4. Istituzione del Tempo di Avvento
Fin dal secolo V troviamo l'uso di fare delle
esortazioni al popolo per disporlo alla festa di Natale; ci sono rimasti a
questo proposito due sermoni di san Massimo di Torino, senza parlare di
parecchi altri attribuiti in un primo tempo a sant'Ambrogio e a sant'Agostino,
e che sembrano essere invece di san Cesario d'Arles. Se tali documenti non ci
indicano ancora la durata e gli esercizi di questo tempo sacro, vi riscontriamo
almeno l'antichità dell'uso che distingue mediante particolari predicazioni il
tempo dell'Avvento.
Sant'Ivo di Chartres, san Bernardo, e parecchi altri
dottori dell'XI e del XII secolo hanno lasciato speciali sermoni de adventu
Domini, completamente distinti dalle Omelie domenicali sui Vangeli di
questo tempo.
Nei Capitolari di Carlo il Calvo dell'anno 864, i
vescovi fanno presente a quel principe che egli non deve richiamarli dalle loro
chiese durante la Quaresima né durante l'Avvento sotto il pretesto degli
affari di Stato o di qualche spedizione militare, perché essi hanno in quel periodo
dei doveri particolari da compiere, principalmente quello della predicazione.
Un antico documento in cui si trovano, precisati, in
maniera sia pure poco chiara, il tempo e gli esercizi dell'Avvento, è un passo
di san Gregorio di Tours, al decimo libro della sua Storia dei Franchi
nel quale riferisce che san Perpetuo, uno dei suoi predecessori, che occupava
la sede verso il 480, aveva stabilito che i fedeli digiunassero(1)
tre volte la settimana dalla festa di san Martino fino a Natale(2).
Con quel regolamento, san Perpetuo stabiliva un'osservanza nuova, o sanzionava
semplicemente una legge già esistente? È impossibile determinarlo con esattezza
oggi. Rileviamo almeno questo intervallo di quaranta giorni o piuttosto di
quarantatré giorni, designato espressamente, e consacrato con la penitenza come
una seconda Quaresima, sebbene con minor rigore(3).
Troviamo quindi il nono canone del primo Concilio di
Mâcon, tenutosi nel 583, il quale ordina che, durante lo stesso intervallo da
san Martino al Natale, si digiunerà il lunedì, il mercoledì, il venerdì, e si
celebrerà il sacrificio secondo il rito Quaresimale. Qualche anno prima, il
secondo Concilio di Tours, tenutosi nel 567, aveva ordinato ai monaci di
digiunare dall'inizio del mese di dicembre fino a Natale. Questa pratica di
penitenza si estese a tutti i quaranta giorni per i fedeli stessi; e si chiamò
volgarmente la Quaresima di san Martino. I Capitolari di Carlo Magno, al
libro sesto, non ne lasciano alcun dubbio; e Rabano Mauro attesta la medesima
cosa nel secondo libro della Istituzione dei chierici. Si facevano anche
particolari festeggiamenti nel giorno di san Martino, come si fa ancor oggi
all'avvicinarsi della Quaresima e a Pasqua.
L'obbligo di questa Quaresima che era cresciuto
successivamente fino a diventare una legge sacra, diminuì grado a grado; e i
quaranta giorni da san Martino a Natale si trovarono ridotti a quattro
settimane. Si è visto come l'usanza di tale digiuno fosse cominciata in
Francia; ma di qui si era diffusa in Inghilterra, come apprendiamo dalla Storia
del Venerabile Beda; in Italia, come consta da un diploma di Astolfo, re dei
Longobardi († 753), in Germania, in Spagna(4), ecc., ma se ne
possono vedere le prove nella grande opera di dom Martène Sugli antichi riti della
Chiesa. Il primo indizio che riscontriamo della riduzione
dell'Avvento a quattro settimane si può ritenere che sia, fin dal IX secolo, la
lettera del Papa san Nicola I ai Bulgari. La testimonianza di Raterio di Verona
e di Abbondio di Fleury, autori appartenenti entrambi allo stesso secolo, serve
anche a provare che fin d'allora si discuteva molto per diminuire d'un terzo la
durata del digiuno dell'Avvento. È vero che san Pier Damiani, nell'XI secolo,
suppone ancora che il digiuno dell'Avvento fosse di quaranta giorni e che san
Luigi, due secoli dopo, continuava ad osservarlo in questa misura; ma forse
questo santo re lo praticava in tal modo per un trasporto di devozione
particolare.
La disciplina della Chiesa d'Occidente, dopo essersi
rilassata sulla durata del digiuno dell'Avvento, si raddolcì presto al punto da
trasformare tale digiuno in una semplice astinenza; si trovano inoltre dei
Concili fin dal XII secolo, come quello di Selingstadt del 1122, che sembrano
obbligare soltanto i chierici a tale astinenza(5). Il Concilio di
Salisbury, nel 1281, pare anch'esso obbligarvi solo i monaci. D'altra parte, è
tale la confusione su questa materia, senza dubbio perché le diverse chiese
d'Occidente non ne hanno fatto l'oggetto di una disciplina uniforme, che, nella
sua lettera al Vescovo di Braga, Innocenzo III attesta che l'uso di digiunare
per tutto l'Avvento esisteva ancora a Roma al suo tempo, e Durando, sempre nel
XIII secolo, nel suo Razionale dei divini Uffici, testimonia ugualmente
che il digiuno era continuo in Francia per tutta la durata di quel tempo sacro.
Comunque sia, questa usanza venne sempre più
diminuendo di modo che tutto quello che poté fare nel 1362 il Papa Urbano V per
arrestarne la caduta completa, fu di obbligare tutti i chierici della sua corte
a conservare l'astinenza dell'Avvento, senza alcuna menzione del digiuno, e
senza comprendere affatto gli altri chierici, e tanto meno i laici, sotto
questa legge. San Carlo Borromeo cercò anch'egli di risuscitare lo spirito, se
non la pratica, dei tempi antichi nelle popolazioni del Milanese. Nel suo
quarto Concilio, ordinò ai parroci di esortare i fedeli a comunicarsi almeno
tutte le domeniche della Quaresima e dell'Avvento, e indirizzò quindi ai
suoi stessi diocesani una lettera pastorale in cui, dopo aver loro ricordato le
disposizioni con le quali si deve celebrare questo sacro tempo, faceva istanza
per condurli a digiunare almeno il lunedì, il mercoledì e il venerdì di
ciascuna settimana. Infine, Benedetto XIV ancora arcivescovo di Bologna ha
consacrato la sua undicesima Istituzione Ecclesiastica a ridestare nello
spirito dei fedeli della sua diocesi la sublime idea che i cristiani avevano in
passato del tempo dell'Avvento, e a combattere un pregiudizio diffuso in quella
regione, cioè che l'Avvento riguardava le sole persone religiose, e non i
semplici fedeli. Egli dimostra che questa asserzione, salvo che la si intenda
semplicemente del digiuno e dell'astinenza, è di per sé temeraria e
scandalosa, poiché non si potrebbe dubitare che esiste, nelle leggi e nelle
usanze della Chiesa universale, tutto un insieme di pratiche destinate a
mettere i fedeli in uno stato di preparazione alla grande festa della Nascita
di Gesù Cristo.
Ma se le pratiche esteriori di penitenza che
consacravano una volta il tempo dell'Avvento presso gli Occidentali, si sono a
poco a poco mitigate, in maniera che oggi non ne resta alcun vestigio fuori dei
monasteri, l'insieme della Liturgia dell'Avvento non è cambiato; ed è nello
zelo per appropriarsene lo spirito che i fedeli daranno prova d'una vera
preparazione alla festa di Natale.
5. Variazioni
nella Liturgia.
La forma liturgica dell'Avvento, quale si ha oggi
nella Chiesa Romana, ha subito alcune variazioni. San Gregorio (590-604) sembra
aver istituito per primo questo Ufficio che avrebbe abbracciato dapprima cinque
domeniche, come si può vedere dai più antichi Sacramentari di quel Papa. Si può
anche dire a questo proposito, secondo Amalario di Metz e Bernone di Reichenau,
seguiti da Dom Martène e da Benedetto XIV, che san Gregorio sembrerebbe essere
l'autore del precetto ecclesiastico dell'Avvento, benché l'uso di consacrare un
tempo più o meno lungo a prepararsi alla festa di Natale sia del resto
immemorabile, e l'astinenza e il digiuno di questo tempo sacro siano iniziati
dapprima in Francia. San Gregorio avrebbe determinato, per le Chiese di rito
romano, la forma dell'Ufficio durante questa specie di Quaresima, e sanzionato
il digiuno che l'accompagnava, lasciando tuttavia una certa libertà alle
diverse Chiese circa la maniera di praticarlo.
Fin dal IX e X secolo, come si può vedere da Amalario,
san Nicola I, Bernone di Reichenau, Reterio di Verona, ecc., le domeniche erano
già ridotte a quattro; è lo stesso numero che porta il Sacramentario gregoriano
dato da Pamelio, e che sembra sia stato trascritto a quell'epoca. Da allora,
nella Chiesa Romana, la durata dell'Avvento non ha subito variazioni, ed è
sempre consistito in quattro settimane, di cui la quarta è quella stessa nella
quale cade la festa di Natale, a meno che tale festa non capiti di domenica. Si
può dunque assegnare all'usanza attuale una durata di mille anni, almeno nella
Chiesa Romana; poiché vi sono delle prove che fino al secolo XIII alcune Chiese
di Francia hanno conservato l'usanza delle cinque domeniche(6).
La Chiesa ambrosiana conta ancor oggi sei settimane
nella sua liturgia dell'Avvento; il Messale gotico o mozarabico mantiene la
stessa usanza. Per la Chiesa gallicana, i frammenti che Dom Mabillon ci ha
conservati della sua liturgia non ci attestano nulla a questo riguardo; ma è
naturale pensare con questo studioso la cui autorità è rafforzata anche da
quella di Dom Martène, che la Chiesa delle Gallie seguiva su questo punto, come
su tanti altri, le usanze della Chiesa gotica, cioè che la liturgia del suo Avvento
si componeva ugualmente di sei domeniche e di sei settimane(7).
Quanto ai Greci, le loro Rubriche per il tempo
dell'Avvento si leggono nei Nenei, dopo l'Ufficio del 14 novembre. Essi
non hanno un Ufficio proprio dell'Avvento, e non celebrano durante questo tempo
la Messa dei Presantificati, come
fanno in Quaresima. Si trovano soltanto, nel corpo stesso degli Uffici dei
Santi che occupano il periodo dal 15 novembre alla domenica più vicina a
Natale, parecchie allusioni alla Natività del Salvatore, alla maternità di
Maria, alla grotta di Betlemme, ecc. Nella domenica che precede il Natale,
celebrano quella che chiamano la Festa dei santi Avi, cioè la
Commemorazione dei Santi dell'Antico Testamento, per celebrare l'attesa del
Messia. Il 20, 21, 22 e 23 dicembre sono decorati del titolo di Vigilia
della Natività; e benché in quei giorni si celebri ancora l'Ufficio di
parecchi Santi, il mistero della prossima Nascita del Salvatore domina tutta la
Liturgia.
Note: 1. Sembra
opportuno ricordare che il digiuno non è una pratica propria del cristianesimo,
anzi Gesù l’ha sempre rifiutata. Il digiuno è una pratica tipica della liturgia
ebraica ed è ad essa che fanno riferimento alcuni padri della Chiesa per
indicarne l’uso. Paolo, nella lettera ai Colossesi, condannerà la
mortificazione come azione più consona alla carne (quindi all’egoismo) che alla
spiritualità. – 2. Secondo i più recenti lavori dei liturgisti, si possono
segnalare testimonianze ancora più antiche di questa. Così un frammento di un
testo di sant'Ilario, quindi anteriore al 366, dice che "la Chiesa si dispone al ritorno annuale
della venuta del Salvatore, con un tempo misterioso di tre settimane".
Il Concilio di Saragozza, da parte sua, fin dal 380 impone ai fedeli di
assistere agli uffici dal 17 dicembre al 6 gennaio. In questo periodo di ventun
giorni, la parte che precede il Natale formava un quadro ben indicato per la
preparazione di questa festa e costituiva una specie di Avvento. Ma siccome si
era introdotto l'uso, nel IV secolo, di considerare l'Epifania e il Natale
stesso come festa battesimale, potrebbe qui trattarsi solo d'una preparazione
al battesimo e non d'una liturgia dell'Avvento. In Oriente, nel V secolo, a
Ravenna, nelle Gallie e nella Spagna, una festa della Vergine era celebrata la
domenica prima di Natale, e talvolta anche una festa del Precursore la domenica
precedente. Si avrebbe qui ancora una breve preparazione al Natale, un Avvento
primitivo, a meno che non si tratti d'un semplice ampliamento della festa di
Natale. Infine, il Rotolo di Ravenna, di cui sarebbe autore san Pier Crisologo
(433-450), possiede 40 orazioni che possono essere considerate come
preparatorie al Natale. – 3. Bisogna notare anche che questo digiuno non era
proprio del Tempo dell'Avvento, poiché, tra la Pentecoste e la metà di
febbraio, i fedeli digiunavano due volte la settimana e i monaci tre volte. Il
carattere penitenziale dell'Avvento derivò a poco a poco, a causa dell'analogia
che si presentava naturalmente tra questa stagione e la Quaresima. – 4. Forse
il digiuno esisteva già in Spagna a quell'epoca. Una lettera del 400 circa, ci
parla di tre settimane che pongono fine all'anno e ne cominciano uno nuovo,
comprendenti la festa di Natale e quella dell'Epifania, durante le quali
conviene darsi al ritiro e alle pratiche dell'ascetismo: la preghiera e
l'astinenza (Rev. Bén. 1928, p. 289). Le chiese d'Oriente che ricevettero
dall'Occidente la celebrazione della Natività di Nostro Signore, adottarono
ugualmente, nell'VIII secolo, il digiuno dell'Avvento. – 5. Il Concilio di
Avranches (1172) prescrive il digiuno e l'astinenza a tutti coloro che lo
potranno, in particolare ai chierici e ai soldati. Il coinvolgimento dei
militari in queste pratiche devozionali lascia abbastanza sorpresi. – 6. Si può oggi stabilire in una maniera molto più
dettagliata lo sviluppo della Liturgia dell'Avvento. Mentre il Sacramentario
leoniano, (fine del VI secolo) non porta alcuna messa, il che sembra indicare
che a quell'epoca Roma ignorava ancora l'Avvento, il Sacramentario gelasiano
antico (fine del VI e inizio del VII secolo) contiene cinque messe "De
adventu Domini". Il Sacramentario gelasiano d'Angoulême e gli altri
Sacramentari dell'VIII secolo contengono essi pure cinque messe. Infine, nel
Sacramentario gregoriano, troviamo delle messe per quattro domeniche e per le
tre ferie delle Quattro Tempora. Forse anche la messa dell'ultima domenica dopo
la Pentecoste era considerata come messa "de Adventu". Aggiungiamo
infine che san Benedetto († dopo il 546) ha scritto, nella sua Regola, un
capitolo sulla Quaresima, che parla del Tempo pasquale ma non menziona
l'Avvento. – 7. Segnaliamo che il Sacramentario mozarabico: Liber mozarabicus sacramentorum
(del IX secolo, ma che rappresenta la liturgia del VII), contiene cinque
domeniche, e infine che i Lezionari gallicani portano sei domeniche
dell'Avvento.