Prima Domenica di Quaresima
– Mc 1,12-15
E subito lo Spirito lo sospinse nel
deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le
bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù
andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è
compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Il brano in esame segue immediatamente
l’episodio del battesimo di Gesù nel Giordano. L’atto di Gesù di sottoporsi al
battesimo ha avuto come risposta da parte di Dio la comunicazione dello suo
Spirito, cioè di tutta la sua forza d'amore (cfr Mc 1,9).
Dopo questo avvenimento l'evangelista
presenta le immediate conseguenze del battesimo collocando Gesù nel deserto. E’
l'unica volta che, nel vangelo di Marco, Gesù viene descritto come “spinto
dallo Spirito”.
Il deserto descritto dall'evangelista è un
po' troppo popolato per essere tale(1): ci sono Gesù, il satana(2),
le bestie sevatiche e gli angeli. La descrizione dell'evangelista
vuole essere teologica, non certo geografica, trasmettere una verità più che la
descrizione di un fatto accaduto, richiamando, attraverso la figura del deserto,
l'esodo del popolo di Israele.
Come Dio aveva condotto il popolo d'Israele nel
deserto dopo il passaggio del mar Rosso (Dt
8,2), ora è lo Spirito, che Gesù ha ricevuto nel battesimo, a condurlo nel
luogo che nella tradizione d'Israele era quello della ribellione e del rifiuto
della volontà di Dio(3).
La permanenza di Gesù nel deserto viene
indicata dalla cifra quaranta con la quale nella Bibbia si rappresenta
una generazione (1Re 2,11;11,42; At 13,21)
perché l'evangelista intende riassumere e presentare al lettore tutta
l'esistenza di Gesù, durante la quale è stato continuamente tentato; la
tentazione che patisce Gesù durante tutta la sua esistenza è quella di essere
un Messia figlio di Davide (Mc
12,35-37), e quindi come Davide adoprare la forza e la violenza per
inaugurare il regno di Dio (Mc
1,24.34.37; 3,11; 8,11.33; 10,3; 15,29-32), piuttosto che un Messia figlio dell’uomo come è la volontà del
Padre. Infatti il deserto era il luogo classico dove si riunivano quanti
volevano impadronirsi del potere (At
21,38) ed è lo spazio dove si nascose Davide prima di impadronirsi
del trono del re Saul e inaugurare così il grande regno d'Israele (1Sm 23,24;26,3; 1Cr 12,9).
A differenza di Matteo e Luca, Marco non
riferisce la vittoria di Gesù sul satana
(Mt 4,10-11; Lc 4,12-13) ma
sottolinea la continuità della tentazione. La vittoria di Gesù verrà fatta
conoscere solo lungo il vangelo (Mc 8,33).
Il satana, che non apparirà più come
tale in tutto il vangelo, è per l'evangelista figura di tutti coloro che
tenteranno Gesù per distoglierlo dal proposito, espresso col battesimo, di
fedeltà al progetto di Dio. Lungo il vangelo, appariranno chiaramente chi
saranno questi tentatori di Gesù: all'esterno del suo gruppo i farisei
(Mc 12,15), all'interno Simone Pietro (Mc 8,11-32).
Solo Marco riferisce della presenza delle bestie
nel deserto della tentazione, rimandando all'immagine del paradiso e del
primo uomo (Gen 1,26-29; 2,19-20).
Per l'evangelista Gesù è il vero Adamo
che non soccombe alla tentazione del serpente (Gen 3) e vive in armonia con il creato non più ostile ma sottomesso
(simbolismo delle bestie, vedi Os
2,16-20), e con gli angeli (Sal 91,11-13).
Il primo angelo comparso nel vangelo
di Marco viene identificato con Giovanni Battista: “Ecco, io mando il mio
messaggero [in greco angelos]” (Mc 1,2). Questi angeli, che compariranno come
personaggi in questo vangelo solo in poche occasioni (Mc 8,38; 12,35; 13,27.32), sono figura di quanti aiuteranno Gesù
nel suo servizio (Mc 10,45).
Di fatto la stessa attività (il servizio)
attribuita all'inizio del vangelo agli angeli viene alla fine attribuita alle
donne che accompagnano Gesù: “C'erano anche alcune donne... che lo seguivano
e servivano quando era ancora in Galilea” (Mc 15,40-41; Mc 1,31).
Marco è l'unico evangelista a non adoperare
mai il termine greco diavolo ma
sempre la designazione ebraica il satana
che in tutto il vangelo appare solo 5 volte (Mc 1,13; 3,23;.26; 4,15; 8,33).
Per conoscere l'identità del satana che
tenta Gesù occorre seguire le indicazioni che lo stesso evangelista offre; secondo
un metodo letterario conosciuto ed allora molto in uso (metodo dell’inclusione4)
Marco collega la prima menzione del satana nel suo vangelo (Mc 1,13) con l'ultima (Mc 8,33), mettendo in stretta relazione
i due episodi: “…Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò
Pietro e gli disse: «va' dietro a me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio,
ma secondo gli uomini»”.
Nel tentativo di Pietro si attualizzano le
tentazioni del satana nel deserto e il discepolo dimostra così di essere
in realtà l'avversario, contrario al piano di Dio. Il comportamento di
Pietro è dovuto al fatto che pensa secondo gli uomini e non secondo Dio.
Pensa secondo gli uomini chi vuole
salvare la propria vita ed è invece destinato a perderla. Pensa secondo Dio chi
perde la propria vita per causa del vangelo ed è così capace di salvarsi (Mc 8,35). Il progetto di Pietro conduce
alla morte, quello di Gesù alla vita indistruttibile.
Gesù reagisce verso Pietro smascherando il
suo comportamento da satana, offrendogli però la possibilità di un
cambiamento di comportamento. Per questo non allontana da se il discepolo ma lo
invita a occupare il posto che gli spetta: è lui che deve seguire Gesù e non il
contrario. Per questo gli rinnova l'invito che gli fece quando insieme al
fratello Andrea invitò a seguirlo: "seguitemi..." (Mc 1,17).
Marco introduce(5) la predicazione di
Gesù in Galilea con due versetti che rappresentano il primo dei sommari di cui
è ricco il suo vangelo: “Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù
andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio…”.
La notizia secondo cui Gesù ha iniziato il suo
ministero pubblico dopo l’arresto di Giovanni il Battista contrasta con quanto riportato
dall’evangelista Giovanni nel suo vangelo nel quale ricorda un’attività
parallela dei due (cfr. Gv 3,22-24);
d’altro canto Marco stesso narrerà solo in seguito l’arresto e la morte di
Giovanni (Mc 6,17-29). È probabile
che egli voglia qui separare nettamente l’opera del Battista da quella di Gesù
per motivi più teologici che storici, mettendo così in luce una tendenza(6)
che sarà accentuata maggiormente da Luca (cfr. Lc 3,19-20;16,16).
Invece di recarsi in Giudea, zona densamente
abitata e dove avevano sede le principali istituzioni giudaiche, Gesù torna in
Galilea, sua terra d’origine. L’evangelista non ignora che in Is 8,23 essa è chiamata «Galilea delle
genti», appellativo che all’epoca di Gesù richiamava il carattere misto (ebrei
e gentili) della sua popolazione (cfr. Mt
4,15).
Il termine «proclamare»,
con cui è indicata l’attività di Gesù in Galilea, in greco indica l’azione pubblica
fatta da un araldo; con questo termine i primi cristiani indicavano l’annunzio
della salvezza fatto dagli apostoli (cfr. At
8,5; Rm 10,8; 1Cor 1,23).
Il lieto annunzio proclamato da Gesù è espresso
con una frase molto concisa: prima di tutto egli afferma, con un linguaggio che
si ispira all’apocalittica giudaica, che «il
tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino»; il «tempo», cioè il periodo dell’attesa, è arrivato al termine; di
conseguenza il «regno di Dio», cioè
l’esercizio pieno e definitivo della sovranità divina in questo mondo, «è vicino», o meglio si è reso prossimo,
sta per realizzarsi in questa terra. In altre parole sta ora iniziando il
periodo finale della storia, caratterizzato dal fatto che Dio stesso interviene
per far riconoscere e accettare pienamente la sua sovranità non solo su
Israele, ma su tutta l’umanità.
All’annunzio del lieto messaggio fa eco un
invito: «convertitevi e credete nel
vangelo». Come già aveva fatto
Giovanni Battista, Gesù invita i suoi ascoltatori a «convertirsi» (dal greco metanoein, cambiare mente7)
ma per fare ciò è necessario «credere nel vangelo», cioè aprirsi al lieto
annunzio ed essere disposti a basare su di esso tutta la propria vita.
La
conversione, secondo Gesù, è un orientamento diverso della propria esistenza:
le persone vivono centrate su se stesse e Gesù dirà che “Chi vive per sé, si
distrugge”, perché la persona, sia umanamente che fisicamente, si sviluppa
soltanto se vive per gli altri. Credente o no, una persona cresce e si sviluppa
quando vive orientato verso gli altri. Gesù, che è venuto a portare la vita,
dice: “Se non orientate diversamente la vostra esistenza, non avete nulla a che
fare con il regno di Dio”.
L’annunzio di Gesù è un «vangelo» in quanto mette in primo piano non ciò che gli uomini
devono fare per ottenere il favore di Dio, ma ciò che Dio stesso sta facendo
per coinvolgere il suo popolo in un grande progetto di liberazione, che trova
nell’antica idea della regalità di Dio il suo carattere distintivo.
Note: 1. Mi
permetto di ricordare che nella cultura ebraica si intende per deserto un luogo disabitato
indipendentemente che vi sia acqua o meno. –
2. Il satana, in ebraico, non è un nome proprio di persona, ma un
nome comune che indica una attività, quella del pubblico ministero,
dell’avversario in un processo. Il pubblico ministero ha il compito di far
risaltare le accuse, la gravità del comportamento: questa è l’azione del satana
nell’A.T., mutuata dall’organizzazione dell’impero persiano (Israele è stata
per alcuni secoli sotto il dominio persiano); infatti il satana era un
funzionario della corte persiana. Questo funzionario girava per le regioni e
guardava il comportamento dei governatori: se uno si comportava bene lo
segnalava al re per farlo promuovere, per premiarlo; se uno si comportava male
lo segnalava al re per castigarlo, eventualmente anche con la morte. Sempre
secondo il pensiero ebraico, per punire gli uomini Dio inviava loro le malattie
la cui gravità era proporzionata ai peccati commessi; la malattia era inviata
tramite il satana che, a sua volta, demandava l’applicazione della pena ad
alcuni dei minori fenici che, in lingua greca, venivano chiamati daimonios come Beelzebùl (Baal Zebub,
il dio delle mosche), citato da Luca (Lc
11, 14-23). – 3. Es 17,1-7: “Si chiamò quel luogo Massa e Meriba, a causa
della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo:
«Il Signore è in mezzo a noi sì o no?»”. – 4. La
cosa è visibile in modo chiaro leggendo il testo originale greco. Dopo la
traduzione in latino avvenuta nel IV secolo, queste indicazioni interpretative
lasciate dagli evangelisti sono rimaste nascoste per secoli fino a quando gli
esegeti hanno sentito la necessità di ripartire dai testi originali (cfr Roland Meynet, “Un nuovo metodo per
comprendere la Bibbia: l’analisi retorica”, Civiltà Cattolica (1994) III, pagg. 121-134). – 5. L’esegesi che segue è stata liberamente ricavata da un
articolo di Padre Alessandro Sacchi riportato su Nicodemo.it – 6. Il fatto storicamente accertato che circa
cento anni dopo la morte di Gesù esistessero ancora discepoli di Giovanni il
Battista che si contrapponevano ai cristiani, fa comprendere come gli
evangelisti che hanno scritto verso la fine del I secolo tendessero separare
l’attività del Battista da quella di Gesù. – 7. Come già accennato nella nota
4, nel IV d.C. venne effettuata la traduzione dei vangeli dal greco in latino,
chiamata in seguito Vulgata e che in parte è opera di Girolamo, sulla quale per
secoli la Chiesa cattolica ha basato tutta la sua teologia e la sua
spiritualità. In questa traduzione l’invito di Gesù “convertitevi” era tradotto “fate
penitenza”. Ma Gesù non ha mai chiesto di fare alcuna penitenza, anzi, era
contrario a questo tipo di atteggiamenti, cosa confermata anche da Paolo (cfr. Col 2,16-23). La Chiesa si è arroccata
su questa traduzione latina anche quando era ormai chiaro che era una
traduzione del tutto inesatta e che bisognava ritornare al testo originale
greco, creando problemi morali e interpretativi che ancora oggi sta pagando in
termini di credibilità e di consenso.