Contenuti del blog

Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


martedì 20 novembre 2012

Introduzione al vangelo di Luca(1)

 

1. L'autore

Il particolare merito del terzo vangelo deriva dalla personalità molto attraente dell'autore. Luca (probabile contrazione di Lucano) è uno scrittore di grande talento e di animo delicato; di tutti gli agiografi neotestamentari è l'autore più delicato nel tratto, più accattivante nella sua umanità. Pone in primo piano i rapporti interpersonali, è attento a non mettere nessuna persona in cattiva luce.

Sinteticamente vanno riconosciuti a Luca (o meglio all'autore del terzo vangelo) i seguenti attributi e definizioni:

  • Il teologo della storia della salvezza
  • Lo storico del nuovo esodo
  • Capace di progettare una visione sociale radicalmente diversa per i pagani, gli ebrei e le donne
  • L'entusiasta proclamatore della misericordia di Dio e della risposta dell'uomo nella preghiera
  • L'annunciatore di Gesù profeta, salvatore e signore
  • Attento nel contempo a rilevare per tutti noi l'azione dello Spirito e l'esperienza di gioia del discepolo che vive il mistero di Gesù che nasce (vangelo dell'infanzia) e che risorge da morte (apparizioni del risorto).

Ha condotto l'opera in modo originale, dicendo esplicitamente che vorrebbe fare una "storia ordinata" su Gesù di Nazaret, una storia redatta secondo i canoni e il gusto degli antichi scrittori classici greci. È con lui quindi che la predicazione evangelica passa dallo stadio di "messaggio" a quella di "racconto ordinato", pur conservando, e spesso ampliando, il carattere tipico di proposta di salvezza.

Gli autori antichi (dal II secolo in poi) accreditano l'opinione che Luca fosse il compagno di viaggio di Paolo e suo collaboratore, precisando che è il «medico», e aggiungendo alcuni altri particolari: che scrisse dopo l'ascensione del Signore, non conobbe direttamente il Signore, e scrisse a partire dalla nascita di Giovanni Battista, in base a quanto poté appurare. È probabile che queste affermazioni si fondino su passi di lettere paoline in cui è menzionato un Luca, medico, come suo collaboratore: cfr. Col 4,14: «Vi salutano Luca, il caro medico, e Dema»; Fm 23-24: «Ti saluta Epafra ... con Marco, Aristarco, Dema e Luca, miei collaboratori (sunergói)»; 2 Tm 4,11: «Solo Luca è con me».

Secondo Eusebio, Luca avrebbe conosciuto anche gli altri Apostoli: probabilmente egli interpreta così il prologo di Luca, dove l'autore sostiene di aver consultato i testimoni oculari, dunque gli Apostoli, per redigere il suo Vangelo; forse suppone che, in quanto compagno di Paolo, lo avesse seguito anche in occasione degli incontri che egli ebbe con alcuni Apostoli a Gerusalemme. Sottolineare questo aspetto fa comunque parte della tendenza apologetica.

Nel Prologo antimarcionita(2) di Eusebio, che conosciamo sia in una versione greca, sia in una latina, si arricchiscono le notizie su Luca: si dice che seguì Paolo fino al suo martirio, che non ebbe moglie né figli e che morì a 84 anni in Beozia(3). Dice che compose il suo Vangelo in Acaia (= Grecia), per i pagani, per distoglierli dalle «favole» dei giudei e degli eretici. Si può supporre che tali notizie, come già in altri casi, derivino dalla lettura del Vangelo stesso: il fatto che Luca non avrebbe avuto né moglie né figli concorda con una tendenza ascetica che è particolarmente presente nel Vangelo(4), mentre l'attività in Acaia concorda con la speciale conoscenza della lingua e della cultura greca che Luca dimostra nei suoi scritti.

Queste notizie ricompaiono (talora con corrispondenza letterale, ma anche con qualche confusione) anche in Gerolamo: nel Prologo ai quattro Vangeli e nella Prefazione alla versione latina del Vangelo di Luca. Ci sono alcune variazioni: ad esempio, Gerolamo dice che Luca morì a 74 anni e non a 84 (ma la tradizione sui numeri è soggetta facilmente a variazione, specialmente quando erano indicati con lettere); Luca avrebbe scritto in Acaia e Beozia, sarebbe morto in Bitinia.

La scheda che Gerolamo dedica a Luca nel suo De viris illustribus, la prima «Storia della letteratura cristiana» che sia stata composta (De vir. ill. 7)(5), si caratterizza per molti aspetti:

  • indica esplicitamente i riferimenti ai passi paolini in cui è menzionato Luca; in più, afferma che il fratello di cui Paolo parla in tono elogiativo in 2Cor 8,18 sarebbe Luca, una notizia che risale già ad Origene e che circolò ampiamente in seguito;
  • mostra attenzione alla competenza dell'autore nella lingua greca (Graeci sermonis non ignarus);
  • riporta ulteriori notizie ricavandole, come sembra, da deduzioni personali; dice, ad esempio, che gli Atti furono probabilmente composti a Roma, perché si concludono con il soggiorno di Paolo a Roma;
  • è preoccupato di distinguere dagli Atti lucani gli apocrifi Atti di Paolo e Tecla che già Tertulliano conosceva e condannava e che ancora nel IV e V secolo avevano molto successo;
  • manifesta un atteggiamento critico che lo fa dubitare (quidam suspicantur) di certe opinioni precedenti, come quella (di Eusebio) sul fatto che Paolo, quando parlava del suo «vangelo», parlasse del vangelo di Luca;
  • dà notizia della sepoltura e della traslazione delle reliquie a Costantinopoli, un tema che acquista molto rilievo nel IV secolo.

Successivamente al IV secolo la leggenda si impadronirà di Luca, come di altri autori: si dirà che era uno dei 70 discepoli inviati da Gesù (Lc 10,1 ss.), oppure il discepolo innominato di Emmaus (Lc 24,18); si dirà, dopo il VI sec., che fosse un pittore: un quadro di R. van der Weyden (1440) presenta Luca intento a dipingere Maria (probabilmente si allude all'attenzione con cui Luca nel suo racconto dell'infanzia parla di Maria). Di fatto Luca è poi diventato il santo protettore di pittori e artisti.

Gli studiosi moderni - almeno alcuni - non solo dubitano di queste notizie tarde e leggendarie, ma anche di quelle più antiche e comunemente accettate, che fanno di Luca il compagno di viaggio di Paolo e il medico. Ne dubitano soprattutto per il carattere apologetico dei tentativi di collegare i vangeli a figure di Apostoli: essi suppongono che tali collegamenti siano stati "inventati" servendosi di dati ricavabili dagli scritti lucani stessi e dall'epistolario paolino. I primi cristiani, cioè, non conoscendo chi fosse l'autore di questo vangelo e degli Atti, o conoscendo solo il nome Luca, avrebbero recuperato dagli scritti di cui disponevano informazioni utili a fare di questo personaggio sconosciuto un compagno e collaboratore degli Apostoli (innanzitutto di Paolo, protagonista degli Atti), in grado di avere informazioni di prima mano o personali su quanto raccontava.

I moderni dubitano anche della notizia che il Luca autore dei nostri scritti fosse davvero medico. Mentre in passato sono state fatte ricerche per convalidare questo dato e si è ritenuto che vangelo e Atti testimonino una conoscenza specifica della materia e della terminologia medica (ad esempio, a proposito della descrizione di malattie), oggi si tende a riconoscere che in realtà non si riscontra nei testi nulla di più di quanto una normale persona colta di quel tempo poteva sapere. Non viene più ritenuta decisiva neppure quella che poté apparire una "prova" piuttosto forte e cioè il fatto che il vangelo di Luca (8,43) omette le dure, anche un po' sarcastiche, critiche alla categoria medica che invece Marco riporta all'inizio dell'episodio dell'emorroissa, ossia della donna che soffriva di perdite di sangue croniche: Mc 2,25-26: «Una donna aveva perdite di sangue da dodici anni, e aveva sofferto molto a causa di molti medici spendendo tutti i suoi beni senza ricavare alcun vantaggio, anzi, peggiorando sempre di più...». In realtà il testo di Luca presenta varianti nella tradizione manoscritta; secondo la forma più breve, e più diffusa, dice: «E una donna aveva perdite di sangue da dodici anni e non era riuscita a farsi guarire da nessuno»; ma altri testimoni, pochi ma autorevoli (tra cui un papiro e il codice Vaticano), danno: «aveva dato fondo a tutte le sue sostanze per i medici e non era riuscita ...». Quest'ultima forma, che compariva in edizioni del passato (ad esempio nel Merk), ma già nella Vulgata, non omette, ma attenua la critica ai medici: ultimamente gli editori Nestle-Aland la riportano tra parentesi quadre, ma nel testo, mostrando la loro incertezza. Si potrebbe omettere qualora si ritenesse che sia stata aggiunta per armonizzare maggiormente il testo di Luca a quello di Marco, ma in realtà i termini usati sono molto diversi.

Si dubita anche del fatto che l'autore del Vangelo e degli Atti fosse il compagno di Paolo nei suoi viaggi perché oggi non tutti ritengono che i passi degli Atti in cui l'autore usa la prima persona plurale (sono: At 16,10-17; 20,5-21,18; 27,1-28,16) indichino necessariamente una sua presenza ai fatti narrati: potrebbe essersi servito del diario di altri senza modificarlo. In realtà la questione è estremamente complessa e suscita varie difficoltà: come mai solo ogni tanto compare questo "noi" e quasi esclusivamente in occasione di viaggi per mare? Però forse le critiche sono un po' troppo arzigogolate. Del resto, come supporre che un autore come Luca, così abile come scrittore, si sia dimostrato tanto trasandato da non adattare al proprio racconto quei passi, se erano stati scritti da altri? A maggior ragione l'obiezione vale se Luca si è servito di racconti orali di testimoni (anche perché eventuali diari scritti dovettero andare perduti nel grande naufragio che avvenne nel mare di Malta). Perché non pensare che, dati i suoi scrupoli di esattezza documentaria, abbia voluto mettere in rilievo la propria presenza ad alcuni episodi?

Altri dubbi nascono se si confrontano le idee di Luca con quelle di Paolo, partendo dal presupposto che, se Luca è stato tanto a contatto con Paolo, dovrebbe risultarne influenzato; a maggior ragione se, come vuole Ireneo, ha trasmesso il vangelo, ossia la predicazione e l'insegnamento, di Paolo. A una verifica, risulta che le affinità di pensiero tra i due autori (universalità della salvezza, importanza della fede, amore di Dio per i peccatori, ecc.) non vanno oltre le idee più comuni ai cristiani delle origini. Mentre non compaiono, o compaiono in modo del tutto marginale, in Luca idee caratteristiche di Paolo, come il valore espiatorio della morte di Gesù Cristo, il problema del rapporto tra fede e opere, legge e vangelo.

Incuriosisce però il fatto che Luca (22,15-20) e Paolo (1Cor 11,23-25) siano vicini quando riportano le parole che Gesù pronuncia nell'istituzione dell'eucaristia, e in questo caso Luca si stacchi da Marco (14,22-25), che risulta affine a Matteo (26,26-29): in particolare, solo in Luca e Paolo ricorre il comando di Gesù «fate questo in memoria di me», che ha avuto tanta importanza nella tradizione successiva. Questa somiglianza tra Luca e Paolo viene spiegata con la dipendenza da una tradizione comune, escludendo una dipendenza di Luca da Paolo.

Per quanto riguarda gli Atti, stupisce il fatto che l'autore, pur parlando molto di Paolo, non menzioni le sue lettere e non le utilizzi: un vero mistero, che finora nessuno è riuscito a spiegare. Varie difficoltà derivano dalle divergenze tra Atti e Galati 2 a proposito della presentazione dei rapporti tra Paolo e Pietro e a proposito del «concilio di Gerusalemme», anche se a questo proposito l'opinione comune è che dipendano dalle diverse prospettive ecclesiali dei due autori.

 

In conclusione: conservano tutto il loro peso l'accordo e l'antichità delle notizie che ci parlano dell'autore del vangelo, e degli Atti, come del medico, compagno di Paolo, di cui Paolo stesso fa menzione nelle sue lettere. Il contenuto dei due scritti conferma, inoltre, l'opinione che l'autore abbia una buona formazione classica, sia probabilmente un cristiano proveniente dal paganesimo, e scriva a un pubblico abbastanza colto. In particolare risulta significativo il prologo del Vangelo di Luca (Lc 1,1-4), che manifesta la competenza dell'autore nell'uso della lingua greca e anche nei riferimenti ai luoghi comuni della retorica classica, in specie alla storiografia; presuppone l'esistenza di altri vangeli (si può pensare innanzitutto a quello di Marco), mostra di rifarsi alla tradizione degli apostoli e di essersi accuratamente documentato(6); si rivolge a un pubblico già cristiano, di cui si sente membro.

 

2. Il contenuto del Vangelo

 

2.1. Storicità del vangelo di Luca

 

Il Vangelo di Luca è straordinariamente ricco. Contiene numerosi racconti o episodi che sono di fondamentale importanza per la fede cristiana e che, senza di lui, mai forse avremmo potuto conoscere (ad es. l'annunciazione).

Luca ha voluto fare un'opera storica? Luca ha sicuramente l'intenzione di proporre una cornice storica agli avvenimenti: in questo senso dovrebbero essere letti i versetti che si riferiscono alla storia universale (1,5; 2,1; 3,1; 3,23). L'opera di Luca non è però un'opera giornalistica o secondo la metodica della moderna storiografia: è una narrazione di avvenimenti che rispettano, per quanto le tradizioni allora in essere lo permettevano, il dato biografico, ma propongono un particolare ordine geografico seguendo un certo dinamismo teologico.

Ne fanno fede le linee essenziali della struttura di tutto il libro:

 

Dato biografico

 

Capitolo

 

Dato geografico – teologico

  1. Prologo e vangelo dell'infanzia 

1 -2 

La salvezza ha inizio in Galilea 

  1. Inizio della predicazione

3,1 – 9,50 

Ministero in Galilea 

  1. Predicazione nei villaggi 

9,51 – 19,27 

Viaggio verso Gerusalemme 

  1. Gli ultimi avvenimenti salvifici 

19,28 – 24,53

Predicazione e morte in Gerusalemme 

 

Luca sottolinea la necessità negli avvenimenti e nelle scelte di Gesù che presuppone e rimanda a un piano, a un disegno prestabilito.

 

 

2.2. Teologia del terzo esodo(7)

 

Così si auto-presenta Gesù: "lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato

  • Per annunziare ai poveri il lieto messaggio
  • Per proclamare ai prigionieri la liberazione ed ai ciechi la vista;
  • Per rimettere in libertà gli oppressi
  • E predicare un anno di grazia del Signore"

I versetti sono tratti da Is. 61,1-2 ad eccezione dell'espressione "per proclamare ai prigionieri la liberazione" che sta al posto della frase "a fasciare le piaghe dei cuori spezzati". È una vera cristologia: di questo gli abitanti di Nazaret si scandalizzeranno. Questa citazione di Isaia è una sintesi della teologia lucana.

L' "oggi" che segue sulla bocca di Gesù per Luca è segno di adempimento ed insieme di cammino; questo è in realtà un esodo. Alcuni episodi in particolare:

  • nella trasfigurazione compaiono la gloria e la nube (Es. 24,15-18)
  • Gesù costituisce un nuovo Israele
  • Stipula una nuova alleanza nel suo sangue (Es. 24,1-11)

Tutte le promesse sono attuate: lo Spirito è effuso prima in Gesù, poi promesso agli apostoli e ai credenti, l'uomo è liberato dai suoi peccati. Sono soprattutto i fatti pasquali (morte, risurrezione, ascensione) ad attuale questo definitivo esodo cristologico.

 

2.3. Aspetto universalista e sociale

 

È rilevabile a cominciare dalle citazioni profetiche dell'A.T., ad es. Lc 2,30-32: "perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele". Si può notare inoltre la citazione programmatica di Lc 4,16-30 con la predicazione diretta anche ai pagani: si parla di Tiro e Sidone; la guarigione dell'indemoniato di Gerasa e quella del servo del centurione, ma particolarmente in Lc 13,22-30: "verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio".

Tipica è poi l'attenzione dedicata da Luca ai samaritani: per ben due volte Gesù presenta come esemplare il comportamento di un samaritano, nella parabola chiamata, appunto, del buon samaritano e nel caso della guarigione di dieci lebbrosi dei quali uno solo, un samaritano, torna indietro a ringraziare Gesù per la guarigione.

Un ultimo rilievo, nella visione sociale di Luca, merita la presenza delle donne. Nella società giudaica le donne non avevano un posto di rilievo. Luca invece presta particolare attenzione anche alla donna e nella vita di Gesù è attento a notarne la presenza e l'azione, dando un certo rilievo a tutti gli episodi che sono caratterizzati da qualche figura femminile: Maria ed Elisabetta sono nella fede madri eccezionali, come le personalità di Marta e di Maria riguardo all'incontro con Cristo. A questo deve essere aggiunta la vedova di Naim (Lc 7,11-17), la donna curva (Lc 13,10-17), la parabola della vedova (Lc 18,3-8) ecc. Tutti gli episodi citati rivelano la delicatezza e la sensibilità di Luca.

 

 

2.4. In Gesù si manifesta la misericordia di Dio

 

Gesù è per eccellenza "l'amico dei peccatori e dei pubblicani"; egli, come "mangione e beone", sembra essere considerato, dai farisei e dai dottori della legge, uno di "quelli". In realtà Gesù esprime la sua bontà e dolcezza verso gli uomini attraverso la ricerca, il perdono, la gioia del ritrovamento.

Allo scandalo dei farisei che si meravigliano per l'amore di Gesù verso i peccatori, Gesù dà una risposta inequivocabile nel c. 15: le parabole della pecora smarrita, della dracma perduta e del figliol prodigo. In Lc 7,36-50 è raccontato con fine successione pedagogica il dialogo fra il facoltoso fariseo e Gesù riguardo alla peccatrice che gli lava i piedi con le sue lacrime. Per costei, sempre silenziosa, Gesù prende l'iniziativa aprendo un dialogo-annuncio di salvezza: "ti sono perdonati i tuoi peccati; la tua fede ti ha salvata, và in pace".

Sulla stessa linea di perdono salvifico sta lo straordinario dialogo di Cristo in Croce con l'altro dei malfattori: in questo caso la preghiera è preceduta da una esplicita confessione di colpa per sé e di riconoscimento d'innocenza per Gesù e la risposta è sulla stessa linea: "In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso."

Un altro tema molto frequente in Luca è la preghiera. Luca ama ricordarci tutte le circostanze in cui Gesù prega: in occasione del suo battesimo, prima della scelta dei dodici, prima della trasfigurazione, nel giardino degli Ulivi; sulla croce, per gli stessi crocifissori ed infine l'invocazione suprema: "Padre, nelle tue mani affido il mio spirito".

 

2.5. Profeta, salvatore e Signore

 

La cristologia di Luca accentua la dimensione profetica di Gesù (Lc 4,24): "Nessun profeta è bene accetto in patria"; oppure (Lc 7,16) "Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo".

Gesù è per Luca soprattutto salvatore: è lo scopo stesso della vita di Gesù: "Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch'egli è figlio di Abramo" (Lc 19,9-10).

Il titolo di salvatore è già attribuito a Gesù nel Benedictus nel vangelo dell'infanzia, come la venuta e l'incontro con Gesù sono denominati "salvezza" dal vecchio Simeone. La salvezza è strettamente collegata con la fede: quattro volte Luca usa l'espressione "la tua fede ti ha salvato".

L'importanza della fede teologica in Gesù porta poi necessariamente Luca a qualificare Gesù anche come Signore più che negli altri vangeli. Rilevante è il fatto che tale titolo è usato anche nelle parti narrative.

 

Note: 1. Quanto segue è stato, in parte, liberamente tratto da un lavoro di Clementina Mazzucco e Andrea Nicolotti (Università di Torino). – 2. Prologhi composti a introduzione del testo e delle versioni dei Vangeli, per fornire dati essenziali sull'autore e la composizione del Vangelo. Alcuni di questi prologhi manifestano un'intenzione polemica contro Marcione, donde il titolo che oggi viene loro attribuito. – 3. Tuttora a Tebe, in Beozia, esiste una tomba di Luca e un culto a lui dedicato. (Cfr. G. LEONARDI, Sulle orme dell'evangelista Luca e visita alla sua tomba, in «O odigos- La guida» 18 -1999, pp. 7-11). La notizia sull'età della morte sembra più agiografica che reale. – 4. In tutti i Vangeli viene sottolineato che diventare discepoli di Gesù comporta lasciare tutto: famiglia, beni, ecc., ma solo Luca in questi contesti aggiunge la moglie tra i parenti da cui occorre staccarsi; nella parabola del banchetto solo lui introduce, tra le scuse ritenute non valide per rifiutare l'invito, quella di aver preso moglie (cf Lc 14,20.26). Essendo Luca un greco, un eventuale celibato non avrebbe trovato grossi ostacoli. – 5. "Luca, medico di Antiochia, come indicano i suoi scritti, non inesperto della lingua greca, seguace dell'apostolo Paolo e suo compagno in tutti i suoi viaggi, scrisse il Vangelo, di cui lo stesso Paolo dice: «Abbiamo mandato con lui il fratello di cui è lode in tutte le chiese a motivo del vangelo» (2 Cor 8,18), e ai Colossesi: «Vi saluta Luca, medico carissimo» (4,14), e a Timoteo: «Solo Luca è con me» (2 Tm 4,11). Pubblicò anche un altro libro eccellente, che è noto col titolo di Atti degli apostoli, e il cui racconto arriva fino al soggiorno a Roma per due anni di Paolo, cioè fino al quarto anno di Nerone. Da ciò comprendiamo che il libro fu composto nella medesima città. Pertanto dobbiamo annoverare tra i libri apocrifi i Viaggi di Paolo e Tecla e tutta la favola del leone battezzato. [...] Certuni suppongono che, ogni volta che Paolo nelle sue lettere dice 'secondo il mio vangelo' (Rm 16,25), voglia parlare del libro di Luca e che Luca abbia appreso il vangelo non solo dall'apostolo Paolo, che non era stato con il Signore incarnato, ma anche dagli altri apostoli. E questo lo dichiara egli stesso nel proemio del libro dicendo: 'Come ci trasmisero coloro che fin dall'inizio furono testimoni oculari e ministri della Parola' (Lc 1,2). Pertanto scrisse il Vangelo in base a testimonianze orali; invece compose gli Atti sulla base di ciò che aveva visto personalmente. Fu sepolto a Costantinopoli, dove le sue ossa furono trasportate nel ventesimo anno di Costantino, insieme alle reliquie dell'apostolo Andrea". – 6. Deve aver studiato profondamente la Bibbia dei Settanta che a volte ne imita lo stile alla perfezione. – 7. Il primo esodo è la liberazione dall'Egitto; il secondo è il ritorno a Gerusalemme dopo la prigionia in Babilonia.

lunedì 19 novembre 2012

Domenica 25 novembre 2012 – Solennità di Cristo Re – Gv 18,33b-37

Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

[Gli dice Pilato: «Che cos'è la verità?». E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna»].

 

Anche questa vollta ho ritenuto opportuno aggiungere al brano destinato alla liturgia di questa domenica un ulteriore versetto perché, in assenza di questo, mi sembrava che la comprensione del brano fosse incompleta.

"Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?»".

Pilato(1) conosceva già qual era l'accusa che avevano fatto a Gesù; erano andati ad arrestare Gesù il nazareno, cioè il rivoluzionario; e quindi era ovvio che, come tutti i rivoluzionari israeliti, voleva restaurare il regno di Israele, cacciando i Romani.

All'epoca di Gesù le sommosse contro i eomani erano frequenti (due casi del genere si trovano in At 5,36-37 protagonisti Tèuda e Giuda il Galileo); ogni tanto sorgeva qualcuno che diceva di essere il Messia, radunava un gruppo di persone e faceva una sommossa che finiva normalmente in una strage da parte dei Romani.

"Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?»". Come ha fatto per la guardia che lo ha schiaffeggiato (Gv 18,22-23), Gesù invita anche Pilato a ragionare con la propria testa. È interessante questo atteggiamento da parte di Gesù di fronte ai suoi nemici: Gesù, che è uomo libero, vuole estendere la sua libertà a quelli che non l'hanno. L'ha fatto prima con la guardia, ha detto: "se ho sbagliato dimostrami dove ho sbagliato, ma se ho parlato bene cosa c'entra questo schiaffo?", cioè ragiona con la tua testa e giudica.

Gesù anche a Pilato, a un pagano, a un dominatore, prova a estendere la sua libertà; Gesù in effetti non risponde alla domanda di Pilato, risponderà in seguito, ma lo invita a non essere condizionato da quello che gli hanno detto gli altri nei suoi riguardi.

"Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?»".

Notate che c'è un enorme disprezzo in queste parole; "La tua gente…": Gesù è stato rigettato non solo dai sommi sacerdoti, ma anche da tutto il popolo.

Nel prologo del suo vangelo, l'evangelista Giovanni aveva detto: "Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto" (Gv 1,11), e più avanti nota amaramente che Gesù non era creduto da nessuno "neppure i suoi fratelli, infatti, - cioè la sua famiglia - credevano in lui" (Gv 7,5). Quindi Gesù è stato rifiutato da tutti perché l'idea che ha portato, l'immagine di Dio che ha presentato, era talmente nuova, talmente inaudita, che distruggeva alla base il radicamento di una società basata sul potere.

Gesù ha presentato un Dio che si mette al servizio degli uomini ed esclude ogni forma di dominio: allora chi domina in nome di Dio (la struttura religiosa), chi domina col potere delle armi (la struttura politica) e chi da questi due poteri si sente appoggiato per continuare a dominare (il potere del marito sopra la moglie, del padre sopra i figli, del padrone sopra i salariati ecc….), sente scricchiolare la propria sicurezza.

Quindi non sono soltanto i sommi sacerdoti, ma è tutta la società che si rivolta contro Gesù, perché se in una società si distrugge l'idea del potere e del dominio, questa società si sgretola. Allora bisogna eliminare Gesù; Gesù diviene così un criminale, talmente pericoloso per il sistema che i sommi sacerdoti e la nazione lo odiano al punto da ritenerlo più pericoloso dei pur odiati dominatori romani.

"Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo…". Gesù non sta parlando di due mondi, un mondo celestiale e l'altro terrestre, ma sta parlando di due sistemi di vita: il "mondo" di cui parla è il sistema sul quale si regge l'impero romano.

"…se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù(2)».".

Gesù, il Dio al servizio degli uomini, è venuto ad inaugurare un regno dove il re non domina, ma si mette al servizio dei suoi, ecco perché Gesù non ha dei servitori che combattono per lui; Gesù non ha servitori, in quanto Gesù è il servo di tutti quanti: il mondo di Gesù è quello dell'amore che si fa dono e che si fa servizio, mentre il mondo al quale appartiene Pilato è il mondo del potere, il mondo dell'odio che uccide la vita.

Nessuna conciliazione è possibile fra questi due mondi: il mondo del potere è il regno della tenebra e della menzogna. Dirà Gesù parlando del potere(3), è "padre della menzogna" (Gv 8,44): questa è la caratteristica del potere. Il potere non dice mai la verità, non può dirla, perché dal momento che il potere dice la verità, si sgretola; avete trovato mai qualche politico che dica sempre la verità? Impossibile! Un politico non può dire la verità per essere eletto - perché se dicesse la verità, nessuno lo eleggerebbe - e una volta che ha il potere dovrà continuare nella menzogna.

Ho parlato del campo politico soltanto per fare un esempio, ma avrei potuto dire del campo religioso e del campo ecclesiastico; chi detiene il potere, quindi chi vuole dominare sull'altro, vive nell'ambito della menzogna, fornisce sempre e genera menzogna su menzogna per mantenersi come tale; non solo, il padre della menzogna è pure assassino e uccide(4) purché la verità non venga fuori, perché se viene fuori la verità questo potere si sgretola.

"Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?»". Per Pilato, quello che Gesù afferma è semplicemente assurdo; non comprende come sia possibile vedere in Gesù una regalità.

"Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re.." - ma attenzione, adesso vediamo di quale tipo di regalità parla Gesù - "Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità…": quindi la regalità di Gesù consiste nel manifestare la verità, la verità riguardo a Dio, in quanto ne manifesta l'amore.

Quindi Gesù è il re che, mettendo la sua vita al servizio degli altri dimostra la verità su Dio: chi è Dio? Il sovrano nei cieli che toglie le cose agli uomini? No! Dio è come Gesù che si mette in ginocchio davanti agli uomini ed elimina le loro impurità, lavando loro i piedi.

Ecco la verità su Dio: una verità che è intollerabile per ogni sistema religioso, perché ogni sistema religioso si farà scudo di Dio per dominare gli altri.

L'uomo, seguendo Gesù, è chiamato alla condizione di "figlio di Dio", cioè a essere pari con Dio. Nessuna differenza, nessun baratro fra Dio e l'uomo: questo concetto deve essere compreso assimilandolo nella nostra cultura, dove tra Dio e l'uomo esiste un abisso.

I sacerdoti a quell'epoca erano i mediatori tra l'uomo e Dio; l'uomo non si poteva rivolgere a Dio, doveva andare dal sacerdote, e il sacerdote inoltrava la supplica o la preghiera a Dio. Gesù dice: licenziate tutti i sacerdoti, perché tra Dio e l'uomo la comunicazione è immediata e non ha bisogno di nessun mediatore.

All'epoca c'era la Legge, con l'obbligo di osservanza, e Gesù dice che non c'è nessuna legge (cfr. Gal 3,13). Dio non governa i suoi dando delle leggi, che costoro devono osservare, ma Dio governa i suoi comunicando nel loro intimo la sua stessa capacità d'amore; Gesù cancella la Legge.

Cacella anche il Tempio: non c'è più da andare in un santuario perché lì si manifesta Dio (Gv 4,23-24), ma ovunque si manifesta un amore, come quello di Gesù capace di farsi dono, lì c'è la manifestazione piena e visibile di Dio.

Non c'è più bisogno di un culto da rendere a Dio, perché l'unico culto che Dio richiede è il prolungamento del suo amore: ecco la verità riguardo a Dio e riguardo agli uomini, e questo è talmente importante che Gesù dice: "…Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce»".

Noi avremmo detto esattamente il contrario: "chiunque ascolta la voce di Gesù, poi si mette nella verità". No! Per ascoltare - e ascoltare non significa sentire, significa comprendere -, per ascoltare la voce di Gesù, quindi per comprendere la parola del Signore, bisogna prima essersi messi nel campo della verità; cioè con una disposizione favorevole per il bene degli altri, altrimenti si sentirà la voce del Signore, la parola di Dio, ma non la si comprenderà mai. Chi non sta nella verità, non ascolta la voce, ed è quello che succederà a Pilato e che è successo ai sommi sacerdoti.

La denuncia che fa l'evangelista è un monito per la comunità cristiana. C'è il rischio nella comunità dei credenti di un'esuberanza di parola del Signore, nella liturgia, nelle preghiere, nelle letture, ma attenzione: tutta questa esuberanza di parola del Signore è compresa soltanto se la comunità sta nella verità, se il credente sta nella verità.

Chi, nella propria vita, domina gli altri - e ci sono tante maniere per dominare gli altri -, chi nella propria vita toglie vita agli altri, chi condiziona gli altri, può stare dalla mattina alla sera con il naso sopra la Bibbia, ma non ne comprenderà neanche una virgola.

"Gli dice Pilato: «Che cos'è la verità?»". Pilato non comprende, non può perché lui rappresenta il potere, rappresenta il dominio e non può stare dalla parte della verità.

"E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna»"; questo non discolpa Pilato, ma accresce la sua responsabilità: pur considerando Gesù completamente innocente, lo assassinerà.

 

Note: 1. L'esegesi di questo brano è stata liberamente tratta dalla conferenza "Ecce Homo" tenuta da P. Alberto Maggi OSM in Assisi dal 2 al 4 settembre 1999. – 2. La traduzione non è delle migliori, ma rispecchia l'interpretazione tradizionale dei due mondi, celeste e terreno, contrapposti. – 3. La parola usata nel vangelo è "diavolo" cioè colui che divide, come era d'uso nella cultura di quell'epoca; il senso, però, è quello del potere che ha come unico scopo la divisione in oppressori e sottomessi e lo fa tramite la menzogna senza la quale nessuno obbedirebbe. – 4. Non è necessario uccidere materialmente, basta usare le parole, quella che usualmente è chiamata la "macchina del fango".