XIV Domenica del Tempo Ordinario – Mc 6,1-6
Partì di là e venne nella sua patria
e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella
sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli
vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi
come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di
Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue
sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù
disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi
parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo
impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro
incredulità. Gesù percorreva i villaggi d'intorno, insegnando.
Il
brano di questa domenica(1) riferisce dell’incontro tra Gesù, ormai conosciuto
come Maestro, con i propri concittadini che lo avevano visto crescere in mezzo
a loro. Il brano è ripreso sia da Matteo (Mt
13,53-58) che da Luca (Lc 4,16-30);
ma mentre il primo ricalca lo schema di Marco, Luca motiva in modo diverso la
reazione della popolazione di Nazareth facendola dipendere dalla incompleta
lettura del brano di Isaia che ne frustra le aspirazioni(2).
L’intenzione di Marco, invece, è quella di
presentare ancora una volta la triste situazione del popolo sottomesso
all’autorità religiosa.
“Partì di là e venne nella sua patria
e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella
sinagoga.” Gesù si
trova molto probabilmente a Cafarnao e decide di recarsi a Nazareth distante
pochi chilometri. Però Marco evita di nominare Nazareth, perché ciò che sta per
accadere non sia relegato nel piccolo paese di Nazareth, ma possa estendersi a
tutta la nazione di Israele.
Insieme ai discepoli, il sabato si reca in sinagoga e,
come era consentito dalla Legge a qualunque maschio adulto, prende la parola.
Era un maestro ormai conosciuto e quindi ne approfitta per insegnare; è la seconda volta
che Gesù, nel vangelo di Marco, insegna in una sinagoga.
La prima volta a Cafarnao l’esito era stato
positivo, aveva addirittura convinto un fondamentalista, la gente era rimasta
stupita, avevano detto “questo sì che ha autorità, non i nostri scribi” (Mc 1,21-22). Queste valutazioni avevano
gettato discredito sui teologi ufficiali, sugli scribi, che erano passati al
contrattacco, mettendo in guardia la gente: attenti a quest’uomo, a questo
Gesù, perché è vero che vi guarisce, ma lo fa per infettarvi ancora di più,
perché è uno stregone, agisce per opera di Beelzebùl, il dio delle malattie (Mc 3,22).
Il popolo, se inizialmente ha uno
sbandamento, poi si convince che gli scribi hanno ragione: è più semplice, è
più rassicurante che ragionare con la propria testa. Il popolo non può
permettersi di avere un’opinione propria, è troppo complicato, meglio pensare
esattamente quello che le autorità decidono che deve pensare: se le autorità
impongono che quello che è bianco è nero, il popolo deve credere così. Questo è quello che Gesù chiamerà il peccato
contro lo Spirito Santo (Mt 12,31).
“E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono
queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come
quelli compiuti dalle sue mani?”. La gente rimane stupita del suo insegnamento, ma non c’è
una reazione positiva, e si chiedono “da dove gli vengano queste cose?”. Non
riescono a percepire la validità del discorso di Gesù perché è in contrasto con
l’indottrinamento ricevuto dalle autorità religiose. E si stupiscono dei
prodigi e dicono che “sono compiuti dalle sue mani”, come se Gesù fosse
uno stregone.
“Non è costui il falegname, il figlio
di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue
sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.” Evitano di nominare
Gesù, si riferiscono a lui con profondo disprezzo “Non è costui”, quindi
evitano di pronunciare il nome e poi passano all’offesa, lo chiamano “il
figlio di Maria”.
Un figlio, nel mondo palestinese, veniva
sempre chiamato con il nome del padre, anche quando il padre era defunto; quindi
avrebbero dovuto dire “non è il figlio di Giuseppe?”; ma ignorano Giuseppe.
Dire che qualcuno è il figlio di una donna significa che la paternità è dubbia
e incerta(3), il che comporta un giudizio negativo sulla stessa
madre. E dalle offese passano all’esame della realtà, elencando i suoi fratelli
e sorelle e, conclude l’evangelista, tutto questo per loro “era motivo di
scandalo”: un uomo con queste
semplici origini non può mettersi a predicare pretendendo di sovvertire
quello che altri, ben più importanti ed istruiti di lui, avevano stabilito!
La situazione del popolo è tremenda: pur
avendo ascoltato l’insegnamento di Gesù, non ne percepiscono la novità perché
le autorità religiose, per non andare contro il proprio interesse (loro sì che hanno
capito chi è Gesù, ma se lo riconoscono perdono l’influsso e il prestigio sul
popolo) hanno detto che Gesù opera per azione di Beelzebùl, il dio del letame(4),
colui che porta le malattie.
“Ma Gesù disse loro: «Un profeta non
è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua»”.
Questa è la conclusione amara di Gesù che fa
eco a quello che c’è scritto nel vangelo di Giovanni: “Egli venne tra i suoi,
ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,11). E’ il destino dei profeti; in nome del Dio del passato le autorità religiose non riconoscono mai il
Dio che si manifesta nel presente. I profeti sono coloro che allargano
lo spazio, dilatano la conoscenza di Dio, ma sono proprio le autorità religiose
che, in nome di una malintesa tradizione, non accolgono e non riconoscono
questa novità di Dio e il popolo è sottomesso a questa loro tradizione.
“E lì non poteva compiere nessun
prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava
della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d'intorno, insegnando”.
Se non c’è partecipazione, fiducia, fede,
Gesù non può compiere nulla se non nei confronti di quei pochi che si
distaccano dal sentire comune, che continuano ad usare la propria testa.
Vedendo
l’oppressione dell’istituzione religiosa sul popolo, la tristezza di Gesù è
grande: quelli che si erano posti come rappresentanti
di Dio sono quelli che impediscono la conoscenza di Dio al popolo(5).
Note: 1. L’esegesi di questo brano è
stata fatta elabornado liberamente un’omelia di P. Alberto Maggi. – 2. In Lc 4,16-30 Gesù legge Is 61 fermandosi alla “proclamazione dell’anno di grazia del
Signore” ed ignorando i rimanenti versetti che riguardano la ricostituzione
del regno di Israele e la sua vittoria su tutti i popoli pagani, cosa che tutti
gli Israeleiti aspettavano come compito principale del Messia. Per Luca, quindi,
la reazione negativa della popolazione è dipesa dalla scarsa considerazione
mostrata da Gesù nei confronti delle loro speranze di grandezza e di rivalsa. –
3. Qui non si fa riferimento alla nascita virginale di Gesù; infatti il vangelo
di Marco si disinteressa completamente della nascita e dell’infanzia di Gesù e
inizia la descrizione teologica della sua vita dai primi passi nella
predicazione. Occorreranno almeno altri trenta - quaranta anni prima che si
consolidi la tradizione della nascita virginale con il vangelo di Matteo
(quello di Luca è invece controverso su questo tema). – 4. Oppure il dio delle
mosche, a seconda di come lo si pronuncia, ma il significato non cambia visto
che le mosche sono attratte dal letame. – 5. Di fronte a questo brano il pensiero
passa immediatamente alla situazione della Chiesa cattolica negli ultimi
quaranta anni nei quali gli esponenti della tradizione distruggono giorno dopo
giorno le novità portate dal Concilio Vaticano II, allontanando il popolo dalla
fede.