiamate "risurrezioni" sono, a rigor di termini, "rianimazioni" di cadaveri, un ritorno alla vita biologica, con la prospettiva drammatica di dover nuovamente morire.

In un romanzo del nobel Saramago(1), la sorella di Lazzaro chiede a Gesù che non risusciti suo fratello, perché "nessuno nella vita ha commesso tanti peccati da meritare di dover morire due volte".

La risurrezione è solo di Gesù perché è l'unico che «risuscitato dai morti non muore più» (Rm 6,9). Per cui, per risurrezione deve intendersi l'appartenenza a un mondo nuovo con la trasformazione degli elementi fisici in spirituali.

Nei vangeli si narrano solo tre risurrezioni. Due di anonimi: la figlia di Giairo in casa sua (Mt 9,18-26; Mc 5,21-43; Lc 8,40-56) e il figlio della vedova di Nain durante il funerale (Lc 7,11-17). L'unico con nome è Lazzaro (Gv 11), il morto che è stato risuscitato dal suo sepolcro.

Nel vangelo di Matteo viene narrata anche una risurrezione imbarazzante:

«Gesù, emesso un alto grido, spirò. Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua resurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti» (Mt 27,50-53).

Non c'è commentatore che non si trovi a disagio di fronte a questa strana descrizione con morti che risorgono ma prima di uscire dalla tomba aspettano la resurrezione di Cristo... E tutti ammettono che si tratta di una maniera simbolica per indicare che Gesù estende la sua risurrezione anche a quanti sono morti prima di lui.

Anche gli ordini impartiti da Gesù ai genitori della figlia di Giairo creano imbarazzo. La morte della figlia è un fatto risaputo. L'evangelista parla di «trambusto e gente che piangeva e urlava» (Mc 5,39). Risuscitata la ragazza Gesù si raccomanda «con insistenza che nessuno venisse a saperlo» (Mc 5,43). Come è possibile nascondere un avvenimento del genere? Tutta la gente aveva saputo che la fanciulla era morta. Come nascondere la resurrezione? Queste «risurrezioni» sono un fatto «vero» o «storico»? Intendono indicare una verità di fede o un episodio della vita di Gesù?

Sorge poi il problema sul perché Gesù non risusciti più nessuna persona e come mai i credenti non siano mai stati capaci di risuscitare i morti nonostante l'esplicito mandato di Gesù "risuscitate i morti" (Mt 10,8).

Nel sec. IV, Giovanni Crisostomo, uno dei Padri della Chiesa, mentre stava spiegando proprio l'episodio della risurrezione della figlia di Giairo, venne interrotto da un padre al quale era appena morta la figliola, e Crisostomo gli rispose: «Cristo non ha risuscitato la tua figliola?» La risusciterà con una gloria più grande. Questa fanciulla, dopo essere stata risuscitata, più tardi morì di nuovo: ma tua figlia, quando risusciterà rimarrà peri sempre immortale» (XXXI,3).

La narrazione della risurrezione di Lazzaro non è la rianimazione di un cadavere già putrefatto, ma l'evangelista, con questa narrazione, presenta il profondo cambiamento avvenuto nella comunità cristiana nei confronti della morte e della risurrezione.

Marta, sorella di Lazzaro, si rivolge a Gesù chiedendole un intervento che prolunghi ancora un poco la vita del fratello. Marta crede nel Dio che risuscita i morti.

Gesù parla di un Dio che non fa morire e che è venuto a trasmettere una qualità di vita indistruttibile: Gesù le disse «Tuo fratello risusciterà» (Gv 11,23). Gesù non risponde a Marta come lei si aspettava «Io risusciterò tuo fratello», ma Tuo fratello risusciterà. La risurrezione del fratello non è dovuta a una nuova azione di Gesù, ma è effetto della persistenza della vita definitiva comunicata dallo spirito.

La risposta di Gesù non soddisfa Marta che replica: «So che risusciterà nell'ultimo giorno». Marta si rifà a quel che sa. La conoscenza di Marta è sempre legata e condizionata dal passato. Marta risponde rifacendosi alla credenza farisaica e popolare riguardo la morte. Ma sapere che il morto «risusciterà nell'ultimo giorno» non solo non causa consolazione ma disperazione perché per quel tempo anche Marta sarà già morta e risuscitata.

Che cosa sapeva Marta? Nella lingua ebraica non esiste l'espressione vita eterna(2). Secondo la Bibbia la morte era la fine di tutto: tutti, buoni e cattivi, dopo morti si scende nel regno dei morti.

Quando l'influsso della filosofia greca iniziò a farsi sentire pure in Israele, e cominciarono a divulgarsi le dottrine sull'immortalità dell'anima, verso il 200 a.C. un predicatore(3), contestò vivacemente queste idee:

"La sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa; come muoiono queste muoiono quelli; c'è un solo soffio vitale per tutti. Non esiste superiorità dell'uomo rispetto alle bestie, perché tutto è vanità. Tutti sono diretti verso la medesima dimora: tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere" (Qo 3,1921);

E ancora: "Vi è una sorte unica per tutti, per il giusto e l'empio, per il puro e l'impuro, il buono e per il malvagio. Questo è il male in tutto ciò che avviene sotto il sole: una medesima sorte tocca a tutti" (Qo 9,23).

Visione pessimista che tocca il suo culmine quando proclama che è "meglio un cane vivo che un leone morto. I vivi sanno che moriranno, ma i morti non sanno nulla; non c'è più salario per loro, perché il loro ricordo svanisce. Il loro amore, il loro odio e la loro invidia, tutto ormai è finito" (9,46); "Tutto ciò che devi fare, fallo finché ne sei in grado, perché non ci sarà più nulla giù nello sheol, dove stai per andare" (Qo 9,10).

Secondo la Bibbia i morti finiscono nello sheol(4). Al tempo della Bibbia la terra era considerata una piattaforma che si reggeva su delle colonne che avevano la loro base nella caverna sotterranea o regno dei morti, lo sheol. Al di sopra della terra c'era la volta celeste composta di ben sette cieli, ripartizione cosmologica che si trova nella Lettera di Paolo ai Filippesi: "Perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra" (Fil 2,10).

Al di sopra del settimo cielo c'era la dimora di Dio. Secondo i rabbini tra un cielo e l'altro c'era una distanza di ben cinquecento anni di cammino. Paolo afferma di aver raggiunto il terzo cielo(5).

Secondo la mentalità ebraica lo sheol è Il mondo sotterraneo dove finiscono tutti i morti, dimenticati da Dio (Sal 6,5). I morti ridotti a larve, ad ombre(6), si nutrono di polvere: "i morti non vivranno più, le ombre non risorgeranno" (Is 26,14).

Il termine ebraico sheol è stato tradotto con il greco Ade, il regno sotto terra, che, secondo la mitologia greca, alla ripartizione del mondo tra i tre figli di Cronos, Zeus, Poseidone e Ade, era toccato al terzo figlio, lo spietato Ade(7).

In latino sheol e ade vengono resi con Inferi(8), nome col quale i romani designavano le divinità e gli abitanti dell'oltretomba per estensione all'oltretomba stesso, la parte inferiore, più profonda della terra(9).

La discesa agli inferi del Cristo(10) compare per la prima volta in una professione di fede verso la metà del secolo IV, nella cosiddetta quarta formula di Sirmio del 359, opera del siro Marco di Aretusa. Nel Credo il riferimento a Gesù che "discese agli inferi" si deve alla Prima Lettera di Pietro: "E nello spirito andò a portare l'annuncio anche agli spiriti in prigione" (1 Pt 3,19). L'autore intende affermare che Gesù ha comunicato anche a quanti sono morti prima di lui la vita capace di superare la morte.

Il mondo dei morti nel Nuovo Testamento viene indicato anche con altri termini:

  • chasma (baratro/voragine) "Tra noi e voi c'è un grande abisso [chasma]" Lc 16,26;
  • abyssos (abisso) "Lo supplicavano che non intimasse loro di andare nell'abisso [abysson]" Lc 8,31;
  • geenna (contrazione delle parole ebraiche: Valle del figlio di Hinnon) "Chi gli dice pazzo sarò sottoposto alla geenna di fuoco" Mt 5,22.29.30: 10,28; 18,9; 23,1533; Mc 9,43.45.47; Lc 12,5). La Geenna è un burrone a sud di Gerusalemme, dove c'erano altari (tofet) nei quale venivano sacrificati i bambini in onore del dio Molok (Lv 18,21): "Hanno costruito l'altare di Tofet, nella valle di Ben-Hinnon, per bruciare nel fuoco i figli e le figlie" (Ger 7,31).

Il re Giosia cercò di stroncare questo culto(11), ma fu solo quando la valle venne trasformata nell'immondezzaio di Gerusalemme, che si smise di praticare questi sacrifici umani. Col tempo questa valle divenne simbolo di punizione per i malvagi dopo morte, come è scritto nel Talmud:

"Il Santo, che benedetto sia, condanna i malvagi nella Geenna per 12 mesi. Prima li affligge col prurito, quindi col fuoco ed infine con la neve. Dopo 12 mesi i loro corpi sono distrutti, le loro anime sono bruciate e sparpagliate dal vento sotto le piante dei piedi dei giusti" (Sanh.29b; Tos. Sanh.13,45).

Nell'ebraismo non esisteva e non esiste un'idea di una pena eterna da scontare dopo la morte. Dopo 12 mesi c'è l'annientamento della persona (anche oggi gli ebrei pregano per undici mesi per il defunto, dopodiché o è nella vita eterna e non ha bisogno di preghiere, oppure è morto per sempre e le preghiere sono inutili).

Gesù prenderà l'immagine della geenna come metafora per indicare la distruzione totale della persona che non accoglie il dono di una vita più forte della morte. Al rifiuto della vita per sempre corrisponde la morte per sempre. E' questo il significato del monito che corre lungo tutto il vangelo da parte di Gesù di cambiare atteggiamento altrimenti la fine è nella Geenna, cioè nell'immondezzaio.

Come opposto alla Geenna, troviamo il paradiso; questo termine deriva dalla parola in lingua medioiranica pardez, che significa: giardino, parco. Traduce l'ebraico gan (giardino). Nei vangeli, il termine paradiso si trova una sola volta, in Lc 23,42, quando Gesù, rivolgendosi al malfattore appeso con lui alla croce l'assicura di entrare con lui nella vita definitiva ("In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso").

Mai nei vangeli Gesù parla di paradiso per indicare la realtà che spetta all'uomo oltre la morte. Gesù parla sempre e unicamente di una vita capace di superare la morte e che per questo si chiama eterna.

Negli altri libri del Nuovo Testamento il termine paradiso appare solo due volte: in 2 Cor 12,4 dove Paolo afferma che "fu rapito in paradiso e udì parole indicibili" e nel Libro dell'Apocalisse: "Al vincitore darò da mangiare dall'albero della vita, che sta nel paradiso di Dio" (Ap 2,7).

Nel mondo della Bibbia, non esistendo un al di là, la retribuzione per il bene e il male compiuto avveniva su questa terra. Il bene era compensato con una lunga vita, abbondanza di figli, prosperità. Il male veniva punito con vita breve, sterilità e miseria, e la colpa dei padri era punita nei figli fino alla quarta generazione, secondo la teologia del libro del Deuteronomio:

"Io Yahvé tuo Dio sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per quanti mi odiano" (Dt 5,9).

Il profeta Ezechiele contesta questa visione della vita ed afferma che Dio retribuisce sempre e subito le azioni dell'uomo e che ognuno è responsabile del suo agire:

"Colui che ha peccato e non altri deve morire; il figlio non sconta l'iniquità del padre, né il padre l'iniquità del figlio. Al giusto sarà accreditata la sua giustizia e al malvagio la sua malvagità" (Ez 18,20).

Quindi ad ognuno il suo. Teologia, questa del profeta Ezechiele, semplice ed accettabile, ma contraddetta dalla realtà che non si presenta così. Per questo nella polemica interviene un autore, che è rimasto sconosciuto, il quale scrive il Libro di Giobbe proprio per contestare questa idea teologica dove si afferma che il buono è premiato ed il malvagio punito, e presenta un uomo pio e buono al quale capitano tutte le disgrazie di questo mondo (compresa quella degli amici che lo vanno a consolare ed offrire i loro buoni consigli: "Ne ho udite già molte di simili cose! Siete tutti consolatori molesti… Anch'io sarei capace di parlare come voi, se voi foste al mio posto: vi affogherei con parole!", Gb 16,2.4) per dimostrare che non è vero che i buoni vengono premiati.

A tirar fuori dal vicolo cieco in cui queste dispute teologiche avevano condotto, sarà un anonimo autore del II secolo, il quale per dare coraggio ai martiri della persecuzione religiosa del terribile Antioco Epifane(12) introduce un nuovo, rivoluzionario elemento, quello di un ritorno alla vita dei morti per il giudizio finale limitato ai giusti del popolo giudaico:

"Molti di quanti dormono nella polvere si desteranno: gli uni alla vita eterna, gli altri all'ignominia perpetua" (Dn 12,12).

E' la prima volta che nella Bibbia compare il termine normalmente tradotto con "vita eterna". Alla vita eterna, cioè per sempre, l'autore contrappone una "ignominia perpetua", vale a dire una disfatta definitiva, irreversibile, il fallimento definitivo. L'espressione "ignominia o sconfitta perpetua"(13) si trova nel salmo 78,66, senza alcun senso di sopravvivenza eterna(14).

Fuori della Bibbia ebraica, l'idea di resurrezione si trova nel Secondo Libro dei Maccabei (160 a.C.?). Nel racconto dell'atroce martirio della madre e dei suoi sette figli, viene espressa una fede per la resurrezione ad una "vita nuova ed eterna" (2Mac 7,9) per i martiri, vita però che viene esclusa per i persecutori: "per te la risurrezione non sarà per la vita" (2Mac 7,14): la morte sarà eterna, cioè definitiva.

Quel che da queste ipotesi teologiche si ricava è che la fede nella resurrezione dei morti è una conseguenza della fede nel Dio Creatore: la resurrezione viene intesa come una nuova creazione dell'uomo intero.

Queste nuove teorie però non verranno accettate, anzi verranno condannate come eretiche e rifiutate dalla gerarchia allora al potere, il gruppo dei Sadducei, in quanto non contenuta nei primi cinque libri della Bibbia(15), ma se ne approprieranno i Farisei. Laici pii impegnati ad osservare fedelmente la Legge in tutti i suoi dettagli, i farisei elaborano per primi in maniera sistematica la dottrina della resurrezione dei giusti. Il premio o la punizione per l'uomo vengono posticipati a dopo la morte per cui il giusto ritornerà alla vita e il malvagio rimarrà nello Sheol.

L'idea di risurrezione dei giusti proposta dai Farisei, viene limitata a Israele. Ne sono esclusi i pagani, i bifolchi e quanti vengono seppelliti fuori da Iraele. Poi, riflettendo ulteriormente, questo gruppo religioso affermerà che risorgono pure i pagani, ma per essere presentati di fronte al tribunale del giudizio: chi avrà osservato la Legge di Dio verrà ammesso nel giardino dell'eden (il paradiso).

Note: 1. O Evangelho segundo Jesus Cristo (Lisboa 1991, 428). – 2. Il termine ebraico 'olam non ha il senso dell'eternità, ma di "tempo lontanissimo" riferito sia al passato che al futuro. – 3. E' questo il significato del termine ebraico Qoèlet [l'Ecclesiaste] che dà il titolo al suo libro. – 4. L'origine del termine è oscura. Può derivare da ša'al reclamare (il defunto), da š'l essere profondo, o š'h terra deserta (dove non si vive). – 5. "So che un uomo, in Cristo, quattordici anni fa - se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio - fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest'uomo - se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio - fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare" (2 Cor 12,2-4). – 6. In ebraico Refaim. – 7. Nei vangeli il termine Ade compare 4 volte: Nel lamento di Gesù sulle città che non l'hanno accettato: "E tu, Cafarnao, sari forse innalzata fino al cielo? Sino all'Ade discenderai" (Mt 11,23; Lc 10,15); Nella promessa che la sua comunità sarà più forte della morte "E le porte dell'Ade non prevarranno contro di essa" (Mt 16,18) e, infine, nella parabola del ricco e di Lazzaro: "E nell'Ade, avendo alzati gli occhi" (Lc 16,23). – 8. Da non confondere con l'inferno, concetto teologico di origine medievale, che tanto in passato ha scatenato il perverso sadismo dei predicatori: "Vedeteli come tutti sono involti nel fuoco. Abissi di fuoco a sinistra, abissi di fuoco a destra; abissi di fuoco al di sopra, abissi di fuoco al disotto; fuoco negli occhi, fuoco nelle orecchie, fuoco nelle vene, fuoco nelle viscere, dappertutto fuoco…" (Leonardo da Porto Maurizio, Prediche, vol. II, 167). – 9. Gli dèi del cielo venivano chiamati i superi. – 10. "Descensus ad inferna". Notare come la trasposizione latina tende a confondere inferi con inferno. – 11. "Giosia profanò il Tofet, che si trovava nella valle di Ben-Hinnon, perché nessuno vi facesse passare ancora il proprio figlio o la propria figlia per il fuoco in onore di Moloch" (2 Re 23,10). – 12. Antioco IV Epifane (circa 215 a.C. – 164 a.C.) dal 175 a.C al 164 a.C. fu sovrano del regno seleucide di Palestina. Il suo nome originale era Mitridate, ma prese il nome di Anioco dopo la sua ascesa al trono, alla morte del fratello maggiore. Era uno dei figli del re seleucide Antioco III il grande e fratello del re Seleuco IV Filopatore. – 13. In ebraico herpat 'olam. – 14. In Isaia 66,24 si menzionano i "cadaveri", non degli esseri risuscitati che soffrono. – 15. "In quello stesso giorno vennero a lui dei sadducei, i quali affermano che non c'è resurrezione" (Mt 22,23).