Battesimo del Signore – Lc
3,15-16.[17-20].21-22
Poiché il popolo era in attesa e
tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il
Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene
colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei
sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. [Tiene in mano la pala
per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà
la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
Ma il tetrarca Erode, rimproverato
da lui a causa di Erodìade, moglie di suo fratello, e per tutte le malvagità
che aveva commesso, aggiunse alle altre anche questa: fece rinchiudere Giovanni
in prigione.]
Ed ecco, mentre tutto il popolo
veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera,
il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea,
come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato:
in te ho posto il mio compiacimento».
Giovanni era un nazireo
(Lc 1,15), cioè un uomo che sceglieva di trascorrere una parte, in genere
piccola, della sua vita consacrato a Dio secondo quanto previsto in Nm 6,1-21;
aveva scelto un particolare modo di predicare attraverso il battesimo(1);
del resto in quel periodo in Israele vi erano diversi movimenti battisti che
invitavano a cambiare la propria vita in attesa del Messia(2).
Giovanni
annunciava la venuta imminente del Messia e invitava il popolo a fare un gesto
concreto di preparazione, minacciando punizioni terribili. Scendendo nell’acqua
del fiume Giordano, questi esprimevano il loro bisogno di perdono e la loro
disponibilità ad accogliere il Messia con un cambiamento nel modo di vivere; però
Giovanni precisava che quel gesto non era che una preparazione: dopo di lui un
altro, superiore a lui, sarebbe venuto per «battezzare
in Spirito Santo e fuoco».
“Poiché il popolo era in attesa e tutti,
riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo,
Giovanni rispose a tutti dicendo:…” Questa frase si apre presentando un “popolo
in attesa”. Tale popolo è lo stesso Israele, che dal tempo della
profezia di Natan al re Davide(3) (1010-970 a.C.) attendeva la
venuta di un messia liberatore e restauratore del regno di Israele. La frase introduce
il tema delle identità di Giovanni e di Gesù. Essa è costruita in tre parti: le
prime due distinte da due verbi con diverso soggetto (a: “il popolo era in attesa”; b: “tutti si
domandavano”); la terza parte deve definire se Giovanni è il preannunciato
Messia atteso dalle genti.
Analizziamo un attimo
la porzione di frase “tutti si domandavano”. Se da un
lato il termine “popolo” definisce storicamente
Israele, l’espressione “tutti” è
onnicomprensiva e abbraccia oltre che il popolo anche tutti coloro che, pur
ponendosi vicino ad Israele, tuttavia se ne stanno fuori. Luca è il teologo
della storia della salvezza universale, la quale pur partendo da Israele si
espande “fino ai confini della terra”
(At 1,8). Pertanto, se da un lato
l’attesa era propria di Israele, dall’altro l’interrogarsi sull’identità di
Giovanni apparteneva all’intera umanità credente. Il verbo greco, che è stato
tradotto con “si domandavano”, è “dialoghizoménon” che letteralmente
significa: “pensare, giudicare, valutare, discutere, computare, calcolare”. Non
si trattava quindi semplicemente di qualche interrogativo che ci si poneva
intimamente, ma di un vero e proprio dibattito che coinvolgeva interamente ogni
uomo ed era posto al centro della sua vita(4). L’attesa del Messia
spingeva dunque il popolo e tutti i timorati di Dio(5) ad
interrogarsi e ad interpretare i segni dei tempi in un ampio dibattito
comunitario.
“«Io vi battezzo con acqua; ma viene colui
che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali.
Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco….” La frase riguarda il
confronto personale tra Giovanni e Gesù, due figure che fin da subito Luca
contrappone l’una all’altra(6). Le grandezze dei due personaggi e
delle epoche, che essi in qualche modo incarnano, sono definite dalle
espressioni: " ...è più forte di me", "...non sono
degno di slegare i lacci dei sandali".
Il termine “ischiroteros”
(più forte), esprime una netta e inequivocabile superiorità vincente di Gesù
sul Battista. La qualità di questa forza è definita dall’espressione “non
sono degno di slegare i lacci dei sandali". Essa fa riferimento alla
legge ebraica del Levirato che prevedeva, nel caso di morte di un marito, che
il fratello del defunto ne sposasse la moglie per garantire continuità alla
famiglia. In caso di rifiuto del fratello, toccava ad un altro parente che, per
accettare la sposa, esprimeva il consenso con l’atto di sciogliere i sandali a
chi si era rifiutato, sputarci dentro e rimettere i sandali ai piedi. Giovanni
afferma così che non sarà lui a sposare(7) Israele, ormai da tempo
vedovo, ma Gesù.
La diversità dei due
personaggi, che Luca pone tra loro a confronto, e la distanza che li separa
vengono rilevate anche dalla sostanziale diversità dei due battesimi: "Io vi battezzo nell'acqua ... costui vi
battezzerà in Spirito Santo e fuoco".
L’azione del
battezzare di Giovanni è posta nel presente, che è il tempo proprio in cui egli
opera, cioè quello dell’AT; un tempo che trova in lui il suo compimento e la
sua conclusione.
La figura di Gesù è
caratterizzata da due verbi uno posto al presente (“viene uno”), l’altro al futuro (“costui vi battezzerà”). I due movimenti sono tra loro strettamente
correlati dallo stesso soggetto. Viene evidenziato il senso del battezzare di
Giovanni, mettendone in rilievo la natura: l’acqua che lo diversifica, ma non
lo contrappone allo Spirito Santo e fuoco del battesimo proprio di Gesù.
Acqua e Spirito non
sono due realtà contrapposte, ma complementari, l’una richiama da vicino
l’altra e ne è una sorta di prefigurazione. Già nella prima pagina della Bibbia
acqua e Spirito sono poste in uno stretto connubio: “Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e
lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.” (Gen 1,2). Anche in Ezechiele l’acqua viene abbinata allo Spirito e
prelude ad una nuova creazione, che rigenererà l’uomo a Dio(8).
L’acqua
veterotestamentaria è figura pertanto dello Spirito che viene donato da Dio a
tutti i credenti rigenerandoli al suo mondo e ricollocandoli nella stessa
dimensione divina. Essa parla di una nuova creazione che troverà il suo
compimento soltanto per mezzo dello Spirito, di cui essa è figura.
L’azione battezzante
di Gesù oltre che dallo Spirito Santo è caratterizzata anche dal fuoco. Esso rappresenta
Dio stesso, ne è simbolo e metafora (cfr. Dt
4,24; 5,25; 9,3; Is 33,14; Ger 20,9; 23,29; Ml 3,2 Eb 12,29) come la nube che di
notte illuminava il cammino di Israele e lo difendeva dagli assalti degli egiziani
(Es 13,21;14,24); esso accompagna la
venuta di Dio (Is 4,5;66,15) e
costituisce quasi il suo habitat naturale, esprimendone la presenza
(cfr. Es 3,2; 19,18; Dt 4,33; 9,10; 10,4;
Is 30,30; Dn 7,10; Gl 2,3).
Gesù, dunque,
battezzerà in Spirito Santo e fuoco, cioè immergerà l'uomo in una nuova
dimensione, quella divina, che Luca, come Matteo, associa qui al fuoco.
“Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il
frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Con
molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo”. L’immagine che
viene riportata è tratta dal mondo agricolo del tempo: il contadino dopo aver
mietuto il grano lo raccoglie sull’aia. Il grano, avvolto dalla pula, deve
esserne liberato. Pertanto il contadino prende il ventilabro, una pala in
legno, e getta in aria il grano. Il vento porta via la pula, mentre il grano ripulito
cade nuovamente sull’aia. La pulitura del grano quindi è l’ultimo atto prima
che il grano venga riposto nei granai.
Ritorna qui la
concezione del giudizio che la chiesa primitiva renderà evidente
nell’Apocalisse.
Ciò che opera le
pulitura dalle scorie del grano è il vento, che nel linguaggio biblico è figura
stessa dello Spirito Santo (cfr Gv 3,8;
At 2,2).
L’immagine di Gesù che Giovanni presenta nel vangelo di Luca è ancora
caratterizzata da forti tinte giudiziali, come era proprio della tradizione Q,
utilizzata anche da Matteo. È probabile che questa tradizione riproduca più da
vicino una caratteristica tipica del personaggio storico del Battista, come
risulta anche dal fatto che egli, ormai in carcere, manderà due discepoli da
Gesù per chiedergli se sia veramente lui quello che deve venire o se devono
aspettarne un altro (cfr. Lc 7,18-19; Mt
11,2-3) perché constatava una evidente diversità di comportamento di Gesù
da quello che lui aveva predicato.
In effetti questo brano mette in evidenza un aspetto problematico della
figura di Gesù: è stato anche lui un annunziatore del giudizio di Dio, come lo
presentano alcuni testi evangelici (pochi, in verità), oppure ha concentrato
tutto il suo insegnamento sulla paternità di Dio, lasciando cadere ogni
riferimento alla minaccia e al castigo? Alla luce del messaggio evangelico
preso nella sua globalità si può dire che egli ha messo l’accento in modo
unilaterale sulla bontà infinita di Dio (lieto annunzio), non escludendo però
il richiamo alla responsabilità che si assume chi la rifiuta e si chiude alle
esigenze di una vita di amore e di servizio nei confronti degli altri.
“Ma il tetrarca Erode, rimproverato
da lui a causa di Erodìade, moglie di suo fratello, e per tutte le malvagità
che aveva commesso, aggiunse alle altre anche questa: fece rinchiudere Giovanni
in prigione.”
Erode Antipa (4 a.C.-
39 d.C.), verso il 27 d.C., aveva conosciuto Erodiade a Roma, dove viveva, e
l'aveva convinta a lasciare il marito Erode Filippo, violando le severe leggi
d'Israele (Lv 18,16;20,21), poiché i
due Erode erano figli dello stesso padre Erode il Grande. Non solo, ma l'Antipa
(che aveva ripudiato la prima moglie) era anche zio e cognato di Erodiade, in
quanto questa era figlia di Aristobulo, altro fratello dell'Antipa (Erode il
Grande aveva avuto sette figli da diverse mogli. Nella sua famiglia tali unioni
consanguinee erano frequenti e spesso caratterizzate da eventi delittuosi).
Giovanni non
rimproverava a Erode il divorzio né, tanto meno, il suo modo di governare la
nazione: semplicemente gli constatava una violazione della legge ebraica.
Ma perché Giovanni
s'interessava così tanto alla situazione giuridica del tetrarca? Per quale
motivo aveva indirizzato le sue accuse al sovrano, quando fino a quel momento
aveva preso di mira solo gli scribi e i farisei? E perché aveva cominciato ad
attaccare il potere politico filoromano quando si era sempre limitato ad
attaccare quello dei capi religiosi? E perché proprio quello di Erode e non
quello, molto più importante, di Pilato? Come poteva sperare che l'Antipa si
sentisse indotto ad osservare, lui che era legato agli interessi di Roma, le
prescrizioni dell’AT in materia di diritto matrimoniale?
Qui si può pensare
che il Battista, probabilmente, si era ormai accorto di aver raggiunto una
popolarità tale per cui non poteva più fare a meno d'interessarsi anche della
situazione (in questo caso etico-giuridica) del vertice governativo della Perea
(il territorio ove il Battista aveva prevalentemente agito). La ragione vera
del comportamento rischioso del Battista forse non la sapremo mai.
“Ed ecco, mentre tutto il popolo
veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera,
il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea,
come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato:
in te ho posto il mio compiacimento»”.
Diversamente da Marco e da Matteo, Luca non menziona la sequela
di Gesù nei confronti di Giovanni, ma si limita ad accennare, in una duplice
frase subordinata, il battesimo di tutto il popolo e quello di Gesù. L’accenno al
battesimo di “tutto il popolo” vuole
dire che erano effettivamente stati battezzati non tutti gli israeliti, ma solo
tutti quelli che avevano aderito al movimento di Giovanni. Il battesimo di Gesù
viene indicato, nel testo greco, mediante un genitivo assoluto con il verbo
all’aoristo (= ed essendo stato battezzato Gesù); si tratta quindi anche qui di
un fatto ormai compiuto, che per Luca non riveste più un ruolo specifico, ma
rappresenta semplicemente l’occasione della sua proclamazione messianica.
La frase che accenna al battesimo di Gesù
come un fatto ormai compiuto, nel testo greco si prolunga con un verbo al
genitivo, ma questa volta al presente, che riferisce un evento prolungato nel
tempo: dopo il battesimo, cioè al momento della rivelazione divina, Gesù stava
pregando. Secondo Luca la preghiera contraddistingue le tappe più importanti
della vita di Gesù: l’evangelista vuole così sottolineare la perfetta
consonanza di Gesù con il volere del Padre e al tempo stesso indicare al
credente la necessità di rivolgersi personalmente a Dio in occasione dei
momenti più significativi della sua vita di fede, quale è appunto il battesimo.
Dopo le due subordinate, viene la
frase principale, che stilisticamente è anch’essa una subordinata rispetto
all’iniziale egeneto (“avvenne che...”):
“…il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea,
come una colomba e venne una voce dal cielo…” L’evento centrale viene espresso con
tre verbi all’infinito: si aprì il cielo, scese lo Spirito, vi fu una voce.
Essi non indicano più, come per Marco, un’esperienza avuta esclusivamente da
Gesù, ma un seguito di fatti oggettivi, che quindi, si suppone, potevano essere
visti da tutti. Riguardo al cielo (al singolare, diversamente da Marco) Luca
parla, come Matteo, di un semplice “aprirsi”,
sostituendolo al verbo “squarciarsi”,
molto più forte, usato da Marco. L’immagine del cielo aperto (cfr. Is 63,19; Gv 1,51; At7,56; Ap 4,1) non
indica un particolare fenomeno atmosferico (d’altronde difficilmente
immaginabile), ma un evento che riguarda il mondo superiore, cioè la ripresa
dei rapporti diretti tra Dio e l’umanità, interrotti dal peccato, e quindi
l’inizio degli ultimi tempi.
Lo Spirito discende su Gesù “come colomba”: è probabile che
l’immagine della colomba sia qui usata non per descrivere il modo in cui lo Spirito discende, ma per
caratterizzare simbolicamente lo Spirito stesso. Non è facile però spiegare
come mai lo Spirito sia stato raffigurato come una colomba. Forse sullo sfondo
vi è la concezione rabbinica, secondo la quale lo Spirito di Dio all’inizio
della creazione aleggiava sulle acque (cfr. Gn
1,2) come fa una colomba con i suoi piccoli: in questo caso la discesa
dello Spirito su Gesù sarebbe presentata come un segno della nuova creazione da
lui inaugurata. Non è escluso che vi sia anche un’allusione alla colomba
inviata da Noè fuori dell’arca, che attesta la fine del diluvio (Gn 8,8-21). Ma è più probabile che lo
Spirito sia raffigurato come una colomba anzitutto perché questa era simbolo di
Israele in quanto popolo eletto. Questo simbolismo appare già nel mondo
culturale biblico (cfr. Sal 68,14; Os
11,11; Ct 1,15; 2,14; 4,1). Il termine ebraico jonah, “colomba”,
che si trova nel titolo del Sal 56 (LXX 55), viene tradotto dai LXX con “popolo”;
nel Targum lo stesso titolo viene così parafrasato: «Per la
comunità di Israele, fatta come una colomba del silenzio, nel tempo in cui sono
stati allontanati dalle loro città». Negli apocrifi giudaici si trova questa
significativa affermazione: «Tra tutte le città tu hai santificato Sion e tra
tutti gli uccelli hai scelto una colomba» (4Esd
5,25-27). Lo Spirito dunque assume la forma di colomba per indicare che
viene conferita a Gesù la missione di portare a termine il raduno escatologico
del popolo di Dio. Questa intuizione viene resa più esplicita da Luca mediante
l’accenno al battesimo di tutto il popolo ormai compiuto da Giovanni. Nello
stesso modo Luca racconterà che a Pentecoste lo Spirito assunse l’aspetto di lingue di fuoco (cfr. At 2,3), in quanto doveva guidare e sostenere gli apostoli
nell’annunzio della salvezza. Luca aggiunge che lo Spirito scese su Gesù “in forma corporea” (dal greco somatikôs): anche questo avverbio ha lo scopo di
accentuare il carattere oggettivo e verificabile della discesa dello Spirito.
Insieme alla visione dello Spirito si
fa sentire (genesthai, avvenire) dal cielo una voce. Essa è senza dubbio la
voce di Dio. Anche secondo i rabbini Dio si fa a volte sentire dai suoi fedeli
mediante una voce (bath qôl, che letteralmente significa figlia della voce).
Alla comunicazione attraverso i segni si aggiunge quindi una
spiegazione esplicita e verbale di ciò che sta accadendo. La voce dice: “«Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento»”.
Così come in Matteo e in Marco, anche nel vangelo secondo
Luca, le parole dette dalla "voce
dal cielo" sono le stesse, ma esistono forti probabilità che le parole
siano state sostituite dal Magistero della Chiesa all’incirca nel V o VI
secolo.
Il testo originale sembra essere stato «Tu sei mio Figlio, l’amato, oggi ti ho
generato», come riporta la Bibbia di Gerusalemme nelle traduzioni non
italiane. Tale testo è stato poi modificato rendendolo conforme agli altri
vangeli. Questa modifica è dimostrata da diversi documenti: in un manoscritto
greco (Codex Bezae Cantabrigensis9) e in alcuni manoscritti latini,
le parole della voce celeste sono «Tu sei
mio Figlio, oggi ti ho generato».
Il testo in questa
forma era inoltre molto diffuso presso i Padri della Chiesa tra il II e il III
secolo, cosa che costituisce una testimonianza importante in quanto la maggior
parte dei manoscritti del Nuovo Testamento che sono giunti fino a noi è
posteriore a queste testimonianze; ebbene, in quasi tutti i casi, in
testimonianze che vengono dalla Spagna alla Palestina e dalla Gallia al
Nordafrica, è la forma «Oggi ti ho
generato» ad essere attestata. Depone inoltre a favore dell'autenticità di
questa versione il fatto che l'altra parte della frase è identica a quella
riportata in Marco e la convinzione che coloro che copiavano tendevano ad
uniformare i testi, invece che a introdurvi discostamenti.
La ragione della modifica del testo da «Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato»,
la versione originale di Luca, a «Tu sei
il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto» sarebbero da
ricondurre a un tentativo di rimuovere ogni possibile appiglio agli
Adozionisti, una corrente delle origini del cristianesimo per la quale Gesù non
era nato Figlio del Padre ma era stato da lui adottato all'atto del battesimo
nel Giordano; rimuovendo il riferimento alla «generazione» dal vangelo secondo Luca, si toglieva forza alla posizione degli
adozionisti(10).
È anche interessante notare un altro fatto. Epifanio di Salamina, un cristiano del IV secolo che compose un'opera contro le eresie, narra che nel Vangelo degli Ebioniti (un vangelo utilizzato dalla corrente cristiana degli Ebioniti(11) nel II secolo, e ora andato perduto) vi era scritto: “E mentre usciva dall'acqua, i cieli furono aperti, ed egli vide lo Spirito Santo discendere nella forma di una colomba ed entrare in lui. E una voce dal cielo disse «Tu sei il mio figlio prediletto; in te mi sono compiaciuto»; e, continuando, «Oggi ti ho generato»(12).
È anche interessante notare un altro fatto. Epifanio di Salamina, un cristiano del IV secolo che compose un'opera contro le eresie, narra che nel Vangelo degli Ebioniti (un vangelo utilizzato dalla corrente cristiana degli Ebioniti(11) nel II secolo, e ora andato perduto) vi era scritto: “E mentre usciva dall'acqua, i cieli furono aperti, ed egli vide lo Spirito Santo discendere nella forma di una colomba ed entrare in lui. E una voce dal cielo disse «Tu sei il mio figlio prediletto; in te mi sono compiaciuto»; e, continuando, «Oggi ti ho generato»(12).
Come si vede, gli Ebioniti tentarono di risolvere le contraddizioni tra le
varie versioni facendole confluire in un'unica versione che diceva tutte e due le
cose. Non diversamente da molti esegeti moderni o presunti tali!
Al di là di ogni
discussione, non è sbagliato vedere il nostro battesimo come il gesto
attraverso cui il Cristo mette il suo braccio attorno alla nostra spalla: noi
moriamo con lui ad un’esistenza segnata dalla falsa sufficienza e
dall’isolamento per entrare in una vita nuova, una vita di comunione(13).
Figli e figlie nel Figlio, noi possiamo ora
continuare la missione stessa di Gesù in ogni ambito della nostra vita:
testimoniare la venuta del Regno di Dio che irrompe nel nostro mondo e lo
trasforma dall’interno. Il battesimo,
immergendo i nostri limiti e anche i nostri rifiuti nelle acque della
misericordia divina, apre in noi una breccia in cui Dio può farsi presente,
attraverso di noi, nel cuore della storia.
Note:
1. Il rito di immersione, simbolo di purificazione rituale e di
rinnovamento era conosciuto dalle religioni antiche e dal giudaismo
post-esilico e veniva applicato ai proseliti (non ebrei che volevano seguire la
religione ebraica) e ai componenti del movimento monastico di Qumran. Con
Giovanni il battesimo perde il suo significato rituale ed assume quello morale
di purificazione dai peccati. – 2. A cavallo tra il I sec. a.C. ed il I sec.
d.C., l’attesa del Messia da parte di Israele diviene spasmodica. Secondo gli
scribi del I secolo il Messia tardava a venire e a manifestarsi a causa della
presenza in terra di Israele di grandi peccatori quali i pubblicani (esattori
delle imposte in favore dei romani) e le prostitute. I movimenti battisti
miravano ed eliminare questo impedimento. Giovanni estenderà la categoria dei
peccatori anche ai farisei e ai sadducei provocando scandalo. – 3. L’attesa di
un messia che avrebbe reso stabile e forte il Regno d’Israele trova la sua origine
nella promessa che il profeta Natan aveva rivolto a Davide: “Ora dunque riferirai al mio servo Davide:
Così dice il Signore degli eserciti: io
ti presi dai pascoli, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi il capo
d'Israele mio popolo; sono stato con te
ovunque sei andato; anche per il futuro distruggerò davanti a te tutti i
tuoi nemici e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla
terra. Fisserò un luogo a Israele mio popolo e ve lo pianterò perché abiti in
casa sua e non sia più agitato e gli iniqui non lo opprimano come in passato,
al tempo in cui avevo stabilito i Giudici sul mio popolo Israele e gli darò
riposo liberandolo da tutti i suoi nemici. Te poi il Signore farà grande,
poiché una casa farà a te il Signore. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e
tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita
dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al
mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno. Io gli sarò
padre ed egli mi sarà figlio. Se farà il male, lo castigherò con verga d'uomo e
con i colpi che danno i figli d'uomo, ma non ritirerò da lui il mio favore,
come l'ho ritirato da Saul, che ho rimosso dal trono dinanzi a te. La tua casa
e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso
stabile per sempre». Natan parlò a Davide con tutte queste parole e secondo
questa visione.” (2Sam 7,8-17). – 4. L’espressione “in cuor loro” non significa intimamente, ma interamente, pienamente.
Il cuore non è per l’ebreo la sede dei sentimenti, ma esprime l’interezza della
persona, la centralità della sua vita. – 5. Con l’espressione “timorati di Dio”
venivano definiti tutti i pagani che pur non appartenendo al popolo ebraico,
tuttavia ne erano simpatizzanti e si aggregavano al culto di Jhwh osservandone
la Legge. – 6. La contrapposizione tra Giovanni e Gesù è significata in greco
dalle due espressioni “egò mèn ùdati
baptìzo màs [...] érchetai dè iscuròteros
mu”. Le due particelle “mèn”
e “dè” evidenziano la
contrapposizione dei soggetti ai quali sono riferite: la prima riguarda
Giovanni, la seconda Gesù. Nella traduzione italiana la contrapposizione è resa
con il “ma”. – 7. In tutto l’AT il rapporto di Israele con Dio è descritto come
il rapporto tra due sposi. – 8. “Vi
prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo.
Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le
vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò
dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò
un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo
i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi.” (Ez 36,
24-27). – 9. Il Codex Bezae
Cantabrigensis è un importante codice del Nuovo Testamento datato 380 -
420 (secondo altri è più tardo, V-VI secolo). È scritto in latino e greco.
Contiene in maniera frammentaria solo i Vangeli, gli Atti degli Apostoli, la
Terza lettera di Giovanni. – 10. Vedi anche: Bart Ehrman, Gesù non l'ha mai
detto: millecinquecento anni di errori e manipolazioni nella traduzione dei
vangeli, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2007. pp. 183-185. – 11. Ebioniti è il nome con cui alcuni
scrittori cristiani indicano un gruppo di fedeli, di orientamento giudaizzante,
dapprima considerati scismatici e quindi eretici da diversi Padri della Chiesa;
rifiutavano la predicazione e l'ispirazione divina di Paolo. – 12. Vangelo degli
Ebioniti, citato nel testo: Epifanio di
Salamina, Contro gli eretici, 30/13,7-8. – 13. Vedi anche Rm 6,3-6.