Contenuti del blog

Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


lunedì 29 dicembre 2014

Maria S.S. Madre di Dio



Maria Santissima Madre di Dio – Lc 2, 16-21
In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

Il brano in esame è la prosecuzione di quello letto la notte di Natale; per comprenderlo meglio occorre leggere anche il versetto 15 che il liturgista ha, incomprensibilmente, saltato:
“Appena gli angeli partirono da loro per il cielo, i pastori si dicevano l’un l’altro: andiamo dunque fino a Betlemme e vediamo questo avvenimento, l’accaduto che il Signore ci ha fatto conoscere”. Nella cultura ebraica di quel periodo i pastori sono il simbolo, il prototipo dei peccatori incalliti, quelli senza alcuna speranza di redenzione(1). Luca afferma che questi peccatori, ricevuto il messaggio che l’amore di Dio è per tutti, anche per loro, cambiano totalmente atteggiamento e vogliono andare sino in fondo, vogliono toccare con mano il dono che è stato fatto loro. Da questa loro decisione si sviluppa un altro avvenimento: la sorpresa da parte dei genitori di Gesù.
“…andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro”.
La prima sorpresa è il fatto che Giuseppe li accolga e li ascolti; la seconda che sia presente anche Maria ed il bambino, una vera rivoluzione nelle usanze ebraiche. Giuseppe è un giusto(2) (Mt 1,19), un attento esecutore di quanto previsto dalla Legge, eppure Luca non accenna ad alcun moto di repulsione di Giuseppe quando vede arrivare i pastori, persone sicuramente impure: infatti, più che una situazione reale, Luca sta descrivendo quale sarà (o dovrebbe essere) il comportamento degli uomini con la venuta del Messia che annullerà ogni legge, ogni precetto, ogni usanza che risulti contraria al benessere ed alla felicità degli uomini(3).
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori.”
Guardate cosa sta dicendo Luca(4): tutti quelli che avevano ascoltato si stupirono, tutti, compresa Maria e compreso Giuseppe, “…delle cose dette loro dai pastori”. Sono stupiti perché c’è qualcosa che non quadra: c’era tutta una tradizione di un Dio che detestava i peccatori, di un Dio che voleva sterminare i peccatori (Sal 37,22.38); c’era la tradizione che attendeva il Messia come il giustiziere che avrebbe fatto piazza pulita dei peccatori (Mt 3,10-12); adesso si presentano i peccatori per eccellenza e dicono: siamo stati avvolti dall’amore del Signore e Dio ha detto che è nato quello che per noi sarà la salvezza.
Tutti, Maria compresa, si stupiscono di questo.
Da qui in poi ha inizio la descrizione dell’incomprensione da parte di Maria e da parte di Giuseppe: più volte Luca dirà che essi con capivano queste cose ma proprio di qui inizia e si sviluppa quella che sarà la grandezza di Maria: Gesù le presenterà qualcosa di nuovo, qualcosa di inaudito, le presenterà un Dio differente da quello che lei aveva conosciuto dalla tradizione e Maria lo accetterà.
Nel vangelo più antico, quello di Marco, è riportato un episodio drammatico: tutto il clan familiare ha deciso di catturare Gesù ritenuto ormai demente (Mc 3,21-35). Gesù, presentatosi come l'inviato del Signore (Lc 4,18-21), si è comportato infatti come un nemico di Dio, trasgredendo i precetti e comandamenti più sacri (Mc 3,5.22; 7,15-23), e mentre le autorità religiose lo bollano come bestemmiatore eretico ed indemoniato (Mt 9,3), per la gente è solo un pazzo a cui lanciare pietre (Gv 8,59).
La richiesta dei famigliari di Gesù “Tua madre e i tuoi fratelli ti vogliono”, è interrotta dalla fredda risposta del Cristo: “Chi è mia madre?...”
Per Gesù suoi intimi sono solo quelli che lo seguono e come lui vivono la volontà del Padre traducendola in un amore incondizionato che si rivolge a tutti, prescindendo da categorie religiose, morali e sessuali (Lc 10,29-37).
Maria deve scegliere: o resta con il clan famigliare, che ritiene Gesù un matto, e salva così la sua reputazione, o segue il figlio, conosciuto per essere “un mangione e un beone, amico di pubblicani e peccatori” (Mt 11,19).
A Nazaret Maria s'era fidata dell'invito rivoltole dal suo Signore e da questo suo assenso era nato il Messia di Dio. In questa seconda annunciazione(5), più sofferta e matura, Maria risponde ancora con un sì all'invito alla pienezza di vita che le viene da Gesù e che la condurrà a una nuova nascita: la sua.
Ora sarà la madre che rinascerà dal figlio: nuova nascita che avverrà “dall'alto” (Gv 3,3), da colui che, innalzato in croce, trasformerà la madre nella fedele discepola (Gv 19,25-27).
Coronamento della prima annunciazione era stata la beatitudine con la quale si aprono i vangeli: “Beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore” (Lc 1,45); la seconda annunciazione troverà la sua formulazione nella beatitudine con la quale i vangeli si chiudono: “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno” (Gv 20,29).
Mentre l'annunciazione di Nazaret culmina a Betlemme, dove lo sfolgorio di luce della gloria del Signore avvolge la nascita del Figlio, e pastori e magi sono in adorazione (Lc 2,1-21; Mt 2,1-12), l'altra sfocerà nelle tenebre di Gerusalemme (Mc 15,33), dove bestemmie e sberleffi accompagnano la morte del Cristo e la rinascita di Maria (Mc 15,29-32; Gv 19,27).
Presso la croce l’evangelista non presenta una madre schiacciata dal dolore, che comunque sta vicina al figlio anche se questo è un criminale, ma la coraggiosa discepola che ha scelto di seguire il maestro a rischio della propria vita, mentre gli apostoli, che avevano giurato di esser pronti a morire per lui (Mc 14,29-31), sono vigliaccamente fuggiti (Mt 26,56).
Sul Gòlgota, più che una madre che soffre per il figlio, Giovanni mostra infatti la discepola che soffre con il suo maestro, la donna che condivide la pena dell' “Uomo dei dolori” (Is 53,3; Rm 8,17). Maria ha preso la sua croce, e si è posta a fianco del giustiziato contro chi lo ha crocifisso, schierandosi per sempre a favore degli oppressi e dei disprezzati.
Non è stato facile per Maria.
Per schierarsi col crocifisso si è messa contro la propria famiglia e ha dovuto rompere con la religione che, nella persona del suo rappresentante più alto, il Sommo sacerdote, aveva scomunicato Gesù (Mt 26,65; Mc 3,22). Infine, scegliendo il condannato, ha osato pure mettersi contro il potere civile che giustiziava quel galileo come pericoloso rivoluzionario (Mt 27,38). Maria presso il patibolo aderisce attivamente a Colui che “rovescia i potenti dai troni” (Lc 1,52): sta dalla parte delle vittime di questi potenti e fa sua la croce, cioè accetta, come Gesù, di essere considerata un rifiuto della società pur di non venire meno all'impegno di essere presenza dell'amore di Dio in mezzo al mondo (Mc 8,34).
La grandezza di Maria non consiste nell’aver dato alla luce Gesù, ma di essere stata capace poi di diventare la sua discepola.
Tutti erano sconvolti, ma “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.”. Il cuore nel mondo ebraico è la mente, la sede del pensiero e delle emozioni. Anche Maria è sconvolta, c’è qualcosa che non quadra ma non rifiuta nulla: ci pensa, ci riflette nel suo cuore.
“I pastori poi se ne tornarono…” e qui Luca scrive qualcosa di incredibile, qualcosa di straordinario che cambierà per sempre il nostro rapporto con Dio e di conseguenza anche quello con gli altri. Scrive Luca: I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro”.
Dopo aver fatto l’esperienza del Dio amore, è possibile anche ai pastori, quelli che la religione riteneva i più lontani da Dio, lodarlo e glorificarlo, cioè essere gli intimi di Dio.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo”. E’ la conclusione della vicenda familiare; d’ora in poi tutto quello che riguarda Gesù sarà pubblico, a cominciare dalla sua presentazione al Tempio.

Note: 1. Vivendo tra le bestie, i pastori diventavano persone abbrutite, erano considerati come dei criminali, dei ladri; si rubavano il bestiame tra di loro, si uccidevano e, secondo il Talmud, erano considerati non-persone, non godevano di nessun diritto civile. Naturalmente, abbrutiti da questo lavoro, essi non avevano né il tempo, né la possibilità di fare le purificazioni quotidiane o di andare al tempio, cosa che li emarginava sempre di più. – 2. Con il termine giusto, zaddiq in ebraico, non s’intende una persona retta, una persona di buona moralità: nel mondo ebraico i giusti erano una specie, diciamo così, di confraternita, di persone laiche, molto devote, che s’impegnavano  ad osservare nella loro vita quotidiana tutti quei 613 precetti che i farisei avevano ricavato dalla legge di Mosè. Ne consegue che Giuseppe non avrebbe potuto parlare con degli impuri senza diventarlo anche lui e che Maria, come tutte le donne, non avrebbe potuto intrattenersi con persone estranee alla famiglia sia pure in presenza di Giuseppe. – 3. Con ragione ha scritto Paolo: ”Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge” (Gal 3,13). Il grande problema della Chiesa Cattolica è l’aver ricostruito, imitando i farisei del I secolo, la rete di precetti, obblighi e dogmi contro i quali si era battuto Gesù, dimenticando che l’unico imperativo morale, come ha insegnato Cristo, è il benessere e la felicità dell’uomo. – 4. L’analisi che segue è liberamente tratta da un articolo di P. Alberto Maggi “Maria, la fantasia di Dio”. – 5. L’episodio riportato da Marco (Mc 3,31-35) è considerato dai teologi la seconda annunciazione a Maria certamente più importante della prima in quanto non è vissuta passivamente (o quasi), ma ha comportato un’intima, corraggiosa decisione autonoma.

venerdì 26 dicembre 2014

Santa Famiglia



Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe - Lc 2,22-40

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

Scrive l’evangelista “Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale…”; quindi Maria e Giuseppe sono ancora succubi della legge e credono che il parto del figlio abbia reso impura Maria (Lv 12,6), “…secondo la legge di Mosè”. La legge, che Gesù combatterà tutta la vita1, ha già iniziato ad opprimere immediatamente dopo la nascita di Gesù, imponendo cose che offendono la dignità della donna, offendono Maria.
Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore”.
Quindi vanno al tempio di Gerusalemme per fare un’offerta al Signore; è l’idea della religione, l’idea che Gesù distruggerà, l’idea che le persone devono offrire qualcosa per essere gradite a Dio. Nel vangelo di Giovanni, Gesù entra nel tempio e caccia i venditori di buoi, di pecore e di colombe, poi, stranamente, se la prende soltanto con i venditori di colombe. Sarebbe stato più logico che avesse fatto delle rimostranze con i venditori di buoi che maneggiavano cifre più alte di denaro, invece Gesù rimprovera solo i venditori di colombe dicendo: “.. e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato”. Perché le colombe erano le uniche offerte che i più poveri potevano offrire al Signore, per essere graditi a Dio. In questo modo veniva prostituito l’amore di Dio; l’amore di Dio veniva ottenuto attraverso un pagamento e Gesù non può tollerare questo, non può tollerare che l’amore di Dio possa essere oggetto di mercimonio2.
Maria e Giuseppe dovranno fare ancora molto cammino perché sono figli della loro tradizione religiosa; attenzione però (notate la splendida costruzione dal punto di vista scenico), se la legge spinge Maria e Giuseppe verso il tempio, si manifesta qualcuno che è contrario ed è lo Spirito; lo Spirito e la legge non possono coesistere, l’uno esige la eliminazione dell’altro.
Scrive l’evangelista: “Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone3, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore”.
Notare come per tre volte è stata nominata la legge e per tre volte, (il  numero tre significa completezza), viene nominato lo Spirito: “Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo…”. Continua il conflitto tra la legge e lo Spirito: “…anch’egli lo accolse tra le braccia…”. La scena è drammatica: Maria e Giuseppe portano il bambino per offrirlo al Signore; Simeone, l’uomo dello Spirito lo toglie a Maria e Giuseppe, glielo strappa4 perché lo Spirito vuole impedire un rito inutile ed inefficace.
Gesù è stato chiamato santo già nel seno della madre: che bisogno ha di essere riconsacrato? Maria, come ogni madre, è stata santificata dallo splendido miracolo della vita: che bisogno ha di essere purificata? Quindi l’uomo, animato dallo Spirito, tenta di impedire un rito inutile. Allora questa immagine, “…lo accolse tra le braccia…”, non va pensata come quella di un uomo che prende Gesù e se lo coccola; è invece un avvenimento drammatico, lo toglie ai genitori, lo prende e….: ecco un’altra novità!
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti (qui usa il termine “genti” con il quale si indicavano i pagani) e gloria del tuo popolo, Israele».
Nella tradizione il Messia avrebbe dovuto inaugurare il regno di Israele e dominare i pagani. Simeone, l’uomo dello Spirito, dice no, lui è qui per illuminare i pagani. Notate il ritornello “Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui”: c’è qualcosa che non quadra, di assolutamente diverso dalla tradizione. Se Gesù è il Figlio di Dio, è il Messia, non deve dominare i pagani? Simeone dice no, è venuto per essere luce dei pagani: anche i pagani vengono ammessi, non più nel regno di Israele ma nel regno di Dio.
Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione…. Poi la benedizione si trasforma in un avviso di sciagura: “ …e anche a te una spada trafiggerà l’anima, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori.” Non è un riferimento ai dolori che Maria patirà nella sua esistenza, non è un riferimento alla morte di Gesù, questa spada è la spada della parola (cfr. Ap 1,16), quella che trafigge il cuore, trafigge la vita delle persone; e Maria? Maria avrà la vita intera trapassata dalla parola di suo Figlio. Maria dovrà scegliere: o rimane con il clan e abbandona Gesù, il pazzo di casa, al suo destino o accoglie la sua parola e si separa dalla famiglia; ma sapete che cosa significa per una donna della sua epoca abbandonare il clan familiare? Solo le prostitute vivono fuori del clan familiare.
Nel Vangelo di Marco, quando i familiari cercano di catturare Gesù perché lo ritengono pazzo, vi è un episodio di grande tensione (Mc 3,33-34): arriva il gruppo, ma rimanendo fuori perché non si vogliono contaminare dato che Gesù è circondato da gentaglia, da peccatori, da miscredenti, lo mandano a chiamare. Gesù dà una risposta secca indicando la folla: “ecco chi è mia madre, chi sono i miei fratelli!” Ecco la spada, la parola che trafigge: e allora Maria si carica della croce5, quella croce che Gesù ha posto come condizione ai suoi seguaci per seguirlo; è questa la spada che ha trafitto la vita di Maria, una parola che l’ha portata ad una scelta: o sceglie la sicurezza che le dà il clan familiare e abbandona Gesù al suo destino o sceglie il Figlio andando però incontro alla diffamazione, andando incontro all’ingiuria e alla calunnia. La grandezza di Maria non risiede nell’essere madre di Gesù, ma nell’essere stata capace di divenire sua discepola.
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni”.
Alla parola dura di condanna, di contraddizione e di spada, subentra la parola di felicitazione, di conforto e di sostegno. Il nome della profetessa e quelli dei suoi avi significano salvezza e benedizione. Anna vuol dire: Dio fa grazia; Fanuele: Dio è luce; Aser: felicità. I nomi non sono privi di significato, e qui il loro significato illumina e immerge tutto nello splendore della gioia, della grazia e della clemenza di Dio. Il tempo messianico è tempo di luce piena.
Ma anche i numeri hanno un loro ampio significato come sempre nel mondo ebraico; i sette anni di matrimonio ricordano la completezza e la fertilità che le permette di vivere serenamente il periodo dell’infertilità: Anna si riposa come Dio al settimo giorno, al termine della creazione.
L’età di Anna dichiarata dall’evangelista è un numero enorme se paragonato alla vita media delle donne ebree del I secolo; infatti vivevano in media 24-25 anni. Questo numero non indica l’età effettiva della donna, ma dà il senso dell’onore di cui era circondata, lo stesso concetto che, nell’AT, era utlizzato per i patriarchi come Matusalemme di cui si diceva avesse vissuto quasi mille anni: voleva dire che era persona di altissimo onore. Inoltre 84 corrisponde a 12 x 7 cioè ad Israele giunto a suo compimento. Anna è l’esempio di come avrebbe dovuto essere Israele.
Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.”
Illuminata dallo Spirito, Anna riconosce il Messia nel bambino che Maria porta al tempio. Facendo seguito a Simeone, loda Dio e parla continuamente di Gesù a tutti quelli che aspettano "la redenzione di Gerusalemme".
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui”.
La conclusione di Luca porta ad un completo adempimento della legge ebraica, come del resto era comprensigile visto che Giuseppe era un “giusto”. Il brano si chiude con una frase comunemente usata come augurio nei confronti dei bambini ebraici, ovviamente maschi.

Note: 1. Gal 3,13: “...Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge...”. – 2. Paolo, ai Colossesi (2,16-23), si vede costretto ad affermare: “...Nessuno dunque vi condanni più in fatto di cibo o di bevanda, o riguardo a feste, a noviluni e a sabati: tutte cose queste che sono ombra delle future; ma la realtà invece è Cristo! Nessuno v’impedisca di conseguire il premio, compiacendosi in pratiche di poco conto e nella venerazione degli angeli (oggi diremmo dei santi), seguendo le proprie pretese visioni, gonfio di vano orgoglio nella sua mente carnale, senza essere stretto invece al capo, dal quale tutto il corpo riceve sostentamento e coesione per mezzo di giunture e legami, realizzando così la crescita secondo il volere di Dio.
Se pertanto siete morti con Cristo agli elementi del mondo (oggi diremmo: se rifiutate il paganesimo economico imperante), perché lasciarvi imporre, come se viveste ancora nel mondo, dei precetti quali «Non prendere, non gustare, non toccare»? Tutte cose destinate a scomparire con l’uso: sono infatti prescrizioni e insegnamenti di uomini! Queste cose hanno una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo, ma in realtà non servono che per soddisfare la carne...”  - 3. Qui non si dice che Simeone era vecchio e quindi l’immagine del pio vecchietto tramandata dalla tradizione non ha nessuna giustificazione; anche se dice: “si, adesso posso morire”, non vuol dire assolutamente che fosse vecchio. Nel pensiero arcaico uno che dice: “adesso posso morire”, intende “adesso finalmente sono tranquillo” a prescindere dalla sua età. – 4. Una traduzione corretta del verbo greco che la CEI traduce con “accolse”, sarebbe stata più vicina a strappa che ad altri significati: in greco si coglie il senso di un atto energico, quasi violento. Potremmo tradurlo con “lo prese”, una accettabile via di mezzo. – 5. Gli esegeti chiamano questo episodio la “seconda annunciazione” questa volta non subita, ma liberamente seguita. 

domenica 21 dicembre 2014

Natale del Signore - Messa del giorno



Natale del Signore
Messa del giorno  – Gv 1, 1-18

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
 Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,  e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me».
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

"In principio era il Verbo". Giovanni si riallaccia all’espressione: "In principio", che è esattamente la prima parola con la quale inizia la Bibbia: "In principio Dio creò il cielo e la terra" Gn1,1). L’autore di questo vangelo non è d’accordo e smonta tutto il bagaglio teologico della creazione che si era radicato nei secoli in Israele.
Dice Giovanni che in principio, esisteva già il "logos" usando un termine greco che non è facile tradurre perché ha un’incredibile varietà di significati. La CEI traduce con "verbo", ed è una traduzione tutto sommato esatta; però in questa espressione manca la ricchezza del significato che ha la parola greca.
"Logos" è un termine che da una parte significa "progetto" e da un’altra, in quanto progetto formulato, significa "parola"1. Giovanni, in questo prologo, dice che fin dall’inizio, prima ancora della creazione del mondo, Dio aveva un progetto.
Gli ebrei credevano e credono che quando Mosè è salito sul monte Sinai abbia ricevuto due leggi: quella scritta nelle tavole e un’altra, orale, che consiste nella spiegazione di quella scritta. Questa legge orale si è trasmessa nei secoli di padre in figlio e, circa a metà del I secolo, quindi all’epoca di Gesù, è stata messa per iscritto e chiamata Talmud. Il Talmud dice che il mondo fu creato per le dieci parole, cioè i dieci comandamenti: quindi, secondo la teologia ebraica, nell’osservanza dei dieci comandamenti dati da Dio a Mosè si realizza la creazione.
Giovanni non è d’accordo, per questo dice: fin dall’inizio, prima di creare il mondo, prima della creazione, c’era una parola che annulla le altre dieci parole, perché di valore incommensurabile, una parola che si esprime in un unico comandamento. Quello stesso comandamento che Gesù, al capitolo 13 del Vangelo di Giovanni, eprimerà così : "Vi do un comandamento nuovo2, che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amato"(Gv 13,34).
Continua Giovanni: in principio c’era questo progetto, questa parola e l’evangelista sottolinea che "il Verbo era presso Dio"; questo progetto era qualcosa che gli stava a cuore, prima ancora di creare il mondo, il quale è stato creato proprio per la realizzazione di questo progetto.
Ed ecco la rivelazione fantastica che fa Giovanni: "e il Verbo era Dio". Potremmo tradurre anche: "e un Dio era questo progetto". Il progetto di Dio sull’umanità, sull’uomo, è qualcosa di incredibile: Giovanni ci presenta un Dio talmente innamorato dell’umanità, che non gli basta aver creato l’uomo in carne e ossa, ma lo vuole innalzare alla sua stessa condizione divina!
Giovanni torna ancora sull’argomento per far comprendere quanto sia importante questo progetto. Infatti dice: "Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste." Notate la ripetizione, la sottolineatura: l’evangelista ci vuol far comprendere chiaramente quello che sta dicendo; vuole sottolineare due aspetti. Come prima cosa, tutto quello che è stato creato, è stato creato in funzione di questo progetto; e, d’altra parte, non esiste nulla nella creazione che non sia frutto di questa volontà divina.
Ci dice Paolo che "la creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio"  (Rm 8,18). La creazione non è terminata perché l’uomo non ha raggiunto la pienezza della condizione divina: Dio non si è manifestato ancora completamente e non si manifesterà completamente, fintanto che ogni uomo non avrà la possibilità di rispondere al progetto che Egli ci propone. Per questo, nei Vangeli si parla dell’affanno di Dio per il singolo; ricordate la parabola delle cento pecore? Ne manca una e Gesù va in cerca, perché fintanto che tutti quanti non fanno parte di questo gregge d’amore, il pastore non è contento (Mt 18,12-14; Lc 15, 4-7).
Continua Giovanni, "In lui era la vita ". È la prima volta che nel Vangelo di Giovanni appare questo termine "vita"3, un termine che, al confronto con gli altri evangelisti, Giovanni userà molte volte. Questo progetto di Dio sull’umanità contiene la vita: se una persona è in comunione con Dio, ha una vita talmente esuberante da poterla trasmettere agli altri.
E l’evangelista aggiunge: " e la vita era la luce degli uomini". Anche qui, Giovanni dà un colpo alla teologia ebraica; nella teologia ebraica si diceva tutto il contrario, si pensava: c’è una legge, e l’osservanza di questa legge illumina la vita.
Giovanni, che esprime il pensiero di Gesù, spazza via tutto questo. Non è una legge esterna all’uomo quella che ti guida nella vita, ma è la vita che è luce per i tuoi passi. È il rispondere a quel desiderio di pienezza che ogni uomo porta dentro di sé, è lo sviluppare e sprigionare quella pienezza di vita, che ti illumina e ti fa capire come camminare. È l’inno all’ottimismo di Dio sull’umanità: non un Dio pessimista, ma un Dio talmente ottimista e contento della sua creazione che non dice all’uomo: "adesso ti do una serie di leggi e se non cammini dentro a queste, attento a te!", ma dice all’uomo: "rispondi al desiderio di pienezza che hai dentro di te e quello ti farà comprendere qual è il cammino verso la luce".
Continua Giovanni: "la luce splende nelle tenebre…": la luce è una metafora con la quale si indica il gruppo dei credenti che hanno accolto questo messaggio d’amore. Il compito della luce è di splendere, non di lottare: qui Giovanni prende le distanze dai gruppi fanatici della sua epoca, che si chiamavano "figli della luce" e pensavano di dover essere continuamente in lotta contro i figli delle tenebre.
"…ma le tenebre non l’hanno accolta". Giovanni scrive in un momento in cui da tempo erano cominciate le persecuzioni per la comunità dei credenti, come si legge in questa espressione di Gesù: "Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!"(Gv 16,33). Giovanni rassicura la comunità dei credenti: le tenebre non l’hanno estinta.
Continua il Vangelo: "Apparve un uomo inviato da Dio e il suo nome era Giovanni". Caliamoci nell’ambiente culturale dell’epoca: appare un inviato da Dio. Un inviato da Dio deve essere senz’altro un personaggio importante, un sacerdote, un santo: niente di tutto questo! La parola di Dio è stata inviata a un uomo di nome Giovanni (Giovanni in ebraico significa "misericordia di Dio") e "Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Questo è il compito di Giovanni; non è quello di essere la luce, ma di risvegliare questo desiderio di pienezza di vita. Questo invito è rivolto a tutti, perché la tenebra - che rappresenta i poteri che impediscono all’uomo la libertà - ha coperto tutta l’umanità.
Ma, sottolinea Giovanni (lo farà tante volte), "Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce". Giovanni, al suo apparire, venne accolto come il Messia, ed ancora due secoli dopo la morte di Gesù esistevano discepoli di Giovanni che credevano che fosse lui il Messia e non Gesù. Questo perché Gesù era una persona comune, vestiva come una persona comune, mangiava, beveva, si comportava normalmente; non aveva nessuno di quegli aspetti che contraddistinguevano, secondo la loro mentalità, un uomo di Dio. Un uomo di Dio si doveva riconoscere dalla sua vita ascetica; Gesù vita ascetica non ne ha mai fatta, anzi andava pure a pranzo nei giorni di digiuno.
Gesù rivoluziona il concetto di "uomo di Dio". Lui, che era l’"uomo di Dio" per eccellenza, lo manifesta non attraverso atteggiamenti esteriori di ascetismo o di spiritualismo, ma trasmettendo una qualità d’amore che assomiglia a quella di Dio.
Purtroppo questo amore non è stato accolto da tutti. Sottolinea ancora Giovanni che "Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo". E assicurando che questa luce, questo anelito di pienezza di vita che permette la comunione di Dio, è proprio quella vera, Giovanni, come gli altri evangelisti, cancellerà la vecchia categoria del credente visto come l’obbediente a Dio, per inaugurare quello della somiglianza a Dio. Con Gesù, il perfetto credente non è colui che obbedisce a Dio osservandone le leggi, ma colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al Suo.
"Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe". È una denuncia tragica! Scriverà più volte Giovanni in vari brani: "in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete" (Gv 1,26), "chi mi ha mandato voi non lo conoscete" (Gv 7,28), "voi non sapete da dove vengo o dove vado"(Gv 8,14), "voi non conoscete né me né il Padre" (Gv 8,19), "non conoscono colui che mi ha mandato" (Gv 15,21).
Questa mancata conoscenza di Dio determinerà la tragedia del popolo: la gerarchia religiosa pretendeva di far conoscere la volontà di Dio al popolo, ma in realtà non lo conosceva.
Continua ancora Giovanni: "Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto". Triste costatazione: Dio si era preparato il suo popolo; quando finalmente si manifesta, i suoi non lo accolgono. I vangeli sono estremamente radicali: o con Gesù, o contro Gesù. La via di mezzo, nei vangeli, non è conosciuta.
Sempre la scuola giovannea, nel libro dell’Apocalisse, parlando alla comunità scrive: "conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca" (Ap 3,15-16). La via di mezzo, quella che per molti cristiani sembra la migliore, non fa parte della proposta di Gesù.
Tante volte ci sono persone che si presentano dicendo: non sono né un santo né un peccatore, io non rubo, non ammazzo, mi faccio i fatti miei. Ecco la risposta che Giovanni da a queste persone nell’Apocalisse: Gesù dice "e io ti vomito".
Meglio peccatore che tiepido: perché un peccatore, una volta che viene raggiunto dall’amore di Dio, è capace di tirare fuori anche qualche cosa di straordinario, di buono; ma da quelli che sono nati tiepidi, che non hanno fatto mai qualche grosso peccato, quelli che si sono sempre tenuti nel mezzo, non si ricaverà mai niente, per Gesù sono inutili. O santi4 o peccatori!
Ma ecco finalmente, una buona notizia, la migliore: "A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio". Giovanni, con questa espressione, cancella ancora una volta un concetto tipico della religione: la dottrina religiosa ebraica, (e purtroppo molto spesso anche quella della Chiesa sia cattolica che protestante; meno evidente in quella ortodossa), ha presentato Dio come un signore e l’uomo come un suo servo.
Giovanni ci presenta non un Dio che si fa servire dall’uomo, ma un Dio che si mette al servizio dell’uomo. Questo tema verrà spiegato dal Vangelo di Giovanni con l’episodio della lavanda dei piedi (Gv 13,1-20), che era un compito degli schiavi. Noi dobbiamo accogliere questo servizio che Dio fa nei nostri confronti; è un servizio d’amore, è Dio che ci innalza al suo stesso livello, e con Lui e come Lui dobbiamo dirigerci verso gli altri.
Non si è "figli di Dio" per nascita, ma lo si diventa mediante la pratica di un amore che assomiglia a quello di Dio.
Quindi essere "figli di Dio", è un avvenimento dinamico; non è nemmeno l’atto del Battesimo che ci trasforma in figli di Dio, ma il vivere il Battesimo nel mondo ogni giorno rinunciando ai falsi valori del mondo. Per questo il Battesimo non è un sacramento da celebrare nei confronti di un bambino, ma nei confronti di un adulto cosciente e consenziente, perché un bambino non è ancora in grado di vivere questo sacramento.
Come possiamo renderci conto di essere figli di Dio? Vediamo tre aspetti: il primo, se siamo capaci, come Lui, di voler bene anche a chi non se lo merita. La caratteristica di Dio è questa: Dio non ci ama perché noi siamo buoni, ma ci ama perché Lui è buono. Il secondo aspetto è se siamo capaci di fare del bene senza aspettare nulla in cambio, perché così ha fatto Dio con noi. E il terzo, l’aspetto più difficile, è se siamo capaci, come Lui, di perdonare gli altri prima ancora che ci vengano a chiedere il perdono, perché così fa Dio nei nostri confronti. Dio ci dona amore nell’istante stesso in cui noi stiamo peccando. Infatti Paolo dice: "Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi" (Rm 5,8). Dio non aspetta che noi andiamo a chiedergli perdono, Dio ci concede il suo perdono prima ancora che glielo andiamo a chiedere. Se ci sono in noi questi tre aspetti, anche noi siamo i "figli di Dio". "Figlio", nella cultura dell’epoca, significa colui che assomiglia al Padre.
Pertanto, si diventa "figli di Dio" nella pratica di un amore simile a quello del Padre, un amore che, man mano che si esercita, sviluppa nuove capacità d’amare e fa sorgere ancora nuove possibilità di fare: è un amore che fa crescere l’uomo.
Si è sicuri di essere in comunione con Dio non perché si è dato l’assenso a delle verità teologiche ma perché si è data adesione a Gesù, modello dell’uomo e modello d’amore. Il mantenere questa adesione significa rinnovare continuamente, quotidianamente, quelle scelte che ci hanno fatto decidere per Gesù. Significa che, di fronte al desiderio di prestigio, alla sete di denaro, alla ricerca di potere, che sono gli atteggiamenti che causano la rivalità e l’odio nel mondo, il credente sceglie la condivisione e il servizio. E questo va mantenuto quotidianamente.
La scelta di essere "figli di Dio" non viene fatta una volta per sempre, ma, come dice Giovanni, l’adesione a Gesù va mantenuta. Quotidianamente c’è da rifiutare di arricchire perché si vuole condividere quello che si ha e quello che siamo con gli altri (è questa la vera ricchezza), da rifiutare situazioni di potere perché si vuole vivere soltanto in situazioni di servizio.
E, spiega ancora Giovanni, i "figli di Dio" sono “i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.” In realtà la traduzione letterale suonerebbe così: "coloro che non nacquero da sangui": è strana l’espressione di sangue al plurale: in ebraico5 il plurale di sangue significa "spargimento di sangue", e Giovanni è l’unico evangelista a parlare espressamente di sangue nella crocifissione di Gesù, quando gli trafiggono il costato ed escono sangue ed acqua (Gv 19,34).
Possiamo allora tradurre in modo impreciso, ma più comprensibile, "coloro che non sono nati da un sangue qualunque, ma dal sangue di Gesù, che non sono nati per un disegno di una carne o di un uomo qualunque, ma dalla carne di Gesù", diventano figli di Dio: quindi non per generazione carnale, ma per l’adesione a colui che è il Figlio di Dio.
Questa divisione del sangue e della carne che troviamo nel vangeli si rifà al capitolo sesto, quando Gesù dice: "se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna" (Gv 6,52-53)6. Queste non sono regole liturgiche per andare a fare la Comunione, ma sono indicazioni per un atteggiamento di vita.
Mangiare il corpo di Gesù non è una indicazione liturgica, ma significa accettare questo dono che Gesù ci fa; ma nel momento in cui lo si accetta, si accetta pure di diventare noi stessi dono per gli altri, si accetta di diventare pane affinché venga mangiato dagli altri. Così per il sangue.
Giovanni, smentendo la tradizione dell’Antico Testamento, dichiara, in aperta  polemica con la cultura e con la mentalità giudaica del suo tempo: “Dio nessuno l’ha mai visto”. Sembra una dichiarazione inesatta, addirittura fuorviante. Se andiamo a vedere i testi dell’A. T. (il libro dell’Esodo e il libro dei Numeri), almeno Mosè, Aronne ed Elia hanno visto Dio. Anzi l’autore, per darci la garanzia che l’hanno visto, dice: “Essi videro Dio e tuttavia mangiarono e bevvero7.
Secondo Giovanni, tutte le esperienze di Mosè, Aronne ed Elia sono state esperienze parziali e limitate e, pertanto, la volontà di Dio che essi intendono esprimere, non corrisponde integralmente al vero.
Se andiamo a vedere il racconto dell’incontro tra il Signore e Mosè, Mosè non riesce a vedere il volto di Dio, ma riesce a vederlo solo di spalle. Mosè ha avuto una visione parziale, per cui la legge di Dio che Mosè ci ha presentata come volontà di Dio, era una legge imperfetta perché, non avendo avuto Mosè la perfetta esperienza di Dio, non poteva presentare e fare conoscere la volontà di Dio.
Con questa affermazione Giovanni relativizza tutti gli insegnamenti dell’A.T. Le norme cultuali e i tabù provenienti dalle tribù beduine e nomadi di 1300 anni prima8 non possono ancora condizionare la vita dei credenti.
“Dio nessuno lo ha mai visto”. La legge che intendeva esprimere la volontà di Dio, è imperfetta. “L’unico figlio che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato”. Solo la parola di Gesù esprime la volontà del Padre.

Note: 1. Faccio un esempio banale: se dico "casa", è una parola che contiene in sé un’idea, un progetto di una particolare casa che ho in mente; dicendo "casa" esprimo quindi una parola che in sé possiede già un’immagine, un’idea, una volontà realizzatrice. – 2. In greco ci sono due espressioni per dire "nuovo": una che significa: "aggiunto nel tempo" e l’altra che significa: "una qualità che annulla tutto il resto", un qualcosa di nuovo che è talmente bello che fa scomparire tutto il resto. Ebbene, Giovanni non usa il termine "aggiunto nel tempo", ma usa il termine che significa una qualità talmente eccellente da oscurare tutte le altre. – 3. Una piccola parentesi: Giovanni usa la parola greca “zoe” e non gli altri due termini che in greco esprimono il concetto “vita”. La cosa non è senza significato. Penso che uno studio accurato del significato di ciascuno dei tre termini greci potrebbe portare un contributo non indifferente di chiarezza sulla posizione cattolica in merito all’inizio ed alla fine della vita umana. – 4. La santità, nel cristianesimo, non è quella che si esprime attraverso la mortificazione e la preghiera, ma quella che si esprime nella dedizione agli altri anche a scapito dei propri interessi: solo così, dice Gesù, si avrà “…una misura piena, scossa e con l’aggiunta”. – 5. Attenzione: anche se tutti i vangeli sono stati scritti in greco, la base culturale degli evangelisti (ad esclusione di Luca) è semitica, ed il modo di esprimersi è sempre più vicino all’ebraico che al greco. Nel caso di Luca, di evidente cultura greca, mantiene il modo semitico di esprimersi in tutte quelle parti del suo vangelo che fanno riferimento a Marco e alla Fonte Q. – 6. Per spiegare pienamente queste parole, non facilmente comprensibili anche per la mentalità dell’epoca, occorrerebbe un lungo discorso. In estrema sintesi essi si rifanno alla concezione ebraica della condivisione della conoscenza e della condivisione conviviale della vita in una comunità. – 7. La cultura ebraica dell’VIII secolo a.C. (periodo Elohista, Regno di Israele del nord) prevedeva la morte per coloro che vedevano Dio; ecco perché, al contrario dei periodi precedenti, in questo periodo le manifestazioni di Dio vengono descritte attraverso sogni, visioni e messaggi (in greco anghelos, da cui è derivata la nostra parola angeli). – 8. Gli storici, supportati dagli archeologi, ritengono che gli eventi relativi all’abbandono dell’Egitto da parte del popolo ebraico risalgono al 1260 a.C. La data è, chiaramente, indicativa.