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Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


lunedì 14 aprile 2014

Domenica di Pasqua



Domenica di Pasqua - Resurrezione del Signore
Vangelo della notte del Sabato. Mt 28, 1-10
Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba. Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte. L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto». Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».


Vangelo del giorno di Pasqua. Gv 20, 1-9
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.


Nella esegesi del vangelo di domenica 10, quinta domenica di Quaresima, quella relativa alla “resurrezione” di Lazzaro, abbiamo visto Gesù che ha spiegato, in gesti e parole, che cosa è la risurrezione: è la persona che, dando adesione a Gesù, raggiunge una pienezza di vita tale che supera la morte biologica e prosegue la sua vita in Dio.
A questo punto sorge necessariamente la domanda: la resurrezione di Gesù è stata uguale a quella di Lazzaro oppure ha delle caratteristiche diverse, speciali?
La risposta è difficile se non impossibile. Molti teologi moderni hanno provato a rispondere, ma i risultati ottenuti non mi sembrano convincenti, esattamente come non mi sembra convincente quanto riportato dalla tradizione.
Per me l’unica cosa che possiamo fare è attenerci a quanto hanno scritto i vangeli scoprendone il senso.
Purtroppo, per la gran parte dei cristiani, la resurrezione di Gesù è quello che viene più o meno visivamente immaginato dai pittori, di un Gesù che esce vittorioso dal sepolcro, spalancando il sepolcro di pietra con il vessillo della croce.
Questa descrizione non è presente in nessun vangelo, ma è contenuta in un vangelo apocrifo, il Vangelo di Pietro, che data circa 150 d.C.
Apocrifo è un testo che la Chiesa non riconosce come autentico, però nell’immaginario dei cristiani la resurrezione di Gesù è quella di un cadavere riportato in vita che esce vittorioso dalla tomba.
Nessun vangelo descrive la resurrezione di Gesù. Però tutti i vangeli(1) danno indicazioni alla comunità cristiana di tutti i tempi come sperimentare Gesù resuscitato.
Questa, e solo questa, è la funzione che rivestono i racconti evangelici delle apparizioni del Risorto.
E’ convinzione degli evangelisti che finché uno crede perché gli è stato detto, sarà sempre un credente zoppicante; l’unica maniera per sapere se Gesù è veramente vivo è quella di sperimentarlo nella propria esistenza: i quattro vangeli, in quattro maniere, diverse nella modalità ma identiche nel contenuto, danno la possibilità di sperimentare Gesù resuscitato.
Gesù non vuole che noi siamo dipendenti dagli insegnamenti degli altri in particolare su una cosa così importante, Gesù vuole che il cristiano sia una persona matura e capace di ragionare con la propria testa.

Partiamo quindi esaminando il cap. 28 del Vangelo di Matteo: “Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria….”(2).
Già questa indicazione ci fa comprendere che la narrazione non riguarda un evento storico, ma teologico: infatti l’evangelista riprende il testo del libro della Genesi dove viene descritta la creazione, ove si legge: «..e fu sera e fu mattina: primo giorno».
Matteo, che cura in maniera particolare questo ultimo capitolo della sua opera, scrivendo «all’alba del primo giorno della settimana» si richiama alla creazione; vuol far comprendere che la resurrezione non è la rianimazione di un cadavere, ma una nuova creazione ad opera di Dio: la resurrezione è un atto creativo da parte di Dio, è Dio che continua la sua creazione.
Questo era stato compreso molto bene dai componenti del cristianesimo primitivo che costruivano i battisteri a forma ottagonale per richiamare la risurrezione(3).
“Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba.”
Manca una persona, manca una donna(4): al momento della crocifissione erano tre le donne presenti (cfr Mt 27,56). C’era Maria di Magdala, l’altra Maria madre di Giacomo e di Giuseppe e c’era anche la madre dei figli di Zebedeo.
Quest’ultima era una donna che, insieme ai figli, seguiva Gesù per interesse e per ambizione(5). L’ultima volta che questa donna compare è al momento della crocifissione, ma con la crocifissione sono perse tutte le speranze di gloria e di ambizione.
“Ed ecco, vi fu un gran terremoto”. Il terremoto non significa che ci sia stato realmente un sisma; il terremoto è una delle immagini con le quali nell’AT si indicava la presenza di Dio.
Infatti ecco un “Angelo del Signore”(6). Nel Vangelo di Matteo questo “angelo del Signore” compare tre volte e tutte e tre le volte in relazione con la vita. La prima volta per annunziare a Giuseppe la vita di Gesù, la seconda per difendere Gesù dalle trame omicide di Erode che lo vuole ammazzare e la terza, l’ultima, qui, per confermare che la vita, quando viene da Dio, è più forte della morte.
“…si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa.” E’ una sequela di gesti di grande importanza: in antico le tombe erano quasi sempre scavate nella roccia e venivano chiuse ponendo una pietra sopra. Mettere una pietra sopra significava la fine di tutto(7). Dio afferma che non è vero; rotola lui la pietra e ci si mette a sedere sopra: significa che la morte è definitivamente sconfitta con la morte di Gesù.
“Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve”. Sono tutte indicazioni che di per sé possono sembrare quasi superflue per la narrazione, ma in realtà sono segnalazioni importanti. L’angelo del Signore è rivestito, secondo quella che è la simbologia ebraica, dei colori della gloria divina che sono identici a quelli di Gesù quando si è trasfigurato. L’altra indicazione importante è che la morte non diminuisce la persona ma la potenzia. Ecco perché Gesù in tutta la sua esistenza ogni volta che parla della morte usa, può sembrare paradossale, termini assolutamente positivi.
Gesù per parlare della morte prende l’esempio di un chicco che viene seminato per terra, marcisce, sembra la fine di tutto, ma poi dallo stesso chicco nasce uno stelo con un frutto o un fiore meraviglioso: in ognuno di noi ci sono delle energie d’amore che attendono le condizioni adatte per essere sviluppate. Quando la morte interrompe la vita, queste energie non vengono disperse, ma esplodono in tutta la loro pienezza.
La reazione: “Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte”. Talvolta Matteo sa essere veramente ironico: c’è una esplosione di vita e anziché ricevere questa vita le guardie diventano come morte. Questa è un’altra esclusione che opera l’evangelista: coloro che appartengono alla sfera del potere(8) sono completamente refrattarie al Dio della vita.
“L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso...”.
Il crocifisso, nella mentalità ebraica, era l’equivalente di «il maledetto», perché i sommi sacerdoti, che se ne intendevano di Bibbia, per scegliere una morte infamante per Gesù e soprattutto una morte che squalificasse definitivamente Gesù agli occhi del popolo, hanno scelto l’unica morte che nella Bibbia era riservata ai maledetti da Dio, cioè la morte in croce.
L’angelo del Signore annunzia alle donne: “Non è qui. È risorto”. Da una parte il maledetto da Dio e dall’altra il glorificato da Dio. Non è vero che Dio l’aveva abbandonato, non è vero che Dio lo aveva maledetto, ma in lui Dio ha manifestato tutta la potenza della creazione. Dio non ha permesso che Gesù morisse, ma gli ha concesso una vita capace di superare la morte. Fa anche un velato rimprovero: “…come aveva detto…”.
Gesù per tre volte aveva annunziato la sua morte e la sua resurrezione, ma i discepoli non avevano capito assolutamente niente, perché i discepoli seguivano Gesù animati anch’essi da desideri di ambizione, litigando tra loro per sapere chi era il più importante.
“…venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti,…”  e adesso una indicazione abbastanza strana ed incoerente “…ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto”.
Ripeto, nessun vangelo descrive la resurrezione di Gesù, ma tutti gli evangelisti danno delle indicazioni alle comunità cristiane di tutti i tempi per sperimentare Gesù resuscitato. L’esperienza di Gesù resuscitato non è stato un privilegio di 2000 anni fa per qualche decina o centinaio di persone, ma una possibilità per i credenti di tutti i tempi. Notate qui che apparente incongruenza: Gesù è stato assassinato a Gerusalemme, è stato seppellito a Gerusalemme, resuscita a Gerusalemme, i discepoli stanno a Gerusalemme, una volta resuscitato quello che ci aspetteremmo, la cosa più normale, è che compaia ai suoi discepoli, a Gerusalemme. Sul Vangelo di Giovanni si legge che la sera di quello stesso giorno della resurrezione, Gesù apparve ai discepoli, che erano chiusi in casa per paura dei giudei. La cosa è comprensibile.
Il Vangelo di Matteo non è d’accordo: “...vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Da Gerusalemme alla Galilea, a quell’epoca andavano a piedi, c’erano circa quattro giorni di cammino. Perché ritardare di quattro giorni l’importante e decisiva esperienza della resurrezione? Lo capiremo in seguito.
“…là lo vedrete”.
Il Vangelo è scritto nella lingua greca e le traduzioni sono sempre o superficiali o abbastanza complesse da fare. Nella lingua greca il verbo “vedere” viene espresso con due forme verbali: una che indica la vista fisica, io vedo voi che mi state davanti, l’altra che indica una percezione interiore. Qui l’evangelista adopera il verbo vedere che indica una profonda esperienza e percezione interiore(9).
Non ci sono visioni nell’esistenza del credente, sono assenti dal messaggio di Gesù. Non ci sono visioni per persone privilegiate, ma delle profonde esperienze di Dio possibili nella vita di tutti i credenti. Questo verbo, inoltre, è lo stesso che l’evangelista utilizza nelle beatitudini.
Il nostro mondo, le nostre case sono piene di onde elettromagnetiche, e queste piene di musica, di parole, ma se io non sintonizzo la radio su una determinata frequenza, questa musica di cui è piena la casa non riesco a percepirla. Ugualmente la nostra vita è piena della presenza di Dio. Che pena vedere che la gran parte delle persone non ne percepisce la presenza perché è totalmente chiusa agli altri: chi si chiude agli altri si chiude a Dio. Chi pensa a sé e non usa le beatitudini come guida della propria vita non può vedere il Dio che gli sta di fronte.
“Abbandonato in fretta il sepolcro…” Per fare l’esperienza del Dio dei vivi bisogna abbandonare i sepolcri, chi sta chinato verso il sepolcro non riesce a sperimentare il Dio vivente. Nel Vangelo di Luca c’è un rimprovero a queste donne testimoni della resurrezione: «perché cercate tra i morti colui che è vivo?». Fintanto che si sta orientati verso il sepolcro, fintanto che si piange il morto, non riusciamo a percepire la presenza di questa persona viva e vivificante accanto a noi. È qui, è con noi, ma noi, distrutti dalla sua morte, vediamo soltanto la sua tomba, vediamo soltanto il dolore e il pianto. Non ci accorgiamo che la persona cara ci sta accanto e attende soltanto che noi facciamo un semplice gesto: di voltarci dalla tomba, dal sepolcro, verso la vita.
È quello che nel Vangelo di Giovanni succede con Maria di Magdala. Maria di Magdala sta orientata verso il sepolcro e piange. Soltanto quando si volta: “…voltatasi, vide Gesù”.
“…con timore e gioia grande,…”. L’evangelista associa questi due termini perchè la comunità è ancora erede delle credenze dell’AT, dove le manifestazioni di Dio producevano paura, ma nello stesso tempo accoglie il messaggio del Signore e quindi subentra la gioia.
“…le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli”. Due termini, uno più importante dell’altro. In Oriente la fretta è un grave segno di maleducazione; ebbene qui l’urgenza di dare l’annunzio che Gesù è vivo è talmente importante, che queste donne mettono da parte la propria reputazione, il proprio onore, e corrono a dare l’annunzio ai suoi discepoli.
Nel mondo ebraico la donna non era considerata proprio un essere umano, era qualcosa che era riuscita male al Padreterno. Ebbene, nei Vangeli le donne non solo vengono eguagliate ai maschi, ma sopravanzano i maschi stessi perché sono le uniche a compiere la stessa azione che nella simbolica ebraica era riservata ai sette angeli del servizio divino: l’evangelista, scrivendo «dare l’annuncio», (il termine «annuncio», in greco, ha la stessa radice della parola «angelo»), indica che le donne non solo sono equiparate agli uomini, ma sono equiparate agli esseri più vicini a Dio.
“Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono”.
Sono indicazioni sulla realtà dell’individuo che è passato attraverso la morte: gli prendono i piedi, quindi c’è come una fisicità, ma dall’altra c’è una condizione nuova, lo adorano come si adora Dio.
La persona che passa attraverso la morte continua a essere la stessa realtà di prima, come individuo, come persona, però nello stesso tempo è entrato in una dimensione nuova, radicalmente nuova, che è quella divina. È l’uomo che è nella piena condizione di figlio di Dio.
“ Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno»”. E’ la prima volta che Gesù si rivolge ai discepoli chiamandoli fratelli, e di nuovo Gesù insiste «vadano in Galilea, là mi vedranno».
Notate questa insistenza, per sperimentare che Gesù è resuscitato non si deve andare a Gerusalemme: man mano che si avvicina il momento dell’incontro con Gesù resuscitato c’è una accurata selezione, le persone ambiziose come la madre dei figli di Zebedeo sono escluse, le guardie sono escluse e coloro che appartengono all’istituzione religiosa sono escluse dalla presenza e dalla esperienza di un Dio vivo.
Con questo versetto il brano del vangelo della messa della notte di Pasqua si conclude; evidentemente il liturgista che ha delimitato il vangelo da leggere all’altare non ha mai avuto il desiderio di approfondire la conoscenza dei vangeli, altrimenti si sarebbe posto la domanda: perché Gesù costringe i suoi discepoli a recarsi in Galilea per vederlo? Basta saltare al versetto 16 per comprenderlo.
“Gli undici intanto andarono in Galilea…”, notate adesso il particolare: “…sul monte che Gesù aveva loro fissato”.
Tre volte abbiamo nel Vangelo l’invito ad andare in Galilea, ma mai viene specificato il monte sul quale andare. Il monte non è un luogo geografico, non è un'indicazione topografica, quella che l’evangelista ci dà è una indicazione teologica. Nell’antichità, essendo il monte il luogo della terra più vicino al cielo, esso era condiderato il luogo della residenza degli dei(10).
Questo «il monte» nel Vangelo di Matteo è già stato presentato come il luogo dove Gesù ha annunziato il suo messaggio fondamentale: il monte delle beatitudini.
Questa è l’indicazione che l’evangelista ci sta dando: chi vuole sperimentare nella sua esistenza la presenza di Gesù vivo e vivificante, del Risorto, deve essere fedele al programma di Gesù che è stato espresso e formulato nelle beatitudini.
Quindi questo è il monte nel quale la comunità si impegna a essere responsabile della felicità degli altri. Costoro, solo costoro, fanno l’esperienza di Gesù resuscitato.
“Quando lo videro…”, quindi lo vedono, “…gli si prostrarono innanzi…”. E qui c’è un verbo strano “…ma dubitavano”.
Perché dubitano? Lo vedono e quindi sono certi che Cristo è resuscitato! Gli si prostrano innanzi, riconoscono che in lui c’è la condizione divina, ma dubitano. Questo verbo, dubitare, è apparso un’altra volta nel vangelo di Matteo, quando Gesù cammina sulle acque.
Vedono Gesù resuscitato, lo sperimentano, ma sanno che per raggiungere questa condizione bisogna passare attraverso il dolore della vita, la persecuzione e forse la croce e la perdita della propria vita. Pertanto non dubitano della presenza di Gesù resuscitato, dubitano della propria capacità di seguire Gesù fino a questa condizione.
Poi c’è l’invito di Gesù di andare a tutta l'umanità immergendola nella realtà di Dio e le ultime parole di Gesù: “…e io sono con voi per sempre”. Gesù nel vangelo di Matteo non sale al cielo per servizi resi, ma rimane al centro della sua comunità.
Riguardo alla morte Gesù ci assicura: chi crede in me non farà mai l’esperienza della morte. È chiaro, ci sarà la morte della carne. C’è una prima morte ed è quella biologica, ma chi ha dentro di sé questa qualità di vita non farà l’esperienza della seconda.

Il brano del vangelo di Giovanni ha analoga impostazione, ma risente del fatto che è stato scritto circa 30-40 anni dopo: nella concezione giovannea la morte di Gesù in croce rappresenta già la sua piena glorificazione e il compimento della sua opera salvifica, che continua ora nel mondo mediante la comunità dei suoi discepoli.
Non dovremmo quindi attenderci più un racconto della sua risurrezione, che in questa ottica diventa completamente superfluo. Ma Giovanni non può sacrificare un dato così importante della tradizione a una sua concezione teologica.
Egli perciò riporta la notizia tradizionale secondo cui il mattino di Pasqua la tomba è stata trovata vuota; ad essa fa seguire il racconto di un’apparizione del Risorto a Maria Maddalena, poi due volte ai discepoli, la seconda delle quali è diretta specialmente all’incredulo Tommaso. 
Spinti dalle parole di Maria di Magdala, due discepoli, Pietro che rappresenta la parte di Israele ancora ancorata alla Legge e alla tradizione antica e un altro discepolo, “quello che Gesù amava”(11), corrono al sepolcro. La corsa, come abbiamo già visto, fa perdere onore e dignità a chi la effettua, ma la cosa è così importante, così urgente da far ignorare le conseguenze ai due discepoli.
L’evolversi della corsa è il simbolo dell’evolversi della fede tra i discepoli: chi raggiunge la fede per primo è chi abbandona la tradizione e si affida a Cristo e sono questi che devono aiutare quelli che sono ancora radicati alla tradizione; per questo Pietro viene atteso e gli si consente di entrare per primo nel sepolcro(12).
La scoperta del sepolcro vuoto e della fede dei primi discepoli ha un significato molto importante nel quarto vangelo. Essa vuol dire che la fede nel Risorto non si basa su prove oggettive, quali le sue apparizioni, e neppure la scomparsa del cadavere dalla tomba. I due discepoli infatti credono perché finalmente, stimolati da un fatto di per sé privo di qualsiasi forza dimostrativa, improvvisamente colgono il significato delle Scritture, secondo le quali egli doveva risorgere.
In realtà le Scritture non parlano esplicitamente della risurrezione del Messia: sarà a partire da questo evento che i primi cristiani rileggeranno le Scritture, ritrovando in esse quello che era diventato il punto centrale della loro fede. Tuttavia sono proprio le Scritture che, mettendo in luce il piano salvifico di Dio, mostrano che il suo inviato non poteva subire la sconfitta cocente della croce, anzi proprio questa doveva essere il segno più luminoso della sua gloria. Così viene affermato in modo fortissimo che la gloria di Dio si distacca radicalmente dalla gloria umana: mentre questa consiste nella sopraffazione dell’uomo sull’uomo, la gloria di Dio significa identificarsi con gli ultimi per portarli a una vita piena che non verrà mai meno.

Note: 1. Nel Vangelo secondo Marco, il primo vangelo scritto forse a ridosso della morte di Gesù, è riportato il fatto della resurrezione, ma non c'è il racconto delle apparizioni. Questo vangelo finisce al capitolo 16 versetto 8 con queste parole: le donne andarono al sepolcro, videro Gesù risorto, ma "non dissero niente a nessuno, finché..." - o, dipende da come si traduce, “…perché”; un secolo dopo alcuni copisti, rendendosi conto di questa mancanza, aggiungeranno addirittura tre finali posticci, molto brutti, e diversi tra loro. Il finale attualmente presente nell’edizione CEI del 2008 è della fine del II secolo (quindi certamente non di Marco) ed è stato accettato dai Padri della Chiesa (Taziano ed Ireneo). Gli studiosi, a partire dal 1700 in poi, si sono resi conto che questa mancanza testimonia il lungo periodo di tempo (forse più di 40 anni) che è stato necessario per il consolidarsi della tradizione relativa alla resurrezione ed alle apparizioni del Risorto. - 2. Quanto segue, limitatamente al brano di Matteo, è stato liberamente tratto dalla conferenza di P. A. Maggi “Vita eterna: incubo o promessa?” tenuta a Rovigo presso il Centro Mariano Beata Vergine Addolorata dal 9 all’11 novembre 2001. – 3. Il primo giorno dopo il sabato può essere anche chiamato l’ottavo giorno della settimana: il numero otto, nel cristianesimo primitivo, era il numero che richiamava la resurrezione. Non solo, il numero otto, nel vangelo di Matteo è il numero delle beatitudini. Ne consegue che il battistero ottagonale diceva: tu, battezzando, sappi che mettendo in pratica il messaggio delle beatitudini, Gesù ti comunicherà una vita che è capace di superare la morte. – 4. Le esclusioni sono indicazioni importanti che l’evangelista dà alla comunità dei credenti: coloro che sono animati dall’ambizione del successo, di essere prima degli altri, di essere al disopra degli altri, sono esclusi dall’esperienza della resurrezione. Coloro che sono animati dal desiderio di brillare, di dominare e di comandare sono assolutamente refrattari alla presenza di Cristo resuscitato. – 5. I discepoli credevano che Gesù fosse il Messia trionfatore che va a Gerusalemme a conquistare il potere. Sulla base di questa idea la madre dei figli di Zebedeo va da Gesù e dice: mi raccomando, quando sei a Gerusalemme, ai miei figli dai i posti più importanti, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra. In oriente, il re ha un trono centrale, il Primo Ministro siede a destra e l’Amministratore, diciamo il Ministro delle Finanze, siede alla sua sinistra. Lei pensava che Gesù avrebbe sconfitto i nemici e si sarebbe seduto su un trono. Ma il trono di Gesù sarà un patibolo riservato ai delinquenti. A destra o a sinistra di Gesù non c’è il Primo Ministro e l'Amministratore, ma ci sono due criminali crocifissi con lui. – 6. Quando nell’AT e nel NT incontriamo il termine «angelo del Signore», non significa mai un angelo inviato dal Signore, ma Dio stesso. Gli ebrei, che ci tenevano a manenere la distanza tra Dio e gli uomini, quando volevano significare che Dio entrava in contatto con l’umanità, non scrivevano mai il «Signore Dio», ma adoperavano sempre l’espressione «angelo del Signore». – 7. Nella nostra cultura la frase “mettiamoci una pietra sopra” ha il significato di eliminare anche il ricordo di una certa cosa e proviene proprio da questa usanza sepolcrale. – 8. Nel Vangelo di Matteo il potere viene rappresentato da queste tre categorie: coloro che lo detengono, cioè coloro che dominano; coloro che ambiscono al potere e coloro che sono sottomessi al potere. Per Matteo queste tre categorie vivono in una sfera di morte e quando c’è l’irruzione del Dio della vita non la ricevono e, quando muoiono, vengono accolti dalla seconda morte. Nel NT (libro dell’Apocalisse) si parla della seconda morte: una è la morte biologica, quella capita a tutti. Questa morte non scalfisce l’esistenza dell’individuo che invece continua a vivere in Dio; ma se una persona, per le scelte sbagliate, per l’adesione al potere, per il rifiuto alla vita, per il rifiuto dell’amore di Dio è svuotato di energia vitale, non potrà risorgere. – 9. Da questa analisi filologica è possibile comprendere il significato delle apparizioni riportate nei vangeli. Da questo è inoltre possibile comprendere le difficoltà incontrate nella formazione ed il lungo maturare nel tempo della tradizione della risurrezione e delle apparizioni. – 10. Questa concezione si è radicata anche nel mondo occidentale. Infatti generalmente i santuari sono situati in luoghi alti. Ricordiamo che l’idea di costruire santuari non è cristiana, ma è una tradizione di impronta pagana. - 11.  Quando nei vangeli viene citato un personaggio senza darne il nome, questo va inteso come un rappresentante di una categoria e mai come un’unica persona. In questo caso il discepolo è lo stesso presente sotto la croce e rappresenta l’insieme di tutti i discepoli di Gesù, passati e soprattutto futuri. Ricordo che sotto la croce Giovanni pone anche Maria, la madre di Gesù che simboleggia quella parte di Israele che ha accettato le parole di Gesù e lo ha seguito; è solo un simbolo perché si considera assai difficile che Maria sia sopravvissuta al figlio: avrebbe avuto più di 49 anni quando la vita media della donna in quel periodo raramente superava i 25. La tradizione cattolica ha erroneamente identificato “il discepolo che Gesù amava” con la stesso evangelista Giovanni; questo è stato possibile a causa della macroscopica mancanza di conoscenze sulla cultura ebraica da parte della Chiesa cattolica fino alla seconda metà del XX secolo.  – 12. Questa situazione non era tipica solo della chiesa primitiva, ma si è perpetuata per secoli appesantendo la Chiesa cattolica e impedendole quel salto in avanti che la fede in Cristo avrebbe potuto consentirgli. Rimanere ancorati alla tradizione, anche se questa è legata a concetti e modi di pensiero estranei al momento attuale, impedisce infatti di mantenere i vangeli come unica e somma luce per illuminare il cammino del credente.