Maria Santissima Madre di
Dio – Lc 2, 16-21
In quel tempo, [i
pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino,
adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino
era stato detto loro.
Tutti quelli che
udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua,
custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne
tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e
visto, com’era stato detto loro.
Quando furono
compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome
Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.
Il
brano in esame è la prosecuzione di quello letto la notte di Natale; per comprenderlo
meglio occorre leggere anche il versetto 15 che il liturgista ha,
incomprensibilmente, saltato:
“Appena gli angeli partirono da loro per il cielo, i pastori
si dicevano l’un l’altro: andiamo dunque fino a Betlemme e vediamo questo
avvenimento, l’accaduto che il Signore ci ha fatto conoscere”. Nella cultura
ebraica di quel periodo i pastori sono il simbolo, il prototipo dei peccatori
incalliti, quelli senza alcuna speranza di redenzione(1). Luca
afferma che questi peccatori, ricevuto il messaggio che l’amore di Dio è per
tutti, anche per loro, cambiano totalmente atteggiamento e vogliono andare sino
in fondo, vogliono toccare con mano il dono che è stato fatto loro. Da questa
loro decisione si sviluppa un altro avvenimento: la sorpresa da parte dei
genitori di Gesù.
“…andarono, senza indugio, e trovarono Maria e
Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto,
riferirono ciò che del bambino era stato detto loro”.
La prima sorpresa è il fatto che Giuseppe li
accolga e li ascolti; la seconda che sia presente anche Maria ed il bambino,
una vera rivoluzione nelle usanze ebraiche. Giuseppe è un giusto(2)
(Mt 1,19), un attento esecutore di quanto previsto dalla Legge, eppure Luca
non accenna ad alcun moto di repulsione di Giuseppe quando vede arrivare i
pastori, persone sicuramente impure: infatti, più che una situazione reale,
Luca sta descrivendo quale sarà (o dovrebbe essere) il comportamento degli
uomini con la venuta del Messia che annullerà ogni legge, ogni precetto, ogni
usanza che risulti contraria al benessere ed alla felicità degli uomini(3).
“Tutti quelli che
udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori.”
Guardate
cosa sta dicendo Luca(4): tutti quelli che avevano ascoltato si
stupirono, tutti, compresa Maria e compreso Giuseppe, “…delle cose dette
loro dai pastori”. Sono stupiti perché c’è qualcosa che non quadra: c’era
tutta una tradizione di un Dio che detestava i peccatori, di un Dio che voleva
sterminare i peccatori (Sal 37,22.38);
c’era la tradizione che attendeva il Messia come il giustiziere che avrebbe
fatto piazza pulita dei peccatori (Mt
3,10-12); adesso si presentano i peccatori per eccellenza e dicono: siamo
stati avvolti dall’amore del Signore e Dio ha detto che è nato quello che per
noi sarà la salvezza.
Tutti,
Maria compresa, si stupiscono di questo.
Da
qui in poi ha inizio la descrizione dell’incomprensione da parte di Maria e da
parte di Giuseppe: più volte Luca dirà che essi con capivano queste cose ma
proprio di qui inizia e si sviluppa quella che sarà la grandezza di Maria: Gesù
le presenterà qualcosa di nuovo, qualcosa di inaudito, le presenterà un Dio
differente da quello che lei aveva conosciuto dalla tradizione e Maria lo
accetterà.
Nel vangelo più antico, quello di Marco, è
riportato un episodio drammatico: tutto il clan familiare ha deciso di
catturare Gesù ritenuto ormai demente (Mc
3,21-35). Gesù, presentatosi come l'inviato del Signore (Lc 4,18-21), si è comportato infatti
come un nemico di Dio, trasgredendo i precetti e comandamenti più sacri (Mc 3,5.22; 7,15-23), e mentre le
autorità religiose lo bollano come bestemmiatore eretico ed indemoniato (Mt 9,3), per la gente è solo un pazzo a
cui lanciare pietre (Gv 8,59).
La richiesta dei famigliari di Gesù “Tua madre e i tuoi fratelli ti vogliono”,
è interrotta dalla fredda risposta del Cristo: “Chi è mia madre?...”
Per Gesù suoi intimi sono solo quelli che lo
seguono e come lui vivono la volontà del Padre traducendola in un amore
incondizionato che si rivolge a tutti, prescindendo da categorie religiose,
morali e sessuali (Lc 10,29-37).
Maria deve scegliere: o resta con il clan
famigliare, che ritiene Gesù un matto, e salva così la sua reputazione, o segue
il figlio, conosciuto per essere “un
mangione e un beone, amico di pubblicani e peccatori” (Mt 11,19).
A Nazaret Maria s'era fidata dell'invito
rivoltole dal suo Signore e da questo suo assenso era nato il Messia di Dio. In
questa seconda annunciazione(5), più sofferta e matura, Maria
risponde ancora con un sì all'invito alla pienezza di vita che le viene da Gesù
e che la condurrà a una nuova nascita: la sua.
Ora sarà la madre che rinascerà dal figlio:
nuova nascita che avverrà “dall'alto”
(Gv 3,3), da colui che, innalzato in
croce, trasformerà la madre nella fedele discepola (Gv 19,25-27).
Coronamento della prima annunciazione era
stata la beatitudine con la quale si aprono i vangeli: “Beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore”
(Lc 1,45); la seconda annunciazione
troverà la sua formulazione nella beatitudine con la quale i vangeli si
chiudono: “Beati quelli che pur non
avendo visto crederanno” (Gv 20,29).
Mentre l'annunciazione di Nazaret culmina a
Betlemme, dove lo sfolgorio di luce della gloria del Signore avvolge la nascita
del Figlio, e pastori e magi sono in adorazione (Lc 2,1-21; Mt 2,1-12), l'altra sfocerà nelle tenebre di Gerusalemme
(Mc 15,33), dove bestemmie e
sberleffi accompagnano la morte del Cristo e la rinascita di Maria (Mc 15,29-32; Gv 19,27).
Presso la croce l’evangelista non presenta
una madre schiacciata dal dolore, che comunque sta vicina al figlio anche se
questo è un criminale, ma la coraggiosa discepola che ha scelto di seguire il
maestro a rischio della propria vita, mentre gli apostoli, che avevano giurato
di esser pronti a morire per lui (Mc
14,29-31), sono vigliaccamente fuggiti (Mt
26,56).
Sul Gòlgota, più che una madre che soffre per il figlio, Giovanni mostra infatti
la discepola che soffre con il suo maestro,
la donna che condivide la pena dell' “Uomo dei dolori” (Is 53,3; Rm 8,17). Maria ha preso la sua croce, e si è posta a
fianco del giustiziato contro chi lo ha crocifisso, schierandosi per sempre a
favore degli oppressi e dei disprezzati.
Non è stato facile per Maria.
Per schierarsi col crocifisso si è messa
contro la propria famiglia e ha dovuto rompere con la religione che, nella
persona del suo rappresentante più alto, il Sommo sacerdote, aveva scomunicato
Gesù (Mt 26,65; Mc 3,22). Infine,
scegliendo il condannato, ha osato pure mettersi contro il potere civile che
giustiziava quel galileo come pericoloso rivoluzionario (Mt 27,38). Maria presso il patibolo aderisce attivamente a Colui
che “rovescia i potenti dai troni” (Lc 1,52): sta dalla parte delle vittime
di questi potenti e fa sua la croce, cioè accetta, come Gesù, di essere
considerata un rifiuto della società pur di non venire meno all'impegno di
essere presenza dell'amore di Dio in mezzo al mondo (Mc 8,34).
La
grandezza di Maria non consiste nell’aver dato alla luce Gesù, ma di essere
stata capace poi di diventare la sua discepola.
Tutti
erano sconvolti, ma “Maria, da parte sua,
custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.”. Il cuore nel mondo ebraico è la mente, la sede del
pensiero e delle emozioni. Anche Maria è sconvolta, c’è qualcosa che non quadra
ma non rifiuta nulla: ci pensa, ci riflette nel suo cuore.
“I
pastori poi se ne tornarono…” e qui Luca scrive qualcosa di incredibile,
qualcosa di straordinario che cambierà per sempre il nostro rapporto con Dio e
di conseguenza anche quello con gli altri. Scrive Luca: “I pastori se ne tornarono, glorificando e
lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto
loro”.
Dopo
aver fatto l’esperienza del Dio amore, è possibile anche ai pastori, quelli che
la religione riteneva i più lontani da Dio, lodarlo e glorificarlo, cioè essere
gli intimi di Dio.
“Quando furono compiuti gli otto giorni
prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato
chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo”. E’ la
conclusione della vicenda familiare; d’ora in poi tutto quello che riguarda
Gesù sarà pubblico, a cominciare dalla sua presentazione al Tempio.
Note: 1. Vivendo tra le bestie, i pastori
diventavano persone abbrutite, erano considerati come dei criminali, dei ladri;
si rubavano il bestiame tra di loro, si uccidevano e, secondo il Talmud, erano
considerati non-persone, non godevano di nessun diritto civile. Naturalmente, abbrutiti
da questo lavoro, essi non avevano né il tempo, né la possibilità di fare le
purificazioni quotidiane o di andare al tempio, cosa che li emarginava sempre
di più. – 2. Con il termine giusto, zaddiq
in ebraico, non
s’intende una persona retta, una persona di buona moralità: nel mondo ebraico i
giusti erano una specie, diciamo così, di confraternita, di persone laiche,
molto devote, che s’impegnavano ad
osservare nella loro vita quotidiana tutti quei 613 precetti che i farisei
avevano ricavato dalla legge di Mosè. Ne consegue che Giuseppe non avrebbe
potuto parlare con degli impuri senza diventarlo anche lui e che Maria, come
tutte le donne, non avrebbe potuto intrattenersi con persone estranee alla
famiglia sia pure in presenza di Giuseppe. – 3. Con ragione ha scritto Paolo: ”Cristo ci ha riscattati dalla
maledizione della legge” (Gal 3,13).
Il grande problema della Chiesa Cattolica è l’aver ricostruito, imitando i
farisei del I secolo, la rete di precetti, obblighi e dogmi contro i quali si
era battuto Gesù, dimenticando che l’unico imperativo morale, come ha insegnato
Cristo, è il benessere e la felicità dell’uomo. – 4. L’analisi che segue è
liberamente tratta da un articolo di P. Alberto Maggi “Maria, la fantasia di Dio”. – 5. L’episodio riportato da Marco (Mc 3,31-35) è considerato dai teologi la
seconda annunciazione a Maria certamente più importante della prima in quanto
non è vissuta passivamente (o quasi), ma ha comportato un’intima, corraggiosa
decisione autonoma.