Contenuti del blog

Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


giovedì 2 gennaio 2014

Epifania del Signore



Epifania del Signore – Mt 2, 1-12

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo
che sarà il pastore del mio popolo, Israele
».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.

Erode, così come è descritto dagli storici dell’epoca ed in parte anche dai vangeli, sembra la caricatura di un qualunque uomo di potere, ma dal punto di vista storico è stato un tiranno sanguinario ed astuto. Erode non sarebbe potuto diventare re dei giudei, perché in lui non scorreva sangue ebraico: era un idumeo1; la madre era un’araba e i nonni forse degli schiavi. Non è chiaro, (gli storici non l’hanno ancora scoperto), in che modo Erode giunse al potere. La Bibbia dice che chi non ha sangue giudeo non può essere re degli israeliti, per cui Erode, nella sua scalata al potere, eliminò quelli che conoscevano la sua origine, in particolare certi farisei, e incaricò il suo storiografo di corte di costruirgli la fama di unto del Signore.
Uomo abile ed intelligente, capì subito che il popolo andava tenuto calmo con quella che da sempre era la droga usata dai potenti: lo sport. Infatti finanziò quelle che erano le olimpiadi della sua epoca, ma a questo aggiunse la promessa, mantenuta, di diecimila posti di lavoro per la ricostruzione del tempio.
“Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme…”. Qui abbiamo dei personaggi che hanno talmente scandalizzato le prime comunità cristiane che sono stati completamente snaturati nel loro significato: i magi. La parola magi sia in greco che in italiano non esiste; nel testo greco di questo brano è riportata la parola magoi che ha una sola traduzione: maghi.
Sono in realtà dei personaggi talmente scabrosi, talmente scandalosi che la tradizione cristiana ne ha snaturato il nome: da maghi li ha fatti diventare degli innocui magi, affinché non si sapesse bene cosa e chi fossero.
Per comprendere il perché di questa presenza dobbiamo rifarci alla linea teologica di Matteo. Matteo racconta un Gesù che si presenta ed agisce al di fuori della religione ufficiale di allora. Gesù dimostrerà che tutto il castello che si chiamava religione ebraica e che veniva fatto credere alla gente come espressione della volontà di Dio, non solo non era la volontà di Dio, ma gli era contraria ed era falsa.
Gesù si è trovato bene con i peccatori, i miscredenti, la gentaccia, ma si è sempre trovato in pericolo con le persone pie, le persone devote. Matteo con questo episodio intende dire che, mentre nella religione ebraica c’è ostilità nei confronti del Dio di Gesù, quelli che vivono al di fuori della religione (e questa sarà una costante in tutti e quattro i vangeli), sono i primi a riconoscerlo, ad accettarlo e ad accoglierlo.
Nel vangelo di Matteo l’unico che riconoscerà in Gesù il Figlio di Dio sarà un centurione romano, un pagano. Gli unici che Gesù loderà per la loro fede saranno dei pagani. Con queste premesse si comincia a comprendere il senso della presenza di questi maghi.
Nella lingua greca del tempo con il termine magoi = maghi2 si indicavano sì gli indovini e gli astronomi, ma al tempo in cui l’evangelista scrive, con questa parola si indicavano anche gli imbroglioni, gli ingannatori, i corruttori. Potremo quindi dire che i maghi erano i ciarlatani dell’epoca.
Nella Bibbia era proibito avere rapporti con questa categoria di persone e nell’elenco di peccati del primo catechismo della Chiesa (la “didachè”), quello di esercitare la “professione” di mago era preceduto da quello di rubare e seguito da quello di abortire: erano peccati quindi considerati particolarmente gravi.
Nella Torah era prevista la pena di morte per chi osava accettare l’insegnamento di questi maghi ed inoltre, in questo caso, Matteo scrive che vengono dall’oriente, cioè sono pagani.
Diceva un detto ebraico: uccidi il migliore dei pagani e avrai ucciso il più schifoso dei serpenti. Per i pagani non c’era speranza di resurrezione, non c’era speranza di salvezza.
“…e dicevano: «Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo»”. Facciamo un attimo mente locale: queste persone, che esercitano un’attività maledetta dalla Bibbia, un’attività riprovevole, affermano che c’è un nuovo re dei Giudei. C’è un neonato re dei Giudei perché  Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”.
Quando si fa il presepio si mette generalmente una stella cometa: la cometa è tratta da una tradizione del millequattrocento3. In realtà i maghi parlano di una normale stella e occorre rifarsi ad una credenza dell’epoca che affermava che in occasione della nascita dei grandi personaggi sorgeva una stella che poi sarebbe scomparsa alla sua morte (vedi nota 3).
Matteo nello specifico si rifà, lui che è un grande teologo, ad una profezia dell’AT dove, indicando il futuro capo del popolo, si diceva: “Io lo vedo, ma non ora; io lo contemplo, ma non in vicinanza; una stella sorge in Giacobbe, uno scettro si leva in Israele” (cfr. Nm 24,17).
L’evangelista in pratica dice: quel segno che era dato per Israele, Israele non l’aveva compreso, ma l’avevano compreso delle persone pagane.
La lezione di Matteo è importante: sono i pagani quelli che faranno conoscere le profonde verità di Dio ai credenti e questo messaggio è presente in tutto il vangelo: saranno sempre i pagani, in questo vangelo, quelli che catechizzeranno gli israeliti.
All'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme”. Che Erode si turbi o meglio, si spaventi4 lo si capisce benissimo, lui è il re dei giudei e gli viene detto: dov’è il nuovo re dei giudei? Erode era ossessionato dal potere che aveva conquistato in una maniera oscura e illecita, era sospettoso persino dei propri familiari, ne assassinò una dozzina e mise a morte anche i propri figli, uno addirittura cinque giorni prima di morire5.
Erode quindi si spaventò e “con lui tutta Gerusalemme”. Questa seconda parte della frase necessita un spiegazione: dicevano gli ebrei che Israele era il centro del mondo, al centro di Israele c’era Gerusalemme ed al centro di Gerusalemme c’era il Tempio del Signore. Quindi Gerusalemme non era una città come le altre, era la città santa, la città sacra che Dio aveva scelto come sua dimora: nel tempio c’era la gloria di Dio, la presenza di Dio. Quindi Gerusalemme rappresenta l’istituzione religiosa giudaica.
Il tempio di Gerusalemme era una delle meraviglie del mondo, lo spazio sacro più grande dell’umanità, ed era di uno splendore incredibile. Gerusalemme era la città abitata dai sommi sacerdoti, da tutte le persone pie e devote, ma all’annunzio che è nato Gesù si spaventa, si sconvolge: nel vangelo la stella dei maghi non brillerà mai sopra Gerusalemme; Gerusalemme è sotto una cappa mortale e infatti Gesù resuscitato non apparirà mai in Gerusalemme; apparirà invece fuori Gerusalemme, in Galilea. Gerusalemme era la città assassina e maledetta che uccide i profeti e li uccide in nome di Dio.
Gerusalemme deve tutto il suo potere, il suo prestigio all’esistenza del tempio e lo basa sulla religione ufficiale, su quella che i sacerdoti spacciavano essere il vero rapporto con Dio.
Matteo non sta facendo altro che anticipare quello che sarà il contenuto di tutto il vangelo. Gerusalemme, anziché accogliere il suo re, all’idea che sia nato si spaventa perché tra le cose che farà Gesù ci sarà l’eliminazione del culto. Quando Gesù entra nel tempio e, fatta una frusta di cordicelle, incomincia a cacciare i mercanti, Gesù caccia quelli che vendono, ma anche quelli che comprano. Quello che Gesù non tollera è il culto così come veniva realizzato nel tempio, perché veniva presentato un Dio sanguisuga che chiedeva continuamente doni alle persone, doni che naturalmente non andavano a Dio ma andavano ai sacerdoti.
Ecco allora che tutta Gerusalemme è sconvolta, è allarmata, perché se questa nuova mentalità  va avanti, per loro è la fine.
Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo; due volte nel Vangelo di Matteo c’è questa espressione ed è sempre in una situazione rischiosa per Gesù. Qui Erode riunisce tutti i capi dei sacerdoti per conoscere il luogo dove è nato Gesù, per poi eliminarlo. Questa espressione “tutti i capi dei sacerdoti” la ritroviamo al capitolo 27, quando si riuniscono per decidere di eliminare Gesù, per crocifiggerlo.
“Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo
che sarà il pastore del mio popolo, Israele
»”.
Può sembrare strano: qui ci sono i teologi, gli scribi, i sommi sacerdoti, i sapienti, i conoscitori della scrittura, ma questa non incide nella loro esistenza. La conoscenza della scrittura non è garanzia della conoscenza del Signore. Si può studiare, si può stare tutto il giorno con il naso attaccato alla Bibbia, ma se non c’è il bene dell’uomo come valore massimo della propria esistenza, la Bibbia non si capisce: infatti non muoveranno un dito per andare ad accogliere il loro re.
Nella risposta dei teologi ufficiali, cioè degli scribi, Matteo mette insieme due testi, secondo la tecnica dell’epoca. Uno è la profezia di Michea, al cap. 5. In Michea si leggeva: E tu Betlemme di Efrata, così piccola per essere tra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore di Israele”. L’Evangelista cambia queste due ultime parole con un testo tratto dalla secondo libro di Samuele, cap. 5 che dice: “.. il Signore ti ha detto, tu pascerai Israele, mio popolo” 6.
C’era una tremenda profezia di Ezechiele (cfr. Ez 34) che diceva, voi siete i pastori del popolo, ma voi anziché curarvi del gregge lo tosate e lo sacrificate per il vostro interesse e, era il Signore che parlava, io vi eliminerò tutti quanti. Farò sorgere un pastore, un mio rappresentante che eliminerà voi, falsi pastori.
Quando sanno che nasce il Pastore, i sommi sacerdoti capiscono che per loro è finita. I sommi sacerdoti sono i falsi pastori che il vero pastore eliminerà.
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo».
Questo dal punto di vista storico non regge! Con tutti gli informatori, gli sgherri, le spie che Erode aveva, sapendo che Betlemme era un borgo di poche case, distante 8 km da Gerusalemme e quindi neanche tanto lontana, possibile che avesse bisogno di questi pagani, di questi stranieri? Erode è stata una persona di grande furbizia e di grande astuzia e non per niente è riuscito a governare per cinquant’anni. E’ chiaramente una costruzione letteraria per dare il tempo tecnico necessario all’incontro che segue.
Udito il re, essi partirono”, ricordate, quando leggete il vangelo lo dovete tenere presente, ogni volta che l’evangelista usa l’espressione “ecco”, significa che c’è una sorpresa, “Ed ecco la stella…” . Dov’era finita la stella? I maghi avevano seguito la stella, ma sopra Gerusalemme la stella non aveva brillato.
“Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino“. Qui la stella si comporta come il Dio dell’AT che guidava il suo popolo.
Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Guardate le due reazioni contrapposte: i giudei a Gerusalemme all’annunzio della nascita del re si spaventano, sono terrorizzati; i pagani, i miscredenti, quelli ritenuti i maledetti da Dio, vedendo i segni di Dio provano una grandissima gioia. Sono quindi i pagani, quelli che provano un sentimento di pienezza come quello di una immensa allegria.
“Entrati nella casa...”: attenzione, nel presepio mettiamo Gesù in una grotta o in una stalla; nei vangeli, il testo lo dice chiaramente, Gesù nasce in una casa. Continuate a mettere pure l’asino ed il bue in questa stalla o in questa grotta, ma in questa casa non c’era né l’asino, né il bue: sono le tradizioni del passato che hanno romanticizzato questo episodio snaturandolo e facendo smarrire il significato originario7.
Gesù perciò nasce e dimora in una casa, naturalmente la casa palestinese di allora, che non assomiglia certo alle nostre case.
Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. il padre, Giuseppe, è stato eliminato dell’evangelista perché nella tradizione biblica il re veniva sempre presentato solo con la regina madre.
Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra.”. Questo verbo offrire è un verbo tecnico: a quel tempo c’erano delle precise regole di scrittura, avevano determinati verbi, determinati nomi che si adoperavano soltanto per alcune categorie o per esprimere alcune verità. Quando erano presenti i pagani non si usava mai il verbo offrire, perché il verbo offrire è un verbo esclusivo del popolo giudaico: invece qui l’evangelista adopera il verbo offrire anche per questi maghi, per questi pagani.
Questa è la prima indicazione. “.. gli offrirono in dono oro, incenso e mirra”. Sono tre doni di una importanza straordinaria: in questo brano Matteo anticipa e riassume tutto il messaggio del Vangelo.
L’oro è simbolo di regalità ed offrendolo a Gesù, che insieme alla madre è stato presentato come si rappresentava il re, sta a significare che Gesù non è solo re dei giudei ma anche dei pagani. Quella che era una prerogativa esclusiva del popolo di Israele, quella di essere il regno di Dio, si estende, con l’offerta dell’oro da parte dei pagani a Gesù, anche a tutta l’umanità.
Vi sarà conflitto tra Gesù ed il suo popolo e tra Gesù ed i suoi discepoli, perché mentre Gesù è venuto ad annunziare il regno di Dio, loro pensano invece al regno di Israele.
Al posto del regno di Israele, al posto della patria, Gesù annunzierà il regno di Dio: non c’è più una nazione con i suoi confini, non c’è più il sacro suolo della patria, espressione ipocrita che nasconde soltanto gli egoismi di chi non vuole spartire con gli altri il proprio benessere, ma c’è il regno di Dio e non esistono più confini.
L’altra offerta è quella dell’incenso. Se guardiamo le cose dal punto di vista storico possiamo pensare che l’oro poteva far sempre comodo, ma a Gesù, a Maria e Giuseppe gli vanno ad offrire l’incenso! L’incenso era l’elemento specifico del servizio sacerdotale: era uno degli elementi adoperati nel rituale del tempio, per i sacrifici di ringraziamento, per le richieste di protezione ed era di uso esclusivo dei sacerdoti. Allora qui si realizza quello che avevamo detto prima: il privilegio di essere il popolo sacerdotale, non viene più limitato ad una singola nazione ma viene esteso anche a tutta l’umanità.
La cosa è clamorosa perché si tratta di pagani, di persone che venerano altre divinità, di persone che vivono al di fuori della legge: la possibilità di essere popolo sacerdotale, (sacerdote significa avere la possibilità di comunicare direttamente con Dio), viene estesa anche al mondo pagano. Vedete che qui l’evangelista non fa altro che anticipare quella che poi sarà la predicazione di Gesù e delle prime comunità cristiane.
Infine la mirra: anche qui lo stesso discorso. Si capisce l’oro che può far comodo, l’incenso che già non si capisce, ma la mirra, questo unguento, questo profumo! Perché proprio la mirra e non un altro tipo di profumo? Nell’AT e specialmente nel Cantico dei Cantici la mirra è il profumo con il quale la sposa si profuma per il suo re. E’ il profumo della sposa, che lei sparge sul suo corpo e sul suo letto, per il suo sposo. Il rapporto tra Dio ed il suo popolo, (specie nelle parole dei profeti e Osea tra questi è stato tra i primi), era immaginato come quello tra uno sposo e la sua sposa. Dio era lo sposo ed il popolo di Israele era la sposa. Ebbene anche questa prerogativa esclusiva del popolo di Israele è estesa ai pagani: non c’è più un popolo sposa di Dio – sposa significa in comunicazione intima, un rapporto intimo – ma questo viene esteso a tutta l’umanità.
Quindi le tre caratteristiche che erano ritenute esclusive di Israele, quelle di avere Dio per re, quella di essere un popolo sacerdotale e sposa di Dio, vengono estese pure ai pagani. Vedete perciò che questo episodio dei maghi, al di là della aneddottica e delle figurine del presepio, si presenta con un grande valore, un grande significato teologico e dimostra quello che sarà il motivo conduttore dell’azione di Gesù, il Dio-con-noi.
“Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.”
L’autore del vangelo, (più avanti si smaschererà e parlerà di se stesso come di uno scriba), scrive per persone che sono del mondo culturale giudaico, e adopera anche delle sfumature che a noi non sembrano tanto importanti.
Guardate ad esempio questa espressione: “…per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”:  per chi conosce la storia di Israele si accende una luce. Il termine bet in ebraico significa casa, Bet-lehem significa casa del pane. Uno dei nomi di Dio in ebraico è El o Eli ed il primo santuario che è stato costruito in Israele è stato chiamato Bet-El che perciò significa la casa di Dio. Vi furono poi delle deviazioni dal culto originario: all’interno di questo primo santuario vi posero un vitello d’oro; dopo questo fatto il nome di questo santuario fu trasformato in Bet-Aven che significa casa del peccato o casa funesta. Nei libri dei profeti questa espressione “per un’altra strada” (che è rarissima nell’AT) viene usata per indicare l’abbandono del santuario di Bet-El che da casa di Dio è diventata casa del peccato. E’ una denuncia che l’evangelista fa nei confronti di Gerusalemme: Gerusalemme non è più la casa del Signore, ma la casa del peccato, la casa funesta perché invece di accogliere il dono di Dio per l’umanità si è spaventata e cercherà in tutte le maniere di ucciderlo.

Note: 1. L’Idumea era un territorio a sud di Israele, corrispondente all’odierna Giordania del sud. – 2. Mi sembra inutile dirlo, comunque io non parlo di Re Magi in quanto la regalità dei "magi" non è attestata nelle fonti canoniche cristiane, né dai Padri della Chiesa, tuttavia i "magi" divengono “Re magi” nella tradizione liturgica cattolica in quanto la festa della Epifania è collegata al Salmo 71(72),10: Il re di Tarsis e delle isole porteranno offerte, i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi. A lui tutti i re si prostreranno, lo serviranno tutte le nazioni.” – 3. L'ipotesi che la stella di Betlemme fosse una cometa, o qualcosa di simile, risale a Origene, teologo e filosofo greco del II secolo, che non si basa su tradizioni precedenti, ma suppone che si sia trattato di una nuova "stella", cioè di un evento eccezionale, probabilmente allo scopo di non deviare dal rifiuto della pratica astrologica, consueto fra i cristiani (cfr. Contra Celsum, I, 58-59 citato nella voce “Stella di Betlemme”, del Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede). Origene cita il perduto trattato "Sulle comete", scritto dal precettore di Nerone, Cheremone, secondo il quale era prassi accettata che l'apparizione di comete o nuovi astri segnalasse la nascita di importanti personaggi ed era quindi plausibile che i Magi si fossero messi in viaggio al suo apparire. L'identificazione della "stella" con una cometa diventò opinione comune solo nel XV secolo, un secolo dopo l'opera di Giotto, l'Adorazione dei Magi nella Cappella degli Scrovegni a Padova che la ritrae sopra la stalla. – 4. La traduzione con il verbo turbare appare non proprio esatta; meglio spaventare come la traduzione CEI del 1974. – 5. Erode era oramai molto grave ed il figlio già indossava gli abiti regali, pensando: tra poco mio padre muore e quindi regnerò io. Erode, sentendo che il figlio si atteggiava già a re, cinque giorni prima della sua morte lo fece strangolare. Questo, tanto per dare un’idea di chi era questo despota. – 6. Matteo fa questa operazione perché Gesù non sarà mai il dominatore di Israele, sarà il buon pastore. – 7. Lo si vede meglio nel vangelo di Luca: l’idea di questa coppia di sprovveduti che arriva a Betlemme proprio nel momento in cui Maria deve partorire il figlio; che nessuno vuole accogliere, che si rifugiano in un posto, che è inverno e fa freddo, ma per fortuna che c’erano un asino ed un bue che facevano un po’ da termosifone, tutto questo non c’è nei vangeli, sono fantasiose costruzioni medioevali che sono giunte fino a noi che, per inveterata abitudine, non conosciamo i vangeli, anzi non li leggiamo mai e ci fidiamo delle tradizioni.

mercoledì 1 gennaio 2014

Seconda Domenica dopo Natale



Seconda  domenica dopo Natale – Gv 1, 1-18

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
 Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,  e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me».
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

"In principio era il Verbo". Giovanni si riallaccia all’espressione: "In principio", che è esattamente la prima parola con la quale inizia la Bibbia: "In principio Dio creò il cielo e la terra" Gn1,1). L’autore di questo vangelo non è d’accordo e smonta tutto il bagaglio teologico della creazione che si era radicato nei secoli in Israele.
Dice Giovanni che in principio, esisteva già il "logos" usando un termine greco che non è facile tradurre perché ha un’incredibile varietà di significati. La CEI traduce con "verbo", ed è una traduzione tutto sommato esatta; però in questa espressione manca la ricchezza del significato che ha la parola greca.
"Logos" è un termine che da una parte significa "progetto" e da un’altra, in quanto progetto formulato, significa "parola"(1). Giovanni, in questo prologo, dice che fin dall’inizio, prima ancora della creazione del mondo, Dio aveva un progetto.
Gli ebrei credevano e credono che quando Mosè è salito sul monte Sinai abbia ricevuto due leggi: quella scritta nelle tavole e un’altra, orale, che consiste nella spiegazione di quella scritta. Questa legge orale si è trasmessa nei secoli di padre in figlio e, circa a metà del I secolo, quindi all’epoca di Gesù, è stata messa per iscritto e chiamata Talmud. Il Talmud dice che il mondo fu creato per le dieci parole, cioè i dieci comandamenti: quindi, secondo la teologia ebraica, nell’osservanza dei dieci comandamenti dati da Dio a Mosè si realizza la creazione.
Giovanni non è d’accordo, per questo dice: fin dall’inizio, prima di creare il mondo, prima della creazione, c’era una parola che annulla le altre dieci parole, perché di valore incommensurabile, una parola che si esprime in un unico comandamento. Quello stesso comandamento che Gesù, al capitolo 13 del Vangelo di Giovanni, eprimerà così : "Vi do un comandamento nuovo(2), che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amato"(Gv 13,34).
Continua Giovanni: in principio c’era questo progetto, questa parola e l’evangelista sottolinea che "il Verbo era presso Dio"; questo progetto era qualcosa che gli stava a cuore, prima ancora di creare il mondo, il quale è stato creato proprio per la realizzazione di questo progetto.
Ed ecco la rivelazione fantastica che fa Giovanni: "e il Verbo era Dio". Potremmo tradurre anche: "e un Dio era questo progetto". Il progetto di Dio sull’umanità, sull’uomo, è qualcosa di incredibile: Giovanni ci presenta un Dio talmente innamorato dell’umanità, che non gli basta aver creato l’uomo in carne e ossa, ma lo vuole innalzare alla sua stessa condizione divina!
Giovanni torna ancora sull’argomento per far comprendere quanto sia importante questo progetto. Infatti dice: "Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste." Notate la ripetizione, la sottolineatura: l’evangelista ci vuol far comprendere chiaramente quello che sta dicendo; vuole sottolineare due aspetti. Come prima cosa, tutto quello che è stato creato, è stato creato in funzione di questo progetto; e, d’altra parte, non esiste nulla nella creazione che non sia frutto di questa volontà divina.
Ci dice Paolo che "la creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio"  (Rm 8,18). La creazione non è terminata perché l’uomo non ha raggiunto la pienezza della condizione divina: Dio non si è manifestato ancora completamente e non si manifesterà completamente, fintanto che ogni uomo non avrà la possibilità di rispondere al progetto che Egli ci propone. Per questo, nei Vangeli si parla dell’affanno di Dio per il singolo; ricordate la parabola delle cento pecore? Ne manca una e Gesù va in cerca, perché fintanto che tutti quanti non fanno parte di questo gregge d’amore, il pastore non è contento (Mt 18,12-14; Lc 15, 4-7).
Continua Giovanni, "In lui era la vita ". È la prima volta che nel Vangelo di Giovanni appare questo termine "vita"(3), un termine che, al confronto con gli altri evangelisti, Giovanni userà molte volte. Questo progetto di Dio sull’umanità contiene la vita: se una persona è in comunione con Dio, ha una vita talmente esuberante da poterla trasmettere agli altri.
E l’evangelista aggiunge: "e la vita era la luce degli uomini". Anche qui, Giovanni dà un colpo alla teologia ebraica; nella teologia ebraica si diceva tutto il contrario, si pensava: c’è una legge, e l’osservanza di questa legge illumina la vita.
Giovanni, che esprime il pensiero di Gesù, spazza via tutto questo. Non è una legge esterna all’uomo quella che ti guida nella vita, ma è la vita che è luce per i tuoi passi. È il rispondere a quel desiderio di pienezza che ogni uomo porta dentro di sé, è lo sviluppare e sprigionare quella pienezza di vita, che ti illumina e ti fa capire come camminare. È l’inno all’ottimismo di Dio sull’umanità: non un Dio pessimista, ma un Dio talmente ottimista e contento della sua creazione che non dice all’uomo: "adesso ti do una serie di leggi e se non cammini dentro a queste, attento a te!", ma dice all’uomo: "rispondi al desiderio di pienezza che hai dentro di te e quello ti farà comprendere qual è il cammino verso la luce".
Continua Giovanni: "la luce splende nelle tenebre…": la luce è una metafora con la quale si indica il gruppo dei credenti che hanno accolto questo messaggio d’amore. Il compito della luce è di splendere, non di lottare: qui Giovanni prende le distanze dai gruppi fanatici della sua epoca, che si chiamavano "figli della luce" e pensavano di dover essere continuamente in lotta contro i figli delle tenebre.
"…ma le tenebre non l’hanno accolta". Giovanni scrive in un momento in cui da tempo erano cominciate le persecuzioni per la comunità dei credenti, come si legge in questa espressione di Gesù: "Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!"(Gv 16,33). Giovanni rassicura la comunità dei credenti: le tenebre non l’hanno estinta.
Continua il Vangelo: "Apparve un uomo inviato da Dio e il suo nome era Giovanni". Caliamoci nell’ambiente culturale dell’epoca: appare un inviato da Dio. Un inviato da Dio deve essere senz’altro un personaggio importante, un sacerdote, un santo: niente di tutto questo! La parola di Dio è stata inviata a un uomo di nome Giovanni (Giovanni in ebraico significa "misericordia di Dio") e "Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui”. Questo è il compito di Giovanni; non è quello di essere la luce, ma di risvegliare questo desiderio di pienezza di vita. Questo invito è rivolto a tutti, perché la tenebra - che rappresenta i poteri che impediscono all’uomo la libertà - ha coperto tutta l’umanità.
Ma, sottolinea Giovanni (lo farà tante volte), "Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce". Giovanni, al suo apparire, venne accolto come il Messia, ed ancora due secoli dopo la morte di Gesù esistevano discepoli di Giovanni che credevano che fosse lui il Messia e non Gesù. Questo perché Gesù era una persona comune, vestiva come una persona comune, mangiava, beveva, si comportava normalmente; non aveva nessuno di quegli aspetti che contraddistinguevano, secondo la loro mentalità, un uomo di Dio. Un uomo di Dio si doveva riconoscere dalla sua vita ascetica; Gesù vita ascetica non ne ha mai fatta, anzi andava pure a pranzo nei giorni di digiuno.
Gesù rivoluziona il concetto di "uomo di Dio". Lui, che era l’"uomo di Dio" per eccellenza, lo manifesta non attraverso atteggiamenti esteriori di ascetismo o di spiritualismo, ma trasmettendo una qualità d’amore che assomiglia a quella di Dio.
Purtroppo questo amore non è stato accolto da tutti. Sottolinea ancora Giovanni che "Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo". E assicurando che questa luce, questo anelito di pienezza di vita che permette la comunione di Dio, è proprio quella vera, Giovanni, come gli altri evangelisti, cancellerà la vecchia categoria del credente visto come l’obbediente a Dio, per inaugurare quello della somiglianza a Dio. Con Gesù, il perfetto credente non è colui che obbedisce a Dio osservandone le leggi, ma colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al Suo.
"Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe". È una denuncia tragica! Scriverà più volte Giovanni in vari brani: "in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete" (Gv 1,26), "chi mi ha mandato voi non lo conoscete" (Gv 7,28), "voi non sapete da dove vengo o dove vado"(Gv 8,14), "voi non conoscete né me né il Padre" (Gv 8,19), "non conoscono colui che mi ha mandato" (Gv 15,21).
Questa mancata conoscenza di Dio determinerà la tragedia del popolo: la gerarchia religiosa pretendeva di far conoscere la volontà di Dio al popolo, ma in realtà non lo conosceva.
Continua ancora Giovanni: "Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto". Triste costatazione: Dio si era preparato il suo popolo; quando finalmente si manifesta, i suoi non lo accolgono. I vangeli sono estremamente radicali: o con Gesù, o contro Gesù. La via di mezzo, nei vangeli, non è conosciuta.
Sempre la scuola giovannea, nel libro dell’Apocalisse, parlando alla comunità scrive: "conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca" (Ap 3,15-16). La via di mezzo, quella che per molti cristiani sembra la migliore, non fa parte della proposta di Gesù.
Tante volte ci sono persone che si presentano dicendo: non sono né un santo né un peccatore, io non rubo, non ammazzo, mi faccio i fatti miei. Ecco la risposta che Giovanni da a queste persone nell’Apocalisse: Gesù dice "e io ti vomito".
Meglio peccatore che tiepido: perché un peccatore, una volta che viene raggiunto dall’amore di Dio, è capace di tirare fuori anche qualche cosa di straordinario, di buono; ma da quelli che sono nati tiepidi, che non hanno fatto mai qualche grosso peccato, quelli che si sono sempre tenuti nel mezzo, non si ricaverà mai niente, per Gesù sono inutili. O santi(4) o peccatori!
Ma ecco finalmente, una buona notizia, la migliore: "A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio". Giovanni, con questa espressione, cancella ancora una volta un concetto tipico della religione: la dottrina religiosa ebraica, (e purtroppo molto spesso anche quella della Chiesa sia cattolica che protestante; meno evidente in quella ortodossa), ha presentato Dio come un signore e l’uomo come un suo servo.

Giovanni ci presenta non un Dio che si fa servire dall’uomo, ma un Dio che si mette al servizio dell’uomo. Questo tema verrà spiegato dal Vangelo di Giovanni con l’episodio della lavanda dei piedi (Gv 13,1-20), che era un compito degli schiavi. Noi dobbiamo accogliere questo servizio che Dio fa nei nostri confronti; è un servizio d’amore, è Dio che ci innalza al suo stesso livello, e con Lui e come Lui dobbiamo dirigerci verso gli altri.
Non si è "figli di Dio" per nascita, ma lo si diventa mediante la pratica di un amore che assomiglia a quello di Dio.
Quindi essere "figli di Dio", è un avvenimento dinamico; non è nemmeno l’atto del Battesimo che ci trasforma in figli di Dio, ma il vivere il Battesimo nel mondo ogni giorno rinunciando ai falsi valori del mondo. Per questo il Battesimo non è un sacramento da celebrare nei confronti di un bambino, ma nei confronti di un adulto cosciente e consenziente, perché un bambino non è ancora in grado di vivere questo sacramento.
Come possiamo renderci conto di essere figli di Dio? Vediamo tre aspetti: il primo, se siamo capaci, come Lui, di voler bene anche a chi non se lo merita. La caratteristica di Dio è questa: Dio non ci ama perché noi siamo buoni, ma ci ama perché Lui è buono. Il secondo aspetto è se siamo capaci di fare del bene senza aspettare nulla in cambio, perché così ha fatto Dio con noi. E il terzo, l’aspetto più difficile, è se siamo capaci, come Lui, di perdonare gli altri prima ancora che ci vengano a chiedere il perdono, perché così fa Dio nei nostri confronti. Dio ci dona amore nell’istante stesso in cui noi stiamo peccando. Infatti Paolo dice: "Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi" (Rm 5,8). Dio non aspetta che noi andiamo a chiedergli perdono, Dio ci concede il suo perdono prima ancora che glielo andiamo a chiedere. Se ci sono in noi questi tre aspetti, anche noi siamo i "figli di Dio". "Figlio", nella cultura dell’epoca, significa colui che assomiglia al Padre.
Pertanto, si diventa "figli di Dio" nella pratica di un amore simile a quello del Padre, un amore che, man mano che si esercita, sviluppa nuove capacità d’amare e fa sorgere ancora nuove possibilità di fare: è un amore che fa crescere l’uomo.
Si è sicuri di essere in comunione con Dio non perché si è dato l’assenso a delle verità teologiche ma perché si è data adesione a Gesù, modello dell’uomo e modello d’amore. Il mantenere questa adesione significa rinnovare continuamente, quotidianamente, quelle scelte che ci hanno fatto decidere per Gesù. Significa che, di fronte al desiderio di prestigio, alla sete di denaro, alla ricerca di potere, che sono gli atteggiamenti che causano la rivalità e l’odio nel mondo, il credente sceglie la condivisione e il servizio. E questo va mantenuto quotidianamente.
La scelta di essere "figli di Dio" non viene fatta una volta per sempre, ma, come dice Giovanni, l’adesione a Gesù va mantenuta. Quotidianamente c’è da rifiutare di arricchire perché si vuole condividere quello che si ha e quello che siamo con gli altri (è questa la vera ricchezza), da rifiutare situazioni di potere perché si vuole vivere soltanto in situazioni di servizio.
E, spiega ancora Giovanni, i "figli di Dio" sono “i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.” In realtà la traduzione letterale suonerebbe così: "coloro che non nacquero da sangui": è strana l’espressione di sangue al plurale: in ebraico(5) il plurale di sangue significa "spargimento di sangue", e Giovanni è l’unico evangelista a parlare espressamente di sangue nella crocifissione di Gesù, quando gli trafiggono il costato ed escono sangue ed acqua (Gv 19,34).
Possiamo allora tradurre in modo impreciso, ma più comprensibile, "coloro che non sono nati da un sangue qualunque, ma dal sangue di Gesù, che non sono nati per un disegno di una carne o di un uomo qualunque, ma dalla carne di Gesù", diventano figli di Dio: quindi non per generazione carnale, ma per l’adesione a colui che è il Figlio di Dio.
Questa divisione del sangue e della carne che troviamo nel vangeli si rifà al capitolo sesto, quando Gesù dice: "se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna" (Gv 6,52-53)(6). Queste non sono regole liturgiche per andare a fare la Comunione, ma sono indicazioni per un atteggiamento di vita.
Mangiare il corpo di Gesù non è una indicazione liturgica, ma significa accettare questo dono che Gesù ci fa; ma nel momento in cui lo si accetta, si accetta pure di diventare noi stessi dono per gli altri, si accetta di diventare pane affinché venga mangiato dagli altri. Così per il sangue.
Giovanni, smentendo la tradizione dell’Antico Testamento, dichiara, in aperta  polemica con la cultura e con la mentalità giudaica del suo tempo: “Dio nessuno l’ha mai visto”. Sembra una dichiarazione inesatta, addirittura fuorviante. Se andiamo a vedere i testi dell’A. T. (il libro dell’Esodo e il libro dei Numeri), almeno Mosè, Aronne ed Elia hanno visto Dio. Anzi l’autore, per darci la garanzia che l’hanno visto, dice: “Essi videro Dio e tuttavia mangiarono e bevvero”(7).
Secondo Giovanni, tutte le esperienze di Mosè, Aronne ed Elia sono state esperienze parziali e limitate e, pertanto, la volontà di Dio che essi intendono esprimere, non corrisponde integralmente al vero.
Se andiamo a vedere il racconto dell’incontro tra il Signore e Mosè, Mosè non riesce a vedere il volto di Dio, ma riesce a vederlo solo di spalle. Mosè ha avuto una visione parziale, per cui la legge di Dio che Mosè ci ha presentata come volontà di Dio, era una legge imperfetta perché, non avendo avuto Mosè la perfetta esperienza di Dio, non poteva presentare e fare conoscere la volontà di Dio.
Con questa affermazione Giovanni relativizza tutti gli insegnamenti dell’A.T. Le norme cultuali e i tabù provenienti dalle tribù beduine e nomadi di 1300 anni prima(8) non possono ancora condizionare la vita dei credenti.
“Dio nessuno lo ha mai visto”. La legge che intendeva esprimere la volontà di Dio, è imperfetta. “L’unico figlio che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato”. Solo la parola di Gesù esprime la volontà del Padre.

Note: 1. Faccio un esempio banale: se dico "casa", è una parola che contiene in sé un’idea, un progetto di una particolare casa che ho in mente; dicendo "casa" esprimo quindi una parola che in sé possiede già un’immagine, un’idea, una volontà realizzatrice. – 2. In greco ci sono due espressioni per dire "nuovo": una che significa: "aggiunto nel tempo" e l’altra che significa: "una qualità che annulla tutto il resto", un qualcosa di nuovo che è talmente bello che fa scomparire tutto il resto. Ebbene, Giovanni non usa il termine "aggiunto nel tempo", ma usa il termine che significa una qualità talmente eccellente da oscurare tutte le altre. – 3. Una piccola parentesi: Giovanni usa la parola greca “zoe” e non gli altri due termini che in greco esprimono il concetto “vita”. La cosa non è senza significato. Penso che uno studio accurato del significato di ciascuno dei tre termini greci potrebbe portare un contributo non indifferente di chiarezza sulla posizione cattolica in merito all’inizio ed alla fine della vita umana. – 4. La santità, nel cristianesimo, non è quella che si esprime attraverso la mortificazione e la preghiera, ma quella che si esprime nella dedizione agli altri anche a scapito dei propri interessi: solo così, dice Gesù, si avrà “…una misura piena, scossa e con l’aggiunta”. – 5. Attenzione: anche se tutti i vangeli sono stati scritti in greco, la base culturale degli evangelisti (ad esclusione di Luca) è semitica, ed il modo di esprimersi è sempre più vicino all’ebraico che al greco. Nel caso di Luca, di evidente cultura greca, mantiene il modo semitico di esprimersi in tutte quelle parti del suo vangelo che fanno riferimento a Marco e alla Fonte Q. – 6. Per spiegare pienamente queste parole, non facilmente comprensibili anche per la mentalità dell’epoca, occorrerebbe un lungo discorso. In estrema sintesi essi si rifanno alla concezione ebraica della condivisione della conoscenza e della condivisione conviviale della vita in una comunità. – 7. La cultura ebraica dell’VIII secolo a.C. (periodo Elohista, Regno di Israele del nord) prevedeva la morte per coloro che vedevano Dio; ecco perché, al contrario dei periodi precedenti, in questo periodo le manifestazioni di Dio vengono descritte attraverso sogni, visioni e messaggi (in greco anghelos, da cui è derivata la nostra parola angeli). – 8. Gli storici, supportati dagli archeologi, ritengono che gli eventi relativi all’abbandono dell’Egitto da parte del popolo ebraico risalgono al 1260 a.C. La data è, chiaramente, indicativa.