Santissima Trinità - Mt
28,16-20
Gli undici discepoli,
intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo
videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A
me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate
discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello
Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed
ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Per
comprendere appieno il significato di questo brano è indispensabile, come spesso
accade, conoscere bene il brano che lo precede, altrimenti le parole
dell’evangelista cadono nel vuoto di un devozionismo inutile e, generalmente,
dannoso come tutti gli atti di devozione.
Al
versetto 6 dello stesso capitolo l’angelo del Signore annunzia alle donne: “Non è qui. È risorto”. Non è vero che
Dio l’aveva abbandonato, non è vero che Dio lo aveva maledetto, ma in lui Dio
ha manifestato tutta la potenza della creazione.
Gesù per tre volte
aveva annunziato la sua morte e la sua resurrezione, ma i discepoli non avevano
capito assolutamente niente, perché i discepoli seguivano Gesù animati da
desideri di ambizione, litigando tra loro per sapere chi era il più importante.
“…venite, guardate il
luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È
risorto dai morti,…” e adesso una
indicazione abbastanza strana ed incoerente “…ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho
detto”.
Notate qui l’apparente
incongruenza: Gesù è stato assassinato a Gerusalemme, è stato seppellito a
Gerusalemme, resuscita a Gerusalemme, i discepoli stanno a Gerusalemme, una
volta resuscitato quello che ci aspetteremmo, la cosa più normale, è che
compaia ai suoi discepoli a Gerusalemme. Sul vangelo di Giovanni si legge che
la sera di quello stesso giorno della resurrezione, Gesù apparve ai discepoli,
che erano chiusi in casa per paura dei giudei e la cosa è comprensibile.
Il vangelo di Matteo
non è d’accordo: “...vi precede in
Galilea; là lo vedrete”. Da Gerusalemme alla Galilea, a quell’epoca
andavano a piedi, c’erano circa quattro giorni di cammino. Perché ritardare di
quattro giorni l’importante e decisiva esperienza della resurrezione?
“…con
timore e gioia grande le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli”.
Nel mondo ebraico la
donna non era considerata proprio un essere umano, era qualcosa che era
riuscita male al Padreterno. Ebbene, nei vangeli le donne non solo vengono eguagliate
ai maschi, ma sopravanzano i maschi stessi perché sono le uniche a compiere la
stessa azione che, nella simbolica ebraica, era riservata ai sette angeli del
servizio divino: l’evangelista, scrivendo «dare l’annuncio», (il termine
«annuncio», in greco, ha la stessa radice della parola «angelo»), indica che le
donne non solo sono equiparate agli uomini, ma sono equiparate agli esseri più
vicini a Dio.
“Ed ecco, Gesù venne
loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono
i piedi e lo adorarono”.
Sono indicazioni sulla
realtà dell’individuo che è passato attraverso la morte: gli prendono i piedi,
quindi c’è come una fisicità, ma dall’altra c’è una condizione nuova, lo
adorano come si adora Dio.
“ Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad
annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno»”. E’ la prima volta
che Gesù si rivolge ai discepoli chiamandoli fratelli, e di nuovo Gesù insiste
«vadano in Galilea, là mi vedranno».
Notate questa
insistenza, per sperimentare che Gesù è resuscitato non si deve andare a
Gerusalemme: man mano che si avvicina il momento dell’incontro con Gesù
resuscitato c’è una accurata selezione, le persone ambiziose come la madre dei
figli di Zebedeo sono escluse, le guardie sono escluse e coloro che
appartengono all’istituzione religiosa sono escluse dalla presenza e dalla
esperienza di un Dio vivo.
“Gli undici intanto andarono in Galilea…”, notate adesso il
particolare: “…sul monte che Gesù aveva
loro fissato”.
Tre volte abbiamo nel
vangelo l’invito ad andare in Galilea, ma mai viene specificato il monte sul
quale andare. Il monte non è un luogo geografico, non è un'indicazione
topografica, quella che l’evangelista ci dà è una indicazione teologica.
Nell’antichità, essendo il monte il luogo della terra più vicino al cielo, esso
era condiderato il luogo della residenza degli dei(1).
Questo «il monte» nel
vangelo di Matteo è già stato presentato come il luogo dove Gesù ha annunziato
il suo messaggio fondamentale: il monte delle beatitudini.
Questa è
l’indicazione che l’evangelista ci sta dando: chi vuole sperimentare nella sua
esistenza la presenza di Gesù vivo e vivificante, del Risorto, deve essere
fedele al programma di Gesù che è stato espresso e formulato nelle beatitudini.
Quindi questo è il
monte nel quale la comunità si impegna a essere responsabile della felicità
degli altri. Costoro, solo costoro, fanno l’esperienza di Gesù resuscitato.
“Quando lo videro…”, quindi lo vedono, “…gli si prostrarono innanzi…”. E qui c’è
un verbo strano “…Essi però dubitarono”.
Perché dubitano? Lo
vedono e quindi sono certi che Cristo è resuscitato! Gli si prostrano innanzi,
riconoscono che in lui c’è la condizione divina, ma dubitano. Questo verbo,
dubitare, è apparso un’altra volta nel vangelo di Matteo, quando Gesù cammina
sulle acque ed è attribuito a Pietro (Mt
14,31).
Vedono Gesù
resuscitato, lo sperimentano, ma sanno che per raggiungere questa condizione
bisogna passare attraverso il dolore della vita, la persecuzione e forse la
croce e la perdita della propria vita. Pertanto non dubitano della presenza di
Gesù resuscitato, dubitano della propria capacità di seguire Gesù fino a questa
condizione.
“Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli,
battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando
loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato”.
L'incarico finale che
Gesù dà ai suoi discepoli non è tanto quello di annunciare una novità
teologica, ma di praticarla.
Infatti Gesù non incarica i suoi di andare a proporre una dottrina, un
dogma, ma di trasmettere le proprie esperienze vitali. Questa è una cosa
importantissima, perché da qui si basa la riuscita o meno della trasmissione di
un messaggio; un conto è trasmettere dottrine, un conto è trasmettere
percezioni vitali. Le prime non riescono quasi mai a modificare una vita, le
seconde quasi sempre(2).
Le ultime parole di
Gesù sono: "… fate discepoli tutti i
popoli… ". Questo, per la mentalità ebraica, era qualcosa di inaudito!
Nella mentalità ebraica si pensava che il re dei Giudei, il re di Israele
avrebbe dovuto sottomettere tutte le nazioni pagane, dominarle, assoggettarle e
sfruttarle. C'è un brano nei "deliri" del testo di Isaia, poi passati
come profezie, dove si dice che quando sarebbe venuto questo tempo ogni ebreo
avrebbe avuto come schiavi i principi pagani e le principesse pagane come serve
(cfr. Is 60,1-22).
Nel Talmud, che ama
sempre le cose chiare, si indicò addirittura il numero dei servi pagani che
l'uomo ebreo avrebbe avuto: 2480(3) per l'esattezza.
In contrasto con
questa mentalità, le ultime parole di Gesù non sono un invito ad andare a
dominare le nazioni pagane, ma a renderle sue discepole. In qual modo? Non
attraverso l'annuncio di una dottrina o di un dogma, che presuppone una
superiorità ed una esclusività che tende a sovrastare l’altro, a fargli
violenza, ma dice il testo: "…battezzandoli…
".
Per comprendere il
significato di questo atto dobbiamo spogliarci delle nostre tradizioni, dei
catechismi, dei 2000 anni di storia della Chiesa. Dobbiamo tornare agli anni
70-80 d.C., al tempo in cui Matteo ha scritto il suo vangelo. Allora il
significato del battesimo era diverso; non era stato ancora teorizzato come
sacramento ed era ancora una atto antico, probabilmente risalente ad un paio di
millenni prima, che da poco più di cinquanta anni era stato riscoperto dai
movimenti battisti dei quali quello di Giovanni il Battista è citato nei
vangeli.
Il verbo
"battezzare" in greco ha due significati: "impregnare" o "immergere
nell'acqua", ed entrambi i due significati sono presenti nell’espressione "…battezzandoli… ".
Gesù
non chiede, naturalmente, di andare ad amministrare il rito liturgico del
Battesimo(4), Gesù era contrario in modo netto ad ogni tipo di rito(5).
Gesù intende invece di immergere i popoli nella stessa esperienza che i
discepoli avevano vissuto con lui, trasmettendogli il concetto di amore
disinteressato come fonte e luce di vita per ciascuno.
Questa immersione nel
messaggio di Cristo è per “…tutti i
popoli…” nessuno escluso. Questa non è una costatazione ovvia: la storia
della Chiesa ha dimostrato e continua a dimostrare come l’esclusione di alcuni
è la norma di comportamento dei cristiani, nonostante che dall'approfondimento
dei testi del vangelo esce una cosa molto chiara, il vangelo è scritto tutto
per tutti.
Non c'è una sola riga del Vangelo che riguardi una categoria particolare
di persone o, viceversa tenda ad escluderne altre.
Dico questo perché,
almeno in passato, il vangelo è stato sfogliato come una cipolla: questo è per
il Papa, questo riguarda i Vescovi, quest'altro è per i preti, ai poveri laici rimane
poco o soltanto quello da osservare e da ubbidire. Questo chiarimento è necessario
perché molti vedono in questo passo un invito a esercitare liturgicamente il sacramento
del Battesimo, o addirittura ad imporlo. Non è affatto questo!
È l'incarico di ogni
credente, di ogni comunità quello di rendere discepole di Cristo tutte le
nazioni e per nazioni si intendono tutte le nazioni pagane, quelle che nella
mentalità dell'epoca erano le più lontane da Dio. Gesù dice che non esiste una
categoria di persone che per la loro condotta religiosa o per il loro comportamento
morale possa essere esclusa dall'azione dell’amore da parte dei credenti.
Era una novità
tremenda duemila anni fa, forse lo è ancora oggi! Quindi la proposta di Gesù è
quella di immergere queste nazioni, di inzupparle, "…nel nome dei Padre, del Figlio e dello Spirito Santo".
Questo non è un
invito o una formula liturgica. Gesù dice: il vostro incarico è immergere,
inzuppare le nazioni pagane, ogni individuo appartenente a queste nazioni,
nella realtà profonda che è nel Padre (Padre è colui che comunica
incessantemente la vita), nel Figlio (il Figlio è il modello realizzato di
questa vita) e nello Spirito Santo (questa forza d'amore), “…insegnando loro a osservare tutto ciò che vi
ho comandato…”.
Gesù non manda ad insegnare un messaggio, ma ad insegnare una pratica, un
modo di vita descritta nei “comandi” di Gesù.
Questo termine "comando(6)"
riferito al messaggio di Gesù, è diretto, come abbiamo visto, alle beatitudini.
Le beatitudini possono essere riassunte in questa formulazione: sentitevi responsabili della felicità degli
altri, così permetterete a Dio di sentirsi responsabile della vostra felicità. Gesù assicura: "Ed ecco, io sono con voi tutti i
giorni…".
Con questa
espressione, "Io sono con voi",
Matteo chiude quella linea teologica che aveva iniziato con le prime battute
del vangelo, dove, presentando Gesù, lo aveva definito “l'Emmanuele", cioè il "Dio
con noi". È una semplice espressione, una formula, ma che ha provocato
un terremoto senza pari nell'istituzione religiosa giudaica, e non solo in
quella, perché la religione viveva e
vive della lontananza tra Dio e gli uomini!
La religione fa in
modo che Dio sia sempre più lontano e inaccessibile agli uomini, perché
giustifica così la sua presenza. Se Dio è lontano dagli uomini, se gli uomini
non gli si possono rivolgere, hanno bisogno di mediatori, ed ecco allora i
sacerdoti. Questi mediatori, a loro volta, si possono rivolgere a Dio soltanto
mediante riti, spesso complicati, ed ecco la liturgia. Ci vuole un luogo, non
tutti i luoghi sono adatti a svolgere queste pratiche, ed ecco il tempio. Tutto
l'insieme della religione si basava sulla lontananza e inaccessibilità di Dio e
sulla difficoltà della gente di potersi avvicinare.
Ebbene, con una sola
pennellata Matteo cancella tutto questo. Matteo, che riassume il messaggio di
Gesù, lo presenta come il Dio con noi. E Gesù lo conferma con le sue ultime
parole nel vangelo: "Io sono con voi".
Abbiamo detto che
tutto questo porta ad un grande cambiamento, ad una grande novità nel panorama
religioso, perché non basta che Dio sia con noi, non basta che Gesù assicuri la
comunità che, a condizione della pratica delle beatitudini, sarà con essa tutti
i giorni e quindi non c'è più da ricercare un Dio lontano, ma da accoglierlo e con
lui e come lui andare agli altri, ma c'è un qualcosa in più che Gesù fa:
testimonia che la presenza di questo
"Dio con noi" è il servizio a favore degli uomini. Inaudito!
La religione, il
concetto stesso della religione si basa sul servizio che l'uomo deve rendere a
Dio, un servizio, per lo più, manifestato ed esercitato nel culto.
Un Dio che
continuamente chiede, un Dio che diminuisce l'uomo chiedendogli le sue energie,
il suo tempo e le sue cose. Da questi concetti nascono tutta una serie di
offerte date a Dio per ottenere il suo beneplacito, il suo gradimento.
Gesù, il "Dio con noi", dice: "Io sono in mezzo a voi" non per essere servito, ma per
servire! È
un'espressione che provoca un terremoto, perché se Dio non chiede più di essere
servito, ma si mette a servire, se Dio non chiede più niente all'uomo, ma è Lui
che dona, tutto quel castello che in nome della religione era stato costruito
crolla improvvisamente.
Non servono più i
sacerdoti, perché è Dio stesso che prende l'iniziativa di servire i suoi, e
qualunque persona o istituzione che si metta tra Dio e l'uomo è un impedimento.
Non c'è più bisogno
di un tempio, perché Dio è con noi, è il Dio della comunità, e non c'è più
bisogno di particolari riti, di particolari liturgie, perché Dio li mette da
parte.
E soprattutto, ed è
questo che causa l'allarme al tempio di Gerusalemme, non c'è più bisogno
dell'offerta a Dio.
Per comprendere la
gravità di questo messaggio c'è bisogno di un piccolo flash che ci faccia
capire com'era l'istituzione religiosa giudaica, che si basava tutta sul
concetto di un Dio che continuamente chiedeva, un Dio mai sazio.
Le persone, per
essere gradite a Dio, dovevano tre volte all'anno (Dt 16,16-17) fare un pellegrinaggio a Gerusalemme, portare in
offerta alimenti, specialmente offerte di bestiame, e si risolveva tutto in un
grande affare commerciale.
Pensate, a titolo di
esempio, ad un abitante di Nàzareth che doveva andare a Gerusalemme: non si
portava dietro l'agnello o la capra da sacrificare al tempio, ma lo comperava a
Gerusalemme anche perché, dovendo essere un animale perfetto (Lv 1,3 seg.) era meglio comprarlo tra
quelli controllati dai sacerdoti. L'appalto per la vendita degli animali per i sacrifici
l'aveva la famiglia del sommo sacerdote.
Quindi l'uomo
arrivava, comperava l'animale nel monte degli Ulivi, dove c'era l’accampamento
col bestiame da vendere, lo portava al tempio dove veniva sgozzato, la persona
riceveva, almeno credeva, il perdono delle sue colpe, dei suoi peccati e l'animale
veniva spartito fra i sacerdoti.
Siccome c'era un
esubero di produzione, la carne che avanzava veniva venduta nelle macellerie di
Gerusalemme, tutte appartenenti alla famiglia del sommo sacerdote.
Perciò, il poveretto
che andava al pellegrinaggio si trovava a pagare praticamente tre volte lo
stesso agnello se voleva poi mangiare.
Proviamo ad
immaginare la ripercussione nel tempio di una novità assoluta di un Dio che non
chiede più sacrifici. È il crollo dell'istituzione, è il crollo dell'economia
di Gerusalemme, è il crollo di tutto quanto. Ecco perché, all'inizio del vangelo
di Matteo quando viene dato l'annuncio della nascita di Gesù si legge che tutta
Gerusalemme tremò (Mt 2,3). Perché se
veramente Dio non sta più nel Tempio (Mt
27,51), se Dio non chiede più sacrifici (Mt
12,7.9,13), crolla tutta l'istituzione, crolla tutto quanto.
Inoltre, e questa è
la cosa che più ha allarmato e allarma ancor oggi, un Dio che non fa
distinzione tra buoni e cattivi(7). Il Dio di Gesù è un Dio il cui amore si rivolge indistintamente e
attivamente ai giusti, ma anche agli ingiusti: è la fine della religione! Ogni
religione, è il caso di dire "come Cristo comanda", si basa sul
premio per i buoni e sul castigo per i malvagi! Se Dio non premia più i buoni e
non castiga più i malvagi non c'è più religione!
Grazie a Gesù è finita la religione e subentra la fede.
La religione è
quell'insieme di atteggiamenti che l'uomo deve rivolgere verso Dio. Mosè era il
servo di Dio e aveva fatto un'alleanza tra dei servi e il loro Signore; Gesù,
che è il figlio di Dio, cambia la vecchia alleanza e ne fa una nuova tra dei
figli e il loro Padre. Allora non c'è più il servizio a Dio, ma da accogliere
il suo amore e tramutarlo in pratica, cercando di somigliargli.
La fede è la risposta
dell’uomo all’amore di Dio che non
chiede di essere obbedito, ma chiede di essere imitato. E per fare
questo non c'è bisogno di conoscere le leggi di Dio.
Gesù sapeva bene a
quali critiche feroci andava incontro (tra parentesi, se Gesù avesse soltanto
predicato l'amore e anche l'amore ai prepotenti, sarebbe ancora vivo e gli
avrebbero fatto anche un monumento nella piazza di Gerusalemme): se Gesù è stato
assassinato è perché ha demolito tutta la base del potere civile e religioso
del suo tempo.
Note: 1.
Questa concezione si è radicata anche nel mondo occidentale. Infatti
generalmente i santuari sono situati in luoghi alti. Ricordiamo che l’idea di
costruire santuari non è cristiana, ma è una tradizione di impronta pagana. –
2. Una delle molteplici ragioni della decadenza della Chiesa cattolica risiede
nel fatto che intendere trasmettere una dottrina e non semplicemente il
messaggio di Gesù. – 3. A seconda delle traduzioni o dei manoscritti del Talmud
presi in considerazione si possono avere numeri diversi, ma sempre dell’ordine
delle migliaia. – 4. Nella Chiesa antica il Battesimo veniva anche chiamato il
“Sacramento dell'Illuminazione”. Il sacramento del Battesimo è stato il primo
ad essere praticato e ve ne è traccia già negli Atti degli Apostoli dove sono
riportate le prime conversioni al cristianesimo successive alla prima
predicazione apostolica dopo la Pentecoste (Att 2,41.3,19). Il Battesimo veniva
conferito solo a coloro che accettavano gli insegnamenti degli apostoli e
consapevolmente dichiaravano di voler diventare discepoli. Le testimonianze
riportano che già nel IV secolo era
pratica diffusa battezzare i catecumeni, cioè coloro che si preparavano al
battesimo, nella veglia di Pasqua (cfr
Confessioni di S. Agostino). Il Battesimo, nella Chiesa antica, era
considerato un sacramento per adulti proprio per il consenso al rito che il
catecumeno doveva dare. La celebrazione del Battesimo ai neonati inizia ad
essere un fatto comune a partire dal V secolo ed è una conseguenza della
teologia agostiniana del peccato originale (teologia non presente nell’AT o nei
vangeli). – 5. Gv 4,23-24: “Ma viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre
in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo
adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e
verità”. – 6. Si ricorda
che i comandamenti di Gesù nulla hanno a che fare con i 10 Comandamenti
ricevuti da Mosè sul Sinai. Per poterli conoscere si consiglia la lettura di Mt
5,1-12, Lc 6,20-22, Gv 13,1-17.34. – 7. Mt
5, 44-45: “Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi
perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa
sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli
ingiusti.”