Parte seconda di 2. Spiritualità,
purificazione e mortificazione
I danni prodotti da questo tipo letteratura (quello riportato è
solo un esempio della produzione di quei secoli1) sono stati incalcolabili
perché hanno spinto la teologia ad occuparsi più della sofferenza che della
gioia, più della mortificazione che del piacere, più del pianto che del riso.
E la felicità dov’è? La felicità è nell’aldilà: la predicazione
della Chiesa insegnava che più si soffriva di qua, più si era felici
nell’aldilà, perché la felicità non è di questo mondo.
Possibile che nessuno si era accorto che Gesù proclamava una
spiritualità completamente diversa? Gesù non accetta la spiritualità del dolore
e spinge alla spiritualità della gioia come si dimostra facilmente mettendo a
confronto la massima espressione della fede nell’Antico Testamento, cioè
Giovanni il Battista, e Gesù.
Gesù dice di Giovanni il Battista: è il più grande dei nati tra
figli di donna (Mt 11,11);
Giovanni, quando appare, annunzia un battesimo di penitenza, cioè un
cambiamento radicale nella persona, che è finalizzata alla richiesta di perdono
dell’offesa fatta a Dio. L’azione di Giovanni Battista è tutta rivolta verso
Dio.
Dopo Giovanni appare Gesù; nei vangeli vengono date due
definizioni di Gesù che non si contraddicono, ma si completano a vicenda: Gesù
è il figlio di Dio e Gesù è il figlio dell’uomo.
Il prologo nel vangelo di Giovanni(2) contiene, proprio
sul finire, una affermazione che deve essere stata sconcertante per i lettori
di allora (oggi pochi lettori la notano): Dio nessuno l’ha mai visto, solo
il figlio unigenito ne è la spiegazione (Gv
1,18). L’affermazione di Giovanni sembra assolutamente inesatta: la Bibbia,
parola di Dio, afferma che Mosè e almeno altri settanta anziani hanno visto Dio.
Ma l’evangelista dice che Dio nessuno l’ha mai visto perché tutte le
rivelazioni dell’Antico Testamento sono nulla, al confronto del volto di Dio
che Gesù ha mostrato.
Giovanni, affermando in maniera perentoria che Dio nessuno lo ha
mai visto e solo Gesù ne è la rivelazione, sta dando una indicazione fondamentale:
non è Gesù che è uguale a Dio, ma Dio è
uguale a Gesù.
Questo è il vero punto di partenza per la spiritualità cristiana:
l’affermazione che Gesù è uguale a Dio comporta che ho già una idea di chi è
Dio, derivata dalla tradizione religiosa, dalle devozioni o da altro,
altrimenti il paragone non sarebbe possibile. Ma se invece affermo che Dio è
uguale a Gesù devo accantonare tutto quello che credo di sapere di Dio e devo concentrare
la mia attenzione soltanto su Gesù, su quello che ha fatto e su quello che ha
detto. Solo così si può capire chi è Dio; più avanti, sempre nello stesso Vangelo
uno dei discepoli, Filippo, gli chiederà: “«Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose
Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha
visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre»” (Gv 14,8-9).
Per far comprendere l’azione di Dio, Gesù fa questa affermazione:
se non credete, credetelo se non altro per le opere che io faccio (Gv 10,37). Se leggiamo i vangeli vediamo
che le opere di Dio sono tutte a favore del bene dell’uomo. Quando Gesù nella
sua esistenza si è trovato in conflitto tra la dottrina e il bene dell’uomo,
tra la legge e l’amore dell’uomo, Gesù non ha avuto nessuna esitazione: Gesù si
è sempre posto a fianco del bene dell’uomo; Cristo applica sempre la Torà, la Legge(3),
filtrandola attraverso il criterio dell’effetto che essa può avere sull’uomo.
Prendiamo, a questo proposito, il caso dell’uomo dalla mano inaridita: Mc 3,1-6.
Rivediamo la scena:
nella sinagoga vi è un paralitico; Gesù entra nella sinagoga e, lungo i muri
dove si trovano i sedili, ci sono altri che stanno ben attenti per vedere se
Gesù guarisce quest'uomo, dice il vangelo, "per denunciarlo".
A queste persone non
interessa il bene dell'uomo: interessa che la legge non venga trasgredita; che
poi l'uomo soffra ha poca importanza: sofferenza più, sofferenza meno,
acquisterà più meriti di fronte a Dio.
Gesù dice all'uomo
dal braccio inaridito: "Mettiti in mezzo". Questo è un atto
importantissimo; spesso, leggendo i vangeli, noi occidentali, noi uomini del
2000 non siamo in grado di cogliere quei particolari che l'evangelista pone per
rendere comprensibile il significato di quello che scrive; erano cose di
comprensione immediata nel suo tempo, ma a noi, oggi, possono sfuggire. "In
mezzo alla sinagoga" era il luogo dove era posizionato un palo o un
treppiede cui venivano appesi i rotoli della Torah. Intorno ai libri sacri, che
stavano in mezzo, vi erano i fedeli in adorazione. Potremmo fare un paragone
con il tabernacolo delle nostre chiese, anche se il paragone è improprio.
Gesù mette in mezzo
l'uomo paralizzato, al posto della Legge: nella vita del cristiano, il primo
posto lo deve occupare sempre l’uomo a cui donare amore. E’ un atto
fondamentale che dovrebbe guidare tutta la nostra vita.
L'insegnamento è
questo: non è la legge il criterio che ci dice se siamo o no in comunione con
Dio, ma è il bene che si fa all'uomo.
Gesù mette un uomo in
mezzo alla sinagoga dove c'era la legge. Il criterio di scelta tra il bene e il
male non viene dato da un codice esterno all'uomo, ma è dall’uomo stesso!
Questa centralità
dell'uomo sarà causa della condanna a morte di Gesù.
C’è un altro aspetto che vorrei esaminare: da ragazzo ho vaghi
ricordi dei così detti “fioretti”, delle rinunce a cui si era chiamati per
acquisire meriti. Da adulti la cosa diviene ancora più impegnativa e si parla
di penitenza, mortificazione, croci da portare.
La domanda che sorge è: è Dio, o meglio, è Cristo che chiede
queste mortificazioni?
Se leggo i Vangeli, la risposta sembra più sul
no che sul si. Leggiamo questi tre brani:
Come il Padre ha
amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei
comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del
Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia
in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate
gli uni gli altri, come io vi ho amati (Gv 15,9–12).
Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti
pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. Vedendo
ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia insieme
ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù li udì e disse: «Non sono i sani che hanno
bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi:
Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i
giusti, ma i peccatori».
Allora gli si
accostarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché, mentre noi e i
farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano?». E Gesù disse loro:
«Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro?
Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno(4)
(Mt 9,10–15).
Gesù disse loro:
«Dategli voi stessi da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque
pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa
gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai discepoli:
«Fateli sedere per gruppi di cinquanta». Così fecero e li invitarono a sedersi
tutti quanti. Allora egli prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi
al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai discepoli perché li
distribuissero alla folla. Tutti mangiarono e si saziarono e delle parti loro
avanzate furono portate via dodici ceste (Lc 9,13–17).
Annoto
di seguito i punti fondamentali di questi tre brani: “Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia
sia piena”. “Misericordia io voglio e non sacrificio”. “Tutti mangiarono e si
saziarono”.
(segue
la prossima domenica)
Note: 1. Un altro libro devastante che
ha influito per secoli si chiamava “L’imitazione di Cristo” di cui non si
conosce l’autore, anche se può essere posizionato in un ambiente monastico tra
il XIII ed il XIV secolo. Anche questo è stato un libro devastante e pessimista.
Soltanto una immagine: “la mattina fa
conto di non arrivare alla sera e
quando poi si farà sera, non osare sperare nel domani, sii dunque sempre pronto”.
– 2. Si intende ovviamente Giovanni apostolo ed evangelista. L’omonimia
può creare confusione. – 3. La Legge è ripotata nei Libri dell’Esodo, del
Deuteronomio e del Levitico. – 4. Attenzione a non interpretare in modo
distorto questa frase: Gesù non sta dicendo che, una volta morto, inizia per
l’uomo il periodo della mortificazione. Sta dicendo che i giorni della sua
passione e morte i suoi amici digiuneranno perché, di fronte a tanta
sofferenza, non avranno certo voglia di mangiare.