1. Premessa
L’Eucaristia (εὐχαριστία = "rendimento di
grazie") è il sacramento fondante del cristianesimo, in cui, sotto le
specie del pane e vino, si contengono il corpo, sangue, anima e divinità di
Gesù Cristo.
L’Eucaristia è anche l’unico
sacramento della cui istituzione da parte di Gesù si ha una testimonianza
scritta e non equivocabile. Per questo è indispensabile esaminare i brani del
NT che contengono questa testimonianza.
2. L’istituzione
I brani riportati sono tradotti in
modo letterale, per quanto possibile, cercando di mantenere la comprensibilità
per chi non è abituato alla costruzione delle frasi secondo la sintassi in uso nel primo secolo. In premessa ai testi
è riportato l’intervallo di oscillazione della probabile data di scrittura,
secondo il parere degli studiosi più accreditati.
Anni 40 (protovangelo) – 60. Secondo Marco (Mc 14,22-24): Mentre mangiavano prese il pane detta la benedizione (lo) spezzò e (lo)
diede loro, e disse: “Prendete questo è il mio corpo”. E avendo presa una
coppa, dopo aver reso grazie, (la) diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro:
“Questo è il sangue dell’Alleanza, che è sparso per molti”.
Anni 54 – 57. Secondo Paolo (1Cor 11,23-26): Il Signore Gesù la notte in cui fu tradito prese del pane e, dopo aver
reso grazie (lo) spezzò e disse: “Questo è il mio corpo che (è) per voi. Fate
questo in memoria di me”. E allo stesso modo la coppa dopo aver cenato dicendo:
“Questa coppa è la nuova Alleanza nel mio sangue: fate questo ogni volta che ne
bevete in memoria di me. Perché ogni volta che mangiate di questo pane e bevete
di questo calice voi annuncerete la morte del Signore finché egli venga”.
Anni 70. Secondo Matteo (Mt 26,26-28): Mentre mangiavano,
Gesù prese il pane, (lo) spezzò e avendo(lo) dato ai discepoli disse:
“Prendete, mangiate, questo è il mio corpo”. E avendo preso una coppa e dopo
aver reso grazie, (la) diede loro dicendo: “Bevetene tutti, perché questo è il
mio sangue dell’Alleanza, che è sparso per molti in remissione dei peccati”.
Anni 70 – 80. Secondo Luca (Lc 22,19-20): E avendo preso il pane dopo aver reso grazie (lo) spezzò e (lo)diede
loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi. Fate questo in memoria
di me”. E la coppa allo stesso modo dopo aver cenato dicendo: “Questa coppa è
la nuova Alleanza nel mio sangue, che è sparso per voi”.
Tutti questi brani sono intrisi di riferimenti
alle tradizioni ebraiche, prima fra tutti l’Alleanza tra Dio e gli uomini, base
della concezione teologica ebraica che diviene, con Gesù, base fondante del
cristianesimo perché la nuova e definitiva alleanza è Gesù stesso. Altra
concezione ebraica è il memoriale, fare memoria. Secondo la mentalità ebraica
il fare memoria non rappresenta soltanto il ricordare, ma il rivivere, qui ed
ora, ciò che era accaduto in passato. E’ questa la base teologica della
consacrazione del pane e del vino: rivivere l’atto compiuto da Gesù la sera di
martedì 4 del mese di nissan (corrispondente grosso modo al nostro aprile)
dell’anno 30 della nostra era(1).
L’elenco dei riferimenti ebraici culmina in Matteo;
qui si sente la sua cultura di scriba e la concezione giuridica della religione
ebraica che lo porta ad una visione amartiologica della vita umana, cioè una
visione realizzata attraverso il filtro del peccato. Egli è l’unico, infatti,
che parla di remissione dei peccati. Questa concezione è stata recepita dalla
Chiesa cattolica quando, nel III-IV secolo, è stata imbevuta dalla filosofia
neo-platonica, ma non è propria del cristianesimo, dove prevale la componente
del perdono reciproco (vedi il Padre Nostro) e della solidarietà gratuita
(agàpe).
Da ultimo notiamo l’uso della parola “molti”
come destinatari dell’atto di Gesù. Questa parola è una tipica costruzione
semitica: gli ebrei ed i popoli di origine semitica non hanno il vocabolo
“tutti” o, se lo hanno, lo usano molto raramente in quanto è un vocabolo
assoluto, che non permette alcuna modifica successiva. Nell’uso corrente,
quindi, era abitudine utilizzare il vocabolo “molti” intendendo in sostanza
“tutti”, anche quando veniva usata la lingua greca.
Risalta qui la apparente mancanza del Vangelo
secondo Giovanni, scritto a cavallo tra il I ed il II secolo. In realtà in
Giovanni non è descritta l’istituzione, ma la sostanza dell’Eucaristia; Gv 6,51-58 ne è un chiaro esempio: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se
uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne
per la vita del mondo».”
In questa affermazione il pensiero teologico fa
un passo in avanti: il pane che Gesù darà non solo si identifica con la sua
persona, ma è la sua stessa carne che deve essere mangiata perché possa
comunicare la vita. Nelle
concezioni filosofiche esistenti nell’oriente alla fine del primo secolo aveva un’importanza
notevole la concezione gnostica (parola derivata da un verbo greco che
significa “conoscere”). Per lo gnostico acquisire il pensiero di un altro,
comprenderne le ragioni profonde di quello che afferma è un po’ come cibarsi di
lui: il messaggio che questa persona trasmette è come un cibo, come il “pane”.
E’ questa la base che ha consentito a Gesù la costruzione dell’Eucaristia.
In questa parte del discorso
riportato da Giovanni, viene approfondita la dimensione eucaristica
dell’incontro con Gesù. In primo piano c’è sempre il rapporto interpersonale
con lui, attraverso il quale il credente entra in comunione con Dio. Ma qui si
sottolinea come questo rapporto è conseguito non più attraverso uno scambio
diretto con lui, come avviene tra persone viventi, ma mediante un gesto
simbolico, che è quello del mangiare un cibo e nel bere una bevanda che
significano la sua presenza viva nella comunità. Il fatto che i due elementi
siano identificati con la sua carne e il suo sangue presuppone che i credenti vedano
in essi la sua persona, con le sue scelte concrete e i suoi progetti, espressi
in modo pieno proprio nel momento in cui carne e sangue si sono separati, cioè
nella sua morte.
È chiaro che il discorso
tende a mostrare come gli stessi rapporti che i discepoli avevano con Gesù
durante la sua vita terrena possono essere mantenuti anche dopo la sua morte
mediante la partecipazione al rito comunitario della cena.
Nel linguaggio biblico la
carne non è altro che la persona umana, vista però in tutta la sua limitatezza
e fragilità. In questa frase il verbo dare
e la particella per (in greco hyper,
in favore di) richiamano il dono di sé che il Servo di Jahwè fa per riportare
il suo popolo a Dio (cfr. Is 53,10-11
nella traduzione dei LXX); di conseguenza, nel linguaggio della chiesa
primitiva (cfr. Gal 1,4) e dello
stesso Giovanni (cfr. Gv 3,16),
questi termini indicano la morte di Gesù in croce, il cui scopo è quello di
mettere la vita eterna a disposizione del mondo, cioè di tutta l’umanità.
L’identificazione del pane della vita con la “carne” (2) di Gesù
orienta l’attenzione del lettore al pane che nell’ultima cena Gesù darà ai suoi
discepoli come segno del suo corpo. Giovanni però preferisce usare il termine “carne” che per lui indica l’essere
umano vivente, mentre parla di “corpo”
soltanto in riferimento al cadavere di Gesù (cfr. Gv 19,38.40;20,12).
3. La
dottrina della Chiesa cattolica
3.1. La “presenza reale”
Secondo la dottrina cattolica,
nell'Eucaristia sono da considerarsi la "presenza reale", il
sacramento e il sacrificio. Circa la prima, il cattolico crede che sotto le
specie del pane e del vino, pronunciate che siano le parole della
consacrazione, è realmente presente Gesù Cristo con la sua anima, il suo corpo
e la sua divinità. Fondamento della sua fede sono: la promessa che
dell'Eucaristia fece Gesù Cristo (Giovanni, cap. 6); l'istituzione effettiva della medesima che compì con il
connesso precetto che "ciò fosse fatto in memoria di lui"; il senso
in cui presero l'istituzione gli apostoli, in modo particolare Paolo;
l'interpretazione che ne diedero, e di cui vissero, le primitive chiese
cristiane, secondo le attestazioni degli scrittori, dei documenti liturgici,
dei monumenti archeologici; la fede di tutta la Chiesa post-nicena, affermata
dai Padri; infine, tutta la tradizione ecclesiastica; alla base di questa fede
nell'eucaristia è la fede nella divinità di Cristo.
La "via", come dicono i teologi, alla
presenza reale è la transustanziazione: cioè Cristo si fa presente
nell'eucaristia con la transustanziazione. Questa è definita così dal concilio
di Trento (ses. XIII, c. 2; 1545 - 1563): "Mirabile
e singolare conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo di Nostro
Signore Gesù Cristo, e di tutta la sostanza del vino nel sangue (di lui)".
Il concetto di una totale conversione di sostanza in altra sostanza, senza un
lento processo trasformativo, ma in forza di poche parole pronunciate; inoltre,
conversione che lascia intatte le proprietà accidentali della prima sostanza,
senza far luogo alle proprietà accidentali della nuova sostanza, le quali, pur
essendoci, vi restano a modo di sostanza; infine il fatto che la sostanza prima
sia pane e vino, e l'altra il corpo, il sangue, l'anima e la divinità di Cristo,
costituiscono uno dei più alti "misteri" della vita e del pensiero
cristiano.
Molto spesso, infatti, l'eucaristia è denominata come
"il mistero di fede" per antonomasia; e tutta la filosofia e teologia
cattolica rinuncia a indagare quel che possa essere la transustanziazione,
trovandosi di fronte a elementi che soverchiano l'intelletto umano e non sono
naturalmente, nemmeno per via di analogie, controllabili. Per il cattolico
dunque nell'eucaristia non v'è più sostanza di pane e di vino, né può dire che si
annulla, ma solo che si "converte" nel corpo e nel sangue di Cristo:
e siccome ov'è il corpo e il sangue di Cristo è anche la sua anima e la sua
divinità, si converte in Cristo. Quindi "tutto" Cristo è in ambedue
le specie, in ciascuna di esse, in ciascun frammento di esse, e in tutte le
specie consacrate. Non è certamente il caso di accennare in questa sede alle
molteplici discussioni scolastiche circa precisazioni filosofico-teologiche in
materia, e circa le varie tendenze e correnti che anche in questa parte si
riscontrano fra gli studiosi. Richiederebbe uno spazio considerevole.
Note: 1. La tempistica della Settimana Santa ad oggi accertata
risulta diversa da quella tradizionale. Essa è stata elaborata negli anni 50
dello scorso secolo da Annie Jaubert (1912-1980) francese, esegeta, assistente
alla Sorbona in storia delle religioni ed ormai accettata dalla stragrande
maggioranza degli esegeti cattolici. – 2. E’
opportuno sottolineare che l’uso di questo vocabolo in Giovanni ha significati
del tutto diversi che in Paolo. La carne
in Paolo è la parte egoistica dell’uomo (non la parte sessuale come un tempo si
riteneva), mentre in Giovanni rappresenta l’intero essere umano.
(continua la domenica successiva)