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Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


martedì 24 maggio 2011

Domenica 29 maggio 2011 – VI Domenica di Pasqua – Gv 14, 15- 21

 

«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.

Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.

Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui».

E' opportuno leggere anche i versetti che seguono (Gv 14, 22-26):

Gli disse Giuda, non l'Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?». Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.

Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

 

Io penso che morirò prima di capire quali sono i criteri che ispirano i liturgisti nella scelta dei brani di vangelo da inserire nel lezionario. Come si fa a spezzare a metà un così importante, direi basilare, brano di vangelo che costituisce, almeno secondo le parole di Giovanni, la motivazione teologica della costituzione della Chiesa?(1). La risposta non esiste. Sento quindi la necessità di sviluppare l'esegesi del brano nella sua interezza, dal versetto 15 al versetto 26.

La struttura(2) del brano in questione è complessa e preavviso che la sua comprensione richiede un minimo di ragionamento teologico che può risultare un po' ostico.

Il brano si può dividere in due parti: la prima è delimitata dai vv. 15-21 e ha il suo centro nel v.18, attorno al quale ruota tutta la prima parte: "Non vi lascerò orfani: verrò da voi"; la seconda parte, delimitata dai vv.22-26, è introdotta da una domanda(3) di Giuda sul perché Gesù si rivela soltanto ai discepoli e non a tutto il mondo.

La prima parte è animata da numerosi soggetti e ne definisce i rapporti tra loro: Padre, Figlio, Spirito, i discepoli e il mondo. La seconda parte, invece, pur riprendendo la prima, definisce prevalentemente l'opera dello Spirito.

L'intero brano è percorso da un continuo rincorrersi degli stessi concetti che in realtà, ad ogni ripetizione, aggiungono qualcosa di nuovo. Questo è un modo caratteristico di scrivere di Giovanni, modo che gli specialisti chiamano "pensiero a spirale": il v.15 annuncia il tema: "Se mi amate, osserverete i miei comandamenti". La prima conseguenza è la preghiera di Gesù al Padre perché mandi lo Spirito sui suoi discepoli; il v.21 riprende il tema e vi fa un'aggiunta: il Padre e Gesù amano chi li ama e si riveleranno a lui; il v.23 riprende nuovamente il tema e vi fa un'ulteriore aggiunta: il Padre e Gesù verranno da chi li ama e prenderanno dimora in lui.

"Se mi amate, osserverete i miei comandamenti": il greco, che è una lingua ben più ricca dell'italiano, per indicare l'atto dell'amare usa tre verbi: "erao" per indicare l'amore fisico, sessuale; "fileo" per indicare un amore affettuoso, amichevole; "agapao" per indicare un amore al difuori della passione e dell'affetto, che si esprime in un interesse profondo per la persona oggetto dell'amore che spinge a preoccuparsi di lei ed ad adoprarsi per il suo bene.

Quando nel NT si parla dell'amore di Dio per l'uomo o dell'amore del Padre verso il Figlio, il verbo usato è "agapao". Possiamo dire che il verbo "agapao" assume così dei connotati divini.

Per dire "se mi amate", Giovanni usa proprio il verbo "agapao", indicando, quindi, come l'amore che lega il credente a Gesù ha dimensioni divine. E' un amore che non ha nulla a che vedere con il nostro sentimento o la nostra passionalità(4), ma indica la totale apertura del credente a Dio, il suo aderire a lui con la vita. Diventa quindi logico "l'osservare i comandamenti". Il verbo greco usato è "tereo" che significa "aver cura, custodire". Non si tratta, quindi, di eseguire forzatamente dei comandi, ma di abbracciare una logica divina che porta alla somiglianza con Cristo piuttosto che all'obbedienza(5).

E' questo il tipo di rapporto che lega il credente a Gesù.

Gesù parla di "miei comandamenti"; il termine greco usato (entolé) è lo stesso che viene impiegato per indicare i comandamenti che Dio ha dato a Mosé(6). Questi comandamenti sono qui qualificati dall'aggettivo possessivo "miei(7)". C'è, quindi, una implicita contrapposizione tra Mosé e Gesù, tra la vecchia legge e la nuova legge, tra obbedienza ed amore che si identifica nella persona stessa di Gesù.

Diviene chiaro così che il rapporto che io devo avere con questa nuova legge, che in realtà è una persona, non è di una mera esecuzione formale, di obbedienza come lo era per la legge mosaica, ma di amore, cioè di un'adesione che è tentativo di somigliare che mi coinvolge esistenzialmente e mi proietta direttamente nella stessa vita di Dio.

Più avanti sarà chiaro che i rapporti che legano Padre-Figlio-Spirito e il credente sono identici; questo significa che, quando amiamo, il nostro non è più un amore umano, ma divino e il nostro vivere assume connotazioni divine, perché Dio vive in noi. E' questo il senso che Paolo esprime nella sua lettera ai Galati quando dice: "non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2,20).

"Io pregherò il Padre ed egli vi darà...". Giovanni usa i verbi al futuro. E' da chiedersi, perché Gesù non domanda subito a suo Padre il dono dello Spirito per i suoi discepoli. Sembra quasi che lo Spirito, che risiede in Gesù dal momento del suo battesimo nel Giordano(8), non possa essere ancora donato. Esso verrà donato soltanto dopo la morte e risurrezione di Gesù. Soltanto al momento della sua morte, quando, dopo aver dichiarato che "Tutto è compiuto" (Gv 19,30), Gesù "chinato il capo, spirò". La traduzione di quel "spirò" non è corretta: il testo greco, infatti, dice "restituì lo Spirito". E' proprio, quindi, nel momento della sua morte, dopo aver compiuto la missione che il Padre gli aveva assegnato, che Gesù restituisce lo Spirito al Padre. Sarà proprio con questo Spirito che il Padre risusciterà Gesù, facendone l'oggetto di una nuova creazione e sarà proprio questo Spirito che verrà effuso da Gesù risorto sui discepoli.

"...un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre": Gesù, quindi domanderà al Padre di dare ai suoi discepoli "un altro consolatore".

"un altro", ma quanti "consolatori" ci sono? Il primo è Gesù stesso; è lui che fa da intermediario tra Dio e gli uomini e che intercede per essi presso il Padre. Ma quando Gesù non ci sarà più, ci sarà "un altro consolatore" che, a differenza di Gesù, rimarrà, invece, sempre in mezzo ai discepoli.

Questo consolatore, definito, come "Spirito di Verità" diventa colui che prosegue la missione di Gesù nel mondo: infatti, questo consolatore "v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà ciò che io vi ho detto" (Gv 14,26) e "mi renderà testimonianza" (Gv 15,26) poiché "prenderà del mio e ve lo annunzierà" (Gv 16,14).

Lo Spirito, quindi, altri non è che l'azione del Cristo risorto in mezzo al mondo, che accompagnerà sempre da vicino ogni credente e lo "guiderà alla verità tutta intera" (Gv 16,13).

La rivelazione che Gesù ci ha portato non è totalmente e immediatamente accettabile; c'è bisogno di tempo, di elaborazione, di esperienza di amore. L'azione dello Spirito accompagna il fedele lungo il cammino della storia, per farlo addentrare sempre più nell'amore che Dio riversa su di lui. Lo Spirito è l'intelligenza stessa di Dio che ci fa comprendere realtà che diversamente, con il solo sforzo umano, non sarebbero comprensibili. Egli quindi ci conduce alla piena comprensione della figura del Cristo, rivelazione piena del Padre e del suo progetto di amore per gli uomini.

"... lo Spirito di verità ..." il testo greco dice "lo Spirito della verità". Gesù stesso si definisce "Io sono la via, la verità e la vita" (Gv 14,6). Questo Spirito, quindi, definito dall'espressione "della verità" altri non è che lo Spirito di Gesù stesso o se vogliamo, quello Spirito che opera e si manifesta attraverso Gesù.

E' uno Spirito che "il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce ". In altri termini, il mondo, che in Giovanni assume sempre una connotazione tendenzialmente negativa, perché si contrappone alla rivelazione di Dio in Gesù (Gv 1,10), non è in grado di riceverlo. Infatti "non lo vede", cioè non ha creduto in lui, non si è aperto a lui, per questo non lo conosce, cioè non ha potuto sperimentarlo come è accaduto per i discepoli.

"…egli rimane presso di voi e sarà in voi.."; notate la diversità dei tempi dei verbi: uno al presente (rimane), l'altro al futuro (sarà). Questo significa che lo Spirito, in quanto pienamente presente in Gesù, già dimora in mezzo ai discepoli, grazie alla presenza di Gesù; ma esso non è ancora nei discepoli perché ciò avverrà soltanto dopo la risurrezione di Gesù quando Gesù effonderà su di essi il suo Spirito di verità: "Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: <<Ricevete lo Spirito Santo>>" (Gv 20,22).

"Non vi lascerò orfani: verrò da voi". E' il versetto centrale della prima parte (vv.15-21) ed è quello che le dà il senso. In Gesù non opera soltanto lo Spirito, ma anche il Padre. Anzi dire Gesù e dire il Padre è la stessa cosa. Infatti, a Filippo che gli dice "Signore, mostraci il Padre e ci basta" (Gv 14,8), Gesù risponde: "... Chi ha visto me ha visto il Padre ... io sono nel Padre e il Padre è in me" (Gv 14,9.11). Per questo la dipartita di Gesù è anche la dipartita del Padre e, quindi, noi, che siamo suoi figli, rimaniamo orfani.

Ma Gesù rassicura i suoi e afferma che non ci lascerà orfani, infatti egli ritorna a noi. attraverso il suo Spirito. Lo Spirito è il prolungamento dell'azione di Gesù in mezzo ai suoi e in mezzo al mondo, anzi è l'azione stessa di Gesù che continua a compiersi. Questa azione divina, dopo la risurrezione, si stabilirà proprio nei discepoli: "... sarà in voi". Quindi, quella di Gesù è una dipartita soltanto provvisoria, poiché dopo la risurrezione egli prenderà definitiva dimora nei suoi stessi discepoli, nella sua stessa Chiesa. Proprio in tal senso, Matteo ci dirà: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20).

"Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più .."; quando Gesù dice queste cose è ormai giunto alla fine della sua vita; per questo il mondo non lo vedrà più, perché il Gesù della storia sarà sottratto ai sensi e da essi non sarà più coglibile. Da dopo la sua risurrezione e, ancor più dopo la sua ascensione, Gesù può essere colto soltanto attraverso i "sensi" della fede. Per questo il mondo non lo potrà più cogliere, perché non ha mai creduto e tuttora non crede. I discepoli che, invece, hanno creduto fin dall'inizio, continueranno a vederlo, non fisicamente, ma con la fede. Da dopo l'ascensione di Gesù, infatti, comincia per il credente il tempo della fede.

"... perché io vivo e voi vivrete"; in greco per dire "vivere" ci sono tre verbi, ma quelli che interessano noi sono due: "byoo" che significa vivere la vita fisica (da cui l'italiano "vita biologica"); e "zao" che vuol dire vivere una vita superiore, intelletiva, di relazione elevata e qualificata(10). Ebbene, qui il termine usato è "zao", e, attribuita a Gesù, diviene la vita stessa di Dio.

Si noti come, anche qui, c'è un verbo al presente (vivo) posto accanto ad uno futuro (vivrete). Il verbo al presente sta ad indicare come questa vita in Gesù è costante e persistente. Egli, infatti, sarà presentato nell'Apocalisse come il "Vivente": "... Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho il potere sopra alla morte e sopra gli inferi(10)" (Ap 1,17-18). Gesù, quindi, vive di una vita divina, che neppure l'uomo, nella sua crudele stupidità, è riuscito a spegnere. Ebbene, anche il credente, proprio perché tale, proprio perché ha accolto la vita divina presente in Gesù, anche lui vivrà della stessa vita divina che pulsa in Gesù. Ciò che garantisce questa vita divina nel credente è proprio lo Spirito, quello stesso Spirito che palpita in Gesù.

"In quel giorno voi saprete ..."; questa espressione è strettamente legata al v.16 e ne è una sorta di completamento: "Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito" (v.16); ebbene "In quel giorno voi saprete ..." (v.20). Quindi il sapere e il conoscere del discepolo dipende tutto dal dono dello Spirito, l'unico in grado di condurci alla verità tutta intera (Gv 16,13).

Conosceremo che "io sono nel Padre e voi in me e io in voi". In altre parole comprenderemo quale tipo di rapporto intercorre tra Gesù e il Padre, tra Gesù e noi e, quindi, di conseguenza, quale rapporto c'è tra noi e il Padre.

"Chi mi ama sarà amato dal Padre mio ..."; anche qui notate l'accostamento dei verbi al presente e al futuro: l'amore per Cristo, che si manifesta nell'impegno di vita verso gli altri, è motivo di amore che scaturisce dal Padre. L'amare del Padre è posto al futuro perché l'amore del Padre si attua e si manifesta soltanto attraverso lo Spirito. Quindi soltanto quando lo Spirito sarà posto in noi, noi sperimenteremo l'amore del Padre, un amore che ci colloca nella stessa sua vita, per questo Gesù si "manifesterà a lui", cioè al discepolo che ama.

"... noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui": per la terza volta Giovanni riprende il tema di fondo: "Se uno mi ama, osserverà". Questo lo si è visto al v.15, al v.21 e qui, al v.23.

Qui vediamo un ulteriore sviluppo delle conseguenze dell'amore del discepolo verso la parola del suo maestro: Padre e Figlio verranno a lui. Il venire del Padre e del Figlio esprime il movimento di amore che trasporta l'amante verso l'amato; mentre il prendere dimora presso di lui dice la profonda compenetrazione tra amante e amato al punto tale che i due formano una cosa sola. Questo amore, che si concretizza nell'osservare la parola di Gesù, cioè nel conformare la propria vita a Cristo, ci porta gradualmente in un rapporto sempre più profondo e intimo con Cristo e con il Padre.

Tutto ciò è reso possibile grazie allo Spirito; tutto ciò è l'azione propria dello Spirito in noi.

"... egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto": questo v.26 intende presentare una sorta di carta di identità dello Spirito: innanzitutto viene definito Santo, cioè Spirito che appartiene a Dio. Ci viene detto da dove proviene: "il Padre lo manderà"; quindi anche lo Spirito, come Gesù, è un inviato dal Padre e frutto dell'azione del Padre.

Viene precisato che esso non opera mai direttamente, ma passa per il tramite di Gesù: "manderà nel mio nome". Ci viene detto che cosa fa: "vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà ciò che vi ho detto".

"Vi insegnerà" è il verbo proprio del maestro, il verbo che definisce la predicazione stessa di Gesù. Ciò sta a significare che l'insegnamento dello Spirito è quello stesso di Gesù. Infatti, Gesù dirà che lo Spirito "prenderà del mio e ve lo annunzierà" (Gv 16,14). Lo Spirito, quindi, non si inventa niente, ma dà soltanto attuazione a quanto il Padre ha progettato e Gesù ha realizzato.

L'altra sua funzione è quella di farci ricordare tutto ciò che Gesù ha detto. L'azione che lo Spirito qui compie non è solo una sorta di ricostituente per la nostra memoria, ma anche e soprattutto un far sì che questa memoria si compia in noi.

Il "ricordare" nel mondo ebraico significa "fare memoria", cioè rendere presente, attualizzare, avvenimenti compiutesi nel passato. Ed è proprio lo Spirito che "attua" questa memoria, cioè rende presenti in noi e in mezzo agli uomini gli insegnamenti di Cristo, ci aiuta a comprenderli e a compenetrarli sempre più. Se Cristo oggi è vivo ed è presente ancor oggi in ogni credente e nella sua Chiesa e per mezzo nostro ancora opera, ciò è dovuto all'azione dello Spirito che, riprendendo la missione di Cristo, continuamente la attualizza lungo il cammino della storia.

Con l'azione dello Spirito si ha l'atto di nascita della Chiesa come assemblea dei fedeli, come gruppo che agisce nella storia. La nascita della Chiesa è scandita in due tempi: quello del Gesù della storia; e quello del Gesù risorto.

Per quanto riguarda il Gesù della storia, leggendo attentamente i vangeli scopriamo che Gesù non ha mai avuto l'intenzione di fondare una chiesa, tuttavia ne ha poste le premesse nella sua predicazione del Regno di Dio (Mc 1,15), nell'aver formato attorno a sé un gruppo di fedelissimi, a cui ha lasciato in eredità il suo insegnamento, e nel suo tentativo di favorire con la sua predicazione e la sua opera un grande movimento di persone da orientare verso il Padre. Se ne ha traccia di questa sua intenzione nel suo lamento su Gerusalemme, riportatoci da Matteo: "Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e quelli che ti sono stati inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le tue ali, e non hai voluto!" (Mt 23,37).

Per quanto riguarda il Gesù risorto, vediamo come questi, subito dopo la sua risurrezione si incontra con i suoi discepoli e affida a loro una missione che, a ben guardare, altro non è che la prosecuzione o, se si vuole, il prolungamento della sua stessa missione, da lui iniziata quando ancora apparteneva alla storia: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate, dunque, e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28,18-19).

Ma tutto ciò non era ancora sufficiente perché la chiesa venisse fondata e si qualificasse come una reale prosecuzione della missione di Gesù. Era necessario e fondamentale che lo Spirito del Gesù risorto entrasse nei suoi discepoli, facesse con loro un unico corpo, così che l'agire dei discepoli fosse lo stesso agire di Cristo.

Ecco, pertanto, il momento della Pentecoste, il momento questo in cui lo Spirito del Gesù risorto scende sui suoi, li permea completamente di sé, ne fa un tutt'uno con lui.

Da questo momento in poi il Cristo risorto continuerà la sua missione in mezzo agli uomini, non più in forma diretta, come quando era nella storia, ma in forma mediata e sacramentale, ma per questo, non meno vera e meno reale o meno efficace.

Soltanto quando lo Spirito del Risorto si incarna nei discepoli tutta la missione del Gesù della storia, che ha lasciato in eredità ai suoi discepoli, prende nuovamente vigore e concretezza; diversamente egli sarebbe stato un semplice maestro, come tanti ve n'erano all'epoca; mentre i suoi discepoli sarebbero stati i propugnatori del pensiero filantropico del loro rabbi. La risurrezione di Gesù e il dono del suo Spirito, che ha fatto ai suoi discepoli, riscatterà interamente l'opera del Gesù della storia.

La Chiesa è nata così, come il naturale prolungamento della missione del Gesù della storia, che si è nuovamente incarnato nella sua Chiesa e in ciascuno di noi per mezzo del suo Spirito.

Per attuare questa missione l'assemblea dei fedeli si è data un'organizzazione, prima locale nei vari paesi e città, quindi, man mano che la fede in Cristo si espandeva, l'organizzazione si è fatta più complessa e, con l'editto di Costantino (3313 d.C.) ha scoperto il potere. Da questa scoperta sono derivati i mali che travagliano ancor oggi (forse più di ieri) la vita dei fedeli, che hanno provocato divisioni e parcellizzazioni e, soprattutto, un evidente allontanamento della Chiesa dai vangeli.

 

Note: 1. Qui con la parola Chiesa io intendo l'assemblea dei fedeli così come la esprime il vocabolo greco; quindi prendo in considerazione l'insieme delle persone che fanno riferimento a Gesù e non la struttura gerarchica che è stata costruita per dare all'assemblea una organizzazione utile al suo funzionamento ma che non richiede, per questo, una motivazione teologica. – 2. L'analisi che segue è stata, almeno in parte, liberamente tratta da uno studio di Giovanni Lonardi, un laico impegnato nell'esegesi e nella ricerca teologica, diplomato presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose, che ha messo a disposizione di tutti le sue conoscenze nel sito http://www.webalice.it/lonardi48/. – 3. Questa domanda, che infatti non riceve risposta, è in realtà un trucco letterario per separare le due sezioni senza interrompere il discorso. – 4. Per questo andrebbero ripensate e nuovamente valutate con attenzione certe esperienze mistiche dove l'amore verso la divinità assume forme quasi passionali e comunque affettive che fanno fortemente dubitare sulla loro natura. – 5. Il verbo obbedire, o il termine obbedienza, non ha diritto di cittadinanza nei Vangeli. In effetti il verbo obbedire nei Vangeli è citato 5 volte, ma sempre riferito a elementi contrari all'uomo: il vento, il mare, gli spiriti impuri. Gesù non ha mai chiesto ai suoi discepoli di obbedirgli, come mai Gesù ha chiesto ai discepoli di obbedire a Dio. L'obbedienza non fa parte del lessico evangelico, ma al posto dell'obbedienza Gesù inaugura la somiglianza: nel Vangelo troviamo sempre l'invito "siate come il Padre vostro". Nell'ebraismo il credente è colui che obbedisce a Dio osservando le sue leggi. Nel cristianesimo il credente in Gesù non è spinto a obbedire a nessuno, neanche a Dio, perché Dio non chiede obbedienza, ma chiede di assomigliargli. – 6. Si intende il vocabolo usato nella traduzione della Bibbia in greco effettuata nel II sec. a. C., la cosidetta Bibbia dei Settanta, l'unica conosciuta dagli evangelisti. – 7. Si ricorda che i comandamenti di Gesù nulla hanno a che fare con i 10 Comandamenti ricevuti da Mosè sul Sinai. Per poterli conoscere si consiglia la lettura di Mt 5,1-12, Lc 6,20-22, Gv 13,1-17.34. – 8. Mc 1,10: "E subito, uscendo dall'acqua, vide squarciarsi i cieli, e lo Spirito scendere verso di lui come una colomba". – 9. Questa interpretazione del verbo zao è abbastanza recente. In passato lo si riteneva un sinonimo di "byoo" ed in italiano era entrato in uso con questo significato (ad esempio: giardino zoologico). Oggi, sulla base dell'esame di migliaia di testi antichi possibile solo con le tecnologie moderne, si attribuisce a questo verbo un significato più preciso volto a descrivere una vita fatta di relazione con il mondo e con gli altri ad un livello superiore e distinto dalla vita biologica. Interessante il fatto che nella traduzione dall'ebraico al greco detta dei Settanta (II secolo a.C.), quando nella Genesi Dio crea l'uomo e gli dà la vita con il proprio alito, il traduttore usa il termine "zoe" e non byos. Gli studi proseguono perché da questa constatazione potrebbe derivare una diversa definizione di "persona umana". – 10. Per evitare fraintendimenti, qui con la parola inferi non si parla dell'inferno che non è presente in alcuna parte della Bibbia. L'inferno è una costruzione teologica medioevale sviluppata nell'arco di alcuni secoli, approssimativamente dal IV al VI secolo d.C.