(Parte seconda di 4.
La resurrezione)
Alla luce di quanto
detto si comprendono le parole che, nel capitolo 8 del Vangelo di Giovanni, Gesù
dice: "se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte" (Gv 8,51): qui è cambiato il concetto di
morte, probabilmente Gesù non si sta riferendo alla morte biologica, alla morte
delle cellule, ma a qualcos’altro che dobbiamo comprendere.
Secondo Gesù la
permanenza della vita attraverso la morte è quello che si chiama resurrezione;
ma attenzione a non introdurre il concetto di anima che non esiste
nell’insegnamento di Gesù. L’anima è un concetto tipicamente greco; è stata
introdotta da Platone ed entrerà nella Chiesa con l’accoglienza della filosofia
greca nel terzo secolo.
Per Gesù è la
persona intera che continua la sua esistenza. Gesù non dice "chi crede in
me la sua anima vivrà", ma “chi crede vive già”, quindi è l’individuo
nella sua pienezza, nella sua persona che continua la sua esistenza in Dio.
In questo
ragionamento ci stiamo avvicinando pian piano al concetto di morte, per capire
cosa significa la morte: secondo Gesù la morte è una trasformazione che
comincia già in questa esistenza. C’è nella liturgia il bellissimo prefazio
nella Messa dei defunti che è molto antico e dice "la vita non è tolta ma trasformata", la vita trasformata viene
arricchita dal patrimonio di bene che reca in sé. Nel libro dell’Apocalisse c’è
un’affermazione importante per capire meglio il significato di certe preghiere
che vengono recitate per i defunti: “Beati d’ora in poi, i morti che muoiono
nel Signore. Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche, perché le
loro opere li seguono" (Ap 14,13).
Vedete che
contrasto: beati - cioè la pienezza della felicità - coloro che sono morti; è il
concetto dell’Eterno Riposo", la preghiera tipica per i defunti. Preghiera
che, se non è ben compresa sembra una condanna all’ergastolo: voi immaginate
riposare per tutta l’eternità? Per carità, è una cosa di una noia incredibile,
ma allora quale è il significato di questa preghiera? Se ci riferiamo
all’Apocalisse, il riposo del quale l’autore parla non indica la cessazione di
ogni attività, ma si riferisce alla condizione divina. Secondo il libro della
Genesi, Dio, che per sei giorni lavorò alla creazione del mondo, il settimo
giorno riposò: allora il riposo delle persone morte non significa la cessazione
di ogni attività, ma significa la pienezza della condizione divina per
continuare a collaborare con Dio alla creazione del mondo.
Per parlare della morte, siccome si parla di realtà che non appartengono
alla nostra esperienza, non è possibile usare un linguaggio in concetti,
neanche Gesù lo ha fatto: come si fa a descrivere quello che non fa parte della
nostra esperienza? Anche Gesù ha avuto bisogno di immagini; una, nel Vangelo di
Giovanni, è quella del chicco di grano: "se il chicco di grano caduto
in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto"
(Gv 12,24). Attraverso
l’immagine del chicco che marcendo produce un frutto abbondante, Gesù dichiara
che la morte non è altro che la condizione che permette di liberare tutta
l’energia vitale che l’uomo conteneva.
Non abbiamo testi estranei al movimento nazareno che citano la resurrezione
di Gesù; per poterla analizzare dobbiamo necessariamente fare riferimento ai
Vangeli. Ma, come possiamo vedere, anche i Vangeli non descrivono la
resurrezione, ma ne descrivono gli effetti nella prima comunità cristiana.
Leggiamo ora i seguenti brani: Mc
16,1-8; Mt 26,1-10; Lc 24,1-12; Gv 20,1-18.
Il Vangelo più
antico, quello di Marco, che è stato scritto a ridosso degli avvenimenti di
Gesù, termina, caso raro nella letteratura, con una frase tronca. Riporta il
fatto della resurrezione, ma non c'è il racconto delle apparizioni. Questo
fatto risulterà talmente scandaloso che un secolo dopo altri autori tenteranno
di mettere addirittura tre finali posticci molto brutti(1). Il
Vangelo di Marco termina con queste parole: le donne andarono al sepolcro,
videro il sepolcro vuoto, ma "non dissero niente a nessuno, perchè..."
È strano terminare un libro con una frase a metà.
Una volta, quando
non c'erano gli strumenti che oggi abbiamo di investigazione scientifica a
livello linguistico, si pensava: Marco era sgrammaticato, era proprio un
ignorante, ha scritto così alla meno peggio e dopo l'hanno dovuto aggiustare.
Invece, Marco ha una linea teologica molto chiara, le donne non raccontano il
fatto della resurrezione, perché questo non può essere creduto perché altri ce
lo dicono, ma va sperimentato. Se si crede che Gesù è risorto perché lo hanno
detto i preti…, beh, con tutto quello che hanno raccontato…! Se noi crediamo
che Gesù è risorto perché è scritto nella Bibbia, beh, con tutto quello che è
scritto nella Bibbia…!
Si può credere a una cosa
così al di fuori della nostra esperienza soltanto se la si sperimenta. Ed è
appunto questo il tentativo che gli evangelisti compiono nel parlare
(attenzione!! parlare, non descrivere!) della resurrezione di Gesù.
Leggendo il brano del
vangelo di Giovanni relativo alla “resurrezione” di Lazzaro (Gv 11,1-45), si vede Gesù che spiega, in
gesti e parole, che cosa è la risurrezione: è la persona che, dando adesione a
Gesù, raggiunge una pienezza di vita tale che supera la morte biologica e
prosegue la sua vita in Dio.
A questo punto sorge
necessariamente la domanda: la resurrezione di Gesù è stata uguale a quella di
Lazzaro oppure ha delle caratteristiche diverse, speciali?
La risposta è difficile se
non impossibile. Molti teologi moderni hanno provato a rispondere, ma i
risultati ottenuti non mi sembrano convincenti, esattamente come non mi sembra
convincente quanto riportato dalla tradizione.
Per me l’unica cosa che
possiamo fare è attenerci a quanto hanno scritto i vangeli scoprendone il
senso.
Purtroppo, per la
gran parte dei cristiani, la resurrezione di Gesù è quello che viene più o meno
visivamente immaginato dai pittori, di un Gesù che esce vittorioso dal
sepolcro, rovesciando la pietra, con il vessillo della croce.
Questa descrizione
non è presente in nessun vangelo, ma è contenuta in un vangelo apocrifo, il
Vangelo di Pietro, che data circa 150 d.C. Perciò nell’immaginario dei
cristiani la resurrezione di Gesù è quella di un cadavere riportato in vita che
esce vittorioso dalla tomba.
Nessun vangelo
descrive la resurrezione di Gesù. Però tutti i vangeli danno indicazioni alla comunità
cristiana di tutti i tempi come sperimentare
Gesù resuscitato.
Questa, e solo
questa, è la funzione che rivestono i racconti evangelici delle apparizioni del
Risorto.
È convinzione degli
evangelisti che finché uno crede perché gli è stato detto, sarà sempre un
credente zoppicante; l’unica maniera per sapere se Gesù è veramente vivo è
quella di sperimentarlo nella propria esistenza: i quattro vangeli, in quattro
maniere, diverse nella modalità ma identiche nel contenuto, danno la
possibilità di sperimentare Gesù resuscitato.
Partiamo
quindi esaminando il cap. 28 del Vangelo di Matteo: “Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria….” (2)
Già questa indicazione ci
fa comprendere che la narrazione non riguarda un evento storico, ma teologico:
infatti l’evangelista riprende il testo del libro della Genesi dove viene
descritta la creazione, ove si legge: «..e fu sera e fu mattina: primo
giorno».
Matteo, che cura in
maniera particolare questo ultimo capitolo della sua opera, scrivendo «all’alba
del primo giorno della settimana» si richiama alla creazione; vuol far
comprendere che la resurrezione non è la rianimazione di un cadavere, ma una
nuova creazione ad opera di Dio: la resurrezione è un atto creativo da parte di
Dio, è Dio che continua la sua creazione.
Questo era stato
compreso molto bene dai componenti del cristianesimo primitivo che costruivano
i battisteri a forma ottagonale per richiamare la risurrezione(3).
Note: 1. Il finale
attualmente presente nell’edizione CEI del 2008 è della fine del II secolo
(quindi certamente non di Marco) ed è stato accettato dai Padri della Chiesa
(Taziano ed Ireneo). Gli studiosi, a partire dal 1700 in poi, si sono resi
conto che questa mancanza testimonia il lungo periodo di tempo (forse più di 40
anni) che è stato necessario per il consolidarsi della tradizione relativa alla
resurrezione ed alle apparizioni del Risorto. – 2. Quanto segue, limitatamente
al brano di Matteo, è stato liberamente tratto dalla conferenza di P. A. Maggi
“Vita eterna: incubo o promessa?” tenuta a Rovigo presso il Centro Mariano
Beata Vergine Addolorata dal 9 all’11 novembre 2001. – 3. Il primo giorno
dopo il sabato può essere anche chiamato l’ottavo giorno della settimana: il
numero otto, nel cristianesimo primitivo, era il numero che richiamava la
resurrezione. Non solo, il numero otto, nel vangelo di Matteo è il numero delle
beatitudini. Ne consegue che il battistero ottagonale diceva: tu, battezzando, sappi che mettendo in pratica il messaggio delle
beatitudini, Gesù ti comunicherà una vita che è capace di superare la morte.
(segue la prossima
domenica)