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Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


lunedì 15 dicembre 2014

Quarta Domenica di Avvento



Quarta Domenica di Avvento - Lc 1,26-38
Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l'angelo si allontanò da lei.

Mi sembra opportuno premettere all’analisi del brano che il racconto dell’annunzio a Maria(1) ha un chiaro scopo cristologico: esso è un racconto teologico, (quindi lontano dalla realtà dei fatti ma non dal loro profondo significato), che serve a Luca per presentare, fin dall’inizio del vangelo, il ruolo particolare che Gesù riveste nel piano di Dio. Egli è l’uomo che, come i grandi personaggi dell’AT, è stato scelto da Dio fin dalla nascita per un compito straordinario. In più egli ha un rapporto specialissimo con Dio, di cui porta a compimento il progetto di salvezza, destinato a tutta l’umanità. Per questo il racconto dell’annunzio a Maria rivela tutto il suo significato per la vita dei credenti solo se è letto sul piano della fede e dell’esperienza religiosa, che si serve di immagini e di simboli che richiamano realtà trascendenti; una interpretazione miracolistica rischia di travisarne il significato e di farne un ostacolo sul cammino di coloro che vogliono fare un’autentica esperienza di fede.
“Al sesto mese…” il riferimento(2) è al brano che precede (Lc 1,5-25) in cui si narra l’annunzio a Zaccaria della nascita miracolosa di Giovanni; i fatti si svolgono quindi all’inizio del sesto mese di gravidanza di Elisabetta. L’indicazione non ha solo significato temporale, ma sostanziale in quanto nella cultura orientale si riteneva che al sesto mese(3) di gravidanza entrasse nel feto la vita (in greco zoe ed è intesa come vita di relazione) e quindi iniziasse a percepire il mondo esterno; questo permetterà, nel brano successivo, di giustificare il sobbalzo di gioia che avverte Elisabetta al comparire di Maria in casa sua.
“…l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.” Quando nella Scrittura si parla di angelo Gabriele non si indica una persona ben identificata, ma è un modo di annunciare la presenza di Dio in tutta la sua potenza(4); il colloquio di Maria non è quindi con un messaggero, ma con Dio stesso.
Maria(5) è nata a Nazaret, da genitori evidentemente poco soddisfatti di aver generato una femmina. Certo non poteva nascere in un posto peggiore. In quell’epoca Nazaret era un microscopico paese in una regione malfamata: la Galilea. La Galilea era ritenuta esclusa dall’azione di Dio: “Studia e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea”, si dice nel vangelo di Giovanni (Gv 7,52), dimenticando però il profeta Giona (2Re 14,25).
La Galilea è lontana dal centro del potere politico e religioso, è regione di frontiera con una popolazione che è una mescolanza di giudei e di pagani, e quindi, secondo la visione ebraica, di impuri, di peccatori, di reietti. Il territorio è arido e brullo; i suoi abitanti sono rozzi e duri. I galilei si distinguono per essere tra i più temerari e feroci affiliati alla setta degli zeloti, i fanatici fautori della lotta armata contro l’invasore romano, e Nazaret è proprio uno dei loro covi(6). I giudei non nascondono il loro disgusto per i rozzi galilei e lo manifestano apertamente con una ricca serie di proverbi, racconti e detti popolari(7).
In questo ambiente non proprio idilliaco, Maria, come tutte le donne ebree del suo tempo, è divenuta maggiorenne a undici anni e, a dodici anni al più tardi, ha l’obbligo di sposarsi(8). Obbligo, non possibilità: nel mondo ebraico e orientale non è concepibile la figura della donna indipendente e la verginità è maledetta da Dio (Gen 1,26); senza un marito od un figlio maggiorenne, la donna ebraica è considerata un essere senza testa (Ef 5, 23).
Il matrimonio non è un’istituzione religiosa e neppure sociale, ma una sorta di contratto privato dove le parti contraenti non sono né la sposa né lo sposo, bensì le rispettive famiglie. Con questo sistema, la ragazza si trova in qualche modo comprata dalla famiglia del marito ed è realmente un oggetto nelle loro mani, una sorta di recipiente per ottenere dei figli(9). Lo sposalizio si tiene in casa della donna; raggiunto l’accordo sul prezzo, lo sposo copre con il proprio mantello la sposa e pronuncia la formula “Tu sei mia moglie” e la sposa deve rispondere “Tu sei mio marito”. Con questa semplice cerimonia Maria è divenuta “promessa sposa di Giuseppe”(10). Dopo un anno, quando la maturità sessuale di Maria lo permetterà, avrà luogo la seconda fase del matrimonio, la convivenza.
Maria è qui chiamata parthenos, cioè giovinetta, e pertanto, in generale, una vergine; la traduzione di parthenos con il termine italiano vergine è chiaramente un omaggio alle concezioni teologiche acquisite, ma non costituisce la parte fondante del racconto.
Giuseppe è un costruttore(11) (in greco o tekton – cfr Mc 6,3) di circa 20 anni(12), un artigiano che vive del proprio lavoro, che ha dei dipendenti e quindi, in rapporto alle condizioni economiche di allora, una persona di ceto medio. Secondo alcuni autori dei primi secoli(13), si dice che fosse soprannominato “il Pantera”, come suo padre, per il carattere non proprio cordiale; inoltre lui è un giusto(14) dinanzi a Dio.
Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».” L’angelo si rivolge a lei con l’usuale saluto greco kaire, che etimologicamente significa: «rallegrati». Inusuale è invece l’elogio che l’angelo le fa chiamandola «piena di grazia» (kekaritomenê, cioè favorita, diletta: cfr.Ef 1,6). Maria è dunque la donna «ricolma del favore di Dio»: questa espressione riguarda non tanto il momento del suo concepimento, ma il momento attuale, in cui Dio le conferisce una missione che fa di lei la sua collaboratrice nella grande opera della redenzione. La sua chiamata e la sua missione sono poste sotto il segno della Provvidenza: «Il Signore è con te», come spesso è detto nei racconti di vocazione dell’AT (cfr: Es 3,12; Gdc 6,12; Ger 1,8.19;15,20; Gen 26,24;28,15). In questo contesto la formula greca di saluto (kaire) sembra alludere anche all’oracolo di Sofonia: «Gioisci, figlia di Sion..; rallegrati,... il re di Israele è il tuo Signore in mezzo a te. Non temere, Sion... il tuo Dio in mezzo a te è un Salvatore potente» (Sof 3,14-17; Zc 9,9).
“A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo.” Le parole che le sono rivolte provocano il turbamento di Maria. L’angelo perciò la invita a non temere: “L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».”
Dio quindi vuole stabilire un rapporto speciale con lei per assegnarle un compito specifico nel suo progetto di salvezza. Queste parole alludono all’oracolo di Is 7,14; Maria è dunque la giovanetta di cui parla il profeta e il suo figlio non è un semplice discendente della casa davidica, ma il Messia atteso per gli ultimi tempi. In sintonia con il testo ebraico dell’oracolo e in forza del ruolo di genitrice che le è assegnato, sarà lei che gli darà il nome(15). Si tratta però non di un nome qualsiasi, ma di un nome deciso da Dio, nel quale è indicata la missione futura del bambino (Jhoshua [Gesù] = Jhaweh salva). A differenza di Giovanni il Battista, il quale «sarà grande davanti al Signore», egli sarà grande in senso assoluto, come Davide (cfr. 2Sam 7,11). Inoltre sarà chiamato «figlio dell’Altissimo», come i re davidici che assumevano questo titolo nel momento della loro intronizzazione (cfr. 2Sam 7,14; Sal 2,7;110,3). A lui infatti Dio conferirà il trono di suo padre Davide (cfr. 2Sam 7,12). Ma non si tratterà di un regno limitato nel tempo e nello spazio, bensì di un regno che durerà in eterno. Mentre Giovanni il Battista sarà il profeta degli ultimi tempi e il precursore del Messia, il figlio di Maria sarà il Messia stesso, nel quale troverà il suo compimento definitivo il regno di Davide.
Tra i documenti di Qumran si è scoperto un frammento in cui si trovano parecchie espressioni che corrispondono a quelle del brano in esame: «[Egli] sarà grande sulla terra; Tutti far[anno pace] e [lo] serviranno. [Sarà chiamato figlio d]el [Dio G]rande, e sarà chiamato con il suo nome. Sarà salutato come Figlio di Dio e lo chiameranno figlio dell’Altissimo..., e il suo regno sarà un regno eterno» (4Q 246). Il frammento è troppo guasto per permettere una precisa identificazione del personaggio di cui si parla, ma è sufficiente per dimostrare che Luca, per indicare l’identità di Gesù, ha ripreso espressioni note nel suo ambiente. Nel contesto giudaico del I secolo le parole «figlio», «figlio di Dio» o «figlio dell’Altissimo», non avevano il significato di un legame di sangue, cioè di una discendenza diretta, ma quello di un rapporto unico e speciale che legava il re, e quindi a maggior ragione il futuro Messia, al Dio dell’Alleanza (cfr. J.C. Vanderkam, Manoscritti del Mar Morto, Città Nuova, Roma 1995,195-196).
Allora Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Una difficoltà si oppone all’attuazione del disegno di Dio e Maria chiede una spiegazione. Sul piano letterario la domanda corrisponde in parte a quella di Zaccaria (cfr. Lc 1,18: «Come posso conoscere questo?»). Ma mentre questi chiedeva ulteriori garanzie, Maria chiede spiegazioni sulle modalità in cui si realizzerà l’annunzio messianico, dal momento che «non conosce uomo». Questa domanda lascia perplessi: Maria era giovanissima, quindi vergine, ma presto si sarebbe unita a Giuseppe, suo sposo, figlio di Davide, dal quale poteva immaginare di avere il figlio preannunziato dall’angelo. Quale era dunque la sua difficoltà? Diverse soluzioni sono state avanzate per chiarire questo enigma. Le più significative sono le seguenti:

a) interpretazione tradizionale, risalente ad Agostino: Maria avrebbe fatto voto di verginità, e ora le parole dell’angelo mettevano in discussione la sua scelta. Ma, a parte il fatto che nulla nel contesto lascia intravedere una situazione del genere, è evidente che Agostino non sapeva nulla delle usanze dell’epoca e del resto il Talmud era allora considerato opera del demonio e quindi non solo non era letto, ma, se trovato, veniva bruciato. L’ignoranza di Agostino non gli consentiva di sapere che ciò non era possibile, sia nell’ambiente culturale dell’epoca(16), sia nella condizione di Maria, ormai fidanzata e prossima a iniziare la sua vita matrimoniale con Giuseppe. Per rispondere a questa obiezione, si è in passato supposto che Giuseppe fosse ormai vecchio e fosse stato scelto come sposo di Maria solo per custodirne la verginità; ma anche questa supposizione non ha nessun fondamento nel testo ed andrebbe comunque contro la cultura e le tradizioni religiose dell’epoca(17).

b) interpretazione legata all’immediatezza dell’azione: l’angelo annunzia un evento che si realizza non nel futuro bensì nel presente: proprio ora Maria sta per concepire un figlio. Anche questa interpretazione è priva di fondamento perchè le parole dell’angelo riguardano un evento futuro («concepirai... darai alla luce... chiamerai...»). Inoltre in tutti i racconti di nascite miracolose presenti nell’AT è chiaro che il concepimento annunziato avviene in un secondo tempo, in seguito a un regolare rapporto della donna con il legittimo marito.

c) interpretazione a seguito di critica letteraria: la domanda di Maria non esprime una sua reale difficoltà, ma è un espediente letterario per fornire una serie di notizie ai lettori; nel qual caso ogni suo elemento deve essere interpretato tenendo conto del risultato teologico che il narratore vuole conseguire.

Questa terza interpretazione è la più convincente. Ed in effetti in risposta alla domanda di Maria l’angelo dà i chiarimenti di cui i lettori, secondo il narratore, avevano bisogno: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio». Dopo aver indicato nel nascituro il Figlio dell’Altissimo, egli spiega che questo appellativo è dovuto al fatto che lo Spirito santo interverrà in modo speciale nel momento stesso del suo concepimento. Le espressioni usate qui ricordano una delle prime confessioni di fede citate da Paolo: «Costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo spirito di santificazione» (Rm 1,4). Lo Spirito Santo che scenderà su Maria richiama lo Spirito creatore (cfr. Gen 1,2; Sal 140,30). Esso corrisponde alla «forza» di Dio che la «coprirà con la sua ombra»: questo verbo si ritrova nella Scrittura con il significato di «proteggere» (cfr. Sal 140 [LXX 139],8): infatti in Es 40,35 viene detto che la nube divina «copre con la sua ombra» la tenda del convegno al fine di proteggerla.
“…Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio”. Al termine del suo annunzio l’angelo rivela a Maria la gravidanza di Elisabetta, sua parente. Questo evento diventa il segno visibile che conferma l’autenticità della rivelazione dell’angelo. Esso infatti mostra nel modo più convincente che «nulla è impossibile a Dio» (cfr. Gen 18,14). Con l’accenno a questo segno s’intrecciano nuovamente i due racconti di annunciazione, quello di Elisabetta e quello di Maria; d’altro canto la parola dell’angelo prepara direttamente il racconto seguente della visita di Maria a Elisabetta.
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l'angelo si allontanò da lei.” Alle parole dell’angelo Maria risponde riprendendo le parole di due eroine dell’AT, Rut (Rt 3,9) e Abigail (1Sam 25,41): «Ecco la schiava del Signore». Questa espressione si situa nel contesto matrimoniale della «schiava-sposa» tipico della cultura ebraica; con essa Maria si rende disponibile al progetto di Dio e ne diventa partecipe fino in fondo. Ella apre così la via all’intervento dello Spirito santo e rende possibile la nascita del Figlio di Dio. Nel seguito del vangelo di Luca Gesù stesso metterà il suo rapporto con Maria sullo stesso piano di quello che ha con i suoi discepoli (cfr. Lc 8,19-21; 11,27-28).

Note: 1. I primi due capitoli di Matteo e i primi due capitoli di Luca non vanno d’accordo: non è possibile conciliare la nascita di Gesù come è scritta da Matteo e la nascita di Gesù come è descritta da Luca perché sono due realtà differenti. Quella di Matteo è drammatica: Gesù nasce ed Erode decide di ammazzare il bambino e la sua famiglia fugge in Egitto; questo fatto pone la nascita di Gesù prima del 4 a.C., anno della morte di Erode; Matteo inoltre pone la nascita di Gesù a Betlemme senza spiegarne il motivo. Invece secondo Luca Gesù nasce a Betlemme a causa del censimento il che pone il tempo della nascita dopo il 6 d.C., quindi almeno dieci anni dopo, cosa che lo mette al sicuro dalle reazioni di Erode. Inoltre Matteo fa di tutto per escludere ogni responsabilità di Giuseppe nel concepimento (cfr Mt 1,25) mentre Luca non sembra escluderla (anche se la Chiesa l’ha poi esclusa a partire dal VI secolo d.C. nel Concilio di Costantinopoli). In effetti gli Evangelisti non fanno una cronistoria esatta di quello che è successo, come oggi si usa nel giornalismo, ma vogliono trasmettere ai credenti di tutti i tempi la profonda verità di questo messaggio, cioè che in Gesù si realizza la nuova, vera, definitiva creazione. – 2. L’esegesi che segue è stata liberamente tratta da un articolo di P. Alessandro Sacchi pubblicato in Nicodemo.net. – 3. Nel V secolo Agostino restrinse questo tempo a 46 giorni (cfr. Sul matrimonio e la concupiscenza). Un’altra interpretazione è basata sul fatto che il numero 6, nella simbolica ebraica, è il numero che ricorda la creazione dell’uomo. – 4. Il nome Gabriele in ebraico significa “potenza di Dio”. – 5. In ebraico Miryam o Mariam, nome dell’intrigante e pettegola sorella di Mosè, punita da Dio per la sua insaziabile ambizione (Es 15,20); passata alla storia come “lingua malvagia” (Num 12, 1-10), il suo nome non comparirà più nella Bibbia, prima di essere ripreso nei vangeli, in quanto considerato evocatore di maledizione da parte di Dio. Il fatto che avessero scelto questo nome fa immaginare che i genitori di Maria non fossero particolarmente contenti per aver generato una femmina. – 6. Raffrontata ai giorni nostri, non è del tutto sbagliato fare un paragone con Al Qā’ida, data l’efferatezza delle azioni terroristiche di questa setta. Del resto Roma era l’America di 2000 anni fa. – 7. Talmud, ‘Erubim B. 53a, 53b. – 8. Talmud, Nidda M. 6,11. – 9. Questo modo di concepire il matrimonio si è trasmesso sin quasi ai nostri giorni. Soltanto nel 1215 (Concilio Lateranense IV) il matrimonio inizia ad essere considerato un sacramento al fine di impedire una serie di abusi (lo diventerà solennemente e con propria liturgia, nel 1555 nel Concilio di Trento), ma la potestà delle famiglie è rimasta fino ai primi decenni del XX secolo. Soltanto con il Concilio Vaticano II si è finalmente elevata la dignità del matrimonio cristiano dandogli una finalità che va al di là della semplice procreazione (Gaudium et Spes, n. 48 e 49). – 10. È errato chiamare questa cerimonia “fidanzamento” perché non ha i caratteri della provvisorietà del fidanzamento occidentale; esso infatti è indissolubile da parte della donna e può essere rotto dall’uomo solo con un atto di ripudio, esattamente nello stesso modo con cui l’uomo può sciogliere la successiva convivenza. – 11. L’idea di Giuseppe povero, proletario, si deve forse ad un inciso di Giustino (II secolo) che era di Neapolis (Nablus): nel “Dialogo a Trifone” (n. 88) pensava che Giuseppe fosse stato, più di un secolo prima, un povero falegname, costruttore di povere cose (sedie, aratri di legno, ecc.), come i tekton dei paesi poveri che aveva conosciuto dopo due tremende rivoluzioni (66-70; 131-134 d.C.), ma questa non era la situazione del tempo di Gesù dove il benessere era diffuso perché abbondava il lavoro. – 12. “Fino a vent’anni il Santo, che benedetto sia, vigila a che l’uomo si sposi, e lo maledice se manca di farlo entro quell’età” –Talmud, Qid. B , 29b. Nelle parole dei  vangeli si intuiscono le grandi difficoltà che ha incontrato Gesù per la sua scelta celibataria. – 13. Epifanio; Andrea vescovo di Creta; Eusebio; alcuni midrash giudaici riportano la stessa notizia. Per Giovanni Damasceno (VII secolo), Joseph ben Panther sarebbe invece il nonno di Maria. – 14. Mt 1,19. Il termine giusto indica colui che tiene un atteggiamento conforme alla religione e ne osserva tutti i doveri (cfr Fil 3, 6). – 15. In aperto e totale contrasto con la tradizione ebraica che affidava questo compito esclusivamente al padre. – 16. Come già citato, la verginità sia femminile che maschile, nella cultura ebraica non era un valore, ma era considerata un grave peccato di disubbidienza a Dio (cfr. Gen 1,26) . – 17. La verginità era considerata un elemento fortemente negativo e quindi non poteva essere oggetto di voto, ammesso e non concesso che nella tradizione ebraica esistesse una tale forma devozionale che, per quanto è noto allo scrivente, è di origine occidentale ed è nata nel medio evo.