1. Premessa
L’Unzione
dei Malati o Unzione degli infermi è il sacramento della speranza. In passato
era detta, in maniera impropria, Estrema Unzione, e per questo, nella
mentalità popolare, è associato alla paura della morte.
Testimonianze
dell’uso dell’olio per curare le piaghe si hanno dalla notte dei tempi. L’atto
dell’unzione era accompagnato da preghiere e talvolta da sacrifici a seconda
della teologia che lo accompagnava.
2. Fondamento biblico
L’AT
testimonia che l'olio veniva usato per lenire le piaghe (Is 1,6; Lc 10,34); secondo Lv
14.10-32 sui lebbrosi guariti si praticavano unzioni con olio come riti di purificazione.
L'unzione
con l'olio, soprattutto l'unzione dei re, era segno esterno dell'elezione
divina, ed era accompagnata dall'irruzione dello Spirito, che prendeva possesso
dell'eletto (1Sam 10,1-6;16,13).
Questo legame tra unzione e Spirito è all'origine del simbolismo fondamentale
dell'olio nel sacramento dell'Unzione degli infermi.
Un altro
elemento da tener presente è il fatto che, nella mentalità ebraica, espressa
chiaramente nell’AT, sofferenza e peccato si mescolano fra di loro: la presenza
di quella viene vista come conseguenza di questo, non solo nei singoli casi, ma
come situazione generale dell'umanità (cfr. Rm
5,12).
Il
NT narra un'intensa
attività taumaturgica di Gesù, che, tralasciando al momento le interpretazioni
esegetiche al riguardo, si sviluppò guarendo ogni sorta di malattie e risuscitando
persino i morti.
Questo
stesso potere Gesù lo conferisce ai suoi discepoli:
“Guarite gli
infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente
avete ricevuto, gratuitamente date.” (Mt 10,8)
Gli apostoli
realizzavano l'opera della guarigione attraverso l'olio: "scacciavano molti demòni, ungevano di olio
molti infermi e li guarivano" (Mc
6,13). È tutto l'insieme dell’azione da tenere presente: non è solo
l'ungere con l'olio che guarisce, come se fosse una medicina prodigiosa, ma
soprattutto l'accettazione dell'annuncio del Vangelo, della parola di Gesù.
Le
guarigioni operate dai discepoli sono il segno che il Regno di Dio è all'opera
nella storia: la malattia e la morte vengono finalmente vinte, anche se solo
parzialmente e come prefigurazione della restaurazione finale, quanto tutte le
negatività non esisteranno più (Ap 21,4).
La Lettera
di Giacomo indica nella preghiera e nell'unzione con olio fatta dal presbitero
(anziano) sui malati, il cammino della salvezza e del perdono dei peccati:
Chi è
malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo
unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il
malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati.
(Gc 5,14-15)
Giacomo
riferisce qui una prassi assai nota nella Chiesa primitiva, e perciò non si
dilunga nel descriverne i particolari: l'invocazione del nome di Gesù non è
pronunciare una formula magica, ma indica la sorgente da cui i presbiteri
attingono il loro potere di guarigione: la presenza del Risorto.
Il brano di
Giacomo ricorda le ultime parole del Risorto agli apostoli:
“E questi
saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome
scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e,
se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai
malati e questi guariranno” (Mc 16,17-18).
Il rito
liturgico indicato da Giacomo non è che la istituzionalizzazione di
quest'ultimo mandato di Gesù ai suoi apostoli.
Gli effetti
dell'unzione sono da considerare unitariamente nel duplice risvolto materiale e
spirituale, per quel profondo rapporto tra corpo e spirito testimoniato in
tutta la rivelazione.
Giacomo
insiste sulla dimensione della fede ("la
preghiera fatta con fede"), per sottolineare che tutto assume valore
nella dimensione della fede: non si tratta né di magia né di psicologia,
l'unzione sacra ha per virtù divina il potere di "salvare" il malato.
E la prima salvezza va proprio al corpo ("il Signore lo rialzerà": il
verbo greco è quello che indica l'alzarsi dal letto).
La seconda
salvezza è la liberazione dal peccato. Riprendendo il concetto ebraico che la
malattia è una conseguenza del peccato, l'unzione fatta nel nome del Signore
realizza la salvezza del malato: lo fa partecipare alla vittoria di Cristo sul
peccato e sulla morte, sia mediante la guarigione, sia mediante la fortezza
nell'affrontare la morte.
Il testo di
Giacomo presenta l'unzione con tutti gli elementi per essere considerata un
vero e proprio Sacramento: i ministri (i presbiteri), i destinatari (i malati),
gli elementi materiali (unzione) e spirituali (preghiera) del rito, gli effetti
da raggiungere (salute materiale e remissione dei peccati), il presupposto di
ogni Sacramento (la fede).
Come sacramento dei moribondi l'unzione degli infermi
fu valorizzata solo dal X secolo, anche se la tradizione più antica risale a
Ippolito di Roma (anno 215).
Il dogma di
questo sacramento fu definito nel Concilio di Trento (Denzinger 1694-1700 e 1716-1719).
3. Teologia del Sacramento
La teologia
ha sempre considerato la malattia come una manifestazione corporea dell'essere
soggetti alla morte; per questo il primo Sacramento necessario a vivere in comunione
con Cristo è l'Eucaristia. La Chiesa chiama il sacramento dell'Unzione degli
infermi anche compimento del Sacramento della Riconciliazione (Denzinger 1694). Ciò avviene perché
l'effetto dell'Unzione è quello di dare alla malattia di chi riceve il
Sacramento, la forma della vittoria di Cristo che ha sconfitto infermità e
morte in quanto conseguenze ed espressioni del peccato. Così, grazie alla buona
disposizione di chi riceve il Sacramento, la sua malattia viene trasformata in
situazione di salvezza, che porterà l'infermo all'effettiva guarigione e
salvezza, in modo del tutto indipendente dall'esito della malattia stessa.
Nel malato
che dice il suo sì di fede all'unzione, in quanto battezzato che
appartiene alla comunità dei fedeli, e nell'azione della Chiesa che partecipa
al Sacramento nella preghiera, si realizza un'immagine escatologica: la Chiesa
si manifesta come colei che, con la fiaccola accesa, mentre sulla terra cala il
buio della morte, va incontro allo Sposo che viene.
4. Dottrina liturgica e prassi
attuale
Il Concilio Vaticano II la definisce
così:
“Con la sacra unzione degli infermi
e la preghiera dei sacerdoti, tutta la chiesa raccomanda gli ammalati al
Signore sofferente e glorificato, perché alleggerisca le loro pene e li salvi,
anzi li esorta ad unirsi spontaneamente alla passione e morte di Cristo, per
contribuire così al bene del Popolo di Dio.” (LG 11)
La Costituzione
apostolica Sacrama Unctionem infirmorum
del 30.11.1972, in linea con il Concilio Vaticano II ha stabilito che:
“Il sacramento dell'Unzione degli
infermi viene conferito ai malati in grave pericolo, ungendoli sulla fronte e
sulle mani con olio debitamente benedetto – olio di oliva o altro olio vegetale
– dicendo una sola volta:
Per questa
santa Unzione e per la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la
grazia dello Spirito Santo e, liberandoti dai peccati, ti salvi e nella sua
bontà ti sollevi”.
Se in
passato ci può essere stata un'accentuazione di questo Sacramento come ultimo
atto prima della morte, oggi esso è visto nella luce della vicinanza di Cristo
al malato e al sofferente.
Il Compendio
del Catechismo afferma: "Questo Sacramento consente talvolta, se Dio lo
vuole, anche il recupero della salute fisica". Il Catechismo elenca tra
gli effetti del sacramento "il recupero della salute, se ciò giova alla
salvezza spirituale".
La Chiesa
cattolica lo amministra a chi è malato gravemente, cioè a chi versa in pericolo
di morte per malattia o vecchiaia.
Ministro del
sacramento sono il vescovo e il presbitero.
La Chiesa
predilige la celebrazione comunitaria, nella quale la comunità cristiana intera
prega per i suoi membri malati.
5.
Il parere di Papa Francesco
Nell’udienza
generale del 26 febbraio 2016, proseguendo nel ciclo di catechesi sui
sacramenti, Papa Francesco ha proposto una meditazione sull’Unzione degli
infermi, chiamata anche – specie in passato – «Estrema unzione». Il nome che si
preferisce oggi, Unzione degli infermi, ha detto il Papa, «ci aiuta ad
allargare lo sguardo all’esperienza della malattia e della sofferenza,
nell’orizzonte della misericordia di Dio».
Dobbiamo ricorrere spesso e senza timore all’Unzione
degli infermi per ricordarci che «nel
momento del dolore e della malattia noi non siamo soli: il sacerdote e coloro
che sono presenti durante l’Unzione degli infermi rappresentano infatti tutta
la comunità cristiana che, come un unico corpo si stringe attorno a chi soffre
e ai familiari, alimentando in essi la fede e la speranza, e sostenendoli con
la preghiera e il calore fraterno». Questo è bello, ma non è ancora l’aspetto
più importante del sacramento. «Il conforto più grande deriva dal fatto che a
rendersi presente nel Sacramento è lo stesso Signore Gesù, che ci prende per
mano, ci accarezza come faceva con gli ammalati e ci ricorda che ormai gli
apparteniamo e che nulla – neppure il male e la morte – potrà mai separarci da
Lui».
Prendiamo dunque, ha concluso il Papa, «questa abitudine di
chiamare il sacerdote perché ai nostri malati – non dico ammalati di influenza,
di tre-quattro giorni, ma quando è una malattia seria – e anche ai nostri
anziani, venga e dia loro questo Sacramento, questo conforto, questa forza di
Gesù per andare avanti. Facciamolo!».