XXX Domenica del Tempo
Ordinario – Mc 10, 46–52
E giunsero a Gerico.
Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio
di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo
che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù,
abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava
ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse:
«Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!».
Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù
gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose:
«Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha
salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
Spesso
ho avuto modo di dire che gli episodi nei quali Gesù effettua delle guarigioni
vanno esaminati con attenzione perché spesso (o forse sempre), il significato
dell’episodio è diverso e la guarigione è solo un pretesto per porgere
insegnamenti molto profondi; per questo nei vangeli non si parla mai di
“miracoli”(1), ma solo di “segni” perché tali sono le guarigioni
operate da Gesù.
Il
brano di questa domenica è strettamente legato(2) a quello di
domenica scorsa (Mc 10,35-45), cioè
la richiesta di Giacomo e Giovanni di avere i posti d’onore accanto a Gesù nel
momento del suo trionfo e quindi va letto in questa ottica.
“E giunsero a Gerico. Mentre partiva da
Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla…” Gerico è l’ultima città
prima della terra promessa che Giosuè aveva superato con i suoi (cfr Nm 33,48), questo ha un suo particolare
significato se lo si collega a “mentre
partiva”; qui l’evangelista adopera un verbo usato per l’esodo dall’Egitto(3),
con l’intento di collegare i due fatti, di indicare cioè, che il fine ultimo di
Gesù è l’esodo. Vedremo perché.
“…il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco,
sedeva lungo la strada a mendicare.” Certo che Marco è complicato! In una
semplice frase ha inserito una nutrita serie di concetti teologici che non ci
aspettavamo. Ecco perché per secoli, in pratica fino alla seconda metà del XX
secolo, Marco non è stato compreso, anzi è stato scartato e considerato un
evangelista di seconda categoria! Era veramente troppo complicato per l’esegesi
semplicistica usata in quegli anni.
Vediamo
di capire la frase: viene presentato uno strano personaggio, “il figlio di
Timèo, Bartimèo”. Prima viene presentato con il nome in greco, figlio di Timèo e poi con l’equivalente
aramaico, Bar-(figlio di)-Timeo. Normalmente Marco, quando deve scrivere
un termine aramaico, prima lo presenta in questa lingua e poi nella sua
traduzione in greco. Per esempio, quando dice “Talità kum”, che significa “fanciulla
alzati”, oppure quando dice “Effatà”
che significa “apriti”; qui invece
c’è prima il termine greco, ma attenzione, se traduciamo in italiano “il figlio
di Timèo” diviene “figlio dell’onore”, è quell’onore a cui ambivano Giacomo e
Giovanni. Marco quindi vuole dire: attenti, perché al di là della realtà
storica, questo è un personaggio altamente simbolico nel quale voglio
raffigurare i discepoli Giacomo e Giovanni che, nonostante Gesù avesse detto
che andava a morire, pensano al loro trionfo”.
“…che era cieco…”. Ecco perché era cieco,
come aveva detto Gesù, rimproverando i suoi discepoli, “hanno occhi, ma non vedono”. Il motivo della cecità ce lo svela
l’evangelista, “sedeva lungo la strada”.
“Lungo la strada”, nel capitolo 4 di
questo vangelo, al versetto 15, Gesù spiegava che il seme è gettato per terra e
immediatamente viene il satana e lo rapisce. Il satana è immagine del potere. I
discepoli sono accecati da questa ideologia nazionalista del potere, per cui
non comprendono la parola di Gesù.
“…a mendicare.” Bisogna dire che Marco,
talvolta, è di una sottile cattiveria: la richiesta dei due disepoli di sedere
nei posti di onore durante l’intronizzazione del Messia, del Figlio di Davide,
è degradata al ruolo di richiesta di elemosina. Così, dice l’evangelista, si
riducono coloro che aspirano al potere, a mendicare un posto d’onore.
“Sentendo che era Gesù Nazareno – Nazaret
è la città della Galilea dove s’erano asserragliati gli zeloti, quindi dire “Gesù
il Nazareno” significava “il bellicoso, il rivoluzionario” -, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di
Davide, Gesù, abbi pietà di me!»”.
E’
cieco. Gesù non ha mai accettato di essere chiamato il Figlio di Davide.
“Figlio”, in quella cultura, significava colui che assomigliava al padre nel
comportamento; “Figlio di Davide” si riferiva all’attesa del messia, un messia
potente nella forza e nella violenza, come Davide, il re che era riuscito a
riunificare le dodici tribù e a dare loro una capitale, Gerusalemme, ma tutto
attraverso la violenza.
Gesù
non toglie la vita ad alcuno, Gesù offre la sua. Ecco il motivo della cecità;
il cieco si rivolge a Gesù chiamandolo “Figlio di Davide”. “«Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!»”
non è la frase con cui chiedere di riacquistare la vista. Non solo, “Abbi pietà di me”, è la stessa frase con
la quale la folla accoglierà Gesù all’ingresso in Gerusalemme: “Osanna al Figlio di David!”(4) E’
il grido del popolo che vede nel Figlio di Davide la soluzione alla sua
sofferenza, alla dominazione.
“Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma
egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!»”.
Ebbene,
nonostante che il gruppo che segue(5) Gesù lo rimproveri, lui grida
ancora “Figlio di Davide, abbi pietà di
me!” Chiede a Gesù di restaurare la monarchia del re Davide.
“Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono
il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!».“ Lo chiama, come
chiama i discepoli che gli sono sempre lontani, che lo accompagnano, ma non lo
seguono. Gli sono distanti perché sono vittime della ideologia religiosa.
L’evangelista usa, in greco, lo stesso verbo “alzare” che nei vangeli è usato
per la risurrezione.
Lo
chiamano ed ecco che inizia la conversione del discepolo: “Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.”
Il mantello, nella cultura ebraica, è il simbolo della persona; gettare via il
mantello vuol dire quindi la rottura con il proprio passato, la rottura con la
propria ideologia. Finalmente è lui che va da Gesù, non è Gesù che va incontro
al discepolo.
“Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io
faccia per te?».” Da notare che Gesù si rivolge a questo cieco con le stesse
identiche parole con le quali si era rivolto a Giacomo e Giovanni per la loro assurda
richiesta. L’evangelista, attraverso questo schema letterario, vuole far
comprendere che, nell’episodio di questo cieco, vi è la spiegazione della
richiesta di Giacomo e Giovanni.
“E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io
veda di nuovo!».” Non lo chiama più Figlio di Davide. “Rabbunì” era un termine reverenziale che veniva usato per Dio; i
maestri di Israele venivano chiamati “Rabbi”, ma Dio veniva chiamato “Rabbunì”,
quindi il discepolo incomincia a comprendere. “Che io veda di nuovo!” Quindi prima ci vedeva, è diventato cieco,
non è nato cieco. E’ stata l’ideologia religiosa, nazionalista, di questo
trionfo di Israele e del messia, che lo aveva reso cieco.
“E Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha
salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.” Quando il
discepolo inizia a comprendere, entra nella liberazione; e torna a vedere come
prima di essere accecato dall’ideologia. Qui ci dobbiamo fermare perché c’è un
errore di traduzione che rischia di compromettere la comprensione del brano: “e lo seguiva lungo la strada”. “Lungo la
strada” ha un significato negativo, rappresenta il seme che è stato tolto via
dagli uccelli, cioè dal satana; la traduzione corretta è “nella strada”, cioè la strada di Gesù; la sequela di Gesù è un
secondo esodo. Questa volta non si fugge dalla schiavitù dell’Egitto, ma dalla
schiavitù della religione che impedisce la relazione con Dio. Solo se si è
liberi, solo se si sono abbandonati i dogmi che reprimono la libertà di ricerca
dell’uomo; solo se si sono abbandonati i precetti e si è rimasti aggrappati
all’unico comandamento dell’amore si può incontrare Dio e lasciarci amare da
Lui.
Note: 1. La parola miracolo è stata introdotta in teologia dal
IV-V secolo d.C. in poi e non compare in nessun testo originale greco dei
vangeli. – 2. L’esegesi che segue è liberamente tratta dalla omelia di P.
Alberto Maggi nella XXX
Domenica del TO Anno B il 25 ottobre 2009. – 3. Si intende il verbo greco usato nella traduzione dall’ebraico in
greco della Bibbia detta dei Settanta
(circa II sec. a.C.) che era quella conosciuta dagli evangelisti poiché
l’ebraico era ormai in disuso ad eccezione che nel Tempio. – 4. La parola “osanna” non è un grido di gioia, ma di aiuto e significa “aiutaci” del tutto analoga a “abbi pietà”. – 5. C’è
differenza tra accompagnare e seguire. Accompagnare significa accompagnare
fisicamente, vanno dietro Gesù. Seguire significa avere accettato, non solo la
figura di Gesù, ma anche il suo messaggio.