Domenica di Pasqua - Resurrezione
del Signore
Vangelo della notte del Sabato. Mt 28, 1-10
Dopo il sabato,
all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria
andarono a visitare la tomba. Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del
Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a
sedere su di essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come
neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero
come morte. L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate
Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite,
guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi
discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo
vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto». Abbandonato in fretta il sepolcro con timore
e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco,
Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli
abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete;
andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».
Vangelo del giorno di Pasqua. Gv 20, 1-9
Il primo giorno della
settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora
buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da
Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro:
«Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro.
Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro
e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse
intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i
teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i
teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che
era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora
compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.
Nella
esegesi del vangelo di domenica 10, quinta domenica di Quaresima, quella
relativa alla “resurrezione” di Lazzaro, abbiamo visto Gesù che ha spiegato, in
gesti e parole, che cosa è la risurrezione: è la persona che, dando adesione a
Gesù, raggiunge una pienezza di vita tale che supera la morte biologica e
prosegue la sua vita in Dio.
A
questo punto sorge necessariamente la domanda: la resurrezione di Gesù è stata
uguale a quella di Lazzaro oppure ha delle caratteristiche diverse, speciali?
La
risposta è difficile se non impossibile. Molti teologi moderni hanno provato a
rispondere, ma i risultati ottenuti non mi sembrano convincenti, esattamente
come non mi sembra convincente quanto riportato dalla tradizione.
Per
me l’unica cosa che possiamo fare è attenerci a quanto hanno scritto i vangeli
scoprendone il senso.
Purtroppo, per la
gran parte dei cristiani, la resurrezione di Gesù è quello che viene più o meno
visivamente immaginato dai pittori, di un Gesù che esce vittorioso dal
sepolcro, spalancando il sepolcro di pietra con il vessillo della croce.
Questa descrizione non
è presente in nessun vangelo, ma è contenuta in un vangelo apocrifo, il Vangelo
di Pietro, che data circa 150 d.C.
Apocrifo è un testo
che la Chiesa non riconosce come autentico, però nell’immaginario dei cristiani
la resurrezione di Gesù è quella di un cadavere riportato in vita che esce
vittorioso dalla tomba.
Nessun vangelo
descrive la resurrezione di Gesù. Però tutti i vangeli(1) danno
indicazioni alla comunità cristiana di tutti i tempi come sperimentare Gesù resuscitato.
Questa, e solo questa,
è la funzione che rivestono i racconti evangelici delle apparizioni del
Risorto.
E’ convinzione degli
evangelisti che finché uno crede perché gli è stato detto, sarà sempre un
credente zoppicante; l’unica maniera per sapere se Gesù è veramente vivo è
quella di sperimentarlo nella propria esistenza: i quattro vangeli, in quattro
maniere, diverse nella modalità ma identiche nel contenuto, danno la
possibilità di sperimentare Gesù resuscitato.
Gesù non vuole che
noi siamo dipendenti dagli insegnamenti degli altri in particolare su una cosa
così importante, Gesù vuole che il cristiano sia una persona matura e capace di
ragionare con la propria testa.
Partiamo quindi esaminando il cap. 28 del Vangelo
di Matteo: “Dopo il sabato, all’alba del
primo giorno della settimana, Maria….”(2).
Già
questa indicazione ci fa comprendere che la narrazione non riguarda un evento
storico, ma teologico: infatti l’evangelista riprende il testo del libro della
Genesi dove viene descritta la creazione, ove si legge: «..e fu sera e fu
mattina: primo giorno».
Matteo,
che cura in maniera particolare questo ultimo capitolo della sua opera,
scrivendo «all’alba del primo giorno della settimana» si richiama alla
creazione; vuol far comprendere che la resurrezione non è la rianimazione di un
cadavere, ma una nuova creazione ad opera di Dio: la resurrezione è un atto
creativo da parte di Dio, è Dio che continua la sua creazione.
Questo era stato
compreso molto bene dai componenti del cristianesimo primitivo che costruivano
i battisteri a forma ottagonale per richiamare la risurrezione(3).
“Maria
di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba.”
Manca una persona,
manca una donna(4): al momento della crocifissione erano tre le
donne presenti (cfr Mt 27,56). C’era
Maria di Magdala, l’altra Maria madre di Giacomo e di Giuseppe e c’era anche la
madre dei figli di Zebedeo.
Quest’ultima era
una donna che, insieme ai figli, seguiva Gesù per interesse e per ambizione(5).
L’ultima volta che questa donna compare è al momento della crocifissione, ma con
la crocifissione sono perse tutte le speranze di gloria e di ambizione.
“Ed ecco, vi fu un gran terremoto”. Il terremoto non
significa che ci sia stato realmente un sisma; il terremoto è una delle
immagini con le quali nell’AT si indicava la presenza di Dio.
Infatti ecco un “Angelo
del Signore”(6). Nel Vangelo di Matteo questo “angelo del
Signore” compare tre volte e tutte e tre le volte in relazione con la vita.
La prima volta per annunziare a Giuseppe la vita di Gesù, la seconda per
difendere Gesù dalle trame omicide di Erode che lo vuole ammazzare e la terza,
l’ultima, qui, per confermare che la vita, quando viene da Dio, è più forte
della morte.
“…si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di
essa.” E’
una sequela di gesti di grande importanza: in antico le tombe erano quasi
sempre scavate nella roccia e venivano chiuse ponendo una pietra sopra. Mettere
una pietra sopra significava la fine di tutto(7). Dio afferma che
non è vero; rotola lui la pietra e ci si mette a sedere sopra: significa che la
morte è definitivamente sconfitta con la morte di Gesù.
“Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco
come neve”. Sono
tutte indicazioni che di per sé possono sembrare quasi superflue per la
narrazione, ma in realtà sono segnalazioni importanti. L’angelo del Signore è
rivestito, secondo quella che è la simbologia ebraica, dei colori della gloria
divina che sono identici a quelli di Gesù quando si è trasfigurato. L’altra
indicazione importante è che la morte non diminuisce la persona ma la potenzia.
Ecco perché Gesù in tutta la sua esistenza ogni volta che parla della morte usa,
può sembrare paradossale, termini assolutamente positivi.
Gesù per parlare
della morte prende l’esempio di un chicco che viene seminato per terra,
marcisce, sembra la fine di tutto, ma poi dallo stesso chicco nasce uno stelo
con un frutto o un fiore meraviglioso: in ognuno di noi ci sono delle energie
d’amore che attendono le condizioni adatte per essere sviluppate. Quando la
morte interrompe la vita, queste energie non vengono disperse, ma esplodono in
tutta la loro pienezza.
La
reazione: “Per lo spavento che ebbero di
lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte”. Talvolta Matteo sa
essere veramente ironico: c’è una esplosione di vita e anziché ricevere questa
vita le guardie diventano come morte. Questa è un’altra esclusione che opera
l’evangelista: coloro che appartengono alla sfera del potere(8) sono
completamente refrattarie al Dio della vita.
“L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So
che cercate Gesù, il crocifisso...”.
Il crocifisso, nella
mentalità ebraica, era l’equivalente di «il maledetto», perché i sommi
sacerdoti, che se ne intendevano di Bibbia, per scegliere una morte infamante
per Gesù e soprattutto una morte che squalificasse definitivamente Gesù agli
occhi del popolo, hanno scelto l’unica morte che nella Bibbia era riservata ai
maledetti da Dio, cioè la morte in croce.
L’angelo del Signore
annunzia alle donne: “Non è qui. È
risorto”. Da una parte il maledetto da Dio e dall’altra il glorificato da
Dio. Non è vero che Dio l’aveva abbandonato, non è vero che Dio lo aveva
maledetto, ma in lui Dio ha manifestato tutta la potenza della creazione. Dio
non ha permesso che Gesù morisse, ma gli ha concesso una vita capace di
superare la morte. Fa anche un velato rimprovero: “…come aveva detto…”.
Gesù per tre volte
aveva annunziato la sua morte e la sua resurrezione, ma i discepoli non avevano
capito assolutamente niente, perché i discepoli seguivano Gesù animati
anch’essi da desideri di ambizione, litigando tra loro per sapere chi era il
più importante.
“…venite, guardate il
luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È
risorto dai morti,…” e adesso una
indicazione abbastanza strana ed incoerente “…ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto”.
Ripeto, nessun vangelo
descrive la resurrezione di Gesù, ma tutti gli evangelisti danno delle
indicazioni alle comunità cristiane di tutti i tempi per sperimentare Gesù
resuscitato. L’esperienza di Gesù resuscitato non è stato un privilegio di 2000
anni fa per qualche decina o centinaio di persone, ma una possibilità per i
credenti di tutti i tempi. Notate qui che apparente incongruenza: Gesù è stato
assassinato a Gerusalemme, è stato seppellito a Gerusalemme, resuscita a
Gerusalemme, i discepoli stanno a Gerusalemme, una volta resuscitato quello che
ci aspetteremmo, la cosa più normale, è che compaia ai suoi discepoli, a
Gerusalemme. Sul Vangelo di Giovanni si legge che la sera di quello stesso
giorno della resurrezione, Gesù apparve ai discepoli, che erano chiusi in casa
per paura dei giudei. La cosa è comprensibile.
Il Vangelo di Matteo
non è d’accordo: “...vi precede in
Galilea; là lo vedrete”. Da Gerusalemme alla Galilea, a quell’epoca
andavano a piedi, c’erano circa quattro giorni di cammino. Perché ritardare di
quattro giorni l’importante e decisiva esperienza della resurrezione? Lo
capiremo in seguito.
“…là
lo vedrete”.
Il Vangelo è scritto
nella lingua greca e le traduzioni sono sempre o superficiali o abbastanza
complesse da fare. Nella lingua greca il verbo “vedere” viene espresso con due forme
verbali: una che indica la vista fisica, io vedo voi che mi state davanti, l’altra
che indica una percezione interiore. Qui l’evangelista adopera il verbo vedere
che indica una profonda esperienza e percezione interiore(9).
Non ci sono visioni
nell’esistenza del credente, sono assenti dal messaggio di Gesù. Non ci sono
visioni per persone privilegiate, ma delle profonde esperienze di Dio possibili
nella vita di tutti i credenti. Questo verbo, inoltre, è lo stesso che l’evangelista
utilizza nelle beatitudini.
Il nostro mondo, le
nostre case sono piene di onde elettromagnetiche, e queste piene di musica, di
parole, ma se io non sintonizzo la radio su una determinata frequenza, questa
musica di cui è piena la casa non riesco a percepirla. Ugualmente la nostra
vita è piena della presenza di Dio. Che pena vedere che la gran parte delle
persone non ne percepisce la presenza perché è totalmente chiusa agli altri:
chi si chiude agli altri si chiude a Dio. Chi pensa a sé e non usa le
beatitudini come guida della propria vita non può vedere il Dio che gli sta di
fronte.
“Abbandonato in fretta il sepolcro…” Per fare l’esperienza
del Dio dei vivi bisogna abbandonare i sepolcri, chi sta chinato verso il
sepolcro non riesce a sperimentare il Dio vivente. Nel Vangelo di Luca c’è un
rimprovero a queste donne testimoni della resurrezione: «perché cercate tra
i morti colui che è vivo?». Fintanto che si sta orientati verso il
sepolcro, fintanto che si piange il morto, non riusciamo a percepire la
presenza di questa persona viva e vivificante accanto a noi. È qui, è con noi,
ma noi, distrutti dalla sua morte, vediamo soltanto la sua tomba, vediamo
soltanto il dolore e il pianto. Non ci accorgiamo che la persona cara ci sta
accanto e attende soltanto che noi facciamo un semplice gesto: di voltarci
dalla tomba, dal sepolcro, verso la vita.
È
quello che nel Vangelo di Giovanni succede con Maria di Magdala. Maria di
Magdala sta orientata verso il sepolcro e piange. Soltanto quando si volta: “…voltatasi,
vide Gesù”.
“…con timore e gioia grande,…”. L’evangelista
associa questi due termini perchè la comunità è ancora erede delle credenze
dell’AT, dove le manifestazioni di Dio producevano paura, ma nello stesso tempo
accoglie il messaggio del Signore e quindi subentra la gioia.
“…le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi
discepoli”. Due termini, uno più importante dell’altro. In Oriente la
fretta è un grave segno di maleducazione; ebbene qui l’urgenza di dare
l’annunzio che Gesù è vivo è talmente importante, che queste donne mettono da
parte la propria reputazione, il proprio onore, e corrono a dare l’annunzio ai
suoi discepoli.
Nel mondo ebraico la
donna non era considerata proprio un essere umano, era qualcosa che era
riuscita male al Padreterno. Ebbene, nei Vangeli le donne non solo vengono
eguagliate ai maschi, ma sopravanzano i maschi stessi perché sono le uniche a
compiere la stessa azione che nella simbolica ebraica era riservata ai sette
angeli del servizio divino: l’evangelista, scrivendo «dare l’annuncio», (il
termine «annuncio», in greco, ha la stessa radice della parola «angelo»),
indica che le donne non solo sono equiparate agli uomini, ma sono equiparate
agli esseri più vicini a Dio.
“Ed ecco, Gesù venne
loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli
abbracciarono i piedi e lo adorarono”.
Sono indicazioni sulla
realtà dell’individuo che è passato attraverso la morte: gli prendono i piedi,
quindi c’è come una fisicità, ma dall’altra c’è una condizione nuova, lo
adorano come si adora Dio.
La persona che passa
attraverso la morte continua a essere la stessa realtà di prima, come
individuo, come persona, però nello stesso tempo è entrato in una dimensione
nuova, radicalmente nuova, che è quella divina. È l’uomo che è nella piena
condizione di figlio di Dio.
“ Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad
annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno»”. E’ la prima volta
che Gesù si rivolge ai discepoli chiamandoli fratelli, e di nuovo Gesù insiste
«vadano in Galilea, là mi vedranno».
Notate questa
insistenza, per sperimentare che Gesù è resuscitato non si deve andare a
Gerusalemme: man mano che si avvicina il momento dell’incontro con Gesù
resuscitato c’è una accurata selezione, le persone ambiziose come la madre dei
figli di Zebedeo sono escluse, le guardie sono escluse e coloro che
appartengono all’istituzione religiosa sono escluse dalla presenza e dalla
esperienza di un Dio vivo.
Con questo versetto
il brano del vangelo della messa della notte di Pasqua si conclude;
evidentemente il liturgista che ha delimitato il vangelo da leggere all’altare
non ha mai avuto il desiderio di approfondire la conoscenza dei vangeli,
altrimenti si sarebbe posto la domanda: perché Gesù costringe i suoi discepoli
a recarsi in Galilea per vederlo? Basta saltare al versetto 16 per
comprenderlo.
“Gli undici intanto andarono in Galilea…”, notate adesso il
particolare: “…sul monte che Gesù aveva
loro fissato”.
Tre volte abbiamo nel
Vangelo l’invito ad andare in Galilea, ma mai viene specificato il monte sul
quale andare. Il monte non è un luogo geografico, non è un'indicazione
topografica, quella che l’evangelista ci dà è una indicazione teologica. Nell’antichità,
essendo il monte il luogo della terra più vicino al cielo, esso era condiderato
il luogo della residenza degli dei(10).
Questo «il monte» nel
Vangelo di Matteo è già stato presentato come il luogo dove Gesù ha annunziato
il suo messaggio fondamentale: il monte delle beatitudini.
Questa è
l’indicazione che l’evangelista ci sta dando: chi vuole sperimentare nella sua
esistenza la presenza di Gesù vivo e vivificante, del Risorto, deve essere
fedele al programma di Gesù che è stato espresso e formulato nelle beatitudini.
Quindi questo è il
monte nel quale la comunità si impegna a essere responsabile della felicità
degli altri. Costoro, solo costoro, fanno l’esperienza di Gesù resuscitato.
“Quando lo videro…”, quindi lo vedono, “…gli si prostrarono innanzi…”. E qui c’è
un verbo strano “…ma dubitavano”.
Perché dubitano? Lo
vedono e quindi sono certi che Cristo è resuscitato! Gli si prostrano innanzi,
riconoscono che in lui c’è la condizione divina, ma dubitano. Questo verbo,
dubitare, è apparso un’altra volta nel vangelo di Matteo, quando Gesù cammina
sulle acque.
Vedono Gesù
resuscitato, lo sperimentano, ma sanno che per raggiungere questa condizione
bisogna passare attraverso il dolore della vita, la persecuzione e forse la
croce e la perdita della propria vita. Pertanto non dubitano della presenza di
Gesù resuscitato, dubitano della propria capacità di seguire Gesù fino a questa
condizione.
Poi c’è l’invito di
Gesù di andare a tutta l'umanità immergendola nella realtà di Dio e le ultime
parole di Gesù: “…e io sono con voi per
sempre”. Gesù nel vangelo di Matteo non sale al cielo per servizi resi, ma
rimane al centro della sua comunità.
Riguardo
alla morte Gesù ci assicura: chi crede in me non farà mai l’esperienza della
morte. È chiaro, ci sarà la morte della carne. C’è una prima morte ed è quella
biologica, ma chi ha dentro di sé questa qualità di vita non farà l’esperienza
della seconda.
Il
brano del vangelo di Giovanni ha analoga impostazione, ma risente del fatto che
è stato scritto circa 30-40 anni dopo: nella concezione
giovannea la morte di Gesù in croce rappresenta già la sua piena glorificazione
e il compimento della sua opera salvifica, che continua ora nel mondo mediante
la comunità dei suoi discepoli.
Non dovremmo quindi attenderci più un racconto
della sua risurrezione, che in questa ottica diventa completamente superfluo.
Ma Giovanni non può sacrificare un dato così importante della tradizione a una
sua concezione teologica.
Egli perciò riporta la notizia tradizionale
secondo cui il mattino di Pasqua la tomba è stata trovata vuota; ad essa fa
seguire il racconto di un’apparizione del Risorto a Maria Maddalena, poi due
volte ai discepoli, la seconda delle quali è diretta specialmente all’incredulo
Tommaso.
Spinti dalle parole di Maria di Magdala, due
discepoli, Pietro che rappresenta la parte di Israele ancora ancorata alla
Legge e alla tradizione antica e un altro discepolo, “quello che Gesù amava”(11), corrono al sepolcro. La
corsa, come abbiamo già visto, fa perdere onore e dignità a chi la effettua, ma
la cosa è così importante, così urgente da far ignorare le conseguenze ai due
discepoli.
L’evolversi della corsa è il simbolo
dell’evolversi della fede tra i discepoli: chi raggiunge la fede per primo è
chi abbandona la tradizione e si affida a Cristo e sono questi che devono
aiutare quelli che sono ancora radicati alla tradizione; per questo Pietro
viene atteso e gli si consente di entrare per primo nel sepolcro(12).
La scoperta del sepolcro vuoto e della fede dei
primi discepoli ha un significato molto importante nel quarto vangelo. Essa
vuol dire che la fede nel Risorto non si basa su prove oggettive, quali le sue
apparizioni, e neppure la scomparsa del cadavere dalla tomba. I due discepoli
infatti credono perché finalmente, stimolati da un fatto di per sé privo di
qualsiasi forza dimostrativa, improvvisamente colgono il significato delle
Scritture, secondo le quali egli doveva risorgere.
In realtà le Scritture non parlano esplicitamente
della risurrezione del Messia: sarà a partire da questo evento che i primi
cristiani rileggeranno le Scritture, ritrovando in esse quello che era
diventato il punto centrale della loro fede. Tuttavia sono proprio le Scritture
che, mettendo in luce il piano salvifico di Dio, mostrano che il suo inviato
non poteva subire la sconfitta cocente della croce, anzi proprio questa doveva
essere il segno più luminoso della sua gloria. Così viene affermato in modo
fortissimo che la gloria di Dio si distacca radicalmente dalla gloria umana:
mentre questa consiste nella sopraffazione dell’uomo sull’uomo, la gloria di
Dio significa identificarsi con gli ultimi per portarli a una vita piena che
non verrà mai meno.
Note: 1. Nel Vangelo secondo Marco, il primo vangelo
scritto forse a ridosso della morte di Gesù, è riportato il fatto della resurrezione, ma non c'è il racconto delle
apparizioni. Questo vangelo finisce al capitolo 16 versetto 8 con queste parole: le donne andarono al sepolcro, videro Gesù
risorto, ma "non dissero niente a nessuno, finché..."
- o, dipende da come si traduce, “…perché…”; un secolo dopo
alcuni copisti, rendendosi conto di questa mancanza, aggiungeranno addirittura tre finali posticci, molto brutti,
e diversi tra loro.
Il finale attualmente presente nell’edizione CEI del 2008 è della fine del II
secolo (quindi certamente non di Marco) ed è stato accettato dai Padri della
Chiesa (Taziano ed Ireneo). Gli studiosi, a partire dal 1700 in poi, si sono
resi conto che questa mancanza testimonia il lungo periodo di tempo (forse più
di 40 anni) che è stato necessario per il consolidarsi della tradizione
relativa alla resurrezione ed alle apparizioni del Risorto. - 2. Quanto segue, limitatamente al brano
di Matteo, è stato liberamente tratto dalla conferenza di P. A. Maggi “Vita
eterna: incubo o promessa?” tenuta a Rovigo presso il Centro Mariano Beata
Vergine Addolorata dal 9 all’11 novembre 2001. – 3. Il primo giorno dopo il
sabato può essere anche chiamato l’ottavo giorno della settimana: il numero
otto, nel cristianesimo primitivo, era il numero che richiamava la
resurrezione. Non solo, il numero otto, nel vangelo di Matteo è il numero delle
beatitudini. Ne consegue che il battistero ottagonale diceva: tu, battezzando,
sappi che mettendo in pratica il messaggio delle beatitudini, Gesù ti
comunicherà una vita che è capace di superare la morte. – 4. Le esclusioni sono
indicazioni importanti che l’evangelista dà alla comunità dei credenti: coloro
che sono animati dall’ambizione del successo, di essere prima degli altri, di
essere al disopra degli altri, sono esclusi dall’esperienza della resurrezione.
Coloro che sono animati dal desiderio di brillare, di dominare e di comandare
sono assolutamente refrattari alla presenza di Cristo resuscitato. – 5. I
discepoli credevano che Gesù fosse il Messia trionfatore che va a Gerusalemme a
conquistare il potere. Sulla base di questa idea la madre dei figli di Zebedeo
va da Gesù e dice: mi raccomando, quando sei a Gerusalemme, ai miei figli dai i
posti più importanti, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra. In oriente,
il re ha un trono centrale, il Primo Ministro siede a destra e
l’Amministratore, diciamo il Ministro delle Finanze, siede alla sua sinistra.
Lei pensava che Gesù avrebbe sconfitto i nemici e si sarebbe seduto su un
trono. Ma il trono di Gesù sarà un patibolo riservato ai delinquenti. A destra
o a sinistra di Gesù non c’è il Primo Ministro e l'Amministratore, ma ci sono
due criminali crocifissi con lui. – 6. Quando nell’AT e nel NT incontriamo il
termine «angelo del Signore», non significa mai un angelo inviato
dal Signore, ma Dio stesso. Gli ebrei, che ci tenevano a manenere la
distanza tra Dio e gli uomini, quando volevano significare che Dio entrava in
contatto con l’umanità, non scrivevano mai il «Signore Dio», ma adoperavano
sempre l’espressione «angelo del Signore». – 7. Nella nostra cultura la frase
“mettiamoci una pietra sopra” ha il significato di eliminare anche il ricordo
di una certa cosa e proviene proprio da questa usanza sepolcrale. – 8. Nel
Vangelo di Matteo il potere viene rappresentato da queste tre categorie: coloro
che lo detengono, cioè coloro che dominano; coloro che ambiscono al potere e
coloro che sono sottomessi al potere. Per Matteo queste tre categorie vivono in
una sfera di morte e quando c’è l’irruzione del Dio della vita non la ricevono
e, quando muoiono, vengono accolti dalla seconda morte. Nel NT (libro
dell’Apocalisse) si parla della seconda morte: una è la morte biologica, quella
capita a tutti. Questa morte non scalfisce l’esistenza dell’individuo che
invece continua a vivere in Dio; ma se una persona, per le scelte sbagliate,
per l’adesione al potere, per il rifiuto alla vita, per il rifiuto dell’amore
di Dio è svuotato di energia vitale, non potrà risorgere. – 9. Da questa
analisi filologica è possibile comprendere il significato delle apparizioni
riportate nei vangeli. Da questo è inoltre possibile comprendere le difficoltà
incontrate nella formazione ed il lungo maturare nel tempo della tradizione
della risurrezione e delle apparizioni. – 10. Questa concezione si è radicata anche nel mondo occidentale. Infatti
generalmente i santuari sono situati in luoghi alti. Ricordiamo che l’idea di
costruire santuari non è cristiana, ma è una tradizione di impronta pagana. -
11. Quando nei vangeli viene citato un
personaggio senza darne il nome, questo va inteso come un rappresentante di una
categoria e mai come un’unica persona. In questo caso il discepolo è lo stesso
presente sotto la croce e rappresenta l’insieme di tutti i discepoli di Gesù,
passati e soprattutto futuri. Ricordo che sotto la croce Giovanni pone anche
Maria, la madre di Gesù che simboleggia quella parte di Israele che ha
accettato le parole di Gesù e lo ha seguito; è solo un simbolo perché si
considera assai difficile che Maria sia sopravvissuta al figlio: avrebbe avuto
più di 49 anni quando la vita media della donna in quel periodo raramente
superava i 25. La tradizione cattolica ha erroneamente identificato “il
discepolo che Gesù amava” con la stesso evangelista Giovanni; questo è stato
possibile a causa della macroscopica mancanza di conoscenze sulla cultura
ebraica da parte della Chiesa cattolica fino alla seconda metà del XX
secolo. – 12. Questa situazione non era
tipica solo della chiesa primitiva, ma si è perpetuata per secoli appesantendo
la Chiesa cattolica e impedendole quel salto in avanti che la fede in Cristo
avrebbe potuto consentirgli. Rimanere ancorati alla tradizione, anche se questa
è legata a concetti e modi di pensiero estranei al momento attuale, impedisce
infatti di mantenere i vangeli come unica e somma luce per illuminare il
cammino del credente.