Santissima Trinità – Gv
16,12-15
«Molte cose ho ancora
da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.
Egli mi glorificherà,
perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre
possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo
annuncerà».
Nel secondo discorso d’addio(1) (capp. 15-16), dopo aver messo in luce gli effetti positivi del rapporto
che ha stabilito con i suoi discepoli, Gesù mostra loro come esso sia destinato
ad attirare su di essi l’odio del mondo(2). Egli sottolinea come
questo odio non sia altro che il prolungamento di quello che il mondo ha avuto
nei suoi confronti, che a sua volta è espressione del rifiuto colpevole che
esso ha opposto a Dio (Gv 15,18-25).
All’odio del mondo si oppone però la testimonianza dello Spirito e quella dei
discepoli stessi, i quali sono stati con Gesù fin dal principio (Gv 15,26-27); il discorso sulla venuta
dello Spirito è ripreso poi in Gv
16,12-13. In questi due testi lo Spirito riceve l’appellativo di Paraclito(3),
tradotto normalmente con il termine «consolatore», che in senso proprio
significa «avvocato difensore».
Nel testo liturgico proposto per questa dmenica Gesù prosegue poi
osservando: “Molte cose ho ancora
da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.”. Questa
frase funge da transizione con il brano seguente, nel quale lo Spirito viene
presentato nella suo ruolo di guida dei discepoli. Essa sembra in contrasto con
quello che Gesù aveva detto poco prima: «Vi
ho detto amici, poiché vi ho fatto conoscere tutto ciò che ho udito dal Padre
mio» (Gv 15,15). Questo contrasto
si illumina distinguendo due fasi della rivelazione, quella connessa con la sua
vita terrena e quella successiva al suo ritorno al Padre. La prima era sì
completa, ma era rimasta oscura ed enigmatica per l’incapacità dei discepoli a
coglierne il senso profondo(4). Perciò si rende necessaria una
rivelazione ulteriore, che Gesù inizierà nelle sue apparizioni ai discepoli
dopo la sua risurrezione.
Questa ulteriore rivelazione però non sarà portata a termine da Gesù. Egli infatti prosegue: “Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità,...”. Sarà quindi lo Spirito colui che porterà a termine la rivelazione di Gesù, diventando così il mediatore della rivelazione completa e definitiva. Nell’AT Jahweh è descritto come pastore e guida del popolo di Israele nell’esodo dall’Egitto; Gesù si è proclamato buon Pastore che conduce le sue pecore (cfr. Gv 10,16); ora è lo Spirito della verità che viene presentato come colui che guida i discepoli alla piena verità(5). Con queste espressioni l’evangelista vuole affermare che, durante la sua vita terrena Gesù non ha potuto comunicare pienamente ai suoi discepoli il suo insegnamento. Solo alla fine, posti di fronte al suo gesto supremo di amore, liberati dai condizionamenti di un rapporto ancora troppo umano e terreno, essi cominceranno a capire in profondità chi egli è veramente, e qual è il progetto per il quale ha speso tutta la sua vita.
Questa ulteriore rivelazione però non sarà portata a termine da Gesù. Egli infatti prosegue: “Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità,...”. Sarà quindi lo Spirito colui che porterà a termine la rivelazione di Gesù, diventando così il mediatore della rivelazione completa e definitiva. Nell’AT Jahweh è descritto come pastore e guida del popolo di Israele nell’esodo dall’Egitto; Gesù si è proclamato buon Pastore che conduce le sue pecore (cfr. Gv 10,16); ora è lo Spirito della verità che viene presentato come colui che guida i discepoli alla piena verità(5). Con queste espressioni l’evangelista vuole affermare che, durante la sua vita terrena Gesù non ha potuto comunicare pienamente ai suoi discepoli il suo insegnamento. Solo alla fine, posti di fronte al suo gesto supremo di amore, liberati dai condizionamenti di un rapporto ancora troppo umano e terreno, essi cominceranno a capire in profondità chi egli è veramente, e qual è il progetto per il quale ha speso tutta la sua vita.
“…perché non parlerà da se stesso, ma
dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.”
L’insegnamento dello Spirito scaturirà dall’ascolto della rivelazione stessa di
Gesù, cioè non conterrà elementi nuovi rispetto ad essa; egli «annunzierà le
cose che vengono», cioè farà comprendere nel loro vero significato gli eventi
concernenti la crocifissione e la glorificazione di Gesù alla destra del Padre,
o meglio farà sì che ogni generazione futura comprenda in funzione della
propria situazione di vita il significato di ciò che Gesù ha detto e fatto.
Mentre Gesù aveva il compito di condurre gli uomini al Padre, lo Spirito li
guiderà a Gesù rendendo attuale per tutti i tempi il suo insegnamento. Lo
Spirito non ha dunque il compito di annunziare cose nuove, che servano ad
integrare o ampliare quanto Gesù ha già detto, ma di dare una più piena e
personale comprensione delle parole di Gesù. La sua funzione specifica sarà
quella di far assimilare ai discepoli la rivelazione di Gesù, per abilitarli
alla loro missione.
“Egli mi glorificherà, perché prenderà
da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio;
per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà»”.
Gesù conclude osservando che lo Spirito lo glorificherà. Per la sua
intima unione con il Padre Gesù è stato il rivelatore per eccellenza del Padre
e la guida verso di lui, Gesù aveva svolto la sua missione di glorificare il
Padre annunziando e attuando il suo disegno di salvezza; di riflesso lo Spirito
santo «glorificherà» Gesù manifestando la sua grandezza alla destra del Padre.
Con l’andare del tempo, sulla scorta dai ricordi ricevuti dai primi
testimoni e illuminati dalle esperienze fatte, i credenti hanno capito sempre
meglio non solo la persona di Gesù, ma anche le implicazioni del suo
insegnamento nelle nuove situazioni in cui venivano a trovarsi. Questo
progresso nella conoscenza è stato attribuito da Giovanni e in genere dal
cristianesimo primitivo all’opera dello Spirito, in cui trova forma l’attrattiva
profonda che l’esempio e le parole di Gesù hanno esercitato nei credenti. Il
vangelo di Giovanni è esso stesso un tentativo di esprimere la vita e
l’insegnamento di Gesù alla luce di questa nuova e più profonda comprensione
che è data dallo Spirito. Perciò è chiamato “vangelo spirituale”.
Note: 1. L’esegesi di questo brano è
liberamente tratta da un articolo di P. Alessandro Sacchi pubblicato in
Nicodemo.net. – 2. In questa parte del Vangelo di Giovanni si riflette la
situazione della comunità cristiana che, verso la fine del primo secolo
(periodo nel quale è stato divulgato il Vangelo di Giovanni) sperimenta la
persecuzione da parte dei Romani e dei Giudei. Infatti verso il 90 d.C. i
cristiani sono espulsi dalle sinagoghe, mentre già dal 64 d.C., sotto il regno
di Nerone (54-68 d.C.), erano iniziate a Roma le persecuzioni. – 3. Il termine
greco Parakletos (che solo in Giovanni designa lo Spirito Santo), può essere
tradotto con il termine consolatore,
ma il suo significato originario è “avvocato”, “difensore”, “intercessore”. Il
termine evoca anche il proclamatore della sinagoga che, dopo aver compreso il
testo biblico, lo spiega a tutti (“vi
insegnerà ogni cosa”). La traduzione con il termine consolatore è più
vicina al contesto dei discorsi dell’addio, in quanto si dice che lo Spirito
rimarrà con i discepoli, quasi a “consolarli”. – 4. È evidente l’incapacità dei
discepoli di accettare la resurrezione, nonostante che gli ultimi libri della
Bibbia, scritti poco più di un secolo prima e noti a tutto il popolo che
frequentava le sinagoghe, avessero presentato questa possibilità come il
destino comune a tutti. A scusante dei discepoli, bisogna però dire che erano
occorsi più di 18 secoli prima che il popolo ebreo arrivasse a concepire, sotto
la spinta della filosofia platonica ed aristotelica, il proseguire della vita
dopo la morte; per cui pensare che in un secolo si arrivasse ad accettare anche
la resurrezione era certamente superiore alle povere forze di un gruppo di
pescatori galilei. – 5. Nella concezione ebraica la verità non è un concetto
assoluto (oggi diremmo concetto etico-filosofico), ma rappresenta il contenuto
del patto tra Dio e gli uomini, quindi mutabile in relazione ai patti; in
questo caso si tratta del nuovo patto o alleanza sancita dal sacrificio della
croce.