Contenuti del blog

Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


venerdì 9 luglio 2010

… lo sollevò sulle sue ali …

Pensieri in libertà di un vecchio rompiscatole

(Parte prima, pagg 49 - 55)

La fede in Gesù

Tutto quanto scritto finora presuppone la scelta di Gesù come persona in cui credere, di cui fidarsi ciecamente. La cosa non è così ovvia: oggi l'offerta religiosa è ampia come mostra la società multietnica in cui viviamo; tutte le forme religiose assicurano che l'accettazione dei loro insegnamenti, e la pratica dei relativi precetti, conducono alla salvezza (in un paradiso o in un nirvana o similari), mentre la disobbedienza e la trasgressione sono severamente punite in questa vita o in quella futura. Ogni religione si presenta come quella vera, escludendo le altre, denunciate come false: quando le circostanze storiche lo permettono, gli infedeli vengono obbligati ad abbracciare la vera fede e, se resistono vengono eliminati in nome di Dio. La domanda conseguente può essere formulata come segue: che cosa ha portato Gesù di nuovo, che non sia già contenuto nella Legge data da Dio a Mosè, o formulato negli altri Libri Sacri? Per quale motivo Gesù è preferibile? Il concetto di Dio-Padre non è un'esclusiva di Gesù: la concezione di Dio quale padre è una caratteristica primordiale della storia dell'umanità e patrimonio comune delle religioni, da Zeus, definito da Omero "padre degli uomini e degli dèi" (Odissea 1,28), a Yahvé "il Signore, il nostro Dio, il nostro Padre" (Tb 13,4), anche se Gesù gli ha dato una veste più umana, se si può usare questa parola. Anche per la via da seguire per la salvezza, Gesù non propone un cammino originale: infatti quando gli chiedono cosa si deve fare per ottenere la vita eterna, Gesù risponde che non è a lui che si devono rivolgere, perché già Mosè ha indicato nei comandamenti la via per la salvezza ("Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti", Mt 19,17). La novità del messaggio di Gesù non consiste neanche nell'invito all'amore, presente in quasi tutte le religioni, da quelle pagane a quella giudaica (Lv 19,18). È vero che Gesù ha sganciato la pratica dell'amore dal ristretto ambito del clan familiare, estendendola pure ai nemici (Mt 5,43-48), ma non è questa l'originalità della "buona notizia". E comunque nessun profeta è mai morto per aver invitato la gente ad amarsi. L'invito a non opporsi al malvagio e a porgere "l'altra guancia" (Mt 5,39) non solo non allarma i potenti, ma li rassicura. Anzi i detentori del potere si rallegrano quando sentono un messaggio che invita la gente a "non giudicare" (Mt 7,1), a "non condannare" (Lc 6,37) e a non resistere ai prepotenti (Mt 5,40-42). Gesù, nella percezione dei suoi contemporanei, era un uomo pericoloso. Anche da una lettura superficiale dei vangeli, risalta immediatamente la pericolosità di Gesù per i suoi contemporanei. Leggendo i vangeli, non meraviglia che Gesù sia stato assassinato, ma sorprende come sia riuscito a sopravvivere così a lungo. Se ci pensiamo bene, se Gesù oggi tornasse in incognito e iniziasse a predicare usando gli stessi argomenti di 2000 anni fa, le conseguenze sarebbero le stesse, perché la sua pericolosità risulterebbe identica. Matteo, nel suo vangelo, anticipa i tentativi di eliminare il Messia collocandoli già al suo primo apparire, con l'ordine del re Erode di sterminare "tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù" (Mt 2,16). Già nel capitolo terzo del vangelo di Marco, compare la decisione di sbarazzarsi di Gesù. Gesù, per il quale il bene dell'uomo viene sempre prima dell'onore da rendere a Dio, ha guarito l'uomo con la mano inaridita pur essendo sabato, giorno del riposo assoluto. I presenti, anziché gioire, perché Gesù ha restituito salute e dignità all'invalido, reagiscono con rabbia omicida: "E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire" (Mc 3,6). Nel Vangelo di Luca il tentativo di uccidere il Cristo appare già al capitolo quarto. Gesù per la prima volta predica nella sinagoga della sua città, Nazaret, ma quel che dice non suscita entusiasmo, bensì furore. L'apertura universale dell'amore di Dio, manifestata da Gesù, non era stata infatti gradita dai nazionalisti nazaretani: "all'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno, si alzarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio" (Lc 4,28-29). Nel vangelo di Giovanni la decisione di eliminare Gesù viene presa dopo la guarigione dell'infermo nella piscina di Betzaetà: "I Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio" (Gv 5,18). Il progetto di Dio, che ogni uomo diventi figlio suo(1), è considerato dalle autorità religiose un crimine da estirpare con la morte. Chi era e che cosa aveva fatto questo Galileo di tanto pericoloso? Le sue credenziali sono pietose. Nel mondo giudaico il documento più antico che parla di Gesù lo definisce "un bastardo di un'adultera" (Yeb. M. 4,13), giustiziato "perché aveva praticato la stregoneria, sedotto e sviato Israele" (Sanh. B. 434a). La situazione non migliora nei vangeli, dai quali risulta che gli stessi familiari di Gesù non hanno nessuna considerazione di questo loro strano e ingombrante parente ("neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui", Gv 7,5). Per essi è solo un matto da togliere dalla circolazione in quanto è il disonore della famiglia: "I suoi, uscirono per andare a catturarlo, poiché dicevano: è fuori di testa" (Mc 3,21). Il giudizio negativo del clan familiare di Gesù è abbondantemente confermato dalle autorità religiose, che alla pazzia aggiungono una connotazione religiosa: "Ha un demonio ed è fuori di sé; perché lo state ad ascoltare?" (Gv 10,20; cf 8,52; Mc 9,30); dagli scribi, teologi ufficiali dell'istituzione religiosa giudaica, per i quali Gesù è un "bestemmiatore" (Mt 9,3) e, come tale, meritevole della pena di morte. Per essi Gesù opera perché "è posseduto da Beelzebul e scaccia i demòni per mezzo del principe dei demòni" (Mc 3,22); dai sommi sacerdoti e dai farisei, per i quali il Cristo "è un impostore" (Mt 27,63); dalla folla, per la quale Gesù è uno che "inganna la gente" (Gv 7,13). Ed infine dai suoi stessi compatrioti, per i quali Gesù non era altro che "motivo di scandalo", che guardano scettici e sospettosi questo nazaretano fuori da ogni norma. Compaesani che faranno pronunciare a Gesù, sconcertato per la loro incredulità, parole molto amare: "Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua" (Mc 6,4). La novità portata da Gesù era al di fuori della comprensione dei suoi contemporanei, che non riuscivano a vedere in lui se non la riedizione di figure del passato, come Elia, Geremia, uno dei profeti, o Giovanni Battista redivivo (Mt 16,15; 14,2). Nei vangeli risalta la solitudine che ha accompagnato l'esistenza di Gesù, quel Cristo che "i suoi non hanno accolto" (Gv 1,11). Di questa sua solitudine approfitteranno i dirigenti del popolo, per i quali Gesù era un pericolo pubblico che occorreva eliminare al più presto, prima che il suo messaggio si divulgasse tra la gente. "Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui" (Gv 11,48), è infatti l'impaurito commento di sommi sacerdoti, dei farisei e di tutto il sinedrio, allarmati dal fatto che "il mondo gli è andato dietro!" (Gv 12,19). Perché tanto astio attorno alla figura di Gesù? Cosa ha detto e fatto di tanto grave da attirarsi contemporaneamente diffidenza, ostilità, rabbia omicida, che lo condurranno a finire, nella più completa solitudine rifiutato dalla famiglia, abbandonato dai suoi discepoli, deriso dalle autorità religiose, ridicolizzato dai romani, inchiodato al patibolo riservato ai maledetti da Dio (Dt 21,23; Gal 3,13)? Chi era, o meglio chi non era, questo carpentiere proveniente dalla malfamata Nazaret di Galilea? (Gv 1,46). Due definizioni di Gesù, presenti costantemente nei vangeli, aiutano a comprendere chi fosse. Il Cristo viene definito quale Figlio di Dio e Figlio dell'uomo. Gesù è Figlio di Dio in quanto manifestazione di un Dio in forma umana (Ef 2,7). Gesù è Figlio dell'Uomo, in quanto espressione dell'uomo nella pienezza della condizione divina (2). Entrambe le definizioni si completano e presentano Gesù quale l'Uomo-Dio, manifestazione visibile del Dio invisibile. Gesù è pertanto figlio di Dio e Dio lui stesso. Ma quale Dio? Con la parola e le opere, Gesù propone un'immagine di Dio che è completamente sconosciuta nel panorama religioso contemporaneo, e segna il passaggio dalla religione (intesa come ciò che l'uomo deve fare per Dio), alla fede (quel che Dio fa per l'uomo). Gesù, quale figlio dell'uomo, pienezza dell'umanità, e quale figlio di Dio, manifestazione visibile di quel Dio che "nessuno ha mai visto" (Gv 1,18), nell'insegnamento e nella pratica si è mostrato come un Dio inedito e insolito, sconcertante e sorprendente. Un Dio che non poteva essere né compreso, né inserito nei parametri religiosi tradizionali, un Dio che si poneva al di fuori di tutto quel che poteva essere racchiuso nel termine "religione", un Dio completamente nuovo che, per essere compreso, esigeva un cambio di rotta nella vita del credente, una conversione che sarà la condizione previa per poterlo accogliere (Mc 1,15), come il vino nuovo esige otri nuovi (Mt 9,17). Escludendo che qualunque persona abbia mai visto Dio (Gv 1,18), di fatto Giovanni ha escluso pure Mosè. Neanche Mosè ha visto Dio, e pertanto la legge che egli ha trasmesso non può riflettere la pienezza della volontà divina. È per questo che si era reso necessario un cambiamento nel rapporto tra Dio e gli uomini, come annunciato attraverso i profeti ("Ecco: verranno giorni, oracolo del Signore, in cui stipulerò con la casa di Israele e con la casa di Giuda una nuova alleanza" (Ger 31,31; Ez 36,26). La nuova alleanza annunciata da Geremia non sarà l'obbedienza a una legge esteriore all'uomo, ma la comunicazione da parte di Dio di una forza interiore che permetterà all'uomo di essergli fedele: "Io metterò la mia legge nell'intimo loro, la scriverò sul loro cuore" (Ger 31,33). E Gesù, l'uomo-Dio, era l'unico che poteva cambiare la relazione tra gli uomini e il Padre. E proprio rifacendosi al Padre, anziché ai padri, Gesù ha potuto distaccarsi dal mondo religioso e culturale giudaico, nel quale era cresciuto ed era stato educato, e dare inizio a un cambio radicale e irreversibile non solo della storia ma di ogni fenomeno religioso, proponendo una nuova alleanza con il Signore non più basata sull'ubbidienza alla Legge di Dio, ma sull'accoglienza dell'amore del Padre. Con Gesù, Dio non governa più gli uomini emanando leggi che essi devono osservare, ma comunicando loro la sua stessa capacità d'amore. Mentre l'amore è una realtà interiore all'uomo, la Legge sarà sempre un codice di comportamento esterno. È l'amore che crea e comunica vita, la Legge non può farlo ("la Legge infatti non ha portato nulla alla perfezione", Eb 7,19). Per esprimere questo profondo, radicale mutamento nel rapporto con Dio c'era bisogno di una nuova relazione (Alleanza) che sostituisse l'antica: Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo (Gv 1,17). Mentre Mosè, "servo di Dio" (Ap 15,3), ha imposto al popolo d'Israele un rapporto con Yahvé, come quello tra dei servi e il loro Signore ("Voi servirete Yahvé", Es 23,25), Gesù, "figlio di Dio" (Mc 1,1), inaugura la nuova relazione tra dei figli e il loro Padre, basata su un'incessante comunicazione d'amore: "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi" (Gv 15,9; 14,21.23). All'obbedienza a Dio Gesù contrapporrà l'assomiglianza al Padre, all'osservanza della Legge la pratica dell'amore. Mentre l'antica alleanza si concludeva con l'imperativo "Siate santi" (Lv 20,7), la nuova si apre con l'invito "Siate misericordiosi" (Lc 6,36). La santità di Dio è una meta irraggiungibile, la misericordia del Padre è possibile. Questa nuova alleanza tra il Padre e gli uomini, proposta da Gesù, era completamente sconosciuta nel panorama religioso dell'epoca, poiché con essa cambiava radicalmente non solo il concetto di alleanza ma anche l'immagine di Dio. La nuova immagine proposta da Gesù è infatti quella di un Dio a servizio degli uomini (Mt 20,28; Mc 10,45; Lc 2,27; Gv 13,1-16), un Dio che, anziché togliere, dona e che, anziché diminuire l'uomo, lo potenzia, un Dio che anziché essere geloso della felicità degli uomini, coopera perché questa sia piena e traboccante (Gv 15,11). Il Dio che Gesù ha fatto conoscere ai suoi discepoli non si comporta come un sovrano, ma come servo degli uomini. Con Gesù non è più l'uomo al servizio di Dio, ma Dio al servizio degli uomini, un Dio che "non è venuto per essere servito, ma per servire" (Mc 10,45; Mt 20,28). L'immagine di un Dio a servizio degli uomini è per Gesù talmente importante che, nell'ultima cena, dopo aver fatto dono di sé come alimento vitale per i suoi (pane e vino), dichiara: "Io sto in mezzo a voi come colui che serve" (Lc 22,27). Il servizio è l'attività che svela l'identità di Gesù. Ribaltando logica e consuetudine, Gesù paragonerà Dio a un padrone che, rientrato a notte fonda da un viaggio e, trovati i servi ancora svegli, anziché sedersi a mensa e farsi servire, "li farà mettere a tavola e passerà a servirli" (Lc 12,37). Un Dio che mette tutta la sua forza d'amore a disposizione degli uomini per innalzarli al suo stesso livello. Per questo nell'ultima cena Gesù, "il Signore", compie un lavoro da servo, affinché i servi si sentano signori (Gv 13,1-17) (3). La condizione dell'uomo nei riguardi di Dio, pertanto, non è più quella del servo verso il suo Signore, ma quella del figlio nei confronti di un Padre che lo invita a raggiungere la condizione divina. E come Gesù non è servo di Dio, ma "figlio del Padre" (2Gv 1,3), ugualmente coloro che gli danno adesione non saranno suoi servi (Gv 15,15) ma, in quanto figli dello stesso Padre, fratelli che con lui e come lui sono chiamati a collaborare al progetto di Dio sull'umanità (Mt 28,10). In Gesù, l'Uomo-Dio, si manifesta la pienezza dell'amore del Padre, un Dio-Amore che non è un rivale dell'uomo, ma suo alleato, che non lo domina, ma lo potenzia, non lo assorbe, ma si offre all'uomo per comunicargli la pienezza della sua vita divina ("La gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi uno", Gv 17,22). È Dio che prende l'iniziativa di amare gli uomini ("Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi", 1 Gv 4,10), e con Gesù, "Dio con noi" (Mt 1,23), Dio non va più cercato, ma accolto, e con lui e come lui, di andare verso gli uomini. Con Gesù l'uomo non deve più innalzarsi per fondersi con il suo Dio, ma accogliere un Dio che discende per comunicare all'uomo il suo amore e fondersi con lui ("Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e verremo a lui e faremo dimora presso di lui" - Gv 14,23), un Dio che cerca l'uomo per trasmettergli la pienezza della sua divinità (4). Un Dio che, come il vignaiolo con la vigna, coopera alla riuscita della vite, eliminando tutto quel che impedisce la produzione di un frutto sempre più abbondante (Gv 15,2). Con Gesù, l'uomo, tempio dello Spirito, è l'unico vero santuario di Dio "Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?" (1Cor 3,16; 2Cor 6,19). Il nuovo volto di Dio proposto da Gesù è quello di un Padre che, anziché togliere, dona, che non diminuisce l'uomo, ma lo potenzia. Un Dio che "non abita in templi costruiti dalle mani dell'uomo né dalle mani dell'uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa: è lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa" (At 17,24-25). Nell'incontro con la donna samaritana, Gesù manifesta la grande novità nel rapporto con Dio: l'uomo non deve offrire nulla a Dio, ma accogliere un Dio che si offre all'uomo. Per questo alla samaritana, che desiderava sapere dove recarsi per offrire culto a Dio (Gv4,19-20), Gesù risponde che è Dio che si offre a lei, donandole la sua stessa capacità d'amare (5). L'unico culto che Dio richiede non è rivolto a sé, ma è la pratica di un amore fedele agli uomini. Dare culto al Padre è collaborare alla sua azione creatrice comunicando vita agli uomini. Per questo Dio non chiede sacrifici alle persone, ma è lui che s'è fatto sacrificio per donarsi alla gente: "Voglio l'amore non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti" (Os 6,6). Il Dio di Gesù non toglie il pane agli uomini, ma è colui che si fa pane per comunicare vita all'umanità ("Questo è il mio corpo", Mt 26,26). Il culto richiesto dalla Legge di Mosè esigeva dall'uomo la rinuncia di determinati beni per offrirli a Dio (primogeniti del bestiame, decime, ecc.). Era una diminuzione dell'uomo, un culto di servi davanti a un Dio sovrano. Il nuovo culto proposto da Gesù non umilia l'uomo, ma lo potenzia, rendendolo ogni volta più somigliante al Padre. L'antico culto sottolineava la distanza tra Dio e gli uomini, il nuovo tende a sopprimerla. Il culto a Dio non è altro che la vita stessa vissuta a favore del bene degli altri (Rm 12,1). Essendo l'amore la linea di sviluppo dell'uomo, questa crescita nell'amore realizzerà in lui il progetto creatore, portandolo a un'assomiglianza ogni volta maggiore con il Padre. Mentre la religione ebraica presenta un Dio che discrimina tra meritevoli e no del suo amore, e che rifiuta la pioggia ai peccatori (Am 4,7; Ger 14,1-10), Gesù mostra un Padre "che fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti" (Mt 5,45). La comunione con Dio non dipende dai meriti e dagli sforzi dell'uomo, ma dall'accoglienza di un amore che è dono gratuito, e come tale va trasmesso (Mt 10,8). Nessuna persona, qualunque sia la sua condotta morale o religiosa può sentirsi esclusa dall'amore del Padre. Il Padre di Gesù non esclude nessuno dal suo amore, perché Dio non guarda i meriti, o le virtù delle persone, ma i loro bisogni e le loro necessità. Meriti non tutti possono vantarli, bisogni tutti li hanno. Tra il fariseo che vantava le proprie virtù, e il pubblicano che non aveva altro da mostrare che la sua miseria, Dio sorvola sugli inutili meriti del pio fariseo, e si sente irresistibilmente attratto dalle necessità del pubblicano peccatore (Lc 18,9-14). E Gesù, il "Dio con noi" (Mt 1,23), va in cerca degli esclusi della società, per avvolgere anche loro dell'amore del Padre. Ecco perché invita a seguirlo gli esclusi d'Israele, quali erano i pubblicani e i peccatori, individui per i quali non c'era alcuna speranza di salvezza. Ma il Signore, che non ha il mandato di giudicare il mondo, bensì che questo si salvi per mezzo di lui (Gv 3,17), "è venuto a cercare e a salvare quel che si considerava perduto" (Lc 19,10), come un medico inviato a curare e guarire gli ammalati (Mc 2,17). Dopo un'iniziale resistenza da parte dei discepoli di Gesù, di comprendere che l'amore del Padre non è limitato a un popolo, a una religione, ma è universale e si rivolge a tutti, la chiesa delle origini, per bocca di Pietro, formulerà quella verità che è la pietra fondante della comunità cristiana: "Dio mi ha mostrato che non si deve dire profano o immondo nessun uomo" (At 10,28). Dio non tollera che in suo nome si possano discriminare persone, a tutte è rivolto il suo amore. È questo il motivo per il quale Gesù accoglie l'impuro lebbroso (Mt 8,1-4) e l'immonda emorroissa (Mt 5,25-29), la peccatrice perdonata (Lc 7,36-50) e il pubblicano (Mt 9,9), personaggi rappresentativi degli esclusi di Israele, quelli che non potevano neanche pensare di avvicinarsi al Signore, perché sapevano che sarebbe stato un sacrilegio. Quando hanno il coraggio di farlo, non ricevono un rimprovero né un rifiuto, ma un incoraggiamento, e si accorgono che il vero sacrilegio era la loro separazione da Dio: "La tua fede ti ha salvata" (Mc 5,34; Lc7,50). Quel che agli occhi della religione era considerato sacrilegio, per Gesù è espressione di fede. Sacrileghi non sono i peccatori, ma i capi religiosi che li separano da Dio. Scribi e farisei credevano che il Regno di Dio tardasse a realizzarsi per colpa dei pubblicani e peccatori. In realtà questi, con Gesù, sono già alla mensa del Regno, come avvertirà Matteo nel suo vangelo: "i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno dei cieli" (Mt 21,31-32). L'accoglienza dell'amore del Padre è preceduta dal suo perdono incondizionato. Nel salmo 139, il pio salmista esclama: "Ah, se Dio sopprimesse tutti i peccatori!" (v. 19), e il Siracide rincara la dose: "L'Altissimo odia i peccatori" (Sir 12,6). L'atteggiamento di Gesù nei confronti di quelli che erano considerati peccatori è differente, non li allontana, ma li avvicina, non li minaccia, ma comunica loro amore. Gesù non nega il peccato, che definisce come una malattia che impedisce all'uomo di essere pienamente integro (6), ma rifiuta l'idea che vede nel peccatore un contaminato che occorre evitare: per il Signore è un ammalato che occorre guarire. Per questo il Dio che si manifesta in Gesù non solo non toglie la vita ai peccatori, ma gli comunica la sua. Secondo la religione, l'uomo peccatore doveva pentirsi delle sue colpe, chiedere perdono, offrire un sacrificio riparatore e poi ricevere il perdono per essere degno di avvicinarsi al Signore. Ma con Gesù, il perdono di Dio viene concesso prima del pentimento del peccatore, come ben compreso e formulato da Paolo nella Lettera ai Romani: "Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi" (Rm 5,8). Per Gesù non è necessario che l'impuro peccatore si purifichi per esser degno di accogliere il Signore, ma è l'accoglienza del Signore che lo rende puro. Gesù, manifestazione visibile dell'amore di Dio, non si concede come un premio per la buona condotta dei "sani", ma si offre come forza vitale per i "malati" (Mc 2,17). Il suo pane non è un premio, ma un dono. Il premio è una ricompensa che dipende dalle capacità (meriti) del ricevente, il dono dipende dalla generosità del donatore. Il Signore non compensa, regala (Mt 20,15). Questo fu, questo è, e questo sarà per sempre "Gesù di Nazaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui" (At10,38). E questa è la buona notizia, annunciata e vissuta dal Cristo, che può ancora essere riproposta a uomini e donne che anelano alla pienezza della loro esistenza, e trovano in Gesù, solo in Gesù, la risposta alle loro aspettative: "Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò ristoro" (Mt 11,28).

Note: 1. "A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio" (Gv 1,12). – 2. Nei vangeli, il Figlio dell'uomo (in greco Ho huios toû anthrôpou) indica colui agisce in terra come Dio stesso (Mt 9,6), colui che rende presente il divino nella storia umana, e per questo rappresenta il massimo dell'umanità, l'Uomo per eccellenza. – 3. È lo stesso concetto espresso da Paolo nella seconda Lettera ai Corinti, dove dichiara che "Gesù Cristo il quale, essendo ricco, si è fatto povero per voi, affinché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2Cor 8,9). – 4. "A quanti l'hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio" (Gv 1,12). – 5. "Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere!, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva" (Gv 4,10). – 6. Secondo il Concilio Vaticano II, "il peccato è una diminuzione per l'uomo stesso, impedendogli di conseguire la propria pienezza" (Gaudium et spes, 13).