XXII Domenica del Tempo
Ordinario - Mt 16,21-27
Da allora Gesù
cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e
soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e
venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro lo prese in disparte e si
mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà
mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va' dietro a me, satana! Tu mi sei
di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
Allora Gesù disse ai
suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso,
prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la
perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Infatti
quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la
propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?
Perché il Figlio dell'uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i
suoi angeli, e allora renderà a
ciascuno secondo le sue azioni.
Il brano scelto dal
liturgista è il seguito dell’episodio descritto nel brano di domenica scorsa (Mt 16, 13-20); sarebbe stato meglio
leggerli insieme perché sono intimamente legati, ma il liturgista ha scelto
così e non c’è niente da fare.
Nel brano precedente
Simone ha riconosciuto in Gesù “colui che assomiglia al Padre”; questa
locuzione, espressa nei modi della cultura ebraica di allora, suona “Figlio del Dio vivente”. E’ evidente, e
Gesù lo sottolinea, che questa dichiarazione di Simone non può essere farina
del suo sacco, ma è stata ispirata dal Padre perché un uomo così legato alla
tradizione come Simone, se avesse espresso una propria convinzione, avrebbe
riconosciuto Gesù cone “Figlio di Davide”, cioè “colui che assomiglia a Davide,
il re condottiero che ha unito Israele” che era il messia atteso dal popolo.
Questo lampo di
ispirazione, però, ha breve durata; chi è immerso nella tradizione religiosa
può avere momenti di improvvisa risalita verso la luce della libertà e della
verità, ma i suoi piedi rimangono invischiati nella melma della tradizione.
Infatti adesso
scoppia il dramma, adesso scoppia l’incidente(1).
“Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli
che doveva andare a Gerusalemme…”.
Il verbo tradotto dal
greco con "doveva" ha un
significato più profondo che non è espresso dal semplice verbo dovere: significa
"era il compimento della volontà di Dio".
E fino qui sono tutti
d’accordo, lo sanno che deve andare a Gerusalemme, ma l’evangelista aggiunge “…e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei
sacerdoti e degli scribi…”.
Anziani, capi dei sacerdoti(2)
e scribi, sono le tre categorie di persone che componevano il Sinedrio, cioè il
massimo organo giuridico e amministrativo di Israele.
Fino qui i discepoli
potevano essere anche d’accordo, perché Gesù doveva andare a buttare all’aria il
mondo di corruzione che il sinedrio rappresentava e quindi la sofferenza era
insita nella lotta; ma ecco la doccia fredda «…e venire ucciso…».
Questo è troppo, questa
è una bestemmia: il Messia, il figlio di Dio, non può morire, non può venire
ucciso, è il crollo di tutte le speranze di restaurazione del regno di Israele.
È la prima volta che
Gesù annunzia la sua morte. E poi, questo annunzio strano “…e risorgere il terzo giorno.”(3), qualcosa di
assolutamente incomprensibile.
Ed ecco che scoppia
l’incidente: “Pietro lo prese in
disparte…”(4) qui non è più Simone, ma Pietro: quando gli evangelisti vogliono
presentare umanamente il discepolo lo chiamano Simone o Simon Pietro; quando
vogliono indicare che questo discepolo sta compiendo un’azione contraria a
Gesù, eliminano il nome e mettono solo il soprannome che ha un significato
negativo, cioè "lo zuccone, il testardo".
Pietro quindi prende
Gesù, lo afferra e lo porta verso di sé; il verbo greco che è stato tradotto
con “prese in disparte” dà proprio il
senso di un atto fatto con forza, con rabbia.
“…e si mise a rimproverarlo dicendo…” Qui la scelta dei termini, da parte
dell’evangelista, è accurata: il verbo greco tradotto con "rimproverare"
è lo stesso verbo che Gesù adopera nel vangelo per scacciare il satana. Per Pietro
quello che Gesù ha detto non viene da Dio ma è l’effetto di un pensiero
perverso o di una malttia mentale.
“…e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia,
Signore…”.
L’espressione greca è “Dio ti perdoni” ed è un’espressione biblica, uno
scongiuro biblico, che si adoperava per quanti hanno abbandonato Dio. Se
qualcuno abbandonava Dio gli si diceva l’espressione "che Dio ti
perdoni", perché nessuno poteva perdonare questo grave crimine se non Dio
stesso. Quello che Gesù ha detto, per Simone è talmente grave che considera
Gesù uno che ha abbandonato Dio.
“«Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai».
Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va' dietro a me, satana!...”
Gesù adopera lo
stesso imperativo che nel deserto ha adoperato nei confronti del satana(5),
quando gli ha detto «vattene satana» (Mt
4, 10).
L’evangelista sta qui
riproducendo le tentazioni nel deserto. Le tentazioni nel deserto sono durate
quaranta giorni, ma quaranta è un numero che indica tutta la generazione e Gesù
è stato tentato tutta la vita e qui l’evangelista ci fa comprendere chi è il
satana.
Gesù gli dice
«vattene», però gli dà una possibilità: mentre al satana ha detto «vattene
satana» e basta, qui Gesù dice a Pietro «vattene dietro di me».
Pietro lo aveva
afferrato e lo aveva portato a sé, cioè Pietro vuoleva che Gesù seguisse la sua
linea, che Gesù si comportasse come lui si comportava. Gesù dice "vattene,
torna a metterti dietro di me, sei tu che devi seguire me e non io che devo
venire dietro di te" e, unica volta che nei vangeli Gesù si rivolge a
qualcuno in questa maniera, lo chiama «satana». Satana significa nemico,
avversario.
“…Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio,
ma secondo gli uomini!»”.
L’idea trionfante di
Pietro di un Messia vittorioso è quella di un satana, di un avversario al disegno
di Dio e, se all’inizio del brano(6) Gesù dichiara "tu sei la
pietra adatta per costruire la comunità", adesso Gesù dice «tu mi sei
pietra d’inciampo» perchè "scandalo", nella lingua greca, indica la
pietra che fa inciampare.
Per la precisione “scandalo”
sono quelle pietre, quei sassi che troviamo in campagna, che hanno una parte
soltanto scoperta e una parte nel terreno, che non si vedono bene e sono
occasioni d’inciampo.
Quel discepolo, che avendo riconosciuto in Gesù il Figlio del Dio vivente,
era stato proclamato come una pietra adatta per costruire la comunità, quando
invece è radicato nella sua tradizione del Messia vincitore diventa
immediatamente una pietra d’inciampo.
L’evangelista in
realtà ci presenta una caricatura di discepolo, che rappresenta tutti noi:
ognuno di noi può essere una pietra per costruire la comunità, se riceviamo dal
Signore il suo amore e lo trasmettiamo agli altri siamo le pietre idonee per
costruire la comunità di Dio; se invece coltiviamo desideri di potere, di
ambizione, di successo, siamo delle pietre d’inciampo, che fanno inciampare gli
altri e siamo dei satana che Gesù rifiuta.
«Perché», dice Gesù,
«non pensi le cose di Dio ma quelle degli uomini». Ricordate che il termine
uomini, nel vangelo di Matteo è negativo perché indica le persone che non hanno
accolto la parola di Gesù.
“Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno
vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua….”
Quanti malanni ha
provocato questa frase perché è sempre stata interpretata con la mente affogata
nella tradizione, nella religione e non nella fede!
“«Se qualcuno vuole venire dietro a me…”. Gesù specifica che non
è obbligatorio essere cristiani; in passato ci hanno fatto credere che fosse
obbligatorio perché dicevano che non c’era possibilità di salvezza all’esterno.
L’unica salvezza veniva non solo dall’essere cristiani ma anche dall’essere all’interno
della Chiesa Cattolica.
Finalmente il Concilio
Vaticano II ha dichiarato che la salvezza non significa appartenenza a una
Chiesa e neanche appartenenza a una religione(7).
Il Concilio di
Firenze del 1400 condannava al fuoco eterno dell’inferno tutti gli Ebrei, i
Musulmani e gli Infedeli. Cinquecento anni dopo, il Concilio Vaticano II (la
Chiesa prima o poi ci arriva, basta aspettare), dice che tutti gli Ebrei, i
Musulmani e persino i non credenti, che rispondono alla propria coscienza,
conseguono la salvezza.
Non è quindi obbligatorio
seguire Gesù perché non si segue Gesù per salvarsi, si segue Gesù per
realizzare pienamente la propria esistenza. Gesù fa questo paradosso: "se qualcuno vuol venire dietro a me",
ricordate che a Pietro ha detto "torna a metterti dietro di me"; e
adesso gli dice come: “rinneghi sé stesso”,
il che non significa frustrare la propria esistenza, ma rinunciare a ideali di
ambizione, potere, successo, «sollevi la sua croce e mi segua».
Qui occorre spiegarsi
bene: il condannato alla croce era considerato maledetto da Dio(8);
il supplizio della croce era riservato ai delinquenti della peggior specie,
odiati anche dal popolo per quello che avevano combinato. Il condannato,
caricato del braccio orizzontale della croce (l’altro braccio rimaneva infisso
nel terreno per altre esecuzioni) veniva spinto sul luogo del supplizio fra due
ali di folla urlante che inveiva, sputava, gettava feci e orina e picchiava.
Tutto questo distruggeva psicologicamente qualunque condannato. Gesù dice di
prendere la croce nel senso che seguire lui non sarà facile perché la gente non
capirà e si comporterà come con i condannati alla croce: porterà alla perdita
totale della propria reputazione.
La croce non è
"data da Dio" ma "scelta dagli uomini". La croce è il
patibolo, il supplizio, che non è data da Dio a tutti quanti, ma coloro che
liberamente, volontariamente, per amore, vogliono seguire Gesù, la devono
sollevare, da sé. La croce non sono le disgrazie o le malattie che Dio ci manda
(orrenda bestemmia!!), ma la scelta volontaria di perdere la faccia per seguire
Gesù.
“Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà;
ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà…”
Gesù comincia a
spiegare cosa significa seguirlo: chi mette la propria vita al servizio degli
altri, anche se apparentemente agli occhi di coloro che seguono il successo, il
potere, sembra una vita sprecata, sono le uniche persone che sanno realizzarsi.
Coloro che volontariamente, liberamente e per amore, mettono la propria vita,
anche sacrificandosi, a disposizione degli altri, dice Gesù, troveranno la vera
vita in pienezza.
Invece, chi vorrà
salvare la propria vita, chi adopererà gli altri per sé, costoro la perderanno definitivamente.
Aggiunge Gesù, “Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il
mondo intero, ma perderà la propria vita?”. Per Gesù l’uomo che è capace di
guadagnare il mondo intero, l’uomo che accumula ricchezze, successo e onore, è
un uomo fallito che ha perso completamente la propria esistenza e non ha con se
alcuno strumento per riconquistare la propria vita.
“O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria
vita?”
Chi insegue sogni di
successo, di ambizione, ricchezza, sono le persone che, anche se si possono
presentare con una patina o un facsimile religioso, sono completamente fallite
e hanno perso il significato della propria esistenza.
Conclude Gesù, “Perché il Figlio dell'uomo sta per venire nella gloria
del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni.”.
E’ vero, Gesù verrà
disonorato dal Sinedrio, dai rappresentanti di Dio, ma dal Padre verrà onorato,
la gloria significa la manifestazione di Dio. La frase, che ha una apparenza
apocalittica tipica di Matteo, modifica sensibilmente la frase similare di
Marco che non apre visioni escatologiche (Mc
8,38); Gesù avverte: la vita che supera la morte non verrà donata a chi non
ha saputo salvare la propria vita dedicandosi agli altri.
L’episodio che segue questo
brano è la trasfigurazione (Mt 17,1-8)
e ne è la conseguenza logica. Ai discepoli[1] che, come Simone, non hanno
compreso Gesù e pensano che la morte sia la fine di tutto, Gesù mostra nella trasfigurazione
qual è la condizione dell’uomo che passa attraverso la morte. Non è vero che la
morte diminuisce le persone ma le potenzia, non è vero che la morte distrugge
le persone, ma la morte è quel momento della propria esistenza che consente
alla persona di liberare tutte quelle energie, quelle capacità che aveva ma che
nella vita terrena non gli è stata data la possibilità di esprimere.
Note: 1. Quanto segue è stato liberamente tratto dalla
conferenza “Tu sei Pietro” tenuta da P. Andrea Maggi nella basilica di S. Maria
delle Carceri di Prato il 16 maggio 2001. – 2. E’ meglio spiegare questo
plurale. Nel momento in cui Gesù predica, vi sono in Israele due Sommi
Sacerdoti: il più vecchio, Anna, che ha svolto questo ruolo dal 6 al 15 d.C., è
stato sostituito da Valerio Grato, console della Siria, con tre altri sacerdoti
in rapida successione (non si comportavano secondo i desiderata di Roma) fino a
Caifa che svolgerà tale mansione dal 18 al 36 d.C., ma Anna sarà sempre
considerato sommo sacerdote in quanto è l’ultimo che non è stato scelto dai
romani. Ecco il perché del plurale “capi
dei sacerdoti”. – 3. La traduzione corretta dovrebbe essere “…e il terzo giorno resuscitato” ma
sarebbe in contrasto con la teologia sviluppata dal V secolo in poi. – 4. La
traduzione più corretta, perché segue in maniera precisa i movimenti di Pietro
e di Gesù durante l’alterco, sarebbe “Ma afferratolo verso di sé, Pietro…”.
– 5. Gli ebrei
pensavano che Dio inviasse il satana per esaminare il comportamento di ciascuno
(cfr Gb 1,6-17) e quindi punirli dei
loro peccati. Satana, in ebraico, non è un nome proprio di persona, ma un nome
comune che indica una attività, quella del pubblico ministero, dell’avversario
in un processo. Il pubblico ministero ha il compito di far risaltare le accuse,
la gravità del comportamento: questa è l’azione del satana nell’A.T., mutuata
dall’organizzazione dell’impero persiano (Israele è stata per alcuni secoli
sotto il dominio persiano); infatti il satana era un funzionario della corte
persiana. Questo funzionario girava per le regioni e guardava il comportamento
dei governatori: se uno si comportava bene lo segnalava al re per farlo
promuovere, per premiarlo; se uno si comportava male lo segnalava al re per
castigarlo, eventualmente anche con la morte. – 6. Si intende il brano Mt 16, 13-20 esaminato domenica
scorsa. – 7. Costituzione Lumen Gentium n. 16. – 8. Cfr Dt 21, 23b.
[1]
Gesù chiamerà Giacomo e Giovanni, suo fratello, ad unirsi a Simone per
assistere alla sua trasfigurazione. Simone ne ha evidentemente bisogno per
quello che ha fatto e detto in questo brano di vangelo; Giacomo e Giovanni,
detti i figli del tuono per il loro
caratterino attaccabrighe, per la richiesta inoltrata a Gesù tramite la loro
madre, di essere posti alla destra e alla sinistra di Gesù una volta restaurato
il regno di Israele.