Contenuti del blog

Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


sabato 18 settembre 2010

… lo sollevò sulle sue ali …

Pensieri in libertà di un vecchio rompiscatole

(Parte terza, pagg 98– 104)

 

(segue: La fede e la morte; l'addio di Tarcisio e di Giuliana)

Dopo questa necessaria spiegazione, torniamo all'episodio di Lazzaro. All'obiezione di Marta basata sul suo sapere cioè quello della tradizione religiosa giudaica, Gesù replica con una dichiarazione che segna il passaggio dal vecchio concetto di vita-morte-risurrezione al nuovo inaugurato dal Signore: Gesù le disse "Io Sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà".

Gesù non viene a prolungare la vita fisica che l'uomo possiede, sopprimendo o ritardando indefinitamente la morte. Non è un medico o un taumaturgo. Gesù viene a comunicare la pienezza della vita che egli stesso possiede, la vita divina, indistruttibile. Per questo Gesù inizia la sua risposta con 'Egô eìmi', il Nome divino.

Gesù è la risurrezione perché è la vita (Gv 14,6). Questa qualità di vita quando si incontra con la morte, la supera. Alla comunità che è di fronte alla distruzione fisica di Lazzaro, Gesù l'assicura che costui vive perché gli ha dato adesione (crede). Marta sperava in una risurrezione lontana. Gesù invece si identifica con la risurrezione che non è relegata in un lontano futuro, poiché egli, che è la vita, è presente. Poi Gesù, rivolto alla comunità dei viventi afferma: Chiunque vive e crede in me, non morrà mai. Credi tu questo?

All'individuo che ha la vita definitiva Gesù lo assicura che non fa esperienza della morte. A quanti gli danno adesione Gesù comunica il suo stesso spirito, la sua stessa vita che essendo divina non è minacciata dalla morte. Per Gesù la morte non esiste. Marta ha questa fede?

Gesù ha colto l'idea farisaica della risurrezione (ma cambiandone sostanzialmente il contenuto) per parlare agli ebrei, che potevano capire questa categoria teologica (cf. Mc 8,31; 9,31;10,34.).

Ai pagani, Gesù non parlerà mai di risurrezione, ma di una vita capace di superare la morte fisica: "chi perde la propria vita per causa mia e del Vangelo la conserverà" (Mc 8,35).

La vita eterna che Gesù offre, si chiama così non per la sua durata indefinita, ma per la qualità: la sua durata senza fine è conseguenza della qualità, e Gesù ne parla al presente. Non parla di una vita del futuro, come di un premio da conseguire dopo la morte se ci si è comportati bene nella vita, ma di una qualità di vita che è a disposizione subito per quanti accettano lui ed il suo messaggio e con lui e come lui collaborano alla trasformazione di questo mondo. Gesù dichiara: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna"(1).

La vita proposta da Gesù è di una qualità tale che quando si incontrerà con la morte la oltrepasserà: "se uno osserva la mia parola non vedrà mai la morte" (Gv 8,51). Gesù assicura che chi vive come lui è vissuto, cioè facendo sempre del bene, non farà l'esperienza del morire.

La permanenza della vita attraverso la morte è quel che si chiama risurrezione. Pertanto, secondo gli evangelisti, la vita eterna non è un premio nel futuro ma una condizione del presente. Gesù ne parla sempre al presente «Chi crede ha la vita eterna...» (Gv 3,15.16.36). Gesù non risuscita i morti ma comunica ai viventi una vita capace di superare la soglia della morte, per questo Paolo può dire che i credenti sono già risuscitati:

«Con lui ci ha anche risuscitati [= conrisuscitati] e ci ha fatti sedere [= consedere] nei cieli, in Cristo Gesù» (Ef 2,6); «Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. Con lui Dio ha dato vita anche a voi...» (Col 2,12-13); «Se dunque siete risorti con Cristo...» (Col 3,1).

Questa realtà era talmente viva nella comunità cristiana che nei vangeli apocrifi(2) si legge:

"Chi dice: prima si muore e poi si risorge, erra. Se non si risuscita prima, mentre si è ancora in vita, morendo, non si risuscita più" (Vangelo di Filippo, 90). "I morti non sono vivi e i vivi non morranno" (Vangelo di Tommaso, 11).

Secondo Gesù è la persona intera che continua a vivere, non una componente di questa (l'anima). Nei vangeli non si parla mai di anima, in quanto è un concetto sconosciuto nell'ebraismo. L'anima è un'idea che il cristianesimo ha preso a prestito dalla filosofia greca nei primi secoli della nostra era, ma che è assente nell'insegnamento di Gesù.

Il termine greco psyké (ebr. nepheš) che viene tradotto nella versione CEI della Bibbia con "anima", significa in realtà la "vita della persona" e denota l'individuo umano in quanto vivo e cosciente. La psyké indica la forza vitale dell'individuo, la vita autentica che continua anche dopo la morte, a differenza della vita meramente fisica che è transitoria e con la morte conclude il suo ciclo biologico (per psyké: Mt 2,20; 6,25; cf 10,39; 20,28). La psyké non è qualcosa che l'uomo ha, bensì qualcosa che egli è, perché non esiste, secondo il pensiero ebraico, una realtà nell'uomo contrapposta al corpo(3). Quindi il termine anima va inteso nel senso di persona, come comunemente si esprime parlando: una parrocchia di duemila "anime", un'anima in pena...

La fede nella continuità di tutta la persona oltrepassata la soglia della morte, è tanto forte e radicata nelle prime comunità cristiane che verrà sempre ostacolata qualunque ipotesi di sopravvivenza dell'anima. I primi cristiani contrappongono alla fede ellenistica dell'immortalità dell'anima, la fede cristiana della risurrezione della carne. La teoria platonicoellenistica dell'immortalità dell'anima è considerata dai Padri della Chiesa una dottrina empia e sacrilega che doveva più di ogni altra essere combattuta ed abolita.

La fede nella risurrezione della carne era così specifica che divenne la parola d'ordine del Cristianesimo. Chi credeva invece all'immortalità dell'anima mostrava di essere estraneo al cristianesimo. Così si legge in Giustino: "Se doveste incontrarvi con coloro che si fanno chiamare cristiani... e che affermano che non vi è alcuna risurrezione dei morti, ma che le loro anime saranno accolte in cielo già al momento della morte, non considerateli cristiani" (Dial. 80,4). "L'anima non può dirsi immortale" aggiunge ancora Giustino (ib. 5,1).

Sempre riguardo il concetto di resurrezione/immortalità dell'anima è illuminante il pensiero di Teofilo (II sec.) secondo il quale "l'uomo per sua natura non è né mortale né immortale, ma è creato con la possibilità di dirigersi nei due sensi" (Ad Autol. II, 27).

Pertanto, nel messaggio di Gesù, per risurrezione non s'intende la sopravvivenza di un'anima, ma la persona stessa che continua la sua esistenza in una diversa dimensione in una continua crescita e trasformazione di se stessa verso la piena realizzazione, come recita il prefazio per la messa dei defunti: "La vita non viene tolta, ma trasformata". E' la vita stessa che continua, non un'essenza spirituale dell'individuo. La vita, trasformata e arricchita dal patrimonio di bene che reca con sé, come scrive l'autore dell'Apocalisse: "Beati fin d'ora i morti che muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono" (Ap 14,13).

L'autore afferma che la morte fisica non ha l'ultima parola sulla vita del credente. La morte non è una sconfitta o un annientamento e neanche l'ingresso in uno stato di attesa, ma un passaggio a una dimensione di pienezza.

Il riposo al quale allude l'autore non indica la cessazione delle attività, ma la condizione divina, come il Creatore che "compì l'opera che aveva fatta, e si riposò il settimo giorno" (Gen 2,2). Solo chi crea e comunica vita entra nella dimensione di riposo, mentre "chiunque adora la bestia e la sua immagine e prende il marchio del suo nome, non ha riposo né giorno né notte" (Ap 14,11).    

La vita non viene trasformata dopo la morte, ma ha già iniziato nel corso dell'esistenza dell'individuo la sua trasformazione. Arriva un punto della vita nel quale l'armonica crescita della persona nella sua componente biologica e quella spirituale o morale subisce una metamorfosi. Mentre la maturità di pensiero si consolida, il corpo inizia il suo lento inesorabile cedimento fino al disfacimento definitivo.

Se fino a una data età l'individuo era cresciuto in maniera armonica e graduale, e allo sviluppo del corpo si accompagnava anche lo sviluppo dell'intelletto, della morale, della spiritualità, di quello che rende una persona tale, arriva un momento dell'esistenza in cui la parte biologica, raggiunto il suo apice inizia un graduale declino, mentre la parte detta spirituale continua la sua crescita verso il massimo della sua potenza.

Mentre la parte spirituale dell'individuo continuerà a svilupparsi, la componente biologica proseguirà il suo inevitabile declino. San Paolo esprime stupendamente questo concetto: "Per questo non ci scoraggiamo, ma anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, il nostro [uomo] interiore si rinnova di giorno in giorno" (2 Cor 4,16).         

All'inevitabile disfacimento della parte biologica, corrisponde la pienezza della maturità, alla morte delle cellule la vita indistruttibile. Quindi morte non più come distruzione ma trasformazione o realizzazione della persona accolta a far parte della pienezza di quel Dio che ha per essi preparato "quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo" (1 Cor 2,9)

   

Nell'Apocalisse, Cristo si presenta come il vincitore della morte: "Colui che fu morto e tornò in vita" Ap 2,8; "Rimani fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita… Il vincitore non ha nulla da temere dalla seconda morte" (Ap 2,10.11) "Beati e santi coloro che prendono parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte…" (Ap 20,6; 21,8). "Beati fin d'ora i morti che muoiono nel Signore" (Ap 14,13).

La morte seconda era un'espressione tipica del giudaismo targumico(4) per indicare l'esclusione dalla risurrezione. Oltre la morte fisica, che non interrompe la vita del credente, c'è il pericolo di una morte "definitiva", totale, che spegne ogni speranza di futuro. La prima morte è quella alla quale tutti sono soggetti, è quella biologica. La seconda è la constatazione del fallimento di vita, della mancata risposta agli stimoli vitali in tutta la sua esistenza.

Nella nuova creazione che Dio ha inaugurato con Gesù non c'è più posto per la Morte. Dopo che il satana(5) e i suoi complici sono stati gettati nel lago di fuoco, la morte viene distrutta. La morte viene svuotata della sua drammaticità ed è considerata un passaggio necessario per entrare nella gloria definitiva.

La Morte e l'Ade finiscono nel nulla (lo stagno di fuoco). Affermare che la Morte è stata gettata in se stessa (la "morte seconda") sembra un non senso, invece è molto eloquente perché serve a indicare che anche la Morte scompare dall'orizzonte umano(6) .

   

Nel vangelo di Matteo Gesù annunzia ai suoi discepoli le persecuzioni alle quali essi andranno incontro a causa della fedeltà al messaggio: E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo [sôma], ma non hanno potere di uccidere la vita [psychèn]; temete piuttosto chi ha il potere di distruggere la vita e il corpo nella Geenna (Mt 10,28).

Se l'opposizione ai valori della società ingiusta può provocare la persecuzione e la perdita della vita fisica (il corpo), l'adesione ai valori del sistema, rappresentato da mamona (Mt 6,24), conduce alla totale distruzione della propria esistenza (la vita) che, come un rifiuto qualsiasi, viene gettato nell'immondezzaio di Gerusalemme (Geenna) per essere distrutto completamente.

Gesù assicura i discepoli perseguitati che nonostante le apparenze, i persecutori non vinceranno mai, perché tra costoro e i perseguitati, il Padre si pone dalla parte di questi ultimi: se mamona è il dio che distrugge, il Padre è il Dio che vivifica.

L'impossibilità di parlare di una realtà che non è possibile sperimentare in pienezza durante l'esistenza, fa sì che gli evangelisti per indicare la realtà della morte adoperino delle immagini, prese dal ciclo vitale della natura, quali il germogliare del chicco di grano e il dormire.

"Se il chicco di grano caduto a terra non muore, rimane solo; se muore, invece, produce molto frutto" (Gv 12,24).

Attraverso l'immagine del chicco che marcendo produce frutto abbondante Gesù dichiara che la morte non è che la condizione perché si liberi tutta l'energia vitale che l'uomo contiene. La vita che è in lui racchiusa attende di manifestarsi in una forma nuova incomparabile con la precedente.

L'uomo possiede molte più potenzialità di quante normalmente appaiono. Ogni tanto nella vita dell'individuo queste capacità fanno capolino nei momenti di emergenza, quando di fronte a situazioni impreviste che costringono l'uomo a donarsi, si scoprono energie finora sconosciute, resistenze inaspettate e capacità d'amore inesplorate. Nel breve arco della sua esistenza terrena l'uomo non ha possibilità di sviluppare tutte le sue potenzialità. Con la morte tutte queste capacità ed energie saranno completamente liberate e sviluppate e permetteranno la definitiva crescita della persona.

"La ragazza non è morta, ma dorme" (Mt 9,24). "Il nostro amico Lazzaro si è addormentato… Lazzaro è morto" (Gv 11,11.14).

Il termine cimitero deriva dalla parola greca che significa dormitorio. Per i primi cristiani la morte era un addormentarsi. Il dormire non fa parte della morte ma del ciclo vitale. Dormire è quell'azione che consente all'individuo di rinfrancarsi dalla stanchezza per poi riprendere con maggiore vigore la sua vita. La morte è un momento del ciclo vitale che consente all'individuo di riprendere con più forza e energia la sua esistenza.

Nella narrazione della risurrezione di Lazzaro, l'evangelista offre anche alcune indicazioni sul corretto atteggiamento nei confronti della morte, che non sarà né di disperazione come quelli per i quali la morte è la fine di tutto e neanche di esaltazione spirituale come si vede in certi gruppi carismatici.

Gesù, quando vede le sorelle di Lazzaro piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, fremette. Gesù non si «commosse» (secondo la traduzione CEI) , ma «sbuffò(7)» (o «fremette»). Gesù reprime il proprio sentimento. Non tollera che venga fatto il lamento funebre per Lazzaro, come nella casa di Giairo dove cacciò via tutti quanti (Mc 5,40). Ancor più non tollera che Maria e i suoi discepoli siano senza speranza come i Giudei che non hanno accolto il messaggio di Gesù e per i quali la morte era la fine di tutto. E' un atteggiamento di rimprovero quello di Gesù diretto principalmente verso Maria, figura centrale della comunità.

E turbato disse: «Dove l'avete posto?». Gli dissero «Signore, vieni a vedere!». Gesù inizia a prendere le distanze: dove voi l'avete posto. Sono essi che l'hanno collocato in un sepolcro senza alcuna speranza. Questa espressione «vieni e vedi» Giovanni l'ha usata all'inizio del suo vangelo nell'invito fatto da Filippo a Natanaele per condurlo da Gesù (Gv 1,46). Mentre lì indica la direzione verso la vita, qui, in bocca dei Giudei, la direzione verso la morte. Gesù cominciò a lacrimare(8)...

Mentre Maria e i Giudei si lamentano manifestando la loro disperazione, Gesù piange, esprimendo il suo dolore. L'episodio della figlia di Giairo è simile. Gesù entrato nella casa vede "trambusto e gente che piangeva e urlava" (Mc 5,38), e li caccia via tutti.

Dal punto di vista narrativo le lacrime di Gesù sono fuori luogo. Se Gesù sta per risuscitare Lazzaro, perché piange? Le lacrime di Gesù mostrano il suo dolore e il suo affetto per il discepolo suo amico, come viene correttamente commentato dai presenti.

Dissero allora i Giudei «Vedi come gli voleva bene!». Ma alcuni di loro dissero «Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?».

Però mentre i Giudei interpretano l'affetto di Gesù al passato (amava) Gesù dimostra al discepolo l'amore sempre presente. Nella guarigione del cieco Gesù aveva ripetuto i gesti del creatore (fango) (Gv 9,6). Ora completa l'azione creatrice facendo rendere conto alla comunità della vera creazione che culmina con una vita capace di superare la morte. Mentre la prima creazione si concludeva con la morte, la seconda continua con la vita.

Intanto Gesù, ancora sbuffando/fremendo, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra.

Gesù di nuovo «sbuffa» di fronte tanta ottusità. La precisazione che il sepolcro era una grotta ricorda il sepolcro dei patriarchi, la grotta di Macpela, dove furono seppelliti Abramo, Isacco e Giacobbe (Gen 49,29-32; 50,13). La grotta-sepolcro è legata alle origini del popolo, in opposizione al sepolcro nuovo di Gesù, nel quale nessuno era stato ancora posto (Gen 19,41).

La grotta-sepolcro rappresenta l'antico, il sepolcro d'Israele dove tutti erano posti. Lazzaro è stato seppellito alla maniera giudea "per riunirsi con i suoi padri" (Gen 15,15). La pietra collocata separa definitivamente il mondo dei vivi da quello dei morti.

Disse Gesù «Togliete la pietra!».

Sono essi che devono togliere la «pietra» messa sopra che ha il significato di fine definitiva («Mettere una pietra sopra», sotterrare definitivamente qualcosa). L'importanza della «pietra» è sottolineata dalla ripetizione ben tre volte del termine (vv. 38.39.41).

Gli rispose Marta, la sorella del morto «Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni».

La fede perfetta espressa da Marta vacilla di fronte alla realtà: il morto è già in putrefazione e puzza, meglio lasciarlo dove sta.

Le disse Gesù «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?».

Nel colloquio avuto, Gesù non ha parlato con Marta di gloria di Dio, ma di una vita indistruttibile. Collegando i due termini gloria-vita, l'evangelista indica che nella vita indistruttibile si manifesta la gloria di Dio, si rende visibile l'azione di Dio. Ma Marta non può vedere fino a che non giunge a credere questo.

A Gesù avevano chiesto «Quale segno fai perché vediamo e crediamo» (Gv 6,30). Gesù inverte la formulazione: occorre credere per poter vedere. Il segno non conduce l'uomo alla fede, ma al contrario la fede produce il segno.

La risurrezione di Lazzaro viene condizionata dalla fede della sorella: «se credi... vedrai». La risurrezione di Lazzaro può essere «vista» solo da quanti avranno «creduto». Indicazione preziosa che quel che segue non è un avvenimento storico, ma teologico. Non riguarda la cronaca ma la fede.

Tolsero dunque la pietra.

Di fronte al rimprovero di Gesù la comunità decide di togliere la pietra messa sopra eliminando la frontiera tra morti e vivi, e si apre alla vita, comprendendo che quelli che sono morti sono vivi.

Gesù allora alzò gli occhi e disse «Padre, ti ringrazio [eycharistô] che mi hai ascoltato.

Marta aveva chiesto a Gesù di chiedere al Padre (v.22). Gesù non «chiede», ma «ringrazia» il Padre. Il verbo ringraziare [eycharisteô] da cui proviene eucaristia appare nel vangelo di Giovanni tre volte: due nell'episodio della condivisione dei pani (6,11.24) e il terzo nell'episodio di Lazzaro. I tre episodi sono in stretta relazione con l'eucarestia: il dono generoso di quel che si ha e si è espresso nella condivisione dei pani comunica una vita capace di superare la morte: "Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno... Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna" (Gv 6,51.54). Inoltre l'espressione di Gesù è una citazione del Salmo 118,28: "Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie..." che è il ringraziamento per la salvezza dalla morte: "Non morirò, resterò in vita e annunzierò le opere del Signore. Il Signore mi ha provato duramente ma non mi ha consegnato alla morte" (v.17-18).

Gesù è stato accusato di farsi uguale a Dio (Gv 5,18), di farsi Dio (Gv 10,33). Ora dimostra che lui e il Padre sono una cosa sola: Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato».

E, detto questo, gridò a gran voce «Lazzaro, vieni fuori!».

Gesù aveva annunciato: "verrà l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno" (Gv 5,28).

Gesù non compie alcuna azione su Lazzaro (alla figlia di Giàiro prese la mano (Mt 9,25), e al figlio della vedova di Nain toccò la bara, Lc 7,14).

Il morto uscì, con i piedi e le mani legate da bende, e il volto coperto da un sudario.

Gesù ha chiamato fuori della tomba Lazzaro, ma colui che esce è il morto. Lazzaro non deve uscire, lui non è più nella tomba, è già col Padre, nella pienezza della vita, chi deve uscire è il morto, la credenza che il defunto fosse nel sepolcro.

La maniera di seppellire i morti descritta dall'evangelista (legare mani e piedi) era sconosciuta tra i Giudei, pertanto la descrizione anche qui ha valore simbolico: Lazzaro è legato come un prigioniero, è prigioniero della morte(9). Per il sudario il riferimento è a Isaia: "Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia [sudario] di tutti i popoli... eliminerà la morte per sempre: il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto..." (Is 25,7-8 ).

I riferimenti espliciti a questi salmi vogliono indicare che Gesù, come Dio, può liberare dai lacci della morte coloro che ama.

Gesù disse loro «Scioglietelo e lasciatelo andare».

Voi l'avete legato e immobilizzato impedendo ogni possibilità di movimento. Sciogliendo il morto la comunità si scioglie dalla paura della morte. Lazzaro è già con il Padre: è il morto che deve essere sciolto. La parola chiave dell'intera narrazione è "lasciatelo andare". Il verbo "andare" è usato da Giovanni per indicare il cammino di Gesù verso il Padre passando per la morte(10). Gesù non restituisce, come ci si sarebbe aspettato, Lazzaro ai suoi, ma lo lascia andare, libero.

Non è che Lazzaro debba ancora andare al Padre: c'è già. Sono essi che devono lasciarlo andare senza trattenerlo come morto. Si chiede un cambio di mentalità alla comunità cristiana, per passare dalla concezione giudaica della morte a quella cristiana.

 

Note: 1. Cf. Gv 3,36; 5,24; 6,47; 6,54. – 2. E' importante ricordare che i vangeli apocrifi, pur non inseriti nel Canone e quindi dichiarati non ispirati, possono contenere notizie sui costumi e sul modo di sentire delle popolazioni di allora permettendo così più corrette interpretazioni dei Vangeli canonici. – 3. In effetti nel "Credo" si è sempre professato di credere nella resurrezione dei morti e non nell'immortalità dell'anima. – 4. Con il termine targum, ovvero traduzione in aramaico, si indica la versione in lingua aramaica della Bibbia ebraica. Una volta liberati dall'esilio babilonese, gli Ebrei fecero ritorno in Palestina (539 a.C.). La lingua della Palestina era l'aramaico (idioma semitico scritto dai giudei con gli stessi caratteri dell'alfabeto ebraico). Il popolo ebraico abbandonò progressivamente l'ebraico a favore dell'aramaico come lingua parlata. Ma la preghiera e la lettura della Bibbia dovevano comunque essere espresse in ebraico, che rimaneva la lingua sacra degli Ebrei. Il problema fu risolto, in alcune sinagoghe, con un compromesso: si leggeva un brano in ebraico seguito dalla traduzione in aramaico letta dal meturgeman. Col tempo si fece sempre più pressante l'esigenza di tradurre i testi della Bibbia in aramaico, soprattutto per uso privato. A partire dal II secolo a.C. si svilupparono così i Targumin (plurale di Targum), ovvero le traduzioni in aramaico della Bibbia ebraica. – 5. Il satana (= l'accusatore), nella concezione ebraica, era un collaboratore di Dio che si incaricava di segnalare i peccati (Cfr Gb, 1) ed applicare le punizioni stabilite da Dio utilizzando, come esecutori, alcuni dei minori di origine fenicia (come Beelzebull, cfr Lc 11,14-23). Solo alcuni secoli dopo Cristo il satana da nome di una funzione diviene nome proprio e assume, in contrasto con la Bibbia, il significato di oppositore di Dio. – 6. "La Morte e l'Ade restituirono i morti che custodivano… e la Morte e l'Ade furono gettati nello stagno di fuoco, questa è la morte seconda, lo stagno di fuoco" (Ap 20,13-14). "Per i codardi, gli increduli, gli abominevoli, gli omicidi, i fornicatori, gli stregoni, gli idolatri e tutti i menzogneri, la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e di zolfo, che è la morte seconda" (Ap 212,8). – 7. Sbuffare [embrimaomai]: atto energico/indignato col quale si vuol reprimere l'azione altrui o reprimere la propria (cf Mc 14,5: i discepoli sono infuriati con la donna dell'unzione [enebrimônto]). – 8. [dakryô] Gesù "lacrima" (vulgata: et lacrymatus est Jesus). Esprime il dolore, non la disperazione. Piangere [klaiô] è il verbo usato per indicare le lamentazioni funebri il giorno della sepoltura (cf Mt 2,18: pianto disperato di Rachele); Gesù piange (vulgata: plorantem) su Gerusalemme (Lc 19,41): esprime disperazione. – 9. "Mi stringevano funi di morte, ero preso nei lacci dello sheol... Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi fedeli... hai spezzato le mie catene" (Sal 116,3.15.16); "Mi avvolgevano i lacci dello sheol... mi liberò perché mi vuol bene" (Sal 18,5.20). – 10. Gv 8,14; 13,3; 16,5.10.17.