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Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


lunedì 9 marzo 2015

Quarta Domenica di Quaresima



Quarta Domenica di Quaresima – Gv 3, 14 – 21
E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Sicuramente mi ripeto, ma affermo sinceramente che non sono in grado di comprendere la logica che guida i liturgisti nella scelta del brano di vangelo da proporre alle comunità cristiane in occasione di specifiche ricorrenze. A me non sembra che questo brano sia idoneo per un periodo di Quaresima ed inoltre il brano, già difficile di per se, diventa del tutto incomprensibile se non lo si legge nella sua interezza; forse sono prevenuto, ma ho il sospetto che al litugista non interessi eccessivamente che i fedeli comprendano il brano di vangelo. Facciamone una lettura integrale (Gv 3, 1-21):

 Vi era tra i farisei(1) un uomo di nome Nicodèmo, uno dei capi dei Giudei. Costui andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio».
Gli disse Nicodèmo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall'alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».
Gli replicò Nicodèmo: «Come può accadere questo?». Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro d'Israele e non conosci queste cose? In verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Come già ho detto domenica scorsa, il vangelo di Giovanni non deve mai essere letto per come è scritto, ma deve essere interpretato esaminando e comprendendo le immagini simboliche e metaforiche che lo costituiscono.
Il brano, per quanto possa apparire strano agli occhi di un lettore moderno, è un tentativo di contatto e di accordo tra due “partiti politici” che in quel momento andavano per la maggiore in Israele, quello dei farisei ed il movimento di Gesù.
Ho detto partiti politici per cercare di rendere comprensibile al lettore odierno una concezione molto lontana dalla sua mentalità: la coincidenza, o meglio l’identificazione, tra politica e religione presente nel mondo antico ed in Iraele in modo particolare.
I farisei si erano stupiti del coraggio manifestato da Gesù al momento della sua irruzione nel Tempio di Gerusalemme per cacciare i mercanti (Gv 2,13-17) dando, con questo gesto, un segnale significativo anche per la classe sacerdotale.
In effetti, opponendosi risolutamente al potere dei partiti ebraici conservatori(2) (e, almeno in parte, collaborazionisti con Roma), Gesù aveva saputo destare l’attenzione della fazione farisaica, di tendenze più nazionalistiche, anche se questa attenzione non si era tradotta al momento in un appoggio esplicito al suo movimento. Proprio per questo uno dei loro capi, Nicodemo, va a trovarlo "di notte", cioè di nascosto, in privato, per valutare la possibilità di una intesa.
Nicodemo è un tipico rappresentante della religiosità, della cultura e del diritto giudaico. Ha forti difficoltà, però, ad entrare nello spirito delle parole di Gesù, nonostante sia  anch’egli possessore della cultura ebraica; Gesù infatti applica una ermeneutica nuova, una nuova interpretazione della Scritture e invita i suoi interlocutori a non fermarsi alla lettera degli scritti ma a coglierne lo spirito ed il senso più vero.
Nicodemo si trova così spiazzato e Gesù è costretto ad andagli incontro aprendo un’area di dialogo sull’amore di Dio-Padre per il mondo intero e sulla comprensione della sua figura e sulla sua missione. Vediamo come questo avviene:
«Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; …».
La frase di Nicodemo riflette chiaramente l'intento d'incasellare il gesto eversivo di irruzione nel Tempio in uno schema precostituito: "Sappiamo che sei un maestro venuto da Dio".
I farisei hanno compreso che Gesù ha una ispirazione divina, ma i farisei si guardarono bene dal mostrarlo pubblicamente.
Ispirazione divina si, ma da parte di quale Dio? O meglio, di quale interpretazione di Dio(3)? Un uomo "timorato di Dio(4)" avrebbe forse avuto il coraggio di opporsi al potere politico-religioso dei sacerdoti, fino al punto d'entrare con la forza nel recinto sacro del tempio? Forse Gesù aveva voluto "purificare" il tempio solo perché mosso da uno sdegno di tipo morale?
"…nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui". Ecco lo schema precostituito applicato alla realtà: Gesù aveva compiuto un'azione che anche un vero fariseo, virtualmente, avrebbe dovuto compiere. Nicodemo è dunque andato a trovarlo per convincerlo a diventare un seguace del proprio partito.
Gesù declina l'offerta e ribatte: "…se uno non nasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio.” Cioè, trasformandolo in linguaggio moderno: per poter avere una politica alta, veramente rivoluzionaria, occorre vivere anche una prassi rivoluzionaria; infatti il popolo non sa che farsene delle buone intenzioni dei farisei, se ad esse non corrispondono azioni concrete e coerenti.
Nicodemo si giustifica dicendo: "Come può un uomo nascere quando è vecchio?". Nicodemo fa riferimento alle sconfitte subite fino ad allora dai farisei: è giusto pretendere una maggiore coerenza da un partito che lotta per la liberazione antiromana, ma bisogna anche considerare le grandi delusioni sofferte nel passato.
Maggiore coerenza esisteva quando il movimento farisaico era giovane, ora però si può sperare di sopravvivere solo cercando il compromesso. Ecco perché non si può appoggiare pubblicamente un'iniziativa così radicale come quella dei nazareni.
Se le cose stanno così, obietta Gesù, il vostro partito non potrà far nulla per la liberazione d'Israele: "…se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall'alto…".
Il destino dei farisei, per Gesù, è segnato: o si rinnovano o periscono; ma per potersi rinnovare essi devono accettare una verità difficile: "…Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito…” In altre parole: o i farisei ridimensionano la loro pretesa di porsi come unico partito alternativo al potere dominante, oppure saranno emarginati da nuove forze sociali, più giovani e più coraggiose, soprattutto più coerenti con gli ideali di giustizia e liberazione nazionale. In ogni caso rischiano di vivere un ruolo subalterno, all'ombra dei partiti più conservatori.
Nicodemo insomma dovrebbe accettare, secondo Gesù, l'idea di una pluralità di forze sociali, tra loro paritetiche, provenienti da esperienze eterogenee, in grado di opporsi, in maniera più o meno efficace, con mezzi e strumenti diversi, al sistema dominante.
Nicodemo però resta scettico: "Come può accadere questo?", com'è possibile che forze non istituzionalizzate possano lottare per la realizzazione del regno di Dio? Come potranno queste forze, una volta cacciati i romani e sconfitti i collaborazionisti, governare il Paese? Come può il popolo governare se stesso?
"Tu sei maestro d'Israele e non conosci queste cose?" risponde Gesù, se il movimento di Nicodemo non è capace d'insegnare al popolo ignorante come vivere senza padroni, come può pretendere che il popolo lo ascolti? Come potranno i farisei lottare per l'indipendenza nazionale se sin da adesso non sono capaci di pensare in modo democratico?
"…noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto...", dice Gesù, perchè il movimento nazareno vive tra le masse e non nel palazzo o non solo nelle sinagoghe.
"…ma voi non accogliete la nostra testimonianza…" certo non allo stesso modo dei partiti conservatori, che la rifiutano a priori, ma quasi. Se aveste appoggiato la cacciata dei mercanti del tempio, ora saremmo per tutti degli interlocutori credibili, perché temuti. 
“Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo”. Se non seguite le mie indicazioni nelle piccole cose, come potrete seguirmi nelle cose più alte? Solo io vi posso parlare del nostro futuro, ma per far questo(5) “…come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” dovrò essere ucciso perché diventi chiaro a tutti che le mie parole contengono la verità per non rinnegare la quale si può anche morire.
La breve pericope di Gv 3,16-18 ci offre un elemento connotativo della figura di Dio Padre: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”.
Sono versetti che spiegano la concezione politco-religiosa di Gesù e che implicitamente invitando ad una sorta di rilettura di alcune parti dell’AT.
Il dono del Figlio che indica agli uomini come rendere felice la propria vita(6), è il dono più grande del Padre: “…Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio…” Gesù compiange chi non ha il coraggio di accogliere il suo messaggio e, finalmente, vivere sereno, senza la condanna dell’ansia e della paura.
L’enfasi posta sul verbo amare al tempo passato(7) solleva un velo sull’atteggiamento di amore che Dio ha sempre nutrito nei confronti dell’umanità e che costituisce il filo conduttore dell'AT. Il verbo amare risulta così la insondabile chiave di lettura delle Scritture bibliche e non mancano sorprendenti e utili implicazioni ecumeniche sia nei rapporti ebraico-cristiani, sia in riferimento all’intero quadro dei rapporti interreligiosi con le altre fedi.
Lo scopo di questa base biblica rimane quella di voler segnalare che Dio è amore, non nel senso romantico o confessionale del termine. Egli rivolge la sua attenzione salvifica verso tutti gli uomini e verso tutte le culture alle quali potrebbe porsi come risposta alle loro domande espresse o implicite.
A questo punto è necessario accennare ai ‘semi del Verbo’, cioè a quei tratti esigui di verità cristiana presenti nelle grandi culture da noi dette pagane.
Da Giustino (100-165 d.C.) a Jacques Dupuis(8) (1923-2004) quella dei ‘semi del Verbo’ è una ricerca che, a vario titolo, impegna teologi e studiosi di ogni epoca; ma senz’altro oggi più di ieri: quello dei 'semi del Verbo' è un orientamento di ricerca che impegna teologi e studiosi anche in questo nostro tempo.
“E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
La comunità cristiana secondo il vangelo di Giovanni deve essere il luogo dove splende la luce. La luce non lotta contro le tenebre, la luce deve splendere. E quando la luce allarga il raggio d’azione della sua luminosità, la tenebra si ritira.
Allora, quanti vivono secondo una direzione sbagliata di vita e vedono brillare la luce di questa comunità e se ne sentono attratti ed entrano entro il raggio d’azione di questa luce, il loro passato viene completamente cancellato.
Quanti al contrario sono nelle tenebre e vedono in questa luce una minaccia al loro interesse, al loro prestigio, man mano che la luce si allarga, si ritirano sempre più nelle tenebre, vanno sempre più nella parte più tenebrosa, perché come ha detto Gesù chi fa il male odia la luce.

Note: 1. La corrente dei farisei costituisce, probabilmente, il gruppo religioso più significativo all'interno del giudaismo nel periodo che va dalla fine del II sec. a.C. all'anno 70 d.C. ed oltre. i farisei corrispondono ad una nuova aristocrazia fondata sulla cultura, ossia sulla conoscenza della Scrittura. Con essi si viene così a creare nella società ebraica una classe di intellettuali e di persone colte, in opposizione alla vecchia aristocrazia chiusa e tradizionalista. L'ambiente fariseo comprendeva gli scribi, vale a dire quanti insegnavano la Legge; ma gli scribi non erano necessariamente farisei. Pur annoverando nel suo seno individui spregiudicati, il movimento fariseo rappresentava nel giudaismo la corrente più fervente, più aperta e più moderata; furono chiamati da Giuseppe Flavio col nome di farisei (in ebraico pherushim, in greco pharisaion), ossia i "separati" o i "dissidenti". Probabilmente il termine fu coniato dagli oppositori con intento dispregiativo; tra loro si chiamavano invece chaverìm (congregati, compagni).
Sul piano dottrinale, i farisei erano intransigenti sulla sostanza della fede e della legge, ma duttili sulle sue applicazioni. Grandi figure di farisei hanno costellato il periodo ellenistico-romano: Hillel sotto il regno di Erode, fu l'iniziatore della cultura farisea; di posizioni moderate, aveva in Shammaii un interlocutore dalle rigide tesi dottrinali.
Fallita la ribellione dei giudei contro i romani che comportò la distruzione di Gerusalemme, i farisei emersero dalla catastrofe che aveva travolto la loro nazione quale unica corrente spirituale vitale, capace di coagularne attorno a sé i resti che non vennero assimilati dalla società romano-ellenica o che non si convertirono al cristianesimo. Dai farisei trae origine l'ebraismo rabbinico o moderno. – 2. I partiti conservatori di quel periodo erano i sadducei, gli erodiani e i sacerdoti, questi ultimi talora appartenenti contemporaneamente agli altri due. I farisei erano riformatori moderati. I movimenti radicali erano i battisti, gli esseni, il movimento di Gesù e, come radicalismo estremo, gli zeloti; nel movimento di Gesù erano confluiti anche alcuni zeloti come Giuda Iscariota e Simone detto Zelota. – 3. La domanda è essenziale perché i farisei e il movimento di Gesù avevano due interpretazioni di Dio del tutto diverse. I farisei avevano una comprensione di Dio di tipo giuridico, cioè legata alla Legge. I secondi vedevano Dio come emanazione di amore svincolata da ogni legge e costrizione. – 4. Il concetto di uomo “timorato di Dio”, tipicamente farisaico, è molto simile al concetto di “giusto”, cioè di uomo che segue la Legge in modo rigido, quasi ossessivo. E’ evidente che nel movimento di Gesù non potevano esistere uomini “timorati di Dio” perché tutti si sentivano amati da Dio. – 5. Con questo siamo finalmente al brano di questa domenica; penso che ora vi possiate rendere conto come sarebbe stato difficile spiegare questo brano senza la conoscenza del significato di quanto lo precede. – 6. L’allocuzione “vita eterna”, che non rappresenta la migiore traduzione dal greco, deve intendersi come una vita di una qualità tale da superare la morte e quindi divenire eterna. Come è facilmente riscontrabile leggendo gli scritti dei primi cristiani, la vita eterna comincia per ogni uomo nel momento della nascita e non del concepimento come oggi si ritiene in ambito cattolico, in quanto la parola vita nei vangeli è sempre collegata alla vita intellettiva di relazione, inesistente nel feto (secondo S.Agostino fino al quarantaseiesimo giorno di gravidanza). Questa interpretazione del verbo greco zao (vivere) è abbastanza recente. In passato lo si riteneva un sinonimo di byoo ed in italiano era entrato in uso con questo significato (ad esempio: giardino zoologico). Oggi, sulla base dell’esame di migliaia di testi antichi possibile solo con le tecnologie moderne, si attribuisce a questo verbo un significato più preciso volto a descrivere una vita fatta di relazione con il mondo e con gli altri ad un livello superiore e distinto dalla vita biologica. Interessante il fatto che nella traduzione dall’ebraico al greco detta dei Settanta (II secolo a.C.), quando nella Genesi Dio crea l’uomo e gli dà la vita con il proprio alito, il traduttore usa il termine zoe e non byos. Gli studi proseguono perché da questa constatazione potrebbe derivare una diversa definizione di “persona umana”. – 7. “Dio ha tanto amato il mondo…”. – 8. Gesuita belga esperto nel dialogo interreligioso con l'induismo. Nel 2001 il suo libro Toward a Christian Theology of Religious Pluralism condusse Dupuis ad essere censurato dalla Congregazione della Dottrina della Fede: erano state notate alcune ambiguità per le quali sono stati chiesti chiarimenti, ma Dupuis non è mai stato condannato. Nello stesso anno Papa Giovanni Paolo II ha riconosciuto il lavoro pioneristico di Padre Dupuis nell’aprire la strada al significato delle altre religioni, in God’s plan of salvation of mankind.

Terza Domenica di Quaresima



Terza Domenica di Quaresima – Gv 2, 13-25
Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: “Lo zelo per la tua casa mi divorerà”.
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull'uomo. Egli infatti conosceva quello che c'è nell'uomo.

Voglio premettere subito un concetto che altre volte ho ribadito, ma che sento necessario ripetere: spiegare il vangelo di Giovanni è una cosa completamente diversa dal fare esegesi sui vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca); il fatto che sia stato scritto per ultimo (tra la fine del I secolo e l’inizio del II secolo d.C.) unitamente alle influenze della filosofia greca, ed in particolare gnostica(1), che lo impregnano, ne fanno un vangelo che non va mai letto per come è scritto, ma deve essere interpretato esaminando e comprendendo le immagini simboliche e metaforiche che lo costituiscono.
La prima parte del vangelo di Giovanni, chiamata dagli studiosi “Libro dei segni”, ha inizio subito dopo il Prologo (Gv 1,1-18) e termina con il capitolo 12. Essa si apre con una specie di settimana inaugurale, che comprende la testimonianza di Giovanni Battista (Gv 1,19-34), la chiamata dei primi discepoli (Gv 1,35-51) e infine il primo segno compiuto da Gesù, il cambiamento dell’acqua in vino a Cana di Galilea (Gv 2,1-12). A Gerusalemme, in occasione della Pasqua, Giovanni inserisce l’intervento di Gesù nei confronti del Tempio, oggetto del brano di questa domenica.
Prima di esaminare il brano occorre far notare che i vangeli sinottici pongono questo episodio nella settimana conclusiva della vita di Gesù (cfr. ad esempio Mc 11,15-17), mentre Giovanni lo pone all’inizio del ministero di Gesù come atto, per così dire, programmatico.
In effetti questa irruzione nel Tempio è un eclatante atto politico compiuto da Gesù per sottolineare l’opposizione(2) che il proprio movimento manifestava nei confronti della casta sacerdotale che usava il Tempio di Gerusalemme come fonte di guadagno e strumento di affermazione della propria potenza attraverso lo sfruttamento del popolo.
Ho detto atto politico e la cosa non deve meravigliare, anzi, il lettore odierno deve cercare di comprendere una concezione molto lontana dalla sua mentalità: la coincidenza, o meglio l’identificazione, tra politica e religione presente nel mondo antico ed in Iraele in modo particolare.
In questa ottica divene comprensibile la frase iniziale del brano che suona come un’accusa: “Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme”.
La Pasqua era la commemorazione (o meglio il memoriale, l’attualizzazione) dell’uscita dall’Egitto, dalla schiavitù; era la festa di tutto il popolo. Giovanni afferma, però, che la Pasqua era ormai divenuta solo “dei Giudei” intendendo con questa parola non tanto gli abitanti della Giudea, quanto gli esponenti della casta sacerdotale ed i loro sostenitori, che aveva occupato il potere religioso, e quindi anche politico, dalla morte di Erode il Grande(3).
Le numerose offerte che quotidianamente si facevano nel Tempio di Gerusalemme e quelle soprattutto fatte in occasione delle feste principali, determinavano una grande richiesta di bestie sacrificali.
A causa delle norme di purità (cfr. Lv 3,1-17) relative a questi animali, i pellegrini erano in pratica costretti ad acquistarli direttamente presso il Tempio; in queste occasioni era consuetudine, per chi poteva permetterselo, comprare anche legni preziosi, profumi e altri oggetti di lusso da destinare alla propria casa o a doni per amici e protettori(4).
I sacrifici e gli olocausti venivano compiuti con tre specie di animali: bestiame grosso (generalmente bovini), bestiame minuto (pecore e capre) e uccelli (tortore e colombi), come previsto dal libro del Levitico (Lv 1,1 e ss). Il popolo comprava l’animale in base a quanto era in grado di spendere e quindi i sacrifici risultavano essere ripartiti in base al censo.
Oltre a questi venditori di animali erano presenti nel Tempio anche i cambiavalute, che scambiavano il denaro romano(5) con la moneta di Tiro, antica e sacra, raffigurante la testa del dio pagano Melkart(6), con la quale i giudei pagavano, una volta all'anno, la tassa al Tempio (Es 30,13).
Le autorità del tempio, che avevano il monopolio della vendita degli animali sacrificali e che riscuotevano le tasse, avevano concesso che i mercanti potessero svolgere la loro attività nell'atrio cosidetto dei gentili, separato con transenne e gradinate dal resto dell'edificio (cfr. Ef 2,14). Ovviamente sia per il clero, che dava le licenze per la vendita degli animali(7), sia per i cambiavalute, che riscuotevano un aggio sul cambio, il commercio nell'area del tempio era fonte di cospicui guadagni.
Il Tempio era quindi il centro della vita economica e del potere religioso/politico di Gerusalemme e, di conseguenza, di tutta la nazione giudaica: numerose persone - le meglio pagate della città - vi lavoravano per il culto e la manutenzione.
Il fatto stesso che tale commercio avvenisse così apertamente all'interno del tempio stesso era sintomatico del generale decadimento che caratterizzava il complesso della istituzione religiosa giudaica(8).
Il cortile, è vero, non era sacro, ma neppure interamente profano, e comunque, utilizzandolo in quel modo, le autorità religiose mostravano chiaramente di voler considerare i gentili come credenti di seconda categoria.
“Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi,…”. L’azione di Gesù è improvvisa ma, contemporaneamente, selettiva: prima di tutto si munisce di una frusta, che nella tradizione degli scribi era il simbolo del Messia venuto a fustigare i peccatori; poi vengono scacciati a frustate “tutti” (quindi venditori ed acquirenti, come specifica Marco) ma il trattamento più duro lo subiscono i mercanti più ricchi e i cambiavalute, mentre quelli che venivano incontro alle esigenze dei più poveri (venditori di colombe) sono solo redarguiti e invitati ad andarsene: “…e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!»”.
Le parole con cui Gesù accompagna il suo gesto non alludono, come quelle riportate da Marco(9), a Is 56,7 («Perché il mio tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli») e a Ge 7,11 («Forse è una spelonca di ladri ai vostri occhi questo tempio che prende il nome da me?»), ma piuttosto a Zc 14,21: «In quel giorno non ci sarà neppure un cananeo(10)». Quindi, secondo Giovanni, Gesù rimprovera i giudei non perché oltraggiano il Padre, ma perché servendosi del Tempio per usi commerciali, rubano denaro ai fedeli, sfruttandoli.
I discepoli non sembrano partecipare attivamente all'azione, tuttavia la loro presenza è innegabile, tant'è che nel suo vangelo, descrivendo lo stesso episodio, Marco lo dice esplicitamente in tre versetti (Mc 11,15.19.27).
Giovanni aggiunge che i discepoli si ricordarono una frase della Scrittura che dice: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà» (cfr. Sal 69,10). Questo testo fa parte di una preghiera di supplica, nella quale un salmista si lamenta con Dio per la persecuzione che subisce da parte dei suoi avversari; nel versetto 10 egli sottolinea come sia pieno di un amore senza confini per il tempio di Dio (cioè per Dio stesso), e lascia intendere che proprio per questo è stato perseguitato: infatti nella versione dei LXX viene usato il vocabolo greco katephagen, cioè “divorato”, al tempo verbale aoristo. In Giovanni invece il verbo “divorare” non è all’aoristo, ma al futuro alludendo così alla morte a cui Gesù va incontro per rispettare la volontà del Padre. In quel momento i discepoli non potevano capirlo, ma se ne renderanno conto dopo la sua morte.  
Del tutto inaspettato da parte delle guardie del tempio e della guarnigione romana (che sorvegliava il tempio dall’alto della fortezza Antonia), l'attacco fu sostanzialmente condiviso a livello popolare: gli unici a protestare furono infatti i sommi sacerdoti, gli anziani e gli scribi (cioè i Giudei, secondo la dizione giovannea): “Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?».
Neppure i mercanti reagirono. Questo a testimonianza che tantissimi ebrei nutrivano ormai un rispetto solo formale nei confronti del Tempio e della casta sacerdotale che, pur di restare al loro posto, aveva accettato ampi compromessi con le forze occupanti.
Tuttavia nessun ebreo, prima di allora, aveva mai osato prendere un'iniziativa del genere, anche perché i mercanti e i cambiavalute agivano grazie alla copertura degli amministratori del Tempio; chiunque l'avesse fatto avrebbe rischiato di passare, agli occhi del potere costituito, per un nemico dell'ordine pubblico, se non per un traditore della patria, soprattutto in quel frangente storico.
"Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere»…". Il significato di questa frase va intepretato, poiché sia la versione di Giovanni che quella dei sinottici risentono di un intervento redazionale chiaramente apologetico(11).
La frase è un'espressione che può voler dire molte cose. L'interpretazione tradizionale equipara il tempio al corpo di Cristo crocifisso e i tre giorni a quelli che occorsero agli apostoli per accorgersi della tomba vuota, e poggia la sua validità sulla successiva glossa “Ma egli parlava del tempio del suo corpo”; questa validità, però, sembrerebbe solo apparente.
In realtà, ammesso che Gesù abbia detto una frase di questo genere, è difficile pensare che, in un'occasione così cruciale per i destini del suo movimento, egli abbia voluto posporre la comprensione della frase, rimandandola al giorno della sua resurrezione. Tant'è che quando i Giudei gli obiettano: “«Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?»”, essi dimostrano di aver capito bene che Gesù voleva sostituirsi al primato del tempio(12). Senonché per loro era meglio avere un tempio corrotto ma potente, piuttosto che un leader onesto e coraggioso ma privo di autorità ufficialmente riconosciuta.
Qui dunque si può solo ipotizzare che il significato di quell'espressione sia stato un invito pressante a eliminare lo sfruttamento del popolo e il collaborazionismo con i romani di chi amministrava il Tempio(13).
D'altra parte gli ambienti esseno, battista e zelota avevano già capito che aveva poco senso fare riferimento al primato politico-religioso del Tempio quando, di fatto, esso era già stato distrutto dalla corruzione di chi lo amministrava. 
Il vero problema era diventato come trasformare l'uomo in "tempio di se stesso" (anche il Battista, con la pratica del battesimo, puntava allo stesso obiettivo): la rigenerazione morale degli uomini e la conseguente capacità di giudicare in autonomia - preludio della rivoluzione politica - avrebbe dovuto sostituire la difesa ad oltranza di un'istituzione ormai morente (Gesù lo dirà chiaramente alla samaritana del pozzo di Giacobbe14). La differenza tra Gesù e il Battista stava tutta nel fatto che quest'ultimo non arrivò mai a compiere il passaggio decisivo dalla strategia pre-politica, vissuta lungo le acque del Giordano e nel deserto, a quella propriamente politica vissuta nel cuore stesso della capitale.
Purtroppo la reazione dell'intellighenzia politica al gesto di Gesù non fu così positiva come ci si sarebbe potuti attendere: la maggior parte del movimento battista non ebbe il coraggio di appoggiare pubblicamente l'iniziativa, pur condividendone le motivazioni etiche, perché si era impoverito in quanto alcuni capi avevano già lasciato il movimento battista per diventare seguaci Gesù (cfr. Gv 1,37 e ss.). Solo una minoranza del movimento fariseo (capeggiata da Nicodemo) si limitò a incontrare Gesù privatamente, in forma del tutto ufficiosa (Gv 3,1-21), continuando a vedere nel Tempio una delle risorse insostituibili per l'aggregazione del popolo, specie in occasione delle grandi feste e ricorrenze, nonostante che proprio i farisei avessero sviluppato molto l'uso delle sinagoghe, in luogo del Tempio, nelle zone decentrate del paese. Dell'atteggiamento tenuto dal movimento zelota, i vangeli non parlano(15).
Probabilmente i farisei rappresentavano allora il movimento popolare tradizionale più rappresentativo o almeno quello più influente sulle masse. Essi tuttavia erano molto scettici sulla possibilità di liberarsi dei romani, o comunque aspiravano a un mutamento che non stravolgesse le istituzioni della società giudaica, al cui interno, essi, non senza fatica, si erano costruiti una loro identità politica: Gesù, per loro, appariva troppo "radicale". Gli fecero infatti capire che avrebbero accettato le conseguenze della "purificazione del tempio" solo a condizione di vedere un altro gesto ancora più significativo, che dimostrasse in maniera inequivoca ch'egli era il messia tanto atteso. In Gv 3,18 la domanda che gli pongono è abbastanza eloquente: "Quale segno ci mostri per fare queste cose?".
L'ipocrisia stava proprio in questo: che da un lato i farisei si rendevano conto delle contraddizioni insostenibili del Tempio, e dall'altro non si aveva il coraggio di risolverle in maniera decisiva e, nonostante ciò, ci si opponeva a chi prendeva una decisione senza avere ottenuto il loro consenso preventivo.
La domanda che nei sinottici Gesù rivolge alle autorità, in merito al destino del Battista(16), può, sotto questo aspetto, essere interpretata nel modo seguente: "Se quello che ho fatto nel tempio lo considerate moralmente inaccettabile o giuridicamente illecito o politicamente inopportuno perché chiedere un segno che ne legittimi il senso e non intervenite immediatamente per eliminare lo scandalo dello sfruttamento del popolo?"
Atteggiamento analogo i farisei avevano tenuto nei confronti del Battista (Gv 1,19 e ss). Ai farisei interessava non tanto il messaggio di Giovanni quanto piuttosto il consenso che il suo programma religioso-politico poteva avere nelle masse.
I farisei, con Nicodemo, s'erano limitati a un incontro informale; successivamente invece, essendosi accorti che, in seguito della sua azione, Gesù stava facevano più discepoli di Giovanni(17), volevano negoziare un'intesa vera e propria. Per tutta risposta Gesù, che non si fidava più di loro, lasciò la Giudea coi suoi discepoli e si diresse di nuovo verso la Galilea.
Per concludere, l'epurazione del tempio fu l'evento più importante del primo anno di diffusione del vangelo di liberazione. Praticamente si erano poste le basi di quella che sarebbe potuta diventare una rivoluzione non solo religiosa ma anche politica.
Però, come "prova generale" della imminente sollevazione antiromana, fu un fallimento e tuttavia molti cominciarono a vedere in Gesù un nuovo leader politico. Fra questi i più convinti furono i galilei, giunti a Gerusalemme a motivo della Pasqua(18).
Al termine del racconto l’evangelista osserva: “Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull'uomo. Egli infatti conosceva quello che c'è nell'uomo”.
A Gerusalemme i segni da lui operati hanno suscitato interesse ed talora entusiasmo. Essi però si rivelano segni essenzialmente ambigui: vedendoli si inizia a credere in Gesù e grazie ad essi si può andare incontro al Maestro, al Profeta, o anche al Messia a seconda della propria comprensione; ma questo primo movimento di simpatia testimonia una fiducia ancora imperfetta, perché porta ad ammirare il taumaturgo oppure il rabbì o l’uomo politico senza raggiungere il figlio di Dio, l’unico oggetto possibile della fede secondo Giovanni. È questo che egli suggerisce con l’opposizione letteraria tra il «credettero nel suo nome» e il «non si fidava (non credeva in) di loro». Utilizzando il medesimo verbo greco «credere» (pisteuein) in due significati differenti, il narratore orienta il lettore verso uno dei punti centrali dei due episodi successivi (vedi capitoli 3 e 4): all’apparizione di Dio in Gesù si può e si deve reagire solo con una fede sincera e autentica. 

Note: 1. Gnosi, dal greco gnosis ("conoscenza"). La gnosi è la conoscenza pervenuta al sapiente per vie divine o sapienziali. Lo gnostico era in epoca antica il sapiente, colui il quale possedeva la conoscenza per averla ricevuta direttamente da una rivelazione degli dei. Nel II secolo d.C. la filosofia gnostica fu la corrente religiosa che predicava la possibilità di attingere ai motivi più profondi del Cristianesimo attraverso la ragione (atteggiamento razionale). – 2. L’ostilità di Gesù nei confronti del Tempio ha un altro esempio in Mc 12, 41-44 e in Lc 21, 1-4. Entrambi gli episodi, relativi alla vedova che dona al Tempio pochi spiccioli, sono inseriti tra due invettive contro gli scribi ed il Tempio (tecnica del trittico). – 3. Erode il Grande (73 a.C.– 4 a.C.) fu re della Giudea sotto il protettorato romano dal 37 a.C. fino alla morte. – 4. E’ probabile che questa sia la sorgente principale, anche se non l’unica, della nostra abitudine a scambiarci regali in occasione del Natale. – 5. Queste monete avevano corso legale in Israele, ma non potevano entrare nel Tempio per questioni di purità poiché recavano incisa l'effige dell'imperatore romano. Da notare l’incongruenza: la moneta del Tempio, considerata sacra,  recava incisa l’effige di un dio fenicio!! (vedi nota seguente). – 6. Una moneta usata per il pagamento della tassa del tempio è stata rinvenuta per la prima volta in Gerusalemme nel febbraio del 2008 durante gli scavi diretti da Eli Shukron dell'Israel Antiquities Authority e dal professor Ronny Reich dell'Università di Haifa. La moneta, del valore di mezzo shekel (sciclo), pesa 13 grammi, raffigura sul diritto la testa di Melqart, il dio principale della città di Tiro, e sul rovescio un'aquila sulla prua di una nave. Melqart (oppure meno accuratamente Melkart, Melkarth o Melgart), in accadico Milqartu, era il nume tutelare della città fenicia di Tiro. Il nome deriva da una leggera compressione del fenicio Milk-Qart che significa "Il Re della Città". È probabile che Melqart sia quel particolare Baal che si trova in 1Re 16,31.18,25-26 il cui culto fu introdotto in Israele dal Re Achab (prima metà del IX secolo a.C.) e poi quasi totalmente sradicato dal Re Jehu (seconda metà del IX secolo a.C.). – 7. Fonti rabbiniche citano la famiglia del sommo sacerdote Anna come fortemente coinvolta in questi commerci. – 8. Marco, narrando lo stesso episodio (Mc 11,15-16) così si esprime: “Ed entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e comperavano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si portassero cose attraverso il tempio”, a testimonianza che le usanze primigenie non prevedevano un uso commerciale delle aree del tempio, altrimenti vi sarebbero state previste vie di accesso diverse. Gli Esseni, proprio a causa della corruzione introdotta dai sommi sacerdoti, rifiutavano nettamente i sacrifici degli animali, anzi non partecipavano a nessun culto, e dalla loro comunità, che viveva nel deserto, sembra siano usciti i discepoli del Battista, che battezzavano lungo il Giordano, continuando a rifiutare il culto e i sacrifici del tempio; Gesù, con alcuni discepoli del Battista costituirà il movimento nazareno, la cui prima iniziativa politica, secondo Giovanni, fu proprio l'epurazione del Tempio descritta in questo brano.  – 9. Mc 11,17: «Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti? Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri!». – 10. Sia Aquila (Targum), che la Volgata riportano, al posto di un cananeo, la parola mercante e con questo la frase calzerebbe a pennello. – 11. Per apologia si intende un discorso in difesa di una persona o di un’idea. Con il tempo il vocabolo ha assunto anche il significato di atto commemorativo o di lode. - 12. La frase «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» sembra evidentemente un modo allegorico di dire: “Eliminate il potere della casta sacerdotale (Tempio) e immediatamente (tre giorni) affidatevi a me”. – 13. Vedi nota precedente. – 14. Gv 4,21-24: “Le dice Gesù: «Credimi, donna, che viene un'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete; noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene un'ora, ed è adesso, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità; infatti il Padre cerca tali persone che l'adorino. Dio è Spirito e coloro che lo adorano, devono adorarlo in Spirito e verità »”. – 15.  Il movimento zelota si farà parte attiva nella rivolta del 69-70 d.C. e verrà spazzato via dalla reazione romana dopo aver combattuto valorosamente nella difesa di Gerusalemme. – 16. Ad esempio Mc 11,27-33: “Andarono di nuovo a Gerusalemme. E mentre egli si aggirava per il tempio, gli si avvicinarono i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli dissero: «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farlo?». Ma Gesù disse loro: «Vi farò anch’io una domanda e, se mi risponderete, vi dirò con quale potere lo faccio. Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi». Ed essi discutevano tra sé dicendo: «Se rispondiamo “dal cielo”, dirà: Perché allora non gli avete creduto? Diciamo dunque “dagli uomini”?». Però temevano la folla, perché tutti consideravano Giovanni come un vero profeta. Allora diedero a Gesù questa risposta: «Non sappiamo». E Gesù disse loro: «Neanch’io vi dico con quale autorità faccio queste cose»”. - 17. Cfr. Gv 4, 1-3: “Quando il Signore venne a sapere che i farisei avevan sentito dire: Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni - sebbene non fosse Gesù in persona che battezzava, ma i suoi discepoli -, lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea”.  – 18. Cfr. Gv 4,45: “Quando però giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero con gioia, poiché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa”.