VII domenica Tempo Ordinario
- Mt 5, 38-48
Avete inteso che fu
detto: Occhio per occhio edente per dente. Ma io vi dico di non
opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu
pórgigli anche l'altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la
tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per
un miglio, tu con lui fanne due. Da' a chi ti chiede, e a chi desidera da te un
prestito non voltare le spalle.
Avete inteso che fu
detto: Amerai il tuo prossimo e
odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per
quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei
cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui
giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale
ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto
soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così
anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro
celeste.
Quelli ti odiano e tu li ami. Bravo furbo! Prestare senza
aspettarti restituzione. Così ti riduci sul lastrico in due giorni. A chi ti dà
uno schiaffo, porgi l'altra guancia. A chi ti prende la tunica, dai anche il
mantello. Così lo incoraggi a continuare! Se uno ti costringe per un miglio, tu
vai per due. Ma siamo pazzi?
Tanti bravi cristiani mettono silenziosamente da parte queste
esagerazioni di Gesù: va bene, voleva dire di essere generosi, ma se dovessimo
prenderlo alla lettera...
Chi è meno bacchettone ha il sospetto che Gesù insegni a sottomettersi
ai prepotenti. Tre volte bon - dicono a Venezia – tre volte co… con quel che
segue. Non è così che si sta al mondo.
Cosa vogliono dire, in realta, le parole di Gesù?
Walter Wink(1), dà alcune interpretazioni interessanti.
Wink fa scoprire un Gesù rivoluzionario alla Gandhi, un insegnante della
nonviolenza nel vero senso della parola:
“…se uno ti percuote
la guancia destra, tu porgigli anche l'altra…”. Per
colpire la guancia destra, l'altro deve usare la sinistra, il cui uso, nella
cultura ebrea, era vietato, riservato ai soli compiti impuri.
Dovendo usare la destra, il colpo sulla guancia sinistra poteva
essere solo un manrovescio. Questo colpo, più che una percossa inflitta ai
propri pari, era un'umiliazione, destinata agli inferiori: schiavi, figli
piccoli, donne.
Gesù parlava a povera gente, che conosceva questa umiliazione.
Ora, offrire l'altra guancia era privare l'oppressore della sua pretesa
superiorità. Era come dirgli: «Prova ancora. Io non ti riconosco il potere di
umiliarmi. Sono pari a te. Tu non riesci ad offendere la mia dignità». Questa
reazione avrebbe messo l'offensore in difficoltà: infatti si trova costretto a
colpire ora la guancia sinistra sempre con la propria destra, non più con un
manrovescio (impossibile), ma con l'interno della mano, come farebbe in una
rissa con un proprio pari.
Anche se facesse flagellare l'inferiore per quella reazione,
questi avrebbe comunque mostrato in pubblico la sua uguaglianza naturale con
chi si crede superiore. Un debole ha impedito a un prepotente di svergognarlo,
ed anzi ha svergognato lui. Dirà Gandhi: «Il principio dell'azione nonviolenta
è la non-collaborazione con tutto ciò che si prefigge di umiliare».
“…a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la
tunica, tu lascia anche il mantello…” Questa disgrazia poteva capitare a un
povero, carico di debiti.Tra la gente che ascoltava Gesù ve ne erano
certamente; l'indebitamento, infatti, era una piaga endemica nella Palestina
del primo secolo.
I
romani tassavano pesantemente i ricchi, di conseguenza questi investivano in
immobili, cioè in terre, per mettere al sicuro il denaro. Esisteva però
un’ostacolo: la legge e l'uso ebraico erano contrari alla vendita della terra, perché
dono di Dio.
Per
costringere alla vendita i piccoli proprietari, si perseguiva una politica di
innalzamento degli interessi che rendeva sempre più difficile ai contadini il
saldo dei loro debiti contratti per la semina e li costringeva a vendere la
terra ai ricchi.
Ai
poveri così derubati, impotenti a pagare nuovi debiti, Gesù consiglia di dare
via anche l'ultima veste. Sarebbero usciti dal tribunale completamente nudi.
C'è da immaginare che la folla in ascolto del discorso della montagna a questo
punto sia scoppiata a ridere. Nella scena abbozzata da Gesù, il creditore è lì
con gli abiti del debitore in mano, mentre questo esce nudo.
La
situazione si ribalta a favore del debitore. La legge lo condanna a quella
condizione, ma, denudandosi, egli eleva un'aspra protesta contro il sistema che
lo riduce così. La nudità era tabù in Israele ma più del nudo era censurato chi
lo guardava e chi l'aveva causato. Il creditore è posto nella condizione di
voyeur, quella per cui Cam fu maledetto (Gn
9).
l
sistema che opprime i piccoli proprietari è smascherato. Il creditore, se comprende,
può pentirsi della durezza con cui ha approfittato del debitore. Il povero che
si riteneva impotente scopre di poter avere l'iniziativa, e, anche se
l'ingiustizia legale rimane immutata, ne dimostra l'assurda crudeltà, la
ridicolizza. Il vero denudato è il creditore e la legge che lo favorisce.
“…se uno ti
costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due…”. Chi può costringere
così un altro? Il contesto è l'occupazione militare. I soldati romani occupanti
potevano imporre questa angaria (corvée, lavori forzati) ai locali, per esempio
facendo portare carichi pesanti. Per le popolazioni soggette ai romani, ciò era
motivo di forte risentimento, ed era già un provvedimento benevolo la
limitazione ad un miglio, la quale indica pure che dovevano essere frequenti
gli abusi dei soldati, che imponevano percorrenze maggiori.
Gesù
non propone né la rivolta né la sottomissione. Propone un atto con cui
l'oppresso riprende l'iniziativa e afferma la propria dignità. Immaginiamo la
scena: passata la prima pietra migliare, il soldato si sente dire dall'ebreo
con fermezza e dignità: «Te lo porto un altro miglio», e deve pensare: cosa
diavolo ha in mente? mi vuole provocare? vuole denunciarmi, farmi punire? Dalla
situazione servile, l'oppresso ha ripreso la sua libertà d'azione. Il soldato è
disorientato davanti all'imprevedibile. Oggi non riesce a sentirsi superiore ai
civili. Si abbassa a pregare l'ebreo di restituirgli il carico! Lo humor di
questa scena può sfuggire a noi, ma non sfuggiva agli ascoltatori di Gesù, ben
esperti di questa prepotenza, bisognosi di riscattarsi.
“…ma
io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori…”.Padre Maggi(2)
lo spiega così: l’evangelista ha messo insieme due realtà opposte (amore/odio)
di cui la seconda, “odiare i nemici”, si trova presente nei salmi: “Non
dovrò io odiare, Signore, chi ti odia, e detestare quelli che insorgono contro
di te? Con odio estremo li odio e come nemici sono per me” (Sal 139,21-22; 137,9).
L’amore al prossimo, precetto stabilito nel
Libro del Levitico (Lv 19,18), non
indica un amore per tutti gli uomini, ma è ristretto alla cerchia dei propri
connazionali, della propria tribù o del proprio clan familiare. L’odio al
nemico era frutto della naturale ostilità verso lo straniero e i nemici della
religione o chiunque potesse attentare all’identità del clan o alla comunità
nazionale e religiosa.
L’amore che Gesù richiede è una volontà di
bene indipendente dalla qualità delle persone che ne sono l’oggetto. Una
qualità d’amore che il discepolo deve manifestare nella preghiera per i nemici
e nel rivolgere il saluto, inteso come vero augurio di pace e di felicità, a
tutti.
L’amore verso i nemici è da considerare come
la novità e la caratteristica propria del gruppo dei discepoli del Cristo. Il
“nemico” per la comunità cristiana non sarà più lo straniero, il pagano, ma il
persecutore. L’amore dei discepoli non s’arresta neanche di fronte all’odio del
persecutore, ben sapendo che il Padre sta da sempre dalla parte di chi è
perseguitato (“Beati i perseguitati a causa della giustizia, poiché di essi
è il regno dei cieli”, Mt 5,10).
La richiesta di Gesù ai discepoli di elevare
la loro capacità d’amare è fatta per mettere il loro amore in sintonia con
quello del Padre: “che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i
buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Mt 5,45). Mentre il profeta Amos presenta un Dio che rifiuta la
pioggia al popolo infedele, secondo la comune credenza che la pioggia non viene
mandata ai peccatori (Am 4,7), Gesù
mostra un Padre che non lascia condizionare il suo amore dal comportamento
degli uomini, e a tutti ugualmente comunica un amore che, come l’azione della
pioggia e del sole, feconda e produce vita.
Come Dio offre gratuitamente a ogni uomo i
suoi doni (sole e pioggia) così l’amore gratuito e incondizionato a ogni uomo
rende i discepoli figli di Dio: “Infatti se amate quelli che vi amano, quale
merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? e se date il saluto
soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così
anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro
celeste”.
Per Gesù l’amore corrisposto non ha nulla di
straordinario: anche le categorie più basse della società, dal punto di vista
religioso, quali erano considerati i pubblicani e i pagani, sanno rispondere
alle attenzioni che ricevono da amici e conoscenti. Gesù invita a rompere
l’interesse egoistico tipico del clan o del gruppo sociale, per rivolgere
l’attenzione e l’amore a tutti indistintamente.
Mentre per gli scribi e i farisei la
perfezione consisteva nell’osservanza integrale della Legge, per Gesù solo
l’assomiglianza al Padre, motivata dal suo comunicare vita all’umanità, rende
il discepolo completamente realizzato, buono fino in fondo.
La perfezione alla quale Gesù invita non è
quella del mondo greco, dove la perfezione consisteva nella mancanza di
difetti, e neanche quella del mondo giudaico, dove era considerato perfetto
colui che osservava integralmente la Legge. Non tutti possono essere senza
difetti e non tutti possono osservare le leggi divine.
La
perfezione alla quale invita Gesù è quella del Padre. In questo contesto, dove
si parla di un amore rivolto a tutti, la pienezza alla quale invita Gesù non è
tanto un'astratta quanto irraggiungibile perfezione di Dio, ma si riferisce al
comportamento del Padre nei confronti degli uomini, che è quello di un amore
illimitato, totale: quel che Gesù chiede è di essere buoni del tutto, come lo è
il Padre, invitando a una perfezione che è raggiungibile da tutti, perché
consiste in qualcosa che tutti possono avere: un amore fedele che non escluda
nessuno dal suo raggio d’azione.
Note: 1. Walter Wink, Engaging the Powers: Discernment
and Resistance in a World of Domination, Minneapolis: Fortress Press, 1992.
Wink, vivente, è professore emerito del
Auburn Theological Seminary di New York. Edizione italiana a cura di EMI. – 2. Padre
Alberto Maggi, dell’Ordine dei Servi di Maria, è nato nel 1945 in Ancona ed è direttore
del Centro Studi Biblici «G. Vannucci». Il parere è tratto dalla Conferenza “Amate i vostri nemici”,
Cefalù, novembre 2005.