Contenuti del blog

Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


mercoledì 2 dicembre 2015

Immacolata Concezione

Immacolara Concezione - Lc 1,26-38

Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l'angelo si allontanò da lei.

Mi sembra opportuno premettere all’analisi del brano che il racconto dell’annunzio a Maria1 ha un chiaro scopo cristologico: esso è un racconto teologico, (quindi lontano dalla realtà dei fatti ma non dal loro profondo significato), che serve a Luca per presentare, fin dall’inizio del vangelo, il ruolo particolare che Gesù riveste nel piano di Dio. Egli è l’uomo che, come i grandi personaggi dell’AT, è stato scelto da Dio fin dalla nascita per un compito straordinario. In più egli ha un rapporto specialissimo con Dio, di cui porta a compimento il progetto di salvezza, destinato a tutta l’umanità. Per questo il racconto dell’annunzio a Maria rivela tutto il suo significato per la vita dei credenti solo se è letto sul piano della fede e dell’esperienza religiosa, che si serve di immagini e di simboli che richiamano realtà trascendenti; una interpretazione miracolistica rischia di travisarne il significato e di farne un ostacolo sul cammino di coloro che vogliono fare un’autentica esperienza di fede.
“Al sesto mese…” il riferimento2 è al brano che precede (Lc 1,5-25) in cui si narra l’annunzio a Zaccaria della nascita miracolosa di Giovanni; i fatti si svolgono quindi all’inizio del sesto mese di gravidanza di Elisabetta. L’indicazione non ha solo significato temporale, ma sostanziale in quanto nella cultura orientale si riteneva che al sesto mese3 di gravidanza entrasse nel feto la vita (in greco zoe ed è intesa come vita di relazione) e quindi iniziasse a percepire il mondo esterno; questo permetterà, nel brano successivo, di giustificare il sobbalzo di gioia che avverte Elisabetta al comparire di Maria in casa sua.
“…l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.” Quando nella Scrittura si parla di angelo Gabriele non si indica una persona ben identificata, ma è un modo di annunciare la presenza di Dio in tutta la sua potenza4; il colloquio di Maria non è quindi con un messaggero, ma con Dio stesso.
Maria5 è nata a Nazaret, da genitori evidentemente poco soddisfatti di aver generato una femmina. Certo non poteva nascere in un posto peggiore. In quell’epoca Nazaret era un microscopico paese in una regione malfamata: la Galilea. La Galilea era ritenuta esclusa dall’azione di Dio: “Studia e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea”, si dice nel vangelo di Giovanni (Gv 7,52), dimenticando però il profeta Giona (2Re 14,25).
La Galilea è lontana dal centro del potere politico e religioso, è regione di frontiera con una popolazione che è una mescolanza di giudei e di pagani, e quindi, secondo la visione ebraica, di impuri, di peccatori, di reietti. Il territorio è arido e brullo; i suoi abitanti sono rozzi e duri. I galilei si distinguono per essere tra i più temerari e feroci affiliati alla setta degli zeloti, i fanatici fautori della lotta armata contro l’invasore romano, e Nazaret è proprio uno dei loro covi6. I giudei non nascondono il loro disgusto per i rozzi galilei e lo manifestano apertamente con una ricca serie di proverbi, racconti e detti popolari7.
In questo ambiente non proprio idilliaco, Maria, come tutte le donne ebree del suo tempo, è divenuta maggiorenne a undici anni e, a dodici anni al più tardi, ha l’obbligo di sposarsi8. Obbligo, non possibilità: nel mondo ebraico e orientale non è concepibile la figura della donna indipendente e la verginità è maledetta da Dio (Gen 1,26); senza un marito od un figlio maggiorenne, la donna ebraica è considerata un essere senza testa (Ef 5, 23).
Il matrimonio non è un’istituzione religiosa e neppure sociale, ma una sorta di contratto privato dove le parti contraenti non sono né la sposa né lo sposo, bensì le rispettive famiglie. Con questo sistema, la ragazza si trova in qualche modo comprata dalla famiglia del marito ed è realmente un oggetto nelle loro mani, una sorta di recipiente per ottenere dei figli9. Lo sposalizio si tiene in casa della donna; raggiunto l’accordo sul prezzo, lo sposo copre con il proprio mantello la sposa e pronuncia la formula “Tu sei mia moglie” e la sposa deve rispondere “Tu sei mio marito”. Con questa semplice cerimonia Maria è divenuta “promessa sposa di Giuseppe”10. Dopo un anno, quando la maturità sessuale di Maria lo permetterà, avrà luogo la seconda fase del matrimonio, la convivenza.
Maria è qui chiamata parthenos, cioè giovinetta, e pertanto, in generale, una vergine; la traduzione di parthenos con il termine italiano vergine è chiaramente un omaggio alle concezioni teologiche acquisite, ma non costituisce la parte fondante del racconto.
Giuseppe è un costruttore11 (in greco o tekton – cfr Mc 6,3) di circa 20 anni12, un artigiano che vive del proprio lavoro, che ha dei dipendenti e quindi, in rapporto alle condizioni economiche di allora, una persona di ceto medio. Secondo alcuni autori dei primi secoli13, si dice che fosse soprannominato “il Pantera”, come suo padre, per il carattere non proprio cordiale; inoltre lui è un giusto14 dinanzi a Dio.
Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».” L’angelo si rivolge a lei con l’usuale saluto greco kaire, che etimologicamente significa: «rallegrati». Inusuale è invece l’elogio che l’angelo le fa chiamandola «piena di grazia» (kekaritomenê, cioè favorita, diletta: cfr.Ef 1,6). Maria è dunque la donna «ricolma del favore di Dio»: questa espressione riguarda non tanto il momento del suo concepimento, ma il momento attuale, in cui Dio le conferisce una missione che fa di lei la sua collaboratrice nella grande opera della redenzione. La sua chiamata e la sua missione sono poste sotto il segno della Provvidenza: «Il Signore è con te», come spesso è detto nei racconti di vocazione dell’AT (cfr: Es 3,12; Gdc 6,12; Ger 1,8.19;15,20; Gen 26,24;28,15). In questo contesto la formula greca di saluto (kaire) sembra alludere anche all’oracolo di Sofonia: «Gioisci, figlia di Sion..; rallegrati,... il re di Israele è il tuo Signore in mezzo a te. Non temere, Sion... il tuo Dio in mezzo a te è un Salvatore potente» (Sof 3,14-17; Zc 9,9).
“A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo.” Le parole che le sono rivolte provocano il turbamento di Maria. L’angelo perciò la invita a non temere: “L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».”
Dio quindi vuole stabilire un rapporto speciale con lei per assegnarle un compito specifico nel suo progetto di salvezza. Queste parole alludono all’oracolo di Is 7,14; Maria è dunque la giovanetta di cui parla il profeta e il suo figlio non è un semplice discendente della casa davidica, ma il Messia atteso per gli ultimi tempi. In sintonia con il testo ebraico dell’oracolo e in forza del ruolo di genitrice che le è assegnato, sarà lei che gli darà il nome15. Si tratta però non di un nome qualsiasi, ma di un nome deciso da Dio, nel quale è indicata la missione futura del bambino (Jhoshua [Gesù] = Jhaweh salva). A differenza di Giovanni il Battista, il quale «sarà grande davanti al Signore», egli sarà grande in senso assoluto, come Davide (cfr. 2Sam 7,11). Inoltre sarà chiamato «figlio dell’Altissimo», come i re davidici che assumevano questo titolo nel momento della loro intronizzazione (cfr. 2Sam 7,14; Sal 2,7;110,3). A lui infatti Dio conferirà il trono di suo padre Davide (cfr. 2Sam 7,12). Ma non si tratterà di un regno limitato nel tempo e nello spazio, bensì di un regno che durerà in eterno. Mentre Giovanni il Battista sarà il profeta degli ultimi tempi e il precursore del Messia, il figlio di Maria sarà il Messia stesso, nel quale troverà il suo compimento definitivo il regno di Davide.
Tra i documenti di Qumran si è scoperto un frammento in cui si trovano parecchie espressioni che corrispondono a quelle del brano in esame: «[Egli] sarà grande sulla terra; Tutti far[anno pace] e [lo] serviranno. [Sarà chiamato figlio d]el [Dio G]rande, e sarà chiamato con il suo nome. Sarà salutato come Figlio di Dio e lo chiameranno figlio dell’Altissimo..., e il suo regno sarà un regno eterno» (4Q 246). Il frammento è troppo guasto per permettere una precisa identificazione del personaggio di cui si parla, ma è sufficiente per dimostrare che Luca, per indicare l’identità di Gesù, ha ripreso espressioni note nel suo ambiente. Nel contesto giudaico del I secolo le parole «figlio», «figlio di Dio» o «figlio dell’Altissimo», non avevano il significato di un legame di sangue, cioè di una discendenza diretta, ma quello di un rapporto unico e speciale che legava il re, e quindi a maggior ragione il futuro Messia, al Dio dell’Alleanza (cfr. J.C. Vanderkam, Manoscritti del Mar Morto, Città Nuova, Roma 1995,195-196).
Allora Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Una difficoltà si oppone all’attuazione del disegno di Dio e Maria chiede una spiegazione. Sul piano letterario la domanda corrisponde in parte a quella di Zaccaria (cfr. Lc 1,18: «Come posso conoscere questo?»). Ma mentre questi chiedeva ulteriori garanzie, Maria chiede spiegazioni sulle modalità in cui si realizzerà l’annunzio messianico, dal momento che «non conosce uomo». Questa domanda lascia perplessi: Maria era giovanissima, quindi vergine, ma presto si sarebbe unita a Giuseppe, suo sposo, figlio di Davide, dal quale poteva immaginare di avere il figlio preannunziato dall’angelo. Quale era dunque la sua difficoltà? Diverse soluzioni sono state avanzate per chiarire questo enigma. Le più significative sono le seguenti:

a) interpretazione tradizionale, risalente ad Agostino: Maria avrebbe fatto voto di verginità, e ora le parole dell’angelo mettevano in discussione la sua scelta. Ma, a parte il fatto che nulla nel contesto lascia intravedere una situazione del genere, è evidente che Agostino non sapeva nulla delle usanze dell’epoca e del resto il Talmud era allora considerato opera del demonio e quindi non solo non era letto, ma, se trovato, veniva bruciato. L’ignoranza di Agostino non gli consentiva di sapere che ciò non era possibile, sia nell’ambiente culturale dell’epoca16, sia nella condizione di Maria, ormai fidanzata e prossima a iniziare la sua vita matrimoniale con Giuseppe. Per rispondere a questa obiezione, si è in passato supposto che Giuseppe fosse ormai vecchio e fosse stato scelto come sposo di Maria solo per custodirne la verginità; ma anche questa supposizione non ha nessun fondamento nel testo ed andrebbe comunque contro la cultura e le tradizioni religiose dell’epoca17.

b) interpretazione legata all’immediatezza dell’azione: l’angelo annunzia un evento che si realizza non nel futuro bensì nel presente: proprio ora Maria sta per concepire un figlio. Anche questa interpretazione è priva di fondamento perchè le parole dell’angelo riguardano un evento futuro («concepirai... darai alla luce... chiamerai...»). Inoltre in tutti i racconti di nascite miracolose presenti nell’AT è chiaro che il concepimento annunziato avviene in un secondo tempo, in seguito a un regolare rapporto della donna con il legittimo marito.

c) interpretazione a seguito di critica letteraria: la domanda di Maria non esprime una sua reale difficoltà, ma è un espediente letterario per fornire una serie di notizie ai lettori; nel qual caso ogni suo elemento deve essere interpretato tenendo conto del risultato teologico che il narratore vuole conseguire.

Questa terza interpretazione è la più convincente. Ed in effetti in risposta alla domanda di Maria l’angelo dà i chiarimenti di cui i lettori, secondo il narratore, avevano bisogno: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio». Dopo aver indicato nel nascituro il Figlio dell’Altissimo, egli spiega che questo appellativo è dovuto al fatto che lo Spirito santo interverrà in modo speciale nel momento stesso del suo concepimento. Le espressioni usate qui ricordano una delle prime confessioni di fede citate da Paolo: «Costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo spirito di santificazione» (Rm 1,4). Lo Spirito Santo che scenderà su Maria richiama lo Spirito creatore (cfr. Gen 1,2; Sal 140,30). Esso corrisponde alla «forza» di Dio che la «coprirà con la sua ombra»: questo verbo si ritrova nella Scrittura con il significato di «proteggere» (cfr. Sal 140 [LXX 139],8): infatti in Es 40,35 viene detto che la nube divina «copre con la sua ombra» la tenda del convegno al fine di proteggerla.
“…Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio”. Al termine del suo annunzio l’angelo rivela a Maria la gravidanza di Elisabetta, sua parente. Questo evento diventa il segno visibile che conferma l’autenticità della rivelazione dell’angelo. Esso infatti mostra nel modo più convincente che «nulla è impossibile a Dio» (cfr. Gen 18,14). Con l’accenno a questo segno s’intrecciano nuovamente i due racconti di annunciazione, quello di Elisabetta e quello di Maria; d’altro canto la parola dell’angelo prepara direttamente il racconto seguente della visita di Maria a Elisabetta.
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l'angelo si allontanò da lei.” Alle parole dell’angelo Maria risponde riprendendo le parole di due eroine dell’AT, Rut (Rt 3,9) e Abigail (1Sam 25,41): «Ecco la schiava del Signore». Questa espressione si situa nel contesto matrimoniale della «schiava-sposa» tipico della cultura ebraica; con essa Maria si rende disponibile al progetto di Dio e ne diventa partecipe fino in fondo. Ella apre così la via all’intervento dello Spirito santo e rende possibile la nascita del Figlio di Dio. Nel seguito del vangelo di Luca Gesù stesso metterà il suo rapporto con Maria sullo stesso piano di quello che ha con i suoi discepoli (cfr. Lc 8,19-21; 11,27-28).


Note: 1. I primi due capitoli di Matteo e i primi due capitoli di Luca non vanno d’accordo: non è possibile conciliare la nascita di Gesù come è scritta da Matteo e la nascita di Gesù come è descritta da Luca perché sono due realtà differenti. Quella di Matteo è drammatica: Gesù nasce ed Erode decide di ammazzare il bambino e la sua famiglia fugge in Egitto; questo fatto pone la nascita di Gesù prima del 4 a.C., anno della morte di Erode; Matteo inoltre pone la nascita di Gesù a Betlemme senza spiegarne il motivo. Invece secondo Luca Gesù nasce a Betlemme a causa del censimento il che pone il tempo della nascita dopo il 6 d.C., quindi almeno dieci anni dopo, cosa che lo mette al sicuro dalle reazioni di Erode. Inoltre Matteo fa di tutto per escludere ogni responsabilità di Giuseppe nel concepimento (cfr Mt 1,25) mentre Luca non sembra escluderla (anche se la Chiesa l’ha poi esclusa a partire dal VI secolo d.C. nel Concilio di Costantinopoli). In effetti gli Evangelisti non fanno una cronistoria esatta di quello che è successo, come oggi si usa nel giornalismo, ma vogliono trasmettere ai credenti di tutti i tempi la profonda verità di questo messaggio, cioè che in Gesù si realizza la nuova, vera, definitiva creazione. – 2. L’esegesi che segue è stata liberamente tratta da un articolo di P. Alessandro Sacchi pubblicato in Nicodemo.net. – 3. Nel V secolo Agostino restrinse questo tempo a 46 giorni (cfr. Sul matrimonio e la concupiscenza). Un’altra interpretazione è basata sul fatto che il numero 6, nella simbolica ebraica, è il numero che ricorda la creazione dell’uomo. - 4. Il nome Gabriele in ebraico significa “potenza di Dio”. – 5. In ebraico Miryam o Mariam, nome dell’intrigante e pettegola sorella di Mosè, punita da Dio per la sua insaziabile ambizione (Es 15,20); passata alla storia come “lingua malvagia” (Num 12, 1-10), il suo nome non comparirà più nella Bibbia, prima di essere ripreso nei vangeli, in quanto considerato evocatore di maledizione da parte di Dio. Il fatto che avessero scelto questo nome fa immaginare che i genitori di Maria non fossero particolarmente contenti per aver generato una femmina.  – 6. Raffrontata ai giorni nostri, non è del tutto sbagliato fare un paragone con Al Qā’ida, data l’efferatezza delle azioni terroristiche di questa setta. Del resto Roma era l’America di 2000 anni fa. – 7. Talmud, ‘Erubim B. 53a, 53b. – 8. Talmud, Nidda M. 6,11. – 9. Questo modo di concepire il matrimonio si è trasmesso sin quasi ai nostri giorni. Soltanto nel 1215 (Concilio Lateranense IV) il matrimonio inizia ad essere considerato un sacramento al fine di impedire una serie di abusi (lo diventerà solennemente e con propria liturgia, nel 1555 nel Concilio di Trento), ma la potestà delle famiglie è rimasta fino ai primi decenni del XX secolo. Soltanto con il Concilio Vaticano II si è finalmente elevata la dignità del matrimonio cristiano dandogli una finalità che va al di là della semplice procreazione (Gaudium et Spes, n. 48 e 49). – 10. È errato chiamare questa cerimonia “fidanzamento” perché non ha i caratteri della provvisorietà del fidanzamento occidentale; esso infatti è indissolubile da parte della donna e può essere rotto dall’uomo solo con un atto di ripudio, esattamente nello stesso modo con cui l’uomo può sciogliere la successiva convivenza. – 11. L’idea di Giuseppe povero, proletario, si deve forse ad un inciso di Giustino (II secolo) che era di Neapolis (Nablus): nel “Dialogo a Trifone” (n. 88) pensava che Giuseppe fosse stato, più di un secolo prima, un povero falegname, costruttore di povere cose (sedie, aratri di legno, ecc.), come i tekton dei paesi poveri che aveva conosciuto dopo due tremende rivoluzioni (66-70; 131-134 d.C.), ma questa non era la situazione del tempo di Gesù dove il benessere era diffuso perché abbondava il lavoro. – 12. “Fino a vent’anni il Santo, che benedetto sia, vigila a che l’uomo si sposi, e lo maledice se manca di farlo entro quell’età” –Talmud, Qid. B , 29b. Nelle parole dei  vangeli si intuiscono le grandi difficoltà che ha incontrato Gesù per la sua scelta celibataria, sempre che tale condizione sia stata quella reale di Gesù al di là delle elaborazioni teologiche. – 13. Epifanio; Andrea vescovo di Creta; Eusebio; alcuni midrash giudaici riportano la stessa notizia. Per Giovanni Damasceno (VII secolo), Joseph ben Panther sarebbe invece il nonno di Maria. - 14. Mt 1,19. Il termine giusto indica colui che tiene un atteggiamento conforme alla religione e ne osserva tutti i doveri (cfr Fil 3, 6). – 15. In aperto e totale contrasto con la tradizione ebraica che affidava questo compito esclusivamente al padre. – 16. Come già citato, la verginità sia femminile che maschile, nella cultura ebraica non era un valore, ma era considerata un grave peccato di disubbidienza a Dio (cfr. Gen 1,26) . – 17. La verginità era considerata un elemento fortemente negativo e quindi non poteva essere oggetto di voto, ammesso e non concesso che nella tradizione ebraica esistesse una tale forma devozionale che, per quanto è noto allo scrivente, è di origine occidentale ed è nata nel medio evo. 

lunedì 30 novembre 2015

Seconda Domenica di Avvento



Seconda Domenica di Avvento - Lc 3,1-6
Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell'Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i
suoi sentieri!
Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato
;
le vie tortuose diverranno diritte
e quelle impervie, spianate.
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!
Per cogliere appieno il significato delle parole di Luca, dovremo, in questo anno liturgico C, abituarci al suo modo di scrivere ed alla sua teologia. Un esempio tipico di quanto sto dicendo sono i versetti 1-6 del capitolo 3 che presentano(1) la figura di Giovanni incorniciata in un preciso e dettagliato contesto storico, politico e religioso. A differenza di Matteo e di Marco, che mettono in rilievo anche il suo aspetto esteriore che richiama da vicino il portamento proprio dei profeti veterotestamentari(2) dei quali il Battista raccoglie l’eredità, Luca incentra la sua attenzione sul significato teologico della figura di Giovanni.
Questa pericope, costituita da sei versetti, è a forma concentrica(3): questo intreccio letterario ha una sua profonda valenza teologica e ci fornisce la chiave di lettura della figura di Giovanni. Non va dimenticato, infatti, che Luca si pone quale teologo della storia della salvezza, cioè come colui che sa leggere negli eventi della storia il compiersi del disegno salvifico di Dio(4).
“Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare…” Luca apre il suo racconto evangelico alla maniera degli storici greci utilizzando una formula allora comune, che riscontriamo anche in Flavio Giuseppe(5) in apertura della sua opera “Guerra Giudaica” (BJ I,1-4), qualificandosi quindi come uno storico che desidera raccontare in modo ordinato i fatti che riguardano la nostra salvezza: “Poiché molti hanno posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, [...] così ho deciso anch’io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teofilo, perché ti possa render conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto” (Lc 1,1.3-4).
L’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio(6) è una datazione importante, poiché è l’unica certa che ci consente di datare l’inizio dell’attività pubblica di Gesù. Essa si colloca come epoca tra il 1° ottobre 27 e il 30 settembre 28 d.C. Entro questo tempo, probabilmente tra ottobre e novembre del 27, Luca pone l’attività predicatoria di Giovanni e l’inizio di quella di Gesù.
“…mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea…” Il secondo personaggio è Ponzio Pilato, che fu a capo della Giudea e della Samaria tra il 26 e il 36 d.C. con il titolo di prefetto della Giudea e risiedeva a Cesarea Marittima.
“…Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell'Abilene…” Seguono altri tre personaggi appartenenti al mondo politico palestinese: Erode, tetrarca della Galilea, Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconitide(7), e Lisania, tetrarca dell’Abilene(8).
“…sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa…” Anche se Luca cita al plurale “i sommi sacerdoti” in realtà il Sommo Sacerdote, capo del Sinedrio, organo di governo politico e religioso dei giudei, era uno solo, Caifa. Questi mantenne il titolo dal 18 al 36 d.C. Anna era il suocero di Caifa e benché fosse stato sommo sacerdote dal 6 al 15 d.C. tuttavia esercitò sempre un forte influsso sul genero così che Luca nel suo racconto lo cita sempre assieme a Caifa.
Nel citare questa serie di personaggi Luca compie dei cerchi concentrici: passa dal vasto impero romano, qui rappresentato da Tiberio e Pilato, al più ristretto regno palestinese degli Erode a quello del più piccolo mondo religioso giudaico entro il quale colloca l’evento Giovanni. La figura di Giovanni, pertanto, viene posta da Luca al centro degli eventi storico-religiosi del suo tempo: in tal modo viene concentrata l’attenzione del lettore su di un evento storico, inizialmente quasi impercettibile, ma che avrà dimensioni universali. Nella sua seconda opera, gli Atti degli Apostoli, Luca rovescerà questo movimento concentrico, dal grande al piccolo, trasformandolo in eccentrico, dal piccolo al grande, quasi ad indicare l’esplodere improvviso, invasivo e universalmente coinvolgente dell’evento Gesù in mezzo agli uomini: “…avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (At 1,8).
…la parola di Dio venne su Giovanni…” il discendere della parola su Giovanni ne decreta l’investitura profetica. Il profeta infatti è colui che parla a nome e per conto di Dio, ne è la voce in mezzo al suo popolo. Giovanni quindi è l’ultimo profeta e con lui si chiude l’AT per lasciar posto alla stessa voce del Padre ad opera di Gesù: “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio…” (Eb 1,1-3a).
“…figlio di Zaccaria, nel deserto.” Giovanni è definito figlio di Zaccaria; l’inciso assume un duplice significato: definendo Giovanni come “figlio di Zaccaria(9)” Luca sottolinea come Giovanni rientra nel progetto di Dio fin dal suo concepimento (Lc 1,13-17; 1,41; 1,66; 1,76-77), ma nel contempo si aggancia alla missione profetica di Geremia(10), associando Giovanni ai grandi profeti veterotestamentari: “Mi fu rivolta la parola del Signore: «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni».” (Ger 1,4-5).  
Il nome “Zaccaria” significa “Dio si è ricordato”; Giovanni è dunque il segno concreto di questo ricordarsi di Dio: “Allora Dio ascoltò il loro lamento, si ricordò della sua alleanza con Abramo e Giacobbe” (Es 2,24; 6,7).
Luca ricorda come questa Parola si attuò su Giovanni nel deserto. L’immagine del deserto, se da un lato ha suggerito ad alcuni studiosi l’appartenenza del Battista alla setta degli Esseni, dall’altro ci rimanda all’esperienza di Israele nel deserto. Fu proprio durante questo tempo di deserto che la Parola di Jhaweh scese per la prima volta sul popolo ai piedi del Sinai, dove Dio stabilì la sua Alleanza. La figura di Giovanni che cresce nel deserto e su cui scende la Parola è dunque un po’ l’immagine dell’antico Israele che trova nel Battista la conclusione della vecchia Alleanza sinaitica.
“…Egli percorse tutta la regione del Giordano…”; se da un lato questo movimento di Giovanni dice tutto il dinamismo della Parola(11) di Dio, che per sua natura non è statica, dall’altro prelude alla missione di Gesù, che alla stregua dei predicatori itineranti girava l’intera Palestina annunciando il suo messaggio (Mc 1,14-15; Mt 4,23-25).
“…predicando un battesimo di conversione…”; il verbo “predicando” è reso in greco con “kerìsson”, un termine tecnico che si riferisce al proclamare proprio del banditore, che anticamente girava per il regno del proprio sovrano annunciandone le volontà, alle quali tutto il popolo doveva conformarsi.
Questo “predicare” di Giovanni lo qualifica pertanto come il banditore di Dio che convoca attorno a sé il suo popolo per comunicargli la sua volontà di riscatto, di perdono e di riconciliazione.
Il contenuto di tale predicazione è costituito da un “battesimo di conversione”. L’annuncio quindi è finalizzato al battesimo, colto come risposta alla Parola, che chiede una conversione, una modificazione sostanziale del modo di pensare(12). L’immergersi nelle acque del Giordano in risposta all’annuncio del profeta richiama da vicino il racconto di Naam il Siro, capo dell’esercito del re Aram, colpito dalla lebbra, la quale lo aveva condannato ad una fine umiliante e ingloriosa (2Re 5,10.15).
“…per il perdono dei peccati…”: la preposizione “per” è resa in greco con “eis” che indica un moto a luogo. Il battesimo di Giovanni dunque non è assolutore dei peccati, ma è preparatore e in funzione di quest’azione che è propria di Dio. Rispetto agli altri movimenti battisti del suo tempo che avevano una finalità eminentemente rituale, quello di Giovanni ha la particolarità di finalizzare il battesimo, l’immersione simbolo della morte e risurrezione ad un’altra vita, ad un’azione penitenziale.
“…com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:” Luca vede dunque nella missione del Battista l’attuarsi e l’operare di un antico piano salvifico le cui tracce già si trovano nello stesso profeta Isaia. C’è quindi in atto un disegno di salvezza pensato da Dio nell’antichità e che si sta attuando nell’oggi di ogni uomo.
“Voce di uno che grida nel deserto:…” I vv. 3,4-6 sono stati interamente mutuati da Luca dal libro del profeta Isaia 40,3-5(13). Il contesto storico entro cui il secondo Isaia(14) si colloca è quello dell’esilio di Babilonia (597-538) che è, per il popolo d’Israele, un tempo di sofferenza e di buio, lontano dalla sua terra santa, calpestata dai pagani; lontano dal Tempio ormai distrutto; privato del culto a Dio e della consolazione della sua Parola. In mezzo a queste difficoltà Dio fa sentire, per mezzo del suo profeta, la sua voce di speranza: “«Nel deserto preparate la via al Signore(15), appianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura. Allora si rivelerà la gloria del Signore e ogni uomo la vedrà, poiché la bocca del Signore ha parlato».” (Is 40,1-5).
La via nel deserto, di cui questo oracolo di Isaia parla, è la strada del ritorno all’amata Terra, una sorta di secondo esodo, che già era stato preannunciato da Geremia ed Ezechiele.
Luca nel riportare le parole del secondo Isaia richiama qui, in qualche modo, il contesto storico dell’antico Israele e vede il profilarsi per il popolo un nuovo esodo(16) che lo riporterà definitivamente a Dio, la vera Terra Promessa, di cui quella della Palestina era soltanto figura. La via che si profila all’orizzonte, quella che conduce al Padre è Gesù stesso (Gv 14,6). Giovanni è venuto a preparare questa via, ma per percorrerla bisogna raddrizzare le nostre vie rese tortuose dall’egoismo, abbassare i monti e i colli del nostro orgoglio e della nostra autosufficienza e riempire i burroni della nostra indifferenza. Solo allora i nostri occhi si apriranno, la nostra speranza si ravviverà e noi diventeremo annunciatori e testimoni di speranza. Solo così ogni uomo vedrà la salvezza di Dio vivere in noi.

Note: 1. L’esegesi che segue è liberamente tratta da un articolo di Giovanni Lonardi pubblicato nel sito Teologia per tutti. – 2. Sia Marco che Matteo rilevano che “Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste e miele selvatico” (Mt 3,4; Mc 1,6). Il suo abbigliamento richiama da vicino quello dei profeti Elia, alla cui la figura di Giovanni è associato (Lc 1,17), e di Zaccaria (2Re 1,8; Zc 13,4). Sia il modo di vestire che quello di mangiare consentono a Marco e a Matteo di includere Giovanni nei rigorosi osservanti della Torah. – 3. Talvolta gli autori neotestamentari, seguendo tecniche narrative proprie del loro tempo, dispongono il loro racconto ricorrendo a dei parallelismi secondo lo schema A-A’; B-B’; C per cui alcune espressione che si trovano in A hanno il loro corrispondente in A’ e così, parimenti, alcune che si trovano in B hanno il loro corrispondente in B’ e così di seguito. In tal modo al centro di questi parallelismi viene a trovarsi un’espressione (chiamata con una lettera diversa e unica che non ha corrispondenti) che costituisce il punto convergente e focale di tutti i parallelismi, sul quale l’autore vuole richiamare l’attenzione. Nel nostro caso abbiamo in A l’esposizione del contesto storico civile e religioso; in A’ viene descritto il contesto storico-profetico; in C si colloca la figura di Giovanni, punto centrale e convergente dei due contesti entro cui la figura va letta e ricompresa. – 4. Al riguardo il Rossé afferma: “Luca vede di buon occhio la storia degli uomini, le dà valore come campo dove si attua il progetto di Dio. L’impero romano viene così a far parte della storia della salvezza, in quanto la salvezza promessa da Dio a Israele si compie nella venuta e nell’annuncio di Gesù e si diffonde nella Parola proclamata dagli apostoli e dagli evangelizzatori attraverso l’impero romano” . (Cfr Gérard Rossé, Il Vangelo di Luca, Editrice Città Nuova, Roma 2001). – 5. Giuseppe è uno storico ebreo, che dopo aver assunto la cittadinanza romana, divenne Flavio Giuseppe. Egli nacque a Gerusalemme tra la fine del 37 e i primi mesi del 38 d.C. Appartenne ad una tra le più nobili famiglie ebree del tempo e per parte di padre alla classe sacerdotale più nobile, mentre per parte di madre egli si gloriava di essere un discendente della famiglia reale degli Asmonei. Partecipò alla guerra giudaica contro l’occupante romano e organizzò le difese nel settore della Galilea. Sconfitto e fatto prigioniero dai romani ebbe modo di riflettere sulla potenza dell’Impero romano in cui vide il realizzarsi di un disegno salvifico di Dio. Passò quindi al nemico cercando di convincere il suo popolo ad arrendersi a Roma. Egli infatti vide nella serie di sconfitte subite dagli ebrei da parte dell’Impero la conferma delle sue convinzioni: il Dio d’Israele aveva volto la sua attenzione e la sua benevolenza verso Roma.  (Cfr Giovanni Vitucci, Introduzione all’opera “Guerra Giudaica” di Flavio Giuseppe, Ed. Arnoldo Mondadori, Cles, TN, 1995). – 6. Tiberio è il successore di Ottaviano Augusto, morto il 19 agosto del 14. Secondo il calendario siriano, in uso all’epoca anche in Palestina, e il modo di contare gli anni, il primo anno dell’attività imperiale di Tiberio inizia con il 19 agosto 14 e termina il 30 settembre dello stesso anno. Il secondo anno di Tiberio inizia con il 1°ottobre 14 e termina con il 30 settembre 15. In tal modo, contando gli anni dal 1° ottobre al 30 settembre il 15° anno dell’impero di Tiberio, in cui Luca colloca gli eventi del cap.3, cade tra il 1° ottobre 27 e il 30 settembre 28. Questa datazione concorda anche con  Gv 2,20. – 7. Dopo la morte di Erode il Grande, che regnò tra il 37 e il 4 a.C., il suo regno venne diviso tra i suoi tre figli: Archelao ottenne la Giudea, la Samaria e l’Idumea. Regnò dal 4 a.C. al 6 d.C. e venne deposto da Roma per crudeltà ed esiliato a Vienne in Francia. Antipa ereditò la Galilea e la Perea con il titolo di tetrarca. Esercitò il suo potere con saggezza e tolleranza, ma venne deposto anch’egli nel 39 d.C. ed esiliato come il fratello Archelao in Francia. Filippo ereditò l’Iturea e la Traconitide e le governò fino all’anno della sua morte avvenuta nel 34 d.C. – 8. Lisania è un nome poco conosciuto forse perché il territorio da lui amministrato, che si pone a nord-ovest di Damasco (Siria), nel 39 d.C. venne dato dall’imperatore Caligola ad un altro Erode, Agrippa I. – 9. Nell’A.T. i Libri profetici si aprivano sovente con la presentazione del profeta definito come “figlio di…”. Cfr in proposito Is 1,1; Ger 1,1; Bar 1,1; Ez 1,3; Os 1,1; Gl 1,1; Gio 1,1; Sof 1,1; Ag 1,1; Zc 1,1. – 10. Geremia è il profeta che denunciò le infedeltà del popolo e l’imminente castigo di Dio, che si attuerà con la distruzione del Regno di Giuda da parte dei Babilonesi e le ripetute deportazioni (597; 587; 582 a.C.), togliendo ai deportati ogni illusione di un rapido ritorno in patria (Ger 29). – 11. Il termine ebraico “dabar” (parola) indica una cosa concreta colta nel suo dinamismo ed è stata applicata tradizionalmente alla Parola di Dio, che non è un semplice parlare, ma azione concreta ed efficace, che produce ciò che dice (Eb 4,12) ed è creatrice (Gen 1,3 ss). – 12. Occorre distinguere tra la conversione chiesta da Giovanni e quella proposta da Gesù: mentre la prima richiede al credente di spostare il proprio interesse da se stesso a Dio, la seconda chiede di spostarlo da se stessi agli altri. La differenza è considerevole perché il Dio di Giovanni è diverso dal Dio di Gesù. – 13. Mentre Matteo e Marco limitano la citazione di Isaia alle parole “Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!”, Luca prolunga la citazione fino a tutto il v.5 (Is 40,3-5) in cui compare l’annuncio di una salvezza universale: “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!”. In tal modo Luca si aggancia a quanto detto dal vecchio Simeone (Lc 2,30-32). Non va dimenticato infatti che Luca è un greco convertito dal paganesimo e i suoi interessi sono rivolti ad una salvezza universale, che supera i ristretti confini di Israele. Egli si pone quindi tra gli evangelisti come il teologo della storia della salvezza, che egli coglie sempre nella sua dimensione universalistica, cioè aperta anche ai popoli pagani. – 14. Il libro del profeta Isaia comprende 66 capitoli che gli studiosi, per la diversità degli argomenti trattati e degli stili, suddividono in tre parti: i primi 39 capitoli sono assegnati al primo (proto) Isaia, che svolse la sua attività tra il 740 e i 700 a.C.; il secondo gruppo di capp. 40-55 è assegnato al secondo (deutero) Isaia, un profeta che si ispirava ad Isaia, e storicamente ci colloca nel tempo dell’esilio babilonese (597-538 a.C.); il terzo gruppo di capp. 56-66 sono stati composti in epoca postesilica dal 538 a.C. in poi ed è assegnato al terzo (trito) Isaia, un profeta che si ispirava al primo Isaia. Il libro del profeta Isaia quindi è stato composto da più mani e abbraccia un tempo di oltre due secoli. – 15. La setta di Qumran aveva visto proprio in queste parole “Nel deserto preparate la via de Signore” un invito esplicito da parte di Dio a ritirarsi nel deserto per prepararsi alla venuta di Dio. – 16. Nella teologia lucana acquista notevole importanza il tema del viaggio, che si sviluppa dai capp. 9,51-19,28, durante il quale Gesù, quale nuovo Mosé, raccoglie attorno a sé numerose folle per traghettarle verso la Terra Promessa della stessa dimensione divina, passando attraverso la porta della sua morte-risurrezione.