XXVII Domenica del Tempo
Ordinario – Mc 10,2-16
Alcuni farisei si avvicinarono e,
per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la
propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero:
«Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse
loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma
dall'inizio della creazione li fece
maschio e femmina; per questo
l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola.
Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello che
Dio ha congiunto». A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo
argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra,
commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un
altro, commette adulterio».
Gli presentavano dei bambini perché
li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo,
s'indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo
impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi
dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà
in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di
loro.
Per Marco
tutto il popolo di Israele è come un malato che necessita della guarigione ad
opera di Gesù. La malattia mortale che soffre il popolo è causata dai sacerdoti
che anziché presentare il Dio liberatore deturpano il volto del Signore
presentandolo come un tiranno: “Perisce
il mio popolo per mancanza di conoscenza. Poiché tu rifiuti la conoscenza,
rifiuterò te come mio sacerdote” (Os
4,6). E’ il caso del brano di questa domenica.
“Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano
se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie.”
Puntualissimi(1),
ogni volta che Gesù cura, guarisce o libera il popolo, compaiono coloro che non
tollerano questa liberazione che sottrae la gente al loro influsso e diminuisce
il loro prestigio (Mt 9,14;12,2;15,1;16,1).
La domanda che i farisei pongono a Gesù non è volta a un apprendimento, ma è un
agguato. Essi non intendono tanto controllare la sua ortodossia, ma fargli fare
la stessa fine di Giovanni il Battista che era stato decapitato dal tetrarca
Erode. Erode era infatti ossessionato dalla figura di Gesù che vedeva come il
Battista “risorto dai morti” (Mt 14,2). Ma Gesù è più pericoloso di
Giovanni il Battista.
Mentre
Giovanni accusava Erode non tanto per aver ripudiato la legittima moglie,
azione che la Torah, la Legge, consentiva, quanto per essersi sposato con sua
cognata Erodiade (Mt 14,1-12), fatto
severamente proibito dalla Legge (Lv
20,21).
Il
ripudio era ammesso dalla Legge, e nessuno lo metteva in discussione, seppure
era controversa l'interpretazione delle cause che consentivano all’uomo di
ripudiare la moglie per poi potersi nuovamente sposare legittimamente.
Lo
scioglimento del matrimonio non presentava in Israele grandi difficoltà: “Una donna è una piaga per suo marito? La
ripudi e così sarà guarito!” (cfr.2 Yeb. B. 63b) sentenzia il Talmud, dove un intero trattato (“Ghittin”, da ghet, ripudio) è dedicato
all'esame dei casi di ripudio(3).
Il testo
che permette il ripudio è Dt 24,1: “Quando un uomo ha preso una donna e ha
vissuto con lei da marito, se poi avviene che essa non trovi grazia ai suoi
occhi, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso [in ebraico
'erwat dabar], scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la
mandi via dalla casa”.
Il
problema era sapere a che cosa si riferiva il legislatore con “qualche cosa di
vergognoso” (la traduzione letterale di 'erwat
dabar è “nudità di una cosa”).
All’epoca
di Gesù le due principali interpretazioni si rifacevano ai due rabbi
antagonisti: Shammai e Hillel. Il primo sostenitore di un'interpretazione
rigida della Legge e l'altro più di manica larga. I discepoli di Shammai
insegnavano che “non si ripudia la
propria moglie se non perché si trova in lei qualcosa di vergognoso” (Sifr. Dt 24,1 269.122a), e per
vergognoso intendevano un comportamento indecente, in pratica l'adulterio.
I seguaci
di Hillel, al contrario, insegnavano che l'uomo può rimandare la propria moglie
“anche se ha lasciato bruciare il
pranzo...” (Git. M. 9,10). Inoltre
un altro rabbi, Rabbi Aqiba, insegnava che “se
poi avviene che essa non trovi grazia ai suoi occhi” significa che l’uomo
può ripudiare la moglie “anche se trova
un’altra donna più bella di lei” (Ghit.
9,10)
Le due
scuole rabbiniche, pur divergenti nelle motivazioni delle cause del ripudio,
consideravano legittimo per l'uomo prendere una nuova moglie, in quanto l'uomo
è fatto per la riproduzione che è un preciso precetto divino: “siate fecondi e moltiplicatevi” (Gen 1,28).
I farisei
chiedono a Gesù, che non ha mai considerato la Legge in senso restrittivo, se
anche lui è d'accordo con Hillel che la moglie può essere ripudiata anche per
un futile motivo. La domanda dei farisei è subdola: se Gesù si pronuncia a
favore del ripudio ottiene il facile consenso della folla, ma rinnega quanto
insegnato nel discorso della montagna(4). Se Gesù si dichiara contro
la pratica del ripudio va contro la Torah e accresce l’ostilità di Erode nei
suoi confronti.
“Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha
permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per
la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall'inizio
della creazione li fece maschio e
femmina;…”. I farisei, che passano il giorno e la notte a leggere la
Scrittura, di fatto non la capiscono e non la intendono, perché criterio di
comprensione della Scrittura è il bene dell'uomo. Gesù ignora le divisioni
teologiche delle varie scuole rabbiniche e tralascia pure la stessa Legge di
Dio espressa nel libro del Deuteronomio per risalire direttamente alla volontà
del Creatore.
Ancora
una volta il conflitto è tra un Dio Creatore e uno Legislatore. Gesù senza
esitazione si pone dalla parte del Creatore e del suo piano originario sulla
creazione.
Nella sua
risposta Gesù utilizza, unendoli, i due racconti della creazione contenuti nel
libro del Genesi. Mentre nella prima narrazione, nata nei circoli profetici(5),
si parla creazione di una coppia, alla pari, da parte di Dio, che “creò l’uomo a sua immagine; a immagine di
Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gen 1,27), nella seconda,
elaborata in ambiente sacerdotale(6), viene corretta questa linea
teologica troppo ardita. Prima viene creato l’uomo, e la donna non è creata
alla pari dell’uomo, ma solamente la “plasmò
con la costola che aveva tolta all’uomo”, per questo “la si chiamerà donna [in ebraico ’iššah] perché dall’uomo [in ebraico
’iš] è stata tolta” (Gen 2,21-23).
Gesù ignora questa seconda parte nella quale la donna è inferiore all’uomo, e
cita solo la conseguenza:
“…per questo l'uomo lascerà suo
padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola.” Ciò che
dà all’uomo la forza di staccarsi dalla propria famiglia, è il bisogno di
ricostituire l’unità della propria persona con la parte mancante, la donna.
Solo un
amore più grande di quello scambiato con i propri genitori consente di rompere
il vincolo con la casa paterna e riesce a fondere in un solo essere due
distinte persone. Inoltre ogni componente della coppia manifesta al proprio
coniuge quell’amore e quella protezione che prima veniva esercitata dalla
famiglia originaria. La base di tutto il ragionamento di Gesù è l’amore
reciproco tra gli sposi che costituisce l’unico cemento della coppia.
“Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello
che Dio ha congiunto».”
Gesù
sottolinea l’affermazione del Genesi, ribadendo che l'uomo e la donna, due
differenti individui, sono chiamati a fondersi in un'unica persona. La donna
non è più proprietà del marito ma carne della sua carne (Gen 2,23), sua compagna con uguale dignità. In questa nuova realtà
si esclude ogni forma di superiorità di una parte sull’altra. Colui che ripudia
la propria moglie mutila e diminuisce se stesso.
Quello
dunque che Dio, l’amore in persona, ha congiunto, l'uomo non lo separi. Questa
unità, volontà di Dio, non può essere eliminata per l'iniziativa dell'uomo. E’
una profonda critica a Mosè perché è stato l’uomo che ha osato separare quel
che Dio aveva congiunto, e che, permettendo il ripudio, con la sua legge ha
annullato il progetto divino.
Ancora
una volta Gesù si collega al filone profetico del Dio creatore e la sua presa
di posizione richiama quanto scritto nel libro del profeta Malachia: “Non fece egli un essere solo dotato di
carne e soffio vitale? Che cosa cerca quest'unico essere, se non prole da parte
di Dio? Custodite dunque il vostro soffio vitale e nessuno tradisca la donna
della sua giovinezza. Perché io detesto il ripudio, dice Yahvé Dio d'Israele”
(Ml 2,15).
Gesù si è
richiamato direttamente al Dio Creatore e al suo progetto di unità tra l’uomo e
la donna, ma quel che egli afferma è in contrasto con la realtà matrimoniale
ebraica dove l’uomo era l’indiscusso padrone della moglie: mentre per marito si
usava il termine ba'al
(padrone/proprietario) alla moglie era riservata la qualifica di be'hulah (posseduta).
“A casa, i discepoli lo interrogavano
di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne
sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito,
ne sposa un altro, commette adulterio».”
Quel che
allarma i discepoli è il ridimensionamento della Legge di Mosè già compiuta da
Gesù nel discorso della montagna. Secondo la tradizione religiosa ogni parola
della Legge veniva da Dio stesso, Mosè aveva avuto il semplice ruolo di
esecutore della volontà di Dio ed era inaccettabile distinguere alcune parti
affermando che provenivano da Mosè anziché dal Signore: “Chi assicura che la Torah non viene dal cielo, almeno in quel testo e
che Mosè e non Dio lo ha detto.. verrà sterminato in questo mondo e nel mondo a
venire” (Sanh. B. 99a).
L'affermazione
di Gesù suona a bestemmia perché osa contraddire quanto scritto nella Sacra
Scrittura dove Dio stesso emana la Legge, compresa quella del ripudio, e
comanda di metterle in pratica: “Yahvé
tuo Dio ti comanda di mettere in pratica queste leggi e queste norme” (Dt
26,16).
Per Gesù
quel che è scritto nella Legge non manifesta la volontà di Dio, ma è un
cedimento alla testardaggine del popolo, e quindi non gode di alcuna autorità
divina. Gesù rimprovera i farisei di trascurare il comandamento di Dio per
osservare la tradizione degli uomini (Mc
7,8).
Rimproverando
i farisei per la loro durezza di cuore, Gesù si richiama alla generazione
dell’esodo, tutta perita nel deserto proprio per “l’ostinazione del loro cuore” (Sir
16,9). E’ la generazione che non ascolta i profeti di Dio perché non
ascolta il Signore stesso (“Gli Israeliti
non vogliono ascoltare te, perché non vogliono ascoltar me: tutti gli Israeliti
sono di dura cervice e di cuore ostinato” Ez 3,7).
In questo
vangelo la frase di Gesù non conosce alcuna eccezione e neanche il vangelo di
Luca; l’unico ad ammettere un’eccezione è Matteo. Questo perché le comunità
cristiane non hanno ritenuto i vangeli un codice di comportamento fissato una
volta per sempre, bensì un testo vivente, in crescita, al quale ogni comunità
era tenuta ad aggiungere e arricchire la propria esperienza di Gesù risorto.
La parola
di Gesù non è stata considerata la lettera che uccide ma lo Spirito che
vivifica (2Cor 3,6), per questo
l’evangelista Matteo introduce nella comunità cristiana un caso che può
giustificare il ripudio, quella della “porneia”.
La Chiesa primitiva all’eccezione riportata da Matteo aggiungerà presto anche
quella di Paolo che affronta una nuova situazione nell’ambito della comunità:
quella di coppie dove uno solo dei coniugi è credente.
Nella
Prima Lettera ai Corinti si legge: “Se il
non credente vuole separarsi, si separi(7); in queste circostanze il
fratello o la sorella non sono sottomessi a schiavitù; Dio vi ha chiamati alla
pace” (1Cor 7,27).
La pace,
cioè la felicità viene prima del vincolo matrimoniale. Questo deve produrre e
manifestare felicità, quando avviene il contrario cessa di esistere. E’ questo
il “privilegio paolino” col quale si
autorizza lo scioglimento del matrimonio.
L’eccezione
della “porneia” non si identifica con quella ammessa dalla legislazione del
Deuteronomio. Il termine greco scelto da Matteo è passibile di diverse
interpretazioni che vanno dalla fornicazione (cioè congiunzione carnale con
prostitute), al concubinato, all'impudicizia, alla prostituzione, all’unione
illegale e all'adulterio. Inoltre nel linguaggio profetico l’idolatria e
l’infedeltà nella quale cadeva spesso il popolo d’Israele, è definita “porneia”
nella traduzione greca detta dei Settanta, (Os
4,10-12) e la Chiesa primitiva ha inteso anche in questo senso l’adulterio:
“Non si ha adulterio solo se uno corrompe
la propria carne, ma anche chi compie cose simili ai pagani è un adultero” (Pastore di Erma, 4 Precetto, 39, 19,9).
Nel mondo
giudaico l’uomo era obbligato a ripudiare la moglie adultera (“Chi tiene la moglie adultera è uno stolto
e un empio”, Pr 18,22 LXX). Per Gesù, dato che è l’amore l’unico collante
della coppia, l’unico motivo che può sciogliere il vincolo matrimoniale è la
constatazione evidente che esso non esiste più. Ciò può avvenire con
l’adulterio, che non va inteso come colpa occasionale, ma come scelta
definitiva di uno dei coniugi di un altro partner. E’ l’amore quel che realizza
l’unione tra i due. Senza amore cessa l’unità e con esso il vincolo
matrimoniale.
E’ questa
la scelta di Girolamo, primo traduttore della Scrittura e tra i primi
traduttori e commentatori del vangelo: “Solo
l’adulterio può vincere l’amore alla propria moglie. Quella carne che era una
ella l’ha divisa unendosi a un altro, il suo adulterio l’ha separata dal
marito… Dunque, ovunque vi è adulterio… si è liberi di ripudiare la moglie”
(Girolamo, Com. Mat. Lib. 3,19,9).
Il
matrimonio è una scelta d’amore e come tale esiste finché l’amore è presente,
manifesto e operante. Se questo amore viene meno, viene meno anche il
matrimonio che non può sussistere laddove c’è indifferenza, freddezza, o
addirittura l’avversione e l’odio. Il Dio che ci “ha chiamati alla pace” (1Cor 7,15) non può imporre ai suoi figli
un’esistenza infelice.
“Gli presentavano dei bambini perché
li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo,
s'indignò e disse loro:…”
Gesù, come altre volte, prende sempre le
difese della parte più debole, e qui Marco vuole rimarcare questo: infatti gli
presentano dei bambini, dei garzoni, e i discepoli lo rimproverano perché non
vogliono che Gesù accolga anche queste persone che sono considerate le nullità
della società. Marco qui riferisce una dichiarazione importantissima di Gesù: “…«Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come
loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie
il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E,
prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.”
I bambini, i ragazzini, i garzoni a
quell’epoca erano esseri insignificanti, gli ultimi della società; a questi
discepoli, che sono animati dal desiderio di ambizione, di essere i più grandi,
Gesù ricorda che il Regno di Dio, cioè la comunità dove Dio governa gli uomini
è proprio quella degli ultimi della società. Quindi quelle persone che vengono
considerate gli ultimi, sono in realtà i primi ad entrare nel Regno del
Signore.
Note: 1. L’esegesi che segue è stata liberamente tratta dagli
appunti che P. Alberto Maggi OSM ha redatto
nel novembre del 2000 in preparazione della conferenza “Legge o bene dell’uomo” tenutasi poi a Cefalù. - 2. Il rifetimento di seguito riportato, come altri
similari citati in altre pagine, è relativo al Talmud. – 3. La legislazione del ripudio era basata esclusivamente sul diritto
dell'uomo: “La donna può essere ripudiata
lo voglia o no” (Yeb. M. 14,1). –
4. “Fu
pure detto: «Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto del ripudio». 32Ma
io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione
illegittima, la espone all'adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette
adulterio.” (Mt 5,31-32). – 5. Il cosidetto documento Jahvista. – 6. La
prima stesura è del X secolo a.C. circa; la stesura sacerdotale è del VI secolo
a.C. durante la prigionia in Babilonia. – 7. Mi corre
l’obbligo di ricordare che il concetto di separazione tra coniugi senza rottura
del vincolo matrimoniale è un concetto moderno ed esclusivamente italiano che è
entrato nell’uso dopo il 1100 d.C. Per il diritto canonico il matrimonio
legittimamente contratto era indissolubile. L’unica forma di separazione
ammessa era la separatio
quoad thorum et coabitationem anche detta separatio
thori; questo istituto giuridico era stato creato nel XII secolo e
prevedeva la possibilità per i coniugi di ottenere un’interruzione temporanea o
perpetua del debito coniugale e della coabitazione. Ne consegue che, quando Paolo parla di separazione
intende la rottura del vincolo matrimoniale. (Cfr. sulla
storia e l’evoluzione dell’istituto della separatio thori G. di Renzo Villata, Enciclopedia
del Diritto, XLI, Giuffré, Roma, 1989).