1. Quaresima e anno liturgico
L’anno liturgico è la
celebrazione dell’azione salvifica di Cristo realizzata mediante una
commemorazione sacra (o memoriale) in giorni determinati, nel corso dell’anno.
La Chiesa, quindi, mediante la liturgia, continua ad attuare, nei suoi tempi e
con i suoi riti, le azioni di salvezza operate da Gesù.
L’anno liturgico non
è dunque una serie di idee o di feste, ma è una persona, Gesù Cristo, il cui
dono di salvezza viene offerto e comunicato nei diversi aspetti sacramentali
che caratterizzano lo svolgersi del calendario cristiano. Centro e riferimento
assoluto di tutto l’anno liturgico è il mistero pasquale della passione, morte,
risurrezione e ascensione di Gesù.
I primi cristiani non
conobbero altra festa liturgica che quella della domenica: il giorno della
celebrazione del Cristo vivo. Per questo motivo la domenica è considerata la
"festa primordiale". Solo dopo il secondo secolo si riscontrano
testimonianze riguardanti la speciale celebrazione della risurrezione di Cristo
in una Domenica prefissata.
Tutto l’anno
liturgico ruota intorno alla celebrazione pasquale domenicale e annuale.
Pertanto la quaresima è quel tempo liturgico durante il quale il cristiano si dispone, attraverso un cammino di conversione e purificazione, a vivere in pienezza il mistero della risurrezione di Cristo nella sua memoria annuale.
Pertanto la quaresima è quel tempo liturgico durante il quale il cristiano si dispone, attraverso un cammino di conversione e purificazione, a vivere in pienezza il mistero della risurrezione di Cristo nella sua memoria annuale.
Una domanda sorge
immediata: se è comprensibile la necessità del cammino di conversione, perché è
necessario anche un cammino di purificazione e soprattutto, purificarsi da che?
2. Spiritualità, purificazione e
mortificazione
Il concetto della purificazione appartiene alla tradizione
ebraica; non si poteva compiere atti liturgici se non si raggiungeva un preciso
livello di purità rituale. Gesù è
sempre stato contrario a questa tradizione e vi si è opposto con ogni mezzo
dimostrando come questa fosse contraria all’uomo e non in suo favore. Un
esempio eclatante di questo atteggiamento è la parabola detta del “buon
samaritano” (Lc 10,27-37) in cui il
sacerdote ed il levita, per mantenere la propria purità rituale, preferiscono
ignorare la sofferenza della persona aggredita dai briganti condannandola a
morte certa.
I temi della spiritualità, della purezza e della mortificazione
hanno viaggiato sempre a braccetto nella nostra povera Chiesa cattolica. Questi
temi, inoltre, sono quelli che, da ragazzo, mi hanno fatto comprendere che
esisteva qualcosa di travisato in tutto quello che si predicava. Un qualcosa
che andava contro l’uomo e non per l’uomo.
Le tradizioni nefaste che abbiamo avuto in eredità dal passato
hanno distrutto il senso vero e profondo della spiritualità trasformandola in
un qualcosa di contrapposto alla carnalità e alla felicità umana; questa
contrapposizione risulta del tutto innaturale perché l’uomo è una persona che
non può dividersi in due e separare lo spirito dalla carne. Egli è un tutt’uno
e come tale deve vivere per aspirare alla felicità in questa vita e
all’abbraccio del Padre nell’altra.
Per essere persone spirituali, secondo la tradizione, bisognerebbe
rinnegare quindi una parte importante, essenziale della propria vita che è
quella dei sensi, del piacere, della sessualità: basti pensare alla morale
cattolica che è estremamente rigorosa sulla sfera della sessualità sulla quale,
però, Gesù, nei vangeli, non ha mai detto una parola.
Gesù, invece, si è scagliato, e con una durezza verbale che non ha
paragoni, sulla sete del potere, degli onori, del denaro. Questi sono gli
aspetti sui quali Gesù si è battuto in maniera violenta e che spesso vengono,
secondo me colpevolmente, taciuti.
Ringraziando Dio, che penso fatichi sette camicie a raddrizzare la
strada che noi ci intestardiamo a percorrere, c’è sempre stato nella storia
della Chiesa un filone di persone che hanno accettato il vangelo come base
della loro vita.
Prendiamo ad esempio due personaggi che hanno influito profondamente,
uno nel bene e l’altro nel male, nella spiritualità cristiana: uno si chiamava
Giovanni, era un uomo di Assisi che, quando ha incontrato il Vangelo, se ne è
innamorato al punto da trasformare la sua esistenza e ha fatto della sua vita
veramente un canto di lode al Signore.
L’altro si chiamava Lotario dei Segni, era un conte, una persona funerea,
forse psichicamente disturbata, che purtroppo ha scritto un libro che è
divenuto un best-seller per secoli e secoli, devastando la vita dei credenti.
Il vangelo lo avevano tutti due, uno l’aveva accettato, l’altro se
ne era allontanato. Uno è diventato santo (quello che era innamorato del vangelo)
con il nome di Francesco, l’altro è diventato papa, papa Lotario(1).
Entrambi avevano il vangelo: Francesco vedeva il mondo con gli
occhi di Gesù ed era portato ad amare; l’altro scrisse un libro allucinato, ”Il disprezzo del mondo”, di cui riporto
soltanto alcune righe tanto per avere l’idea del suo pensiero:
“… l’uomo
viene concepito dal sangue putrefatto per l’ardore della libidine e si può dire
che già stanno accanto al suo cadavere i vermi funesti; da vivo generò
lombrichi e pidocchi, da morto generò vermi e mosche. Da vivo ha creato sterco
e vomito, da morto produrrà putredine e fetore, da vivo ha ingrassato un unico
uomo, da morto ingrasserà numerosissimi vermi … felici quelli che muoiono prima
di nascere e che prima di conoscere la vita hanno provato la morte. Mentre
viviamo, continuamente moriamo e finiremo di essere morti allorquando finiremo
di vivere perché la vita mortale altro non è che una morte vivente”.
Questo libro determinò la spiritualità cristiana per secoli.
Tutto il contrario di Francesco che, uomo solare, uomo innamorato
del vangelo, chiama fratello anche il fuoco del chirurgo che con un ferro
rovente cercava di cicatrizzargli le palpebre (lui soffriva di malattie agli
occhi) ed è arrivato a chiamare sorella perfino la morte.
Non ho il coraggio di scusare gli errori del passato dicendo: ma
erano figli del tempo. Il vangelo è identico, i risultati sono opposti: Lotario
comandò la crociata per andare ad uccidere gli infedeli, Francesco andò a
parlare al sultano per portare anche a lui la buona notizia.
(segue
la prossima domenica)
Nota: 1. Eletto al soglio pontificio nel
1198 con il nome di Innocenzo III, muore nel 1216. Nel Il disprezzo del mondo (De
contemptu mundi) grava un senso di angoscia e di disperazione, appena attenuata dalla
speranza nella salvezza eterna; il libro che conobbe un immenso successo fino
al XVII secolo, quando Pascal ne riprese la tematica in modo del tutto nuovo.
Nel descrivere la miserabile condizione dell'uomo, corrotto dal peccato fin dal
momento della nascita, il linguaggio di Lotario assume toni di allucinato e
violento realismo che a tratti fanno pensare a un Góngora o a un John Donne. Ci
si può chiedere allora se il futuro organizzatore della crociata contro gli
Albigesi non condividesse in qualche misura, nel suo intimo, la pessimistica
visione catara di un creato in balia del Principe delle tenebre. Tale visione
ha marcato l'Occidente cristiano finendo per generare un'idea dualistica per
cui spirito e corpo sono contrapposti come il bene al male e il corpo
coinciderebbe con il male stesso. Visione tipicamente gnostica e sicuramente
non cristiana. Tutto ciò è profondamente distante dalla luminosa visione
testimoniata nella maggioranza degli scritti patristici. Il pensiero di Lotario
ha dunque contribuito a distanziare l'Occidente dalla serena prospettiva della
Chiesa antica e dall'Oriente cristiano che la incarna, al quale la Chiesa
cattolica attribuisce ancor oggi, sbagliando vistosamente, un "eccessivo
ottimismo antropologico".