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Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


venerdì 12 agosto 2016

Assunzione della Beata Vergine Maria



Assunzione della Beata Vergine Maria (Messa del Giorno) - Lc 1,39-56  

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Il brano che ci accingiamo a leggere più che descrivere un fatto, produce delle affermazioni teologiche. Per comprenderne il significato dobbiamo ricordarci che Maria è una ragazza di circa 13 anni (forse meno)1, che è incinta di Gesù e che è solo fidanzata e non sposata con Giuseppe2. Sono particolari che a quell’epoca contavano molto.
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.” Quindi Maria, dal nord, dalla Galilea, si mette in viaggio, in fretta verso una città di Giuda, nel sud. Sono all’incirca 150 chilometri se si passa attraverso la Samaria; un po’ di più se si segue la valle del Giordano; ovviamente da fare a piedi3.
In entrambi i casi il percorso è pericoloso; in Samaria i galilei ed i giudei non erano ben visti ed era molto facile rimediare una coltellata. La valle del Giordano è abitata da pastori, gente brutale, abituata a vivere più con le bestie che con gli uomini: uno stupro era il minimo da preventivare. A tutto questo occorre aggiungere che Maria non può contare su nessuno: non può essere accompagnata dal padre o da uno della famiglia perché è in attesa di un figlio senza essere sposata; non può essere accompagnata da Giuseppe perché non sono sposati. Fare un viaggio del genere da sola camminando per quattro giorni e dormendo dove capita è veramente inconcepibile. Forse nemmeno una prostituta si azzarderebbe a compiere un viaggio simile. 
E’ sconcertante quello che Luca sta narrando, è evidente che il racconto, più che descrivere un fatto storico, vuole affermare una verità teologica: il collegamento, nel piano di Dio, tra Giovanni (il Battista, il precursore, l’Elia atteso) e Gesù.
Inoltre Maria è spinta dalla fretta: l’evangelista non ci dice quale sia il motivo di questa fretta, probabilmente è una licenza letteraria per sottolineare l’importanza del fatto; comunque Maria, che è stata dichiarata piena di Spirito Santo, inizia una attività all’insegna della fretta e questa attività la mette di fronte a pericoli consistenti.
Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta”. Ci saremmo aspettati che all’ingresso nella casa del sacerdote Zaccaria, Maria salutasse il sacerdote. Nella cultura ebraica era l’atto principale, anzi, era l’unico atto che avrebbe consentito a Maria di entrare e rimanere nella casa. Invece anche qui c’è qualcosa che sconcerta: “…salutò Elisabetta”.
E il povero Zaccaria? Il povero Zaccaria è escluso: è stato sordo alla voce di Dio (cfr. Lc 1,18), refrattario allo Spirito; Maria, piena di Spirito Santo, con la vita che trabocca in lei, può dirigere il suo saluto solamente alla parente nella quale ugualmente palpita la vita. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo…. L’attività di Gesù sarà definita proprio da questo bambino, da questo personaggio, da Giovanni chiamato il Battista, colui che battezzerà in Spirito Santo, cioè immergerà le persone nello spirito.
Luca quasi anticipa questa attività nella figura di Maria: Maria, piena di Spirito Santo (noi non abbiamo più questa sensibilità, ma il saluto non è soltanto una espressione verbale, è una trasmissione di vita, una messa in comune di vita), con il saluto trasmette lo Spirito Santo ad Elisabetta, ed Elisabetta potremmo dire che è battezzata nello Spirito Santo, cioè è permeata da questo amore di Dio, tanto che il bambino le sussulta, le salta nel grembo.
Elisabetta inaugura, con Maria, la serie delle donne profetesse: essere piena di Spirito Santo significa essere in piena sintonia con Dio e ricordo, per far comprendere il clamore di questa affermazione, che Dio, che nell’AT non si rivolge mai alle donne, qui comunica invece anche alle donne la sua stessa forza e le donne profetizzano.
“…ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto»”.
Quello che dice Elisabetta non è soltanto ammirazione per Maria, ma suona anche disapprovazione per il marito; qui Luca presenta due contrasti: Maria ha creduto a qualcosa che non era mai accaduto nella storia di Israele e si è fidata; Zaccaria, il sacerdote, invece non ha creduto a qualcosa che era già accaduto nella storia di Israele.
Questa beatitudine che si rivolge a Maria suona perciò come un rimprovero al marito. La prima beatitudine che compare nei Vangeli, nel Vangelo di Luca, è rivolta a Maria.
L’ultima beatitudine che compare nei Vangeli, non in Luca, ma nel Vangelo di Giovanni, è probabile possa essere attribuita anche a Maria, anche se non ci sono prove e quindi si è soltanto a livello di ipotesi.
La prima beatitudine è quella che abbiamo appena letto: beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto”, qualcosa di nuovo, qualcosa di incredibile.
L’ultima beatitudine che chiude i Vangeli è, in Giovanni, “beati quelli che crederanno senza aver bisogno di vedere. In Maria potrebbero essere racchiuse queste due beatitudini. E’ beata colei che ha creduto alle parole del Signore e questa fede non le ha creato la necessità di vedere.
Dico questo perché molti autori, credendo di esaltare il ruolo di Maria (specialmente qui in Italia, o nella zona mediterranea, dove tutti sono dei cocchi di mamma) pensano che Gesù, una volta resuscitato, la prima cosa che ha fatto è stata quella di andare dalla mamma4.
Questo è tipicamente italiano, la mamma al di sopra di tutto!
Quindi Gesù resuscitato, secondo questi autori, la prima persona alla quale si faceva vedere era la mamma: dai Vangeli però, le apparizioni di Gesù sono sempre per le persone tarde e dure di testa, di comprendonio. Le apparizioni sono sempre accompagnate da un rimprovero: perché non avete creduto, gente di poca fede?
Credo quindi che far apparire Gesù resuscitato a Maria non significa esaltare il ruolo di Maria, ma diminuirlo o perlomeno escludere Maria dall’ultima beatitudine, beati quelli che credono senza aver bisogno di vedere; questa, ripeto, è una ipotesi, una proposta di studio.
La visita di Maria a Elisabetta è l’occasione della prima manifestazione dello Spirito su Giovanni e l’inizio della sua missione già nel grembo di sua madre; è anche il momento della manifestazione dello Spirito su Maria, la quale viene proclamata beata a motivo della sua fede ed esprimerà nel Magnificat il suo animo ricolmo di gioia.
Per quanto riguarda il Magnificat sono particolarmente interessanti le somiglianze con il cantico di Anna (1Sam 2,1-10). Numerosi sono anche i paralleli con brani della letteratura intertestamentaria: nel IV libro di Esdra, ad esempio, il popolo di Dio è personificato in una donna desolata che, dopo la prova, esprime così la sua riconoscenza: «Dio ha esaudito la sua schiava, ha visto la mia vergogna (la mia umiliazione)... e mi ha dato un figlio» (4Esd 9,45; cfr. 1Sam 1,11). La preghiera di Maria5 si divide in tre strofe ritmate, riguardanti rispettivamente il privilegio concesso a Maria stessa (vv. 46-50), il modo di agire di Dio nella storia (vv. 51-53) e la sua fedeltà a Israele (vv. 54-55).
Nella prima strofa Maria si rivolge a Dio come suo «salvatore» e gli esprime la sua esultanza e la sua lode per i benefici di cui l’ha colmata. Il primo motivo di questa esultanza consiste nel fatto che egli «ha rivolto il suo sguardo» su di lei, cioè ha operato una scelta privilegiando proprio a favore di colei che, per la sua «bassezza» (tapeinôsis), può essere paragonata a una schiava: il motivo della schiava che si apre alla chiamata di Dio era già apparso nella risposta di Maria all’angelo (cfr. 1,38).
Maria fa poi una considerazione generale circa il suo futuro destino affermando che, in forza della chiamata divina, d’ora in poi tutte le generazioni la diranno beata: l’esaltazione di Maria si estenderà dunque senza limiti di tempo e di spazio. Il testo gioca sulla contrapposizione tra la bassezza della schiava e la grandezza che il Signore le ha conferito. Da questa constatazione Maria passa poi di nuovo ad esaltare l’iniziativa divina a suo riguardo: il Potente ha fatto per lei grandi cose; con ciò ha dimostrato che il suo nome è santo e che la sua misericordia si estende «a generazioni e generazioni» in favore di quelli che lo temono. La santità del nome divino si manifesta appunto nelle opere che egli compie per la liberazione del suo popolo (cfr Ez 36,20-23), le stesse con le quali rivela la sua misericordia per coloro che sono aperti alla sua azione (cfr. Es 20,6).
Nella seconda strofa il canto di lode si allarga: «Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi». Con queste parole Maria mostra che quanto Dio ha fatto in suo favore non è altro che un esempio di come egli guida le vicende del mondo. Anzitutto Maria esalta la potenza che ha dimostrato stendendo il suo braccio (cfr. per es. Es 6,6) e disperdendo i superbi nei «pensieri» (dianoia) del loro cuore, cioè nei loro progetti di grandezza. Poi prosegue con due parallelismi antitetici in forma chiastica (ab-ba): ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili (tapeinous), cioè quelli privi di potere (cfr. v. 48a); ha ricolmato di beni gli affamati e ha rimandato a mani vuote i ricchi.
La terza strofa contiene un’esaltazione dell’opera di salvezza che Dio ha attuato in favore del suo popolo: Maria ricorda l’aiuto dato da Dio ad Israele suo servo come manifestazione della sua misericordia e come adempimento delle promesse fatte ai padri: in questa strofa la mente va ancora una volta al tema del servo, che accomuna Maria e Israele; l’accenno alla «discendenza» (sperma) di Abramo non poteva non ricordare al lettore cristiano la figura di Gesù, in funzione del quale erano state fatte le promesse (cfr. Gal 3,16).
Al termine del Magnificat Luca annota: «Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua» (v. 56): in questo modo termina il racconto della visita ad Elisabetta e con esso il dittico degli annunzi. Anche alla fine del secondo dittico si dirà che Giuseppe e Maria sono ritornati a casa loro (2,39). I tre mesi in cui Maria si ferma da Elisabetta, aggiunti ai sei mesi che precedono, fanno supporre che ella fosse presente al momento del parto. Il testo però non dice niente in proposito. L’evangelista non è interessato ai dettagli, ma vuole semplicemente concludere il suo primo dittico prima di iniziare il secondo. Così in 3,19-20 egli ricorda l’incarcerazione di Giovanni e la fine della sua attività di battezzatore prima di affrontare il racconto del ministero di Gesù, che tuttavia comincia proprio con il battesimo di Giovanni. 

Note: 1. Maria, come tutte le donne ebree del suo tempo, è divenuta maggiorenne a undici anni e, a dodici anni al più tardi, ha l’obbligo di sposarsi (Talmud, Nidda M. 6,11). Obbligo, non possibilità: nel mondo ebraico e orientale non è concepibile la figura della donna indipendente e la verginità è una maledizione; senza un marito od un figlio maggiorenne, la donna ebraica è considerata un essere senza testa (cfr. Ef 5, 23). – 2. Ricordo che il matrimonio giudaico non è un atto religioso e nemmeno sociale, ma un contratto tra privati. Lo sposalizio si tiene in casa della donna; raggiunto l’accordo sul prezzo, lo sposo copre con il proprio mantello la sposa e pronuncia la formula “Tu sei mia moglie” e la sposa risponde “Tu sei mio marito”. Con questa semplice cerimonia Maria è divenuta “promessa sposa di Giuseppe”. Dopo un anno, quando la maturità sessuale di Maria lo permetterà, avrà luogo la seconda fase del matrimonio, la convivenza. Ma in questo anno accade il concepimento di Gesù, qualcosa di imprevedibile. – 3. Secondo le usanze ebraiche, alla donna non era concesso l’uso di animali da soma, riservati ai lavori dei campi e quindi agli uomini. Se si pensa di fare riferimento a certe illustrazioni rappresentanti la fuga in Egitto con Maria sull’asino, Gesù in braccio e Giuseppe a piedi che guida l’asimo, si ha una visione edulcorata del mondo ebraico. La rappresentazione reale prevede Giuseppe sull’asino e Maria con Gesù in braccio e sulla testa i bagagli, racchiusi in un grande telo annodato, che segue a piedi. – 4.  Ammesso e non concesso che fosse ancora viva: Maria al momento della crocifissione di Gesù avrebbe dovuto avere circa 42 o 43 anni e la vita media delle donne in Israele a quell’epoca raramente superava i 25 anni. – 5. Molto probabilmente quella che viene dalla Chiesa indicata come preghiera di Maria è, in realtà, la preghiera di ringraziamento di Elisabetta per aver concepito un figlio, lei che era umiliata dall’essere sterile.

lunedì 8 agosto 2016

Diciannovesima Domenica del Tempo Ordinario



XIX Domanica del Tempo Ordinario – Lc 12,32-48

Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell'alba, li troverà così, beati loro! Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». Il Signore rispose: «Chi è dunque l'amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: «Il mio padrone tarda a venire» e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l'aspetta e a un'ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più.

ll viaggio di Gesù verso Gerusalemme è stato utilizzato da Luca come occasione per inserire, nella trama della sua opera, molto materiale non contenuto nella fonte a cui attinge normalmente, cioè il vangelo di Marco. Nella prima parte della sezione (Lc 9,51-13,21) l’evangelista riporta diversi detti riguardanti i discepoli. Dopo di ciò raccoglie altri detti in cui predomina la critica nei confronti degli scribi e dei farisei. Infine introduce una piccola raccolta di detti sul distacco dai beni materiali e sulla fiducia nella provvidenza. Il testo liturgico in esame fa parte di questa raccolta, nella quale si situa al terzo posto, dopo la parabola del ricco insensato (Lc 12,13-21) e il brano, omesso dalla liturgia, riguardante l’abbandono alla provvidenza (Lc 12,22-31). In questo piccolo complesso Luca segue a modo suo la fonte Q.
Nel brano precedente (Lc 12,22-31) Gesù aveva esortato i suoi discepoli a non preoccuparsi delle cose materiali ma a cercare piuttosto il regno di Dio. Ora si rivolge direttamente a loro dicendo: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
In questo versetto, che è un’aggiunta di Luca rispetto alla fonte Q, il riferimento al gregge richiama la nota immagine che nell’AT caratterizzava il popolo di Dio (cfr. Ez 34); ora questa immagine è applicata ai discepoli i quali a loro volta rappresentano la comunità cristiana, alla quale il Padre ha deciso, nella sua benevolenza, di concedere il suo regno:  infatti per i discepoli l’amore di Dio, continuazione di quello da lui riservato a Israele, è un’immagine per indicare non un privilegio, ma il ruolo che essi si sono volontariamente assunti al seguito di Gesù per realizzare con lui un mondo migliore. Se essi saranno fedeli a questa scelta non dovranno aver timore di nulla, perché Dio è dalla loro parte.
Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma”.
Questo detto si riaggancia al v. 21, dove si parlava di un «arricchirsi davanti a Dio»; solo liberandoci dal sovranecessario per farne parte a chi ha un livello di vita inferiore al nostro, solo condividendo si raggiunge quella vita piena che rappresenta il più alto livello di felicità dell’uomo: il tesoro che né i ladri possono depredare né la tignola corrodere (cfr. Mt 6,19-20). Con queste parole Gesù non invita a distribuire sconsideratamente i propri beni agli accattoni, ma a servirsene per attuare quel modello di solidarietà e giustizia che Luca vede attuato nella prima comunità cristiana (cfr. At 2,42-48).
Perché, dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.” (cfr. Mt 6,21). Ricordo che nella cultura ebraica il cuore non è la sede dei sentimenti, ma delle decisioni, per cui soltanto chi ha sperimentato la felicità che deriva dalla condivisione dei beni materiali saprà poi ispirare tutte le sue scelte alla ricerca di questo valore, lasciando da parte ogni desiderio egoistico. Mettendosi nell’ottica del regno di Dio il credente otterrà la vera sicurezza che lo libererà dall'affanno per la propria sopravvivenza e gli permetterà di lottare con tutte le sue forze per il bene di tutti.
“Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.”
In quel periodo gli uomini indossavano vesti ampie per non limitare i movimenti e per difendersi dal caldo; quando si mettevano in viaggio ne sollevavano la parte inferiore e la legavano ai fianchi per essere più spediti nel cammino; inoltre l’assenza di illuminazione pubblica richiedeva l’uso di lampade portatili. Con queste due immagini i discepoli sono invitati a tenersi pronti, in un atteggiamento di servizio, in vista di un ritorno sulla cui natura dobbiamo ragionare.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell'alba, li troverà così, beati loro! Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo»”.
L’atteso è quindi il Figlio dell’Uomo. Nel testo greco è hyiòs tou antropou. Nella lingua ebraica ben adam e in quella aramaica bara nasa, l’espressione “figlio dell’uomo” significa semplicemente un membro della specie umana, “l’uomo” o “un uomo”. Gli evangelisti usano con grande frequenza tale espressione, molto spesso in bocca a Gesù, il quale la riprende sempre in terza persona, riferendola a se stesso. Dal senso delle frasi presenti nei vangeli è possibile capire che il figlio dell’uomo è l’uomo completo, l’uomo che, dedicandosi agli altri e affrancandosi da qualunque potere, ha raggiunto la pienezza di vita.
La venuta del figlio dell’uomo, di cui si parla nei vangeli sinottici non si riferisce quindi ad una ipotetica fine del mondo, ma alla caduta e alla fine di un sistema oppressore di morte, posto in essere dal potente di turno. Dice Luca : “Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”(Lc 21,27-28).
Pervenuto alla gloria di Dio, Gesù annunzia la venuta del figlio dell’uomo in Matteo 16,27 (Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni) in Marco 13,26 (Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria) in Luca 17,30 (Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà) e Lc 21,27 (Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria) con un terribile avvertimento: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8).
Nella teologia degli evangelisti (sinottici), la «venuta del Figlio dell’Uomo» si riferisce ad ogni traguardo raggiunto, nella storia, a favore della dignità e della libertà umana; e ciò dipende dalla maturazione sia dell’individuo, che dell’umanità; per questo il momento di tale venuta non può essere precisato, solo il Padre può prevederlo.
Tornando al brano sopra citato, la prima similitudine riguarda un padrone che si è recato a un banchetto nuziale, dal quale poteva ritornare anche molto tardi. I suoi servi dovevano quindi attenderlo vigilanti con le fiaccole accese, per aprirgli subito la porta al ritorno (v. 36). I servi che si comportano in questo modo sono detti «beati» (v. 37). La loro beatitudine consiste nel fatto che il padrone li farà adagiare a tavola e li servirà lui stesso con le vesti cinte. Essi saranno tanto più beati se sapranno aspettare sino alla seconda o terza veglia della notte (v. 38). Il termine Kyrios (Signore), ripetuto due volte, rende evidente l'allusione al comportamento di Gesù, che non è venuto per farsi servire ma per servire (Mc 10,45; Lc 22,26-27), e che nell’ultima cena si cinge la veste e lava i piedi ai discepoli come uno schiavo (Gv 13,1-7).
Attenendosi all'uso romano, che divide la notte in quattro veglie di tre ore ciascuna a partire dalle ore 18, Marco prospetta la possibilità che i servi debbano attendere il padrone a partire dalla sera, fino a mezzanotte, al canto del gallo o al mattino (Mc 13,35). Luca invece, non accenna alla possibilità che il padrone ritorni durante la prima vigilia, ma solo nella notte o prima dell’alba: in tal modo egli vuole sottolineare che la venuta del Figlio dell’uomo, cioè la vittoria sulle oppressioni, è ancora molto lontana: bisogna saper aspettare.
Nel secondo esempio, riportato anche da Mt 24,43, si parla di un padrone che veglia, affinché il ladro, giungendo in un'ora inattesa, non gli devasti la casa per impossessarsi dei suoi beni (v. 39). La breve similitudine illustra il carattere improvviso della venuta, su cui si basa la necessità di essere sempre vigilanti. Mentre Matteo situa la venuta del ladro durante la notte, Luca la ritiene possibile in un'ora qualsiasi. Nella conclusione si riprende l’esortazione iniziale: i discepoli devono attendere vigilanti perché il ritorno del Figlio dell'uomo sarà improvviso e imprevedibile (v. 40; cfr. Mt 24,44), proprio come, si suppone, quello del ladro di cui si è appena parlato (cfr. 1Ts 5,2; Ap 3,3).
L’ultima piccola parabola della raccolta è riportata anche da Matteo (Mt 24,45-51). Luca la introduce con un versetto redazionale: “Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?»”. Questa frase, che si riaggancia probabilmente all'espressione «padrone di casa» (cfr. v. 39), intende sottolineare che l’insegnamento di Gesù è indirizzato prima di tutto ai responsabili della comunità cristiana e solo secondariamente anche agli altri suoi membri.
Nella sua risposta Gesù non affronta direttamente il problema sollevato da Pietro, ma passa dal tema precedente, che era quello della vigilanza, a quello della fedeltà: “Il Signore rispose: «Chi è dunque l'amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito?”. Forse in origine la parabola che segue era riferita agli scribi, per metterli di fronte alla responsabilità che si sono assunti rifiutando il vangelo. Nella prospettiva indicata nel versetto precedente, è chiaro che secondo l’evangelista si parla invece del ruolo dei discepoli in quanto guide della comunità: “Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.”
In questa veste, dovranno vegliare con premura sul gregge, curando i fedeli loro affidati. “Ma se quel servo dicesse in cuor suo: «Il mio padrone tarda a venire» e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l'aspetta e a un'ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.” Si prospetta qui il caso che l’amministratore, a causa dell’assenza prolungata del padrone di casa, agisca in modo contrario all'incarico ricevuto. Si ha qui una chiara allusione al ritardo di manifestazione del Figlio dell’uomo. Anche in questo caso i responsabili della comunità vengono ammoniti severamente a non lasciarsi andare alla rilassatezza e alla negligenza.
La conclusione della raccolta è tipica di Luca: “Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più”.
Queste parole stabiliscono un rapporto di proporzionalità tra il castigo e la conoscenza della volontà di Dio. Con esse Luca vuole sottolineare, in sintonia con quanto suggerito all’inizio che le minacce di Gesù, originariamente rivolte agli scribi, si riferiscono in primo luogo ai capi della chiesa, i quali, essendo più informati dei semplici fedeli sulle esigenze del vangelo, sono più responsabili di loro.