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Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


mercoledì 23 marzo 2011

Domenica 27 marzo 2011 - Terza domenica di quaresima – Gv 4,5-42

Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c'era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest'acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore - gli dice la donna -, dammi quest'acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va' a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: «Io non ho marito». Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l'un l'altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: «Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura»? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l'altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

Prima di iniziare l'analisi del brano, è necessario sapere come venivano considerate, nel mondo ebraico del primo secolo, due categorie di persone, i samaritani e le donne.

I samaritani: dal un punto di vista strettamente storico i samaritani sono i discendenti di quanti, fra le popolazioni ebraiche delle nove tribù del regno settentrionale di Israele, rimasero sul posto al momento della deportazione delle élite urbane esiliate dagli Assiri nel 721 a.C.(1). Questa popolazione di "rimasti" si fuse, nel corso dei secoli, con una parte delle popolazioni pagane a loro volta deportate nel nord di Israele dalla Siria e dai territori intorno a Tiro.

Gli ebrei di Samaria, lungi dal convertirsi al paganesimo o abbandonarsi al sincretismo secondo l'accusa rivolta loro da alcuni ebrei di Giuda, si preoccuparono di preservare il culto di Yahweh, fino ad arrivare a costruire (in una data non determinabile del IV secolo a.C.) un loro tempio, separato da quello di Gerusalemme, sul monte Garizim.

Secondo la versione dei fatti fornita dalla Bibbia, dopo il ritorno dall'esilio babilonese (seconda metà del VI secolo a.C.), i Samaritani tentarono di opporsi alla ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, e sotto Antioco IV si allearono con i pagani contro i giudei.

Da qui e da altri scontri di carattere dottrinale è nata e si è ingigantita una sorta di repulsione tra i due popoli che può essere esemplificata dal fatto che dare ad un ebreo del "samaritano" era considerato il peggiore insulto, l'unico insulto che la giustizia ebraica punisse con le 39 frustate, pena oltre la quale c'era solo la condanna a morte.

La donna: la Bibbia è parola di Dio, ma è stata scritta da maschi, e qualcosa di loro ce l'hanno pur messo a scapito, naturalmente, delle donne. La Bibbia non è un libro calato dal cielo, ma una serie di libri dove un autore talvolta contesta l'altro, spesso all'interno dello stesso libro. Gli autori sacri non si sono messi d'accordo neanche sulla creazione della donna: infatti nella sacra scrittura vi sono due filoni teologici portanti, il primo che fa capo al Dio legislatore e che viene portato avanti dagli scribi e dai sacerdoti, il secondo, quello del Dio creatore, che è portato avanti dai profeti(2). Questi due filoni si notano nella creazione della donna: i primi a descrivere la creazione della donna sono stati i profeti che hanno dato un'immagine straordinaria, che non poteva certo essere compresa dalla realtà patriarcale dell'epoca. Si legge che "..Dio creò l'uomo a sua immagine e somiglianza, maschio e femmina li creò..", quindi in perfetta parità nei confronti di Dio(3).

Questa parità era troppo dura da digerire per una mentalità patriarcale che vedeva la donna come una specie di essere "sub-umano"; quindi questa definizione della creazione viene corretta dai sacerdoti, che riscrivono il testo della creazione (nel Libro della Genesi si trovano tutti e due) contraddicendo l'altro: non è vero che Dio ha creato l'uomo e la donna a sua immagine e somiglianza; solo l'uomo è a sua immagine e somiglianza, mentre la donna l'ha creata da un costola dell'uomo, cioè è una parte dell'uomo, per cui non è vero che hanno pari dignità, ma la donna dipende dall'uomo.

Nella sacra scrittura, quello che sconcerta, è che Dio non rivolge mai la parola a una donna, o meglio, una volta le si è rivolto, ma sembra si sia talmente pentito che poi non ha parlato più alle donne. Dio si era rivolto a Sara, la moglie di Abramo, ma questa gli aveva risposto con una innocentissima bugia; Dio le aveva detto "tu e tuo marito avrete un figlio...", Sara sghignazza pensando che suo marito era ormai vecchio e lei era sterile. Dio si accorge del suo riso e domanda "hai riso?", ma lei nega, Dio se la è legata talmente al dito che per tutta la storia d'Israele non ha rivolto più la parola a una donna!

La donna veniva considerata incapace di testimoniare perchè non credibile (si faceva riferimento proprio all'episodio di Sara) e soprattutto causa di tutti i mali dell'umanità. Uno dei libri più recenti dell'antico testamento arriva a dire che la morte è entrata nel mondo a causa del peccato della donna (dimenticandosi della partecipazione attiva dell'uomo).

Ogni ebreo maschio deve fare, nella sua giornata, una triplice benedizione e una di queste benedizioni è "ti ringrazio per avermi creato maschio"; la donna, poverina, dice invece "ti ringrazio per avermi creato secondo la tua volontà". Questa è la condizione della donna nella bibbia, per cui il fatto che Gesù si rivolga ad una donna, e per di più samaritana(4), lascia sconcertati i discepoli.

Già l'inizio ci fa comprendere che c'è qualcosa di strano in quest'episodio, scrive l'evangelista: "Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar", egli si trovava al nord, nella Galilea e doveva raggiungere la Giudea a sud, non era necessario passare per la Samaria; normalmente i viaggiatori ed i pellegrini evitavano di entrare nella Samaria e passavano a fianco, lungo la valle del Giordano, perché a causa della grande ostilità tra i due popoli si rischiava di rimanere uccisi.

Questo viaggio, quindi, non fa parte di un itinerario geografico bensì di un "itinerario d'amore" compiuto da Gesù che va a riconquistare la "sposa adultera".

La chiave di interpretazione di questo episodio è data dal termine "donna" con il quale Gesù, nella parte finale dell'episodio, si rivolge alla samaritana.

Sono tre i personaggi femminili, nel vangelo di Giovanni, ai quali Gesù si rivolge chiamandoli "donna": Maria sua madre, Maria di Magdala e la samamritana..

"Donna", in ebraico, ha il significato di "moglie", "donna sposata". Il primo personaggio al quale Gesù si rivolge chiamandolo donna è Maria alle nozze di Cana(5); un figlio non si rivolgeva alla madre chiamandola donna, cioè moglie; Gesù si rivolge a sua madre in questo modo perché la madre di Gesù rappresenta la parte fedele d'Israele, sposa di Dio, che non ha mai tradito il suo Signore, che è sempre rimasta fedele e che è in pena per la situazione del suo popolo e per il quale dice "non hanno più vino".

Nella cerimonia del matrimonio ebraico (non nel successivo banchetto), ancora oggi, l'evento culminante è quando lo sposo e la sposa bevono entrambi da un bicchiere pieno di vino, perché il vino è simbolo dell'amore tra gli sposi. Infatti, la madre di Gesù non dice "non abbiamo più vino", perché lei ce l'ha, rappresentando quell'Israele che è stato sempre fedele a Dio, ma è preoccupata per la situazione del resto di Israele e degli altri popoli e per questo dice "non hanno più vino", cioè in questo matrimonio (tra Dio e il suo popolo) non c'è più amore.

Il secondo personaggio è la donna samaritana, una sposa che è adultera, che ha tradito ripetutamente il suo sposo e che Dio riconquista con il suo amore.

Infine Maria di Magdala, ultimo personaggio femminile alla quale Gesù si rivolge chiamandola "donna" e che rappresenta la sposa della nuova comunità. I tre personaggi quindi sono: la sposa fedele, la sposa adultera e la sposa della nuova comunità.

Continuando il brano, l'evangelista scrive "Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua."

Se Gesù fosse stato una pia persona avrebbe dovuto schizzare via perché era una donna, e le donne sono sempre sospettate di essere impure. Inoltre, Gesù aveva davanti a sé non solo una donna, ma aveva una samaritana, che era l'essere più schifoso e più ripugnante agli occhi di un giudeo. Bene, Gesù si rivolge alla donna e le chiede: "Dammi da bere".

Gesù, che non riconosce le barriere razziali, le differenze tra nazione e nazione, tra pagani e stranieri, non si rivolge dall'alto della sua superiorità di maschio giudeo nei confronti di una donna, e per di più samaritana, bensì dal basso come un uomo bisognoso chiedendo un favore "dammi da bere".

Questa è l'azione tipica di Gesù, quando si avvicina alle persone: non si rivolge dall'alto della sua condizione divina, ma dal basso. Questo concetto verrà poi espresso nel cap. 13 con la lavanda dei piedi, dove l'azione di servizio di Gesù comincia dalla parte più sporca e impura dell'uomo.

Continuando il brano, si nota che la donna è polemica e dice: "Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna (non c'era bisogno che sottolineasse che era una donna, visto che si vedeva) e samaritana?". Era infatti successo qualcosa di inconcepibile… tu, il superiore, la razza eletta chiedi da bere a me che sono donna e samaritana?

L'evangelista, perché tutti quanti capiscano, si sente obbligato a spiegare e scrive "I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani."; questa è un'espressione molto diplomatica che tradotta in linguaggio semplice significa: se le danno di santa ragione! E voi sapete che non si ammazza mai con tanto gusto come quando si ammazza in nome di Dio.

Gesù non accoglie la provocazione e risponde "Se tu conoscessi il dono di Dio"; è lo sposo che cerca di conquistare la sposa(6), l'adultera, e non le rimprovera le sue malefatte, ma le offre un regalo.

In questo sta l'importanza del brano, perché l'azione con la quale Gesù si rivolge alle persone che lo hanno tradito, cioè a coloro che sono peccatori, non è una richiesta di pentimento attraverso l'atto di dolore, bensì l'offerta di un regalo: hai peccato, hai fallito, sei stato infedele, io non ti chiedo di fare penitenza ma ti dico "guarda quanto ti amo, forse non avevi capito quanto era grande il mio amore". Come Osea aveva capito che sua moglie gli scappava perché lui era il padrone e lei cercava amore, così Gesù dice "vieni, ti faccio vedere questa nuova relazione nella quale non mi chiamerai più padrone, ma marito". Quando Gesù si avvicina all'uomo peccatore non è mai per rimproverarlo e neanche per chiedergli conto delle sue malefatte, ma per offrirgli un regalo più grande di quello che lui possa immaginare(7).

Gesù, a questa donna samaritana, adultera, che lo ha tradito, dice: "Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva".

E' un'espressione incongruente: davanti a un pozzo e Gesù dice "se tu accetti questo mio dono io ti do un'acqua zampillante, non l'acqua del pozzo". Questa donna concreta, realistica replica: "Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest'acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?".

Gesù gli ha fatto una nuova proposta d'amore, una nuova offerta perché Dio non distingue tra eretici ed ortodossi, tra pagani e giudei, tra peccatori e giusti, ma Dio a tutti comunica incessantemente il suo amore. La donna conosce soltanto il dono di Giacobbe, il pozzo (tirare su l'acqua dal pozzo significa abbeverarsi con il proprio sforzo) e non riconosce, né immagina un dono gratuito da parte di Dio.

Qui ricorre la differenza tra fede e religione: nella religione ciò che conta è lo sforzo dell'uomo, nella fede è il dono gratuito da parte di Dio. L'amore di Dio non va meritato per i nostri sforzi, ma va accolto come dono gratuito del suo grande amore.

E Gesù risponde: "Chi beve di quest'acqua avrà di nuovo sete", cioè chi cerca di avere l'amore di Dio attraverso lo sforzo umano si troverà sempre e sempre da capo, ogni volta si troverà di nuovo a ricominciare. Gesù continua: "chi beve dell'acqua che io vi darò non avrà più sete". C'è un'acqua che disseta la persona in maniera definitiva e Gesù prosegue dicendo: " Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna ".

Ecco di nuovo la fede e la religione messe in contrapposizione tra di loro. Chi cerca di ottenere le propria pienezza di vita, la propria santità attraverso gli sforzi si trova sempre da capo, non riesce mai a raggiungere lo scopo; chi invece accoglie il dono gratuito d'amore da parte di Dio, afferma Gesù, sente che dentro di sé comincia a sgorgare (sono naturalmente immagini) una sorgente d'acqua che zampilla in maniera crescente e progressiva per sempre. Quindi, alla donna che deve andare ogni giorno a tirare, con il proprio sforzo, l'acqua fuori dal pozzo, Gesù dice "…guarda che ti posso dare, se vuoi questo è il mio regalo, una sorgente che dentro di te zampillerà in maniera continua e crescente per la vita eterna". Questo dono, che Gesù raffigura con l'acqua, è il dono dello Spirito.

Dio non governa gli uomini emanando delle leggi, che loro devono osservare e quindi sforzarsi, impegnarsi, stare attenti e ricominciare sempre da capo; bensì Dio governa gli uomini comunicando loro il suo Spirito con la sua stessa capacità d'amore. Ecco, questa è la grande differenza, noi non dobbiamo obbedire alle leggi, ma assomigliare al Padre. Una volta che noi accogliamo questo dono e lo traduciamo in altrettanto amore per gli altri, la sorgente d'acqua zampilla con ancora più potenza! Più traduciamo l'amore che noi accogliamo da Dio, in amore che, volontariamente, liberamente, si fa servizio agli altri, tanto più, questa fontana d'acqua zampilla in maniera crescente e continua.

E' quello che altri evangelisti hanno detto con altre immagini; il messaggio dei vangeli è identico, le forme per esprimerlo sono differenti.

Gesù, nel vangelo di Marco, dice "perché la misura con cui misurate vi sarà restituita…", ma con un'aggiunta, con un regalo. Le persone di una certa età forse ricordano quando nei negozi alimentari nessun prodotto era confezionato e se uno voleva mezzo chilo di farina c'era la "misura", una specie di mestolo che era il mezzo chilo. Allora, Gesù sta dicendo che la misura con cui misuriamo ci sarà restituita, cioè l'amore che noi diamo agli altri prontamente ci viene restituito dal Padre, ma siccome Dio non si lascia vincere in questa gara d'amore e di generosità, ci sarà data un'aggiunta. Cioè se io do 50 all'altro, mi viene prontamente restituito il 50, ma con l'aggiunta magari di un altro 25 e così io ho 75; se io questo 75 lo do all'altro, non mi viene restituito il 75, ma il 100, in definitiva l'amore è la norma di crescita dell'individuo. L'individuo che, sentendosi gratuitamente amato dal Padre, traduce questo amore in altrettanto amore per gli altri, inizia quel processo di crescita che non avrà mai fine.

Il limite a questa azione divina nella nostra esistenza lo mettiamo noi: tutto lo spazio che nella nostra esistenza è occupato dall'interesse, dall'egoismo, dal rancore, non può fecondare e quindi diventa zona morta, ma se noi progressivamente ci lasciamo invadere da questo amore, più amiamo gli altri e più scopriremo dentro di noi delle energie sconosciute.

Credo che ci sia una esperienza che molti, se non tutti, hanno fatto: quando abbiamo una persona cara che sta male, non avete scoperto, dentro di voi, delle energie delle capacità, una resistenza che non sapevate di avere? E' stata quell'emergenza, quell'occasione d'amore, a produrre una resistenza, una forza, una capacità d'amore che era sconosciuta, perché è nel momento dell'amore che si sviluppa l'uomo.

La linea di sviluppo dell'individuo, secondo Gesù, è l'amore che si dona, non ne esistono altri! Quindi più noi aiutiamo gli altri, più cresciamo e questo senza fine. La sfida che Gesù ci propone è "sentitevi responsabili della felicità degli altri e permetterete a Dio di sentirsi responsabile della vostra". E' un cambio meraviglioso!

Di fronte a questo dono: "Signore - gli dice la donna -, dammi quest'acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua ".

Gesù, a sorpresa, (sembra strano perché passa di palo in frasca), cambia argomento e dice: "Va' a chiamare tuo marito e ritorna qui". Cosa c'entra il marito? E infatti la donna gli risponde: " Io non ho marito".

Sembra che Gesù stia facendo il bacchettone, il moralista e continua: "Hai detto bene: «Io non ho marito». Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero". Questa è l'unica volta nei vangeli che Gesù indossa i panni del moralista e rimprovera qualcuno; non l'ha mai fatto. Ricordate come si è comportato con la peccatrice, con l'adultera, come mai a questa donna getta in faccia la sua vita un po' focosa, un po' vivace?

Ricordo che gli evangelisti, non intendono trasmettere delle cronache storiche che riguardano episodi di duemila anni fa e che a noi non possono dire più di tanto, ma delle profonde verità, degli insegnamenti che riguardano la comunità dei credenti di tutti i tempi.

Questo numero cinque è importante. Perché la donna viene rimproverata da Gesù di avere avuto cinque mariti più quello che ha ora, quindi sei in tutto? Allora, ricordiamo che i samaritani erano nati quando la Siria invase questa regione e deportò gran parte degli abitanti per poi sostituirli con dei coloni provenienti da altre aree territoriali. Ognuno di questi ceppi di coloni si portò il suo dio, per cui entrarono nella Samaria cinque ceppi e ognuno si portò la sua divinità. Sui cinque colli della Samaria costruirono cinque templi alle proprie divinità, più il tempio al Dio di Israele, Yhavè, sul monte Garizim. Ecco cosa Gesù rimprovera: l'idolatria!

L'adulterio, nella bibbia, non viene mai inteso nel senso delle corna del marito verso la moglie o della moglie verso il marito, ma è un'immagine dell'idolatria. Se Dio è lo sposo e il popolo è la sua sposa, adorare altre divinità è idolatria. Allora, alla donna che si è dichiarata disposta a ricevere il dono di Dio, Gesù sta dicendo che c'è una difficoltà dalla quale si deve liberare: non può ricevere con pienezza il dono di Dio, fintanto che convive con gli idoli, perché gli idoli producono morte, al contrario del Dio di Gesù che produce vita. È incompatibile il Dio della vita con gli dei della morte perché pretendono che l'uomo si tolga qualcosa per sacrificarlo a loro e essi, essendo falsi, chiedono anche il sacrificio umano. Mentre il Dio di Gesù è colui che comunica vita, gli idoli sono coloro che la tolgono.

Rileggendo questo episodio non dobbiamo pensare con orrore, ad episodi di duemila anni fa in cui c'erano i sacrifici umani, perché gli idoli, come i farisei, si clonano geneticamente, cambiano, ma continuano. Chi possono essere oggi gli idoli che ci impediscono la pienezza di vita? Per idolo, dice la Bibbia, si intende tutto ciò che prende all'uomo e lo assorbe al punto di arrivare a chiedergli sacrifici umani, al punto di sacrificargli la propria vita. Ognuno di noi sa che ci possono essere mille gli idoli che la società ci propone. C'è, per esempio, la dea discoteca, che sposata con il dio velocità, settimanalmente pretendono la vita di venti, trenta giovani tra i venti e i trent'anni.

A noi fa orrore sapere che una volta sacrificavano i giovani alle divinità, ma oggi è uguale, per questo è importante l'affermazione del vero Dio che comunica vita per l'eliminazione dei falsi idoli, che naturalmente non si presentano come idoli malefici, ma si presentano in maniera attraente, alettante.

Uno degli idoli attuali che annienta e sacrifica la vita dell'individuo è l'idolo del lavoro. C'è molta gente che vive per lavorare, per ammassare e per guadagnare e distrugge la propria esistenza e l'esistenza delle persone che gli stanno accanto.

Ecco, soltanto alcuni esempi, di quei cinque mariti che forse anche noi ci portiamo dentro nella nostra esistenza, quegli idoli che ci impediscono di avere la sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna.

Gesù non sta rimproverando una donna un po' vivace per il suo passato esuberante, ma rinfaccia alla Samaria il peccato di idolatria. Non puoi ricevere quest'acqua fintanto che la tua esistenza è occupata da queste cinque divinità.

La donna capisce subito l'insegnamento(8) di Gesù e dice: "Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare". La samaritana crede che la relazione con Dio sia favorita dal culto ed è disposta a trovare il vero Dio ma domanda "Dove? Noi adoriamo dio su questo monte, il monte Garizim, voi lo adorate a Gerusalemme, io sono disposta ad andare dal vero Dio, ma dimmi dove, dov'è il vero culto?"

Le parole di Gesù che seguono sono solenni, sono importanti e sono valide per sempre; Gesù annunzia: "Credimi, donna (cioè sposa), viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre (non Dio, ma il Padre). Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità". Con queste parole Gesù proclama la fine dei santuari e dei pellegrinaggi, non c'è più bisogno di andare in un determinato posto per ricevere una grazia particolare, per fare un'esperienza particolare di Dio!

Non c'è più bisogno di andare né sul monte Garizim, né a Gerusalemme, è finita quell'epoca. Gesù non sta parlando di Dio, che ha bisogno di un tempio e di un culto, lui sta parlando del Padre e il Padre ha bisogno di figli che gli assomiglino nell'amore. L'espressione greca "spirito e verità", traduce l'espressione ebraica che significa "amore fedele". Questa è la caratteristica di Dio, Dio è colui che nel suo amore è fedele; il suo popolo potrebbe essere infedele, ma Dio è fedele. Allora Gesù sta dicendo che i veri adoratori adoreranno il Padre con un amore fedele e il Padre desidera, cerca, che tali siano quelli che lo adorano.

Continua Gesù: "Dio è Spirito e quelli che lo adorano devono adorarlo in Spirito e verità". Dio è amore e coloro che vogliono adorarlo devono adorarlo con un amore fedele non rivolto a Dio, ma agli uomini. L'unico punto che il Padre cerca è il prolungamento del suo "dinamismo d'amore" che lui stesso è e che comunica all'uomo. Alla donna che desiderava sapere dove recarsi per offrire culto a Dio, (andare al santuario significa offrire qualcosa a Dio), Gesù risponde dicendo che è Dio che si offre a lei, ecco di nuovo il confronto tra la religione e la fede.

Nella religione l'uomo offre a Dio, nella fede è Dio che si offre all'uomo, donandogli la sua stessa capacità d'amore. L'esperienza dell'amore, quindi l'unico culto che Dio ci richiede, non è rivolto verso lui, ma è accogliere questo amore fedele e trasmetterlo agli altri. Prolungare questa esperienza d'amore produce, in ogni uomo, la capacità di amare generosamente così come si sente amato e inizia un processo di somiglianza al Padre. Più noi siamo capaci d'amare e più diventiamo somiglianti a Dio! Come abbiamo accennato, essendo l'amore la linea di sviluppo dell'uomo, questa crescita d'amore dell'uomo realizza in ogni persona il progetto del Creatore. Il progetto di Dio è che l'uomo raggiunga la sua stessa condizione divina: diventare figlio di Dio.

Il culto dell'A.T. esigeva dall'uomo la rinuncia ai beni esteriori, il Dio della religione è il Dio che dice "il tuo figlio primogenito consacralo a me, dammi la decima di tutti i campi (oggi la chiamano "otto per mille" ma è la stessa realtà), questo giorno particolare lo devi consacrare a me, non devi fare nessun lavoro", è un Dio che toglie all'uomo, che lo diminuisce.

Il nuovo culto non umilia l'uomo, non lo diminuisce, ma lo potenzia. Non è più l'uomo che si deve togliere il pane per offrirlo a Dio , ma è Dio che si fa pane per offrirsi all'uomo.

Continuando il nostro brano vediamo che la donna, esterrefatta da questo dono, dice "So che deve arrivare il Messia" e Gesù fa qualcosa di inaudito. Abbiamo detto che le donne non erano credibili nei processi e nelle testimonianze, e Gesù, per la prima volta, si rivela come manifestazione di Dio e come messia a questa donna. La donna va in città e dice: "Venite a vedere (non dice un giudeo ma lo definisce un uomo) un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto". Arrivano i samaritani, la ascoltano, si entusiasmano e cosa dicono a questa donna? "Adesso non crediamo più per quello che ci hai detto, ma perché noi abbiamo sperimentato che costui è il Salvatore del mondo". Quello che gli ebrei ortodossi ed i giudei non hanno capito, non hanno compreso, pensavano infatti che il Messia dovesse salvare Israele, lo capiscono gli eretici: più si è lontani dalla religione e più è facile comprendere le manifestazioni di Dio! Gli eretici e i disprezzati samaritani capiscono quello che i sommi sacerdoti non hanno compreso, quello che neanche i discepoli hanno compreso: Gesù non è il re d'Israele, bensì il Salvatore del mondo, questo dono d'acqua viva viene offerto a tutta l'umanità.

Incastrato in questo episodio, quasi uno sfondo, è posizionato il comportamento dei discepoli: "In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna." Se per Gesù non vi sono distinzioni tra una persona e un'altra, i discepoli sono ancora agganciati alla tradizione, ma esteriormente non reagiscono e invitano il maestro a mangiare.

Gesù ne approfitta per aprire gli occhi dei discepoli sulla sua opera, sulla volontà del Padre di ricondurre a Lui tutte le genti e, rendendosi conto che le genti di quella città possono essere convertite, parla di messe matura da raccogiere usando quella splendida immagine della gioia comune del mietitore e del seminatore.

Note: 1. Il re assiro Sargon II si vanta, in una sua iscrizione, di avere deportato dalla regione in tutto 27.290 persone, quindi palesemente non l'intera popolazione. – 2. Gesù prenderà parte alla linea dei profeti, in contrapposizione a quella del Dio legislatore. – 3. E' proprio su questa base che si fonda il mio convincimento che è assurdo, se non blasfemo, dichiarare impossibile ordinare presbitero una donna. Nei primi secoli alcune donne erano state evidentemente ordinate presbiteri se nel Concilio di Laodicea del 352 d.C. fu stabilito che alle donne non era più concesso di essere ordinate perché "mestruate". Da notare però che papa Gelasio Primo (492-496), in una lettera inviata nel 494 ai Vescovi dell'Italia meridionale, si rammaricava che le ordinazioni di donne presbitero continuassero. – 4. Dice il Talmud: "Le samaritane sono già impure fin dalla nascita", quindi sono delle persone repellenti con le quali non si può avere nessun contatto. – 5. Il racconto delle nozze di Cana (Gv 2,1-12) è chiaramente un episodio non storico, ricco di simbolismi con i quali si annuncia la nuova alleanza sancita da Dio con gli uomini tramite Cristo. La chiave di lettura che permette l'interpretazione di questo episodio è la dichiarata presenza di Maria alle nozze, cosa impossibile nel mondo ebraico in quanto alla donna non era permessa la presenza al banchetto nuziale nemmeno per servire: al banchetto di nozze non poteva essere presente nemmeno la sposa. – 6. Giovanni, scrivendo il cap. 4, si ispira alla storia e all'insegnamento di uno dei profeti più importanti dell'A.T., il profeta che aveva detto "imparate, misericordia io voglio, e non sacrifici": è il profeta Osea (VIII sec. a.C.), colui che ha raffigurato, per la prima volta, il rapporto di Dio con il suo popolo come un rapporto tra uno sposo ed una sposa. Dio è lo sposo ed il popolo d'Israele la sposa, ma quello che è stupefacente è che Osea è arrivato a comprendere questo da una storia familiare che più tragica non poteva essere. La moglie si chiamava Gomer e gli aveva dato tre figli ma, "..era come una cammella in calore", come fiutava l'odore del maschio scappava via. Osea era innamorato della moglie e ogni volta la andava a riprendere, ma non c'era niente da fare, la volta dopo era sempre la stessa storia, scappava e lasciava a casa i figli. Osea un giorno perde la pazienza, all'ennesima fuga della donna la rintraccia e le fa il processo, la pena prevista per le donne adultere era lo strangolamento. Osea, che stavolta aveva perso la pazienza, le elenca tutte le malefatte di moglie infedele, di madre snaturata che con tre figli andava ancora in cerca di uomini, di maschi ed arrivato alla sentenza dice "perciò..." (e qui avrebbe dovuto seguire "…ti condanno alla pena di morte…"), ma l'amore del profeta verso la moglie, è più forte dei crimini e dei tradimenti da lei compiuti nei suoi confronti e arriva a farle una nuova proposta d'amore, "…andiamo a fare un altro viaggio di nozze ti porterò nel deserto e saremo noi due soli". Finalmente Osea capisce perché la donna lo tradisce ancora e continua "là non mi chiamerai più padrone mio, ma marito mio". Osea capisce che se la donna scappava era perché cercava amore e affetto, quell'amore e quell'affetto che un padrone non poteva dare. Soprattutto una cosa è importante per la comprensione del brano che adesso esaminiamo, alla quale Gesù stesso si riallaccia, Osea comprende che mentre nella religione la conversione, il pentimento era una condizione per ottenere il perdono delle proprie colpe, al contrario il perdono fatto con amore, deve precedere la conversione. – 7. Un altro insegnamento di Gesù su questo argomento: nella parabola del figliol prodigo quando il figlio torna, e torna per interesse, torna perché ha fame, il padre non lo rimprovera, non lo minaccia, non gli mette delle condizioni, ma gli dice senti quanto ti voglio bene, senti quanto è grande il mio amore e gli fa festa. – 8. Non deve meravigliare che una donna, sicuramente non colta, comprenda un ragionamento per immagini e simboli come quello portato avanti da Gesù perché allora, ma anche oggi, in Oriente era un modo normale di parlare tra due persone; questo è il grande problema che si incontra nella lettura dei vangeli.