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Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


giovedì 7 gennaio 2016

Battesimo del Signore



Battesimo del Signore – Lc 3,15-16.[17-20].21-22

Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. [Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
Ma il tetrarca Erode, rimproverato da lui a causa di Erodìade, moglie di suo fratello, e per tutte le malvagità che aveva commesso, aggiunse alle altre anche questa: fece rinchiudere Giovanni in prigione.]
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Giovanni era un nazireo (Lc 1,15), cioè un uomo che sceglieva di trascorrere una parte, in genere piccola, della sua vita consacrato a Dio secondo quanto previsto in Nm 6,1-21; aveva scelto un particolare modo di predicare attraverso il battesimo(1); del resto in quel periodo in Israele vi erano diversi movimenti battisti che invitavano a cambiare la propria vita in attesa del Messia(2).
Giovanni annunciava la venuta imminente del Messia e invitava il popolo a fare un gesto concreto di preparazione, minacciando punizioni terribili. Scendendo nell’acqua del fiume Giordano, questi esprimevano il loro bisogno di perdono e la loro disponibilità ad accogliere il Messia con un cambiamento nel modo di vivere; però Giovanni precisava che quel gesto non era che una preparazione: dopo di lui un altro, superiore a lui, sarebbe venuto per «battezzare in Spirito Santo e fuoco».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo:…” Questa frase si apre presentando un “popolo in attesa”. Tale popolo è lo stesso Israele, che dal tempo della profezia di Natan al re Davide(3) (1010-970 a.C.) attendeva la venuta di un messia liberatore e restauratore del regno di Israele. La frase introduce il tema delle identità di Giovanni e di Gesù. Essa è costruita in tre parti: le prime due distinte da due verbi con diverso soggetto (a: il popolo era in attesa”; b: tutti si domandavano”); la terza parte deve definire se Giovanni è il preannunciato Messia atteso dalle genti.
Analizziamo un attimo la porzione di frase “tutti si domandavano”. Se da un lato il termine “popolo” definisce storicamente Israele, l’espressione “tutti” è onnicomprensiva e abbraccia oltre che il popolo anche tutti coloro che, pur ponendosi vicino ad Israele, tuttavia se ne stanno fuori. Luca è il teologo della storia della salvezza universale, la quale pur partendo da Israele si espande “fino ai confini della terra” (At 1,8). Pertanto, se da un lato l’attesa era propria di Israele, dall’altro l’interrogarsi sull’identità di Giovanni apparteneva all’intera umanità credente. Il verbo greco, che è stato tradotto con “si domandavano”, è “dialoghizoménon” che letteralmente significa: “pensare, giudicare, valutare, discutere, computare, calcolare”. Non si trattava quindi semplicemente di qualche interrogativo che ci si poneva intimamente, ma di un vero e proprio dibattito che coinvolgeva interamente ogni uomo ed era posto al centro della sua vita(4). L’attesa del Messia spingeva dunque il popolo e tutti i timorati di Dio(5) ad interrogarsi e ad interpretare i segni dei tempi in un ampio dibattito comunitario.
«Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco….” La frase riguarda il confronto personale tra Giovanni e Gesù, due figure che fin da subito Luca contrappone l’una all’altra(6). Le grandezze dei due personaggi e delle epoche, che essi in qualche modo incarnano, sono definite dalle espressioni: " ...è più forte di me", "...non sono degno di slegare i lacci dei sandali".
Il termine “ischiroteros” (più forte), esprime una netta e inequivocabile superiorità vincente di Gesù sul Battista. La qualità di questa forza è definita dall’espressione “non sono degno di slegare i lacci dei sandali". Essa fa riferimento alla legge ebraica del Levirato che prevedeva, nel caso di morte di un marito, che il fratello del defunto ne sposasse la moglie per garantire continuità alla famiglia. In caso di rifiuto del fratello, toccava ad un altro parente che, per accettare la sposa, esprimeva il consenso con l’atto di sciogliere i sandali a chi si era rifiutato, sputarci dentro e rimettere i sandali ai piedi. Giovanni afferma così che non sarà lui a sposare(7) Israele, ormai da tempo vedovo, ma Gesù.
La diversità dei due personaggi, che Luca pone tra loro a confronto, e la distanza che li separa vengono rilevate anche dalla sostanziale diversità dei due battesimi: "Io vi battezzo nell'acqua ... costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco".
L’azione del battezzare di Giovanni è posta nel presente, che è il tempo proprio in cui egli opera, cioè quello dell’AT; un tempo che trova in lui il suo compimento e la sua conclusione.
La figura di Gesù è caratterizzata da due verbi uno posto al presente (“viene uno”), l’altro al futuro (“costui vi battezzerà”). I due movimenti sono tra loro strettamente correlati dallo stesso soggetto. Viene evidenziato il senso del battezzare di Giovanni, mettendone in rilievo la natura: l’acqua che lo diversifica, ma non lo contrappone allo Spirito Santo e fuoco del battesimo proprio di Gesù.
Acqua e Spirito non sono due realtà contrapposte, ma complementari, l’una richiama da vicino l’altra e ne è una sorta di prefigurazione. Già nella prima pagina della Bibbia acqua e Spirito sono poste in uno stretto connubio: “Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.” (Gen 1,2). Anche in Ezechiele l’acqua viene abbinata allo Spirito e prelude ad una nuova creazione, che rigenererà l’uomo a Dio(8).
L’acqua veterotestamentaria è figura pertanto dello Spirito che viene donato da Dio a tutti i credenti rigenerandoli al suo mondo e ricollocandoli nella stessa dimensione divina. Essa parla di una nuova creazione che troverà il suo compimento soltanto per mezzo dello Spirito, di cui essa è figura.
L’azione battezzante di Gesù oltre che dallo Spirito Santo è caratterizzata anche dal fuoco. Esso rappresenta Dio stesso, ne è simbolo e metafora (cfr. Dt 4,24; 5,25; 9,3; Is 33,14; Ger 20,9; 23,29; Ml 3,2 Eb 12,29) come la nube che di notte illuminava il cammino di Israele e lo difendeva dagli assalti degli egiziani (Es 13,21;14,24); esso accompagna la venuta di Dio (Is 4,5;66,15) e costituisce quasi il suo habitat naturale, esprimendone la presenza (cfr. Es 3,2; 19,18; Dt 4,33; 9,10; 10,4; Is 30,30; Dn 7,10; Gl 2,3).
Gesù, dunque, battezzerà in Spirito Santo e fuoco, cioè immergerà l'uomo in una nuova dimensione, quella divina, che Luca, come Matteo, associa qui al fuoco.
Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo”. L’immagine che viene riportata è tratta dal mondo agricolo del tempo: il contadino dopo aver mietuto il grano lo raccoglie sull’aia. Il grano, avvolto dalla pula, deve esserne liberato. Pertanto il contadino prende il ventilabro, una pala in legno, e getta in aria il grano. Il vento porta via la pula, mentre il grano ripulito cade nuovamente sull’aia. La pulitura del grano quindi è l’ultimo atto prima che il grano venga riposto nei granai.
Ritorna qui la concezione del giudizio che la chiesa primitiva renderà evidente nell’Apocalisse.
Ciò che opera le pulitura dalle scorie del grano è il vento, che nel linguaggio biblico è figura stessa dello Spirito Santo (cfr Gv 3,8; At 2,2).
L’immagine di Gesù che Giovanni presenta nel vangelo di Luca è ancora caratterizzata da forti tinte giudiziali, come era proprio della tradizione Q, utilizzata anche da Matteo. È probabile che questa tradizione riproduca più da vicino una caratteristica tipica del personaggio storico del Battista, come risulta anche dal fatto che egli, ormai in carcere, manderà due discepoli da Gesù per chiedergli se sia veramente lui quello che deve venire o se devono aspettarne un altro (cfr. Lc 7,18-19; Mt 11,2-3) perché constatava una evidente diversità di comportamento di Gesù da quello che lui aveva predicato.
In effetti questo brano mette in evidenza un aspetto problematico della figura di Gesù: è stato anche lui un annunziatore del giudizio di Dio, come lo presentano alcuni testi evangelici (pochi, in verità), oppure ha concentrato tutto il suo insegnamento sulla paternità di Dio, lasciando cadere ogni riferimento alla minaccia e al castigo? Alla luce del messaggio evangelico preso nella sua globalità si può dire che egli ha messo l’accento in modo unilaterale sulla bontà infinita di Dio (lieto annunzio), non escludendo però il richiamo alla responsabilità che si assume chi la rifiuta e si chiude alle esigenze di una vita di amore e di servizio nei confronti degli altri.
“Ma il tetrarca Erode, rimproverato da lui a causa di Erodìade, moglie di suo fratello, e per tutte le malvagità che aveva commesso, aggiunse alle altre anche questa: fece rinchiudere Giovanni in prigione.”
Erode Antipa (4 a.C.- 39 d.C.), verso il 27 d.C., aveva conosciuto Erodiade a Roma, dove viveva, e l'aveva convinta a lasciare il marito Erode Filippo, violando le severe leggi d'Israele (Lv 18,16;20,21), poiché i due Erode erano figli dello stesso padre Erode il Grande. Non solo, ma l'Antipa (che aveva ripudiato la prima moglie) era anche zio e cognato di Erodiade, in quanto questa era figlia di Aristobulo, altro fratello dell'Antipa (Erode il Grande aveva avuto sette figli da diverse mogli. Nella sua famiglia tali unioni consanguinee erano frequenti e spesso caratterizzate da eventi delittuosi).
Giovanni non rimproverava a Erode il divorzio né, tanto meno, il suo modo di governare la nazione: semplicemente gli constatava una violazione della legge ebraica.
Ma perché Giovanni s'interessava così tanto alla situazione giuridica del tetrarca? Per quale motivo aveva indirizzato le sue accuse al sovrano, quando fino a quel momento aveva preso di mira solo gli scribi e i farisei? E perché aveva cominciato ad attaccare il potere politico filoromano quando si era sempre limitato ad attaccare quello dei capi religiosi? E perché proprio quello di Erode e non quello, molto più importante, di Pilato? Come poteva sperare che l'Antipa si sentisse indotto ad osservare, lui che era legato agli interessi di Roma, le prescrizioni dell’AT in materia di diritto matrimoniale?
Qui si può pensare che il Battista, probabilmente, si era ormai accorto di aver raggiunto una popolarità tale per cui non poteva più fare a meno d'interessarsi anche della situazione (in questo caso etico-giuridica) del vertice governativo della Perea (il territorio ove il Battista aveva prevalentemente agito). La ragione vera del comportamento rischioso del Battista forse non la sapremo mai.
“Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento»”.
Diversamente da Marco e da Matteo, Luca non menziona la sequela di Gesù nei confronti di Giovanni, ma si limita ad accennare, in una duplice frase subordinata, il battesimo di tutto il popolo e quello di Gesù. L’accenno al battesimo di “tutto il popolo” vuole dire che erano effettivamente stati battezzati non tutti gli israeliti, ma solo tutti quelli che avevano aderito al movimento di Giovanni. Il battesimo di Gesù viene indicato, nel testo greco, mediante un genitivo assoluto con il verbo all’aoristo (= ed essendo stato battezzato Gesù); si tratta quindi anche qui di un fatto ormai compiuto, che per Luca non riveste più un ruolo specifico, ma rappresenta semplicemente l’occasione della sua proclamazione messianica.
La frase che accenna al battesimo di Gesù come un fatto ormai compiuto, nel testo greco si prolunga con un verbo al genitivo, ma questa volta al presente, che riferisce un evento prolungato nel tempo: dopo il battesimo, cioè al momento della rivelazione divina, Gesù stava pregando. Secondo Luca la preghiera contraddistingue le tappe più importanti della vita di Gesù: l’evangelista vuole così sottolineare la perfetta consonanza di Gesù con il volere del Padre e al tempo stesso indicare al credente la necessità di rivolgersi personalmente a Dio in occasione dei momenti più significativi della sua vita di fede, quale è appunto il battesimo.
Dopo le due subordinate, viene la frase principale, che stilisticamente è anch’essa una subordinata rispetto all’iniziale egeneto (avvenne che...”): “…il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba e venne una voce dal cielo…” L’evento centrale viene espresso con tre verbi all’infinito: si aprì il cielo, scese lo Spirito, vi fu una voce. Essi non indicano più, come per Marco, un’esperienza avuta esclusivamente da Gesù, ma un seguito di fatti oggettivi, che quindi, si suppone, potevano essere visti da tutti. Riguardo al cielo (al singolare, diversamente da Marco) Luca parla, come Matteo, di un semplice “aprirsi”, sostituendolo al verbo “squarciarsi”, molto più forte, usato da Marco. L’immagine del cielo aperto (cfr. Is 63,19; Gv 1,51; At7,56; Ap 4,1) non indica un particolare fenomeno atmosferico (d’altronde difficilmente immaginabile), ma un evento che riguarda il mondo superiore, cioè la ripresa dei rapporti diretti tra Dio e l’umanità, interrotti dal peccato, e quindi l’inizio degli ultimi tempi.
Lo Spirito discende su Gesù “come colomba”: è probabile che l’immagine della colomba sia qui usata non per descrivere il modo in cui lo Spirito discende, ma per caratterizzare simbolicamente lo Spirito stesso. Non è facile però spiegare come mai lo Spirito sia stato raffigurato come una colomba. Forse sullo sfondo vi è la concezione rabbinica, secondo la quale lo Spirito di Dio all’inizio della creazione aleggiava sulle acque (cfr. Gn 1,2) come fa una colomba con i suoi piccoli: in questo caso la discesa dello Spirito su Gesù sarebbe presentata come un segno della nuova creazione da lui inaugurata. Non è escluso che vi sia anche un’allusione alla colomba inviata da Noè fuori dell’arca, che attesta la fine del diluvio (Gn 8,8-21). Ma è più probabile che lo Spirito sia raffigurato come una colomba anzitutto perché questa era simbolo di Israele in quanto popolo eletto. Questo simbolismo appare già nel mondo culturale biblico (cfr. Sal 68,14; Os 11,11; Ct 1,15; 2,14; 4,1). Il termine ebraico jonah, “colomba”, che si trova nel titolo del Sal 56 (LXX 55), viene tradotto dai LXX con “popolo”; nel Targum lo stesso titolo viene così parafrasato: «Per la comunità di Israele, fatta come una colomba del silenzio, nel tempo in cui sono stati allontanati dalle loro città». Negli apocrifi giudaici si trova questa significativa affermazione: «Tra tutte le città tu hai santificato Sion e tra tutti gli uccelli hai scelto una colomba» (4Esd 5,25-27). Lo Spirito dunque assume la forma di colomba per indicare che viene conferita a Gesù la missione di portare a termine il raduno escatologico del popolo di Dio. Questa intuizione viene resa più esplicita da Luca mediante l’accenno al battesimo di tutto il popolo ormai compiuto da Giovanni. Nello stesso modo Luca racconterà che a Pentecoste lo Spirito assunse l’aspetto di lingue di fuoco (cfr. At 2,3), in quanto doveva guidare e sostenere gli apostoli nell’annunzio della salvezza. Luca aggiunge che lo Spirito scese su Gesù “in forma corporea” (dal greco somatikôs): anche questo avverbio ha lo scopo di accentuare il carattere oggettivo e verificabile della discesa dello Spirito.
Insieme alla visione dello Spirito si fa sentire (genesthai, avvenire) dal cielo una voce. Essa è senza dubbio la voce di Dio. Anche secondo i rabbini Dio si fa a volte sentire dai suoi fedeli mediante una voce (bath qôl, che letteralmente significa figlia della voce).
Alla comunicazione attraverso i segni si aggiunge quindi una spiegazione esplicita e verbale di ciò che sta accadendo. La voce dice:«Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento»”.
Così come in Matteo e in Marco, anche nel vangelo secondo Luca, le parole dette dalla "voce dal cielo" sono le stesse, ma esistono forti probabilità che le parole siano state sostituite dal Magistero della Chiesa all’incirca nel V o VI secolo.
Il testo originale sembra essere stato «Tu sei mio Figlio, l’amato, oggi ti ho generato», come riporta la Bibbia di Gerusalemme nelle traduzioni non italiane. Tale testo è stato poi modificato rendendolo conforme agli altri vangeli. Questa modifica è dimostrata da diversi documenti: in un manoscritto greco (Codex Bezae Cantabrigensis9) e in alcuni manoscritti latini, le parole della voce celeste sono «Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato».
Il testo in questa forma era inoltre molto diffuso presso i Padri della Chiesa tra il II e il III secolo, cosa che costituisce una testimonianza importante in quanto la maggior parte dei manoscritti del Nuovo Testamento che sono giunti fino a noi è posteriore a queste testimonianze; ebbene, in quasi tutti i casi, in testimonianze che vengono dalla Spagna alla Palestina e dalla Gallia al Nordafrica, è la forma «Oggi ti ho generato» ad essere attestata. Depone inoltre a favore dell'autenticità di questa versione il fatto che l'altra parte della frase è identica a quella riportata in Marco e la convinzione che coloro che copiavano tendevano ad uniformare i testi, invece che a introdurvi discostamenti.
La ragione della modifica del testo da «Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato», la versione originale di Luca, a «Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto» sarebbero da ricondurre a un tentativo di rimuovere ogni possibile appiglio agli Adozionisti, una corrente delle origini del cristianesimo per la quale Gesù non era nato Figlio del Padre ma era stato da lui adottato all'atto del battesimo nel Giordano; rimuovendo il riferimento alla «generazione» dal vangelo secondo Luca, si toglieva forza alla posizione degli adozionisti(10).
È anche interessante notare un altro fatto. Epifanio di Salamina, un cristiano del IV secolo che compose un'opera contro le eresie, narra che nel Vangelo degli Ebioniti (un vangelo utilizzato dalla corrente cristiana degli Ebioniti(11) nel II secolo, e ora andato perduto) vi era scritto: “E mentre usciva dall'acqua, i cieli furono aperti, ed egli vide lo Spirito Santo discendere nella forma di una colomba ed entrare in lui. E una voce dal cielo disse «Tu sei il mio figlio prediletto; in te mi sono compiaciuto»; e, continuando, «Oggi ti ho generato»(12).
Come si vede, gli Ebioniti tentarono di risolvere le contraddizioni tra le varie versioni facendole confluire in un'unica versione che diceva tutte e due le cose. Non diversamente da molti esegeti moderni o presunti tali!
Al di là di ogni discussione, non è sbagliato vedere il nostro battesimo come il gesto attraverso cui il Cristo mette il suo braccio attorno alla nostra spalla: noi moriamo con lui ad un’esistenza segnata dalla falsa sufficienza e dall’isolamento per entrare in una vita nuova, una vita di comunione(13). Figli e figlie nel Figlio, noi possiamo ora continuare la missione stessa di Gesù in ogni ambito della nostra vita: testimoniare la venuta del Regno di Dio che irrompe nel nostro mondo e lo trasforma dall’interno. Il battesimo,  immergendo i nostri limiti e anche i nostri rifiuti nelle acque della misericordia divina, apre in noi una breccia in cui Dio può farsi presente, attraverso di noi, nel cuore della storia.

Note: 1. Il rito di immersione, simbolo di purificazione rituale e di rinnovamento era conosciuto dalle religioni antiche e dal giudaismo post-esilico e veniva applicato ai proseliti (non ebrei che volevano seguire la religione ebraica) e ai componenti del movimento monastico di Qumran. Con Giovanni il battesimo perde il suo significato rituale ed assume quello morale di purificazione dai peccati. – 2. A cavallo tra il I sec. a.C. ed il I sec. d.C., l’attesa del Messia da parte di Israele diviene spasmodica. Secondo gli scribi del I secolo il Messia tardava a venire e a manifestarsi a causa della presenza in terra di Israele di grandi peccatori quali i pubblicani (esattori delle imposte in favore dei romani) e le prostitute. I movimenti battisti miravano ed eliminare questo impedimento. Giovanni estenderà la categoria dei peccatori anche ai farisei e ai sadducei provocando scandalo. – 3. L’attesa di un messia che avrebbe reso stabile e forte il Regno d’Israele trova la sua origine nella promessa che il profeta Natan aveva rivolto a Davide: “Ora dunque riferirai al mio servo Davide: Così dice il Signore degli eserciti:  io ti presi dai pascoli, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi il capo d'Israele mio popolo; sono stato con te  ovunque sei andato; anche per il futuro distruggerò davanti a te tutti i tuoi nemici e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo a Israele mio popolo e ve lo pianterò perché abiti in casa sua e non sia più agitato e gli iniqui non lo opprimano come in passato, al tempo in cui avevo stabilito i Giudici sul mio popolo Israele e gli darò riposo liberandolo da tutti i suoi nemici. Te poi il Signore farà grande, poiché una casa farà a te il Signore. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno. Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. Se farà il male, lo castigherò con verga d'uomo e con i colpi che danno i figli d'uomo, ma non ritirerò da lui il mio favore, come l'ho ritirato da Saul, che ho rimosso dal trono dinanzi a te. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre». Natan parlò a Davide con tutte queste parole e secondo questa visione.” (2Sam 7,8-17). – 4. L’espressione “in cuor loro” non significa intimamente, ma interamente, pienamente. Il cuore non è per l’ebreo la sede dei sentimenti, ma esprime l’interezza della persona, la centralità della sua vita. – 5. Con l’espressione “timorati di Dio” venivano definiti tutti i pagani che pur non appartenendo al popolo ebraico, tuttavia ne erano simpatizzanti e si aggregavano al culto di Jhwh osservandone la Legge. – 6. La contrapposizione tra Giovanni e Gesù è significata in greco dalle due espressioni “egò mèn ùdati baptìzo màs [...] érchetai iscuròteros mu”. Le due particelle “mèn” e “” evidenziano la contrapposizione dei soggetti ai quali sono riferite: la prima riguarda Giovanni, la seconda Gesù. Nella traduzione italiana la contrapposizione è resa con il “ma”. – 7. In tutto l’AT il rapporto di Israele con Dio è descritto come il rapporto tra due sposi. – 8. “Vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi.” (Ez 36, 24-27). – 9. Il Codex Bezae Cantabrigensis è un importante codice del Nuovo Testamento datato 380 - 420 (secondo altri è più tardo, V-VI secolo). È scritto in latino e greco. Contiene in maniera frammentaria solo i Vangeli, gli Atti degli Apostoli, la Terza lettera di Giovanni. – 10. Vedi anche: Bart Ehrman, Gesù non l'ha mai detto: millecinquecento anni di errori e manipolazioni nella traduzione dei vangeli, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2007. pp. 183-185. – 11. Ebioniti è il nome con cui alcuni scrittori cristiani indicano un gruppo di fedeli, di orientamento giudaizzante, dapprima considerati scismatici e quindi eretici da diversi Padri della Chiesa; rifiutavano la predicazione e l'ispirazione divina di Paolo. – 12.  Vangelo degli Ebioniti, citato nel testo: Epifanio di Salamina, Contro gli eretici, 30/13,7-8. – 13. Vedi anche Rm 6,3-6.

Epifania del Signore



Epifania del Signore – Mt 2,1-12

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo
che sarà il pastore del mio popolo, Israele
».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.

Erode, così come è descritto dagli storici dell’epoca ed in parte anche dai vangeli, sembra la caricatura di un qualunque uomo di potere, ma dal punto di vista storico è stato un tiranno sanguinario ed astuto. Erode non sarebbe potuto diventare re dei giudei, perché in lui non scorreva sangue ebraico: era un idumeo(1); la madre era un’araba e i nonni forse degli schiavi. Non è chiaro, (gli storici non l’hanno ancora scoperto), in che modo Erode giunse al potere. La Bibbia dice che chi non ha sangue giudeo non può essere re degli israeliti, per cui Erode, nella sua scalata al potere, eliminò quelli che conoscevano la sua origine, in particolare certi farisei, e incaricò il suo storiografo di corte di costruirgli la fama di unto del Signore.
Uomo abile ed intelligente, capì subito che il popolo andava tenuto calmo con quella che da sempre era la droga usata dai potenti: lo sport. Infatti finanziò quelle che erano le olimpiadi della sua epoca, ma a questo aggiunse la promessa, mantenuta, di diecimila posti di lavoro per la ricostruzione del tempio.
“Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme…”. Qui abbiamo dei personaggi che hanno talmente scandalizzato le prime comunità cristiane che sono stati completamente snaturati nel loro significato: i magi. La parola magi sia in greco che in italiano non esiste; nel testo greco di questo brano è riportata la parola magoi che ha una sola traduzione: maghi.
Sono in realtà dei personaggi talmente scabrosi, talmente scandalosi che la tradizione cristiana ne ha snaturato il nome: da maghi li ha fatti diventare degli innocui magi, affinché non si sapesse bene cosa e chi fossero.
Per comprendere il perché di questa presenza dobbiamo rifarci alla linea teologica di Matteo. Matteo racconta un Gesù che si presenta ed agisce al di fuori della religione ufficiale di allora. Gesù dimostrerà che tutto il castello che si chiamava religione ebraica e che veniva fatto credere alla gente come espressione della volontà di Dio, non solo non era la volontà di Dio, ma gli era contraria ed era falsa.
Gesù si è trovato bene con i peccatori, i miscredenti, la gentaccia, ma si è sempre trovato in pericolo con le persone pie, le persone devote. Matteo con questo episodio intende dire che, mentre nella religione ebraica c’è ostilità nei confronti del Dio di Gesù, quelli che vivono al di fuori della religione (e questa sarà una costante in tutti e quattro i vangeli), sono i primi a riconoscerlo, ad accettarlo e ad accoglierlo.
Nel vangelo di Matteo l’unico che riconoscerà in Gesù il Figlio di Dio sarà un centurione romano, un pagano. Gli unici che Gesù loderà per la loro fede saranno dei pagani. Con queste premesse si comincia a comprendere il senso della presenza di questi maghi.
Nella lingua greca del tempo con il termine magoi = maghi(2) si indicavano sì gli indovini e gli astronomi, ma al tempo in cui l’Evangelista scrive, con questa parola si indicavano anche gli imbroglioni, gli ingannatori, i corruttori. Potremo quindi dire che i maghi erano i ciarlatani dell’epoca.
Nella Bibbia era proibito avere rapporti con questa categoria di persone e nell’elenco di peccati del primo catechismo della Chiesa (la “didachè”), quello di esercitare la “professione” di mago era preceduto da quello di rubare e seguito da quello di abortire: erano peccati quindi considerati particolarmente gravi.
Nella Torah era prevista la pena di morte per chi osava accettare l’insegnamento di questi maghi ed inoltre, in questo caso, Matteo scrive che vengono dall’oriente, cioè sono pagani.
Diceva un detto ebraico: uccidi il migliore dei pagani e avrai ucciso il più schifoso dei serpenti. Per i pagani non c’era speranza di resurrezione, non c’era speranza di salvezza.
“…e dicevano: «Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo»”. Facciamo un attimo mente locale: queste persone, che esercitano un’attività maledetta dalla Bibbia, un’attività riprovevole, affermano che c’è un nuovo re dei Giudei. C’è un neonato re dei Giudei perché  Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”.
Quando si fa il presepio si mette generalmente una stella cometa: la cometa è tratta da una tradizione del millequattrocento(3). In realtà i maghi parlano di una normale stella e occorre rifarsi ad una credenza dell’epoca che affermava che in occasione della nascita dei grandi personaggi sorgeva una stella che poi sarebbe scomparsa alla sua morte(3).
Matteo nello specifico si rifà, lui che è un grande teologo, ad una profezia dell’AT dove, indicando il futuro capo del popolo, si diceva: “Io lo vedo, ma non ora; io lo contemplo, ma non in vicinanza; una stella sorge in Giacobbe, uno scettro si leva in Israele” (cfr. Nm 24,17).
L’Evangelista in pratica dice: quel segno che era dato per Israele, Israele non l’aveva compreso, ma l’avevano compreso delle persone pagane.
La lezione di Matteo è importante: sono i pagani quelli che faranno conoscere le profonde verità di Dio ai credenti e questo messaggio è presente in tutto il vangelo: saranno sempre i pagani, in questo vangelo, quelli che catechizzeranno gli israeliti.
All'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme”. Che Erode si turbi o meglio, si spaventi(4) lo si capisce benissimo, lui è il re dei giudei e gli viene detto: dov’è il nuovo re dei giudei? Erode era ossessionato dal potere che aveva conquistato in una maniera oscura e illecita, era sospettoso persino dei propri familiari, ne assassinò una dozzina e mise a morte anche i propri figli, uno addirittura cinque giorni prima di morire(5).
Erode quindi si spaventò e “con lui tutta Gerusalemme”. Questa seconda parte della frase necessita un spiegazione: dicevano gli ebrei che Israele era il centro del mondo, al centro di Israele c’era Gerusalemme ed al centro di Gerusalemme c’era il Tempio del Signore. Quindi Gerusalemme non era una città come le altre, era la città santa, la città sacra che Dio aveva scelto come sua dimora: nel tempio c’era la gloria di Dio, la presenza di Dio. Quindi Gerusalemme rappresenta l’istituzione religiosa giudaica.
Il tempio di Gerusalemme era una delle meraviglie del mondo, lo spazio sacro più grande dell’umanità, ed era di uno splendore incredibile. Gerusalemme era la città abitata dai sommi sacerdoti, da tutte le persone pie e devote, ma all’annunzio che è nato Gesù si spaventa, si sconvolge: nel vangelo la stella dei maghi non brillerà mai sopra Gerusalemme; Gerusalemme è sotto una cappa mortale e infatti Gesù resuscitato non apparirà mai in Gerusalemme; apparirà invece fuori Gerusalemme, in Galilea. Gerusalemme era la città assassina e maledetta che uccide i profeti e li uccide in nome di Dio.
Gerusalemme deve tutto il suo potere, il suo prestigio all’esistenza del tempio e lo basa sulla religione ufficiale, su quella che i sacerdoti spacciavano essere il vero rapporto con Dio.
Matteo non sta facendo altro che anticipare quello che sarà il contenuto di tutto il vangelo. Gerusalemme, anziché accogliere il suo re, all’idea che sia nato si spaventa perché tra le cose che farà Gesù ci sarà l’eliminazione del culto. Quando Gesù entra nel tempio e, fatta una frusta di cordicelle, incomincia a cacciare i mercanti, Gesù caccia quelli che vendono, ma anche quelli che comprano. Quello che Gesù non tollera è il culto così come veniva realizzato nel tempio, perché veniva presentato un Dio sanguisuga che chiedeva continuamente doni alle persone, doni che naturalmente non andavano a Dio ma andavano ai sacerdoti.
Ecco allora che tutta Gerusalemme è sconvolta, è allarmata, perché se questa nuova mentalità  va avanti, per loro è la fine.
Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo; due volte nel Vangelo di Matteo c’è questa espressione ed è sempre in una situazione rischiosa per Gesù. Qui Erode riunisce tutti i capi dei sacerdoti per conoscere il luogo dove è nato Gesù, per poi eliminarlo. Questa espressione “tutti i capi dei sacerdoti” la ritroviamo al capitolo 27, quando si riuniscono per decidere di eliminare Gesù, per crocifiggerlo.
“Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo
che sarà il pastore del mio popolo, Israele
»”.
Può sembrare strano: qui ci sono i teologi, gli scribi, i sommi sacerdoti, i sapienti, i conoscitori della scrittura, ma questa non incide nella loro esistenza. La conoscenza della scrittura non è garanzia della conoscenza del Signore. Si può studiare, si può stare tutto il giorno con il naso attaccato alla Bibbia, ma se non c’è il bene dell’uomo come valore massimo della propria esistenza, la Bibbia non si capisce: infatti non muoveranno un dito per andare ad accogliere il loro re.
Nella risposta dei teologi ufficiali, cioè degli scribi, Matteo mette insieme due testi, secondo la tecnica dell’epoca. Uno è la profezia di Michea, al cap. 5. In Michea si leggeva: E tu Betlemme di Efrata, così piccola per essere tra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore di Israele”. L’Evangelista cambia queste due ultime parole con un testo tratto dalla secondo libro di Samuele, cap. 5 che dice: “.. il Signore ti ha detto, tu pascerai Israele, mio popolo”(6).
C’era una tremenda profezia di Ezechiele (cfr. Ez 34) che diceva, voi siete i pastori del popolo, ma voi anziché curarvi del gregge lo tosate e lo sacrificate per il vostro interesse e, era il Signore che parlava, io vi eliminerò tutti quanti. Farò sorgere un pastore, un mio rappresentante che eliminerà voi, falsi pastori.
Quando sanno che nasce il Pastore, i sommi sacerdoti capiscono che per loro è finita. I sommi sacerdoti sono i falsi pastori che il vero pastore eliminerà.
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo».
Questo dal punto di vista storico non regge! Con tutti gli informatori, gli sgherri, le spie che Erode aveva, sapendo che Betlemme era un borgo di poche case, distante 8 km da Gerusalemme e quindi neanche tanto lontana, possibile che avesse bisogno di questi pagani, di questi stranieri? Erode è stata una persona di grande furbizia e di grande astuzia e non per niente è riuscito a governare per cinquant’anni. E’ chiaramente una costruzione letteraria per dare il tempo tecnico necessario all’incontro che segue.
Udito il re, essi partirono”, ricordate, quando leggete il vangelo lo dovete tenere presente, ogni volta che l’Evangelista usa l’espressione “ecco”, significa che c’è una sorpresa, “Ed ecco la stella…” . Dov’era finita la stella? I maghi avevano seguito la stella, ma sopra Gerusalemme la stella non aveva brillato.
“Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino“. Qui la stella si comporta come il Dio dell’AT che guidava il suo popolo.
Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Guardate le due reazioni contrapposte: i giudei a Gerusalemme all’annunzio della nascita del re si spaventano, sono terrorizzati; i pagani, i miscredenti, quelli ritenuti i maledetti da Dio, vedendo i segni di Dio provano una grandissima gioia. Sono quindi i pagani, quelli che provano un sentimento di pienezza come quello di una immensa allegria.
“Entrati nella casa...”: attenzione, nel presepio mettiamo Gesù in una grotta o in una stalla; nei vangeli, il testo lo dice chiaramente, Gesù nasce in una casa. Continuate a mettere pure l’asino ed il bue in questa stalla o in questa grotta, ma in questa casa non c’era né l’asino, né il bue: sono le tradizioni del passato che hanno romanticizzato questo episodio snaturandolo e facendo smarrire il significato originario(7).
Gesù perciò nasce e dimora in una casa, naturalmente la casa palestinese di allora, che non assomiglia certo alle nostre case.
Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. il padre, Giuseppe, è stato eliminato dell’Evangelista perché nella tradizione biblica il re veniva sempre presentato solo con la regina madre.
Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra.”. Questo verbo offrire è un verbo tecnico: a quel tempo c’erano delle precise regole di scrittura, avevano determinati verbi, determinati nomi che si adoperavano soltanto per alcune categorie o per esprimere alcune verità. Quando erano presenti i pagani non si usava mai il verbo offrire, perché il verbo offrire è un verbo esclusivo del popolo giudaico: invece qui l’Evangelista adopera il verbo offrire anche per questi maghi, per questi pagani.
Questa è la prima indicazione. “.. gli offrirono in dono oro, incenso e mirra”. Sono tre doni di una importanza straordinaria: in questo brano Matteo anticipa e riassume tutto il messaggio del Vangelo.
L’oro è simbolo di regalità ed offrendolo a Gesù, che insieme alla madre è stato presentato come si rappresentava il re, sta a significare che Gesù non è solo re dei giudei ma anche dei pagani. Quella che era una prerogativa esclusiva del popolo di Israele, quella di essere il regno di Dio, si estende, con l’offerta dell’oro da parte dei pagani a Gesù, anche a tutta l’umanità.
Vi sarà conflitto tra Gesù ed il suo popolo e tra Gesù ed i suoi discepoli, perché mentre Gesù è venuto ad annunziare il regno di Dio, loro pensano invece al regno di Israele.
Al posto del regno di Israele, al posto della patria, Gesù annunzierà il regno di Dio: non c’è più una nazione con i suoi confini, non c’è più il sacro suolo della patria, espressione ipocrita che nasconde soltanto gli egoismi di chi non vuole spartire con gli altri il proprio benessere, ma c’è il regno di Dio e non esistono più confini.
L’altra offerta è quella dell’incenso. Se guardiamo le cose dal punto di vista storico possiamo pensare che l’oro poteva far sempre comodo, ma a Gesù, a Maria e Giuseppe gli vanno ad offrire l’incenso! L’incenso era l’elemento specifico del servizio sacerdotale: era uno degli elementi adoperati nel rituale del tempio, per i sacrifici di ringraziamento, per le richieste di protezione ed era di uso esclusivo dei sacerdoti. Allora qui si realizza quello che avevamo detto prima: il privilegio di essere il popolo sacerdotale, non viene più limitato ad una singola nazione ma viene esteso anche a tutta l’umanità.
La cosa è clamorosa perché si tratta di pagani, di persone che venerano altre divinità, di persone che vivono al di fuori della legge: la possibilità di essere popolo sacerdotale, (sacerdote significa avere la possibilità di comunicare direttamente con Dio), viene estesa anche al mondo pagano. Vedete che qui l’Evangelista non fa altro che anticipare quella che poi sarà la predicazione di Gesù e delle prime comunità cristiane.
Infine la mirra: anche qui lo stesso discorso. Si capisce l’oro che può far comodo, l’incenso che già non si capisce, ma la mirra, questo unguento, questo profumo! Perché proprio la mirra e non un altro tipo di profumo? Nell’AT e specialmente nel Cantico dei Cantici la mirra è il profumo con il quale la sposa si profuma per il suo re. E’ il profumo della sposa, che lei sparge sul suo corpo e sul suo letto, per il suo sposo. Il rapporto tra Dio ed il suo popolo, (specie nelle parole dei profeti e Osea tra questi è stato tra i primi), era immaginato come quello tra uno sposo e la sua sposa. Dio era lo sposo ed il popolo di Israele era la sposa. Ebbene anche questa prerogativa esclusiva del popolo di Israele è estesa ai pagani: non c’è più un popolo sposa di Dio – sposa significa in comunicazione intima, un rapporto intimo – ma questo viene esteso a tutta l’umanità.
Quindi le tre caratteristiche che erano ritenute esclusive di Israele, quelle di avere Dio per re, quella di essere un popolo sacerdotale e sposa di Dio, vengono estese pure ai pagani. Vedete perciò che questo episodio dei maghi, al di là della aneddottica e delle figurine del presepio, si presenta con un grande valore, un grande significato teologico e dimostra quello che sarà il motivo conduttore dell’azione di Gesù, il Dio-con-noi.
“Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.”
L’autore del vangelo, (più avanti si smaschererà e parlerà di se stesso come di uno scriba), scrive per persone che sono del mondo culturale giudaico, e adopera anche delle sfumature che a noi non sembrano tanto importanti.
Guardate ad esempio questa espressione: “…per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”:  per chi conosce la storia di Israele si accende una luce. Il termine bet in ebraico significa casa, Bet-lehem significa casa del pane. Uno dei nomi di Dio in ebraico è El o Eli ed il primo santuario che è stato costruito in Israele è stato chiamato Bet-El che perciò significa la casa di Dio. Vi furono poi delle deviazioni dal culto originario: all’interno di questo primo santuario vi posero un vitello d’oro; dopo questo fatto il nome di questo santuario fu trasformato in Bet-Aven che significa casa del peccato o casa funesta. Nei libri dei profeti questa espressione “per un’altra strada” (che è rarissima nell’AT) viene usata per indicare l’abbandono del santuario di Bet-El che da casa di Dio è diventata casa del peccato. E’ una denuncia che l’Evangelista fa nei confronti di Gerusalemme: Gerusalemme non è più la casa del Signore, ma la casa del peccato, la casa funesta perché invece di accogliere il dono di Dio per l’umanità si è spaventata e cercherà in tutte le maniere di ucciderlo.

Note: 1. L’Idumea era un territorio a sud di Israele, corrispondente all’odierna Giordania del sud. – 2. Mi sembra inutile dirlo, comunque io non parlo di Re Magi in quanto la regalità dei "magi" non è attestata nelle fonti canoniche cristiane, né dai Padri della Chiesa, tuttavia i "magi" divengono “Re magi” nella tradizione liturgica cattolica in quanto la festa della Epifania è collegata al Salmo 71(72),10: Il re di Tarsis e delle isole porteranno offerte, i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi. A lui tutti i re si prostreranno, lo serviranno tutte le nazioni.” – 3. L'ipotesi che la stella di Betlemme fosse una cometa, o qualcosa di simile, risale a Origene, teologo e filosofo greco del II secolo, che non si basa su tradizioni precedenti, ma suppone che si sia trattato di una nuova "stella", cioè di un evento eccezionale, probabilmente allo scopo di non deviare dal rifiuto della pratica astrologica, consueto fra i cristiani (cfr. Contra Celsum, I, 58-59 citato nella voce “Stella di Betlemme”, del Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede). Origene cita il perduto trattato "Sulle comete", scritto dal precettore di Nerone, Cheremone, secondo il quale era prassi accettata che l'apparizione di comete o nuovi astri segnalasse la nascita di importanti personaggi ed era quindi plausibile che i Magi si fossero messi in viaggio al suo apparire. L'identificazione della "stella" con una cometa diventò opinione comune solo nel XV secolo, un secolo dopo l'opera di Giotto, l'Adorazione dei Magi nella Cappella degli Scrovegni a Padova che la ritrae sopra la stalla. – 4. La traduzione con il verbo turbare appare non proprio esatta; meglio spaventare come la traduzione CEI del 1974. – 5. Erode era oramai molto grave ed il figlio già indossava gli abiti regali, pensando: tra poco mio padre muore e quindi regnerò io. Erode, sentendo che il figlio si atteggiava già a re, cinque giorni prima della sua morte lo fece strangolare. Questo, tanto per dare un’idea di chi era questo despota. – 6. Matteo fa questa operazione perché Gesù non sarà mai il dominatore di Israele, sarà il buon pastore. – 7. Lo si vede meglio nel vangelo di Luca: l’idea di questa coppia di sprovveduti che arriva a Betlemme proprio nel momento in cui Maria deve partorire il figlio; che nessuno vuole accogliere, che si rifugiano in un posto, che è inverno e fa freddo, ma per fortuna che c’erano un asino ed un bue che facevano un po’ da termosifone, tutto questo non c’è nei vangeli, sono fantasiose costruzioni medioevali che sono giunte fino a noi che, per inveterata abitudine, non conosciamo i vangeli, anzi non li leggiamo mai e ci fidiamo delle tradizioni.