Contenuti del blog

Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


giovedì 13 dicembre 2018

La Chiesa del silenzio

Con la denominazione “chiesa del silenzio” ci si riferisce a una chiesa oppressa e perseguitata da un sistema politico ostile. Storicamente sono state chiese del silenzio quelle dell’est europeo sotto il potere dell’Unione Sovietica. Ma la definizione “chiesa del silenzio” si estende anche a tutte quelle comunità cristiane, a qualunque latitudine, che vivono nel nascondimento, nella clandestinità, in luoghi dove non è consentito dichiararsi apertamente cristiani e dove ogni forma di culto o di attività evangelica viene severamente proibito e represso. Ma questa chiesa del silenzio, anche se è invisibile, è esistente. È silenziosa perché viene costretta al silenzio, non per propria scelta. È una chiesa martire, ma per questo viva e vivificante.
C'è un’altra chiesa, in silenzio, è quella ben visibile, ma praticamente devitalizzata, che può parlare, e straparla, di quel che non le compete, ma tace sul suo unico mandato, quello di cercare “il regno di Dio e la sua giustizia” (Mt 6,33). È questa una chiesa silenziosa non perché costretta al silenzio, ma che tace semplicemente per convenienza. È silente perché connivente con ogni forma di potere, pur di non diminuire il proprio. Ma una chiesa, che per motivi di opportunità taccia, non ha nulla a che vedere con quel Gesù, che non ha soggezione di alcuno perché non guarda in faccia a nessuno (Mc 12,14), e che invia i discepoli ad annunziare la buona notizia senza aver paura della persecuzione (“Non abbiate dunque paura di loro…”, Mt 10,26; 5,10). Una chiesa che invita ad annunciare sempre e in ogni circostanza la Parola (“Guai a me se non annuncio il Vangelo!”, 1 Cor 9,16), senza calcoli di convenienza: “insisti al momento opportuno e non opportuno” (2 Tm 4,2).
Le guide, i pastori e i fedeli delle chiese costrette al silenzio hanno spesso pagato, e pagano tuttora, con la persecuzione, il carcere, e anche la morte, la loro fedeltà al vangelo di Gesù. Ma il Signore si identifica con essi (Gv 15,20).
I pastori e i fedeli della chiesa in silenzio, quelli che non parlano perché è più conveniente restare zitti, non solo non offrono la propria vita per salvare il gregge (Gv 10,11), ma tacciono, per non disturbare il lupo. Vedono il massacro perpetrato dalle belve, ma preferiscono tacere. Non alzano la voce contro l’ingiustizia per non perdere i benefici che il lupo, il potente di turno, può loro togliere o elargire. Ma per il Signore, quei pastori che per il loro interesse, per il loro quieto vivere, per non mettere in pericolo la loro posizione, la loro carriera, non difendono il gregge, sono più pericolosi delle bestie feroci. Il gregge infatti cercava in essi una protezione, e ha invece trovato fauci spalancate (“Strapperò loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pasto… sono come lupi che dilaniano la preda, versano il sangue, fanno perire la gente per turpi guadagni”, Ez 22,27; 34,10). Per Gesù, costoro non sono neanche pastori, seppure pessimi, ma solo dei mercenari che svolgono un’attività esclusivamente per il proprio interesse e a proprio vantaggio, perché “non gli importa delle pecore” (Gv 10,16).
"Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci!” (Mt 7,15) avverte Gesù. E il Signore indica anche come riconoscere questi elementi pericolosi. Sono quanti sbandierano il vangelo, ma lo negano con loro comportamento (“Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, Mt 7,21). Di fronte all’esibizione di inutili attestati di ortodossia, e l’ostentazione di simboli religiosi, il Cristo dirà loro: “Non vi ho mai conosciuti” (Mt 7,23), perché l’unica garanzia di comunione con il Cristo è una profonda compassione, umanità, una tenerezza che porta a non escludere nessuno dal raggio d’azione del proprio amore.
I pastori che non solo non smascherano i falsi profeti, ma li imitano, per non perdere la loro posizione di privilegio e prestigio, sono anche essi falsi profeti, disposti a piegarsi come giunchi ad ogni vento (Mt 11,7), di adattarsi ad ogni politica, fosse anche la più disumana e quindi antievangelica, sapendo che così ne avranno solo benefici.
Il vero profeta è l’uomo dello Spirito, come Giovanni il Battista. È su di lui che scende la Parola di Dio, e non sui potenti (“La Parola di Dio venne su Giovanni”, Lc 3,2), e per questo riesce ad affrontarli e sfidarli, da quei farisei che vogliono impedirgli la sua missione (“Perché dunque tu battezzi se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?”, Gv 1,24), a quell’Erode al quale grida: “Non ti è lecito!” (Mt 14,4). E ci ha rimesso la testa. La fedeltà al messaggio di Gesù comporta il rifiuto e la persecuzione da parte del potere, ma il tradimento alla buona notizia comporta il rifiuto da parte del Cristo (“Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui”, Mc 8,38). Per questo la vera Chiesa, quella del Cristo, è da sempre la chiesa degli apostoli e di Pietro, gli antesignani della disubbidienza civile: “Bisogna ubbidire a Dio invece che agli uomini” (At 5,29).
 
Alberto Maggi

venerdì 7 dicembre 2018

Corsi e ricorsi storici

Sono nata nel 1938. E' subito chiaro quali siano stati i miei primi anni di vita. Eppure, proprio in questi, ricordo di aver visto vivere solidarietà, generosità, condivisione, grande desiderio di libertà: il tutto accompagnato da grandi rischi che spesso hanno portato a pesanti conseguenze. Non ho mai sentito però dubitare sulla necessità di vivere la disobbedienza civile ... questa la vita, l'esempio che mi hanno regalato i nonni, i miei genitori, gli zii, fratelli del papà ...
Poi , in mezzo una lunga vita e ora ho 80 anni: Ma alla fine della mia vita si stanno riproducendo gli anni del suo inizio. Come penso di viverli? Quanta genuina generosità, desiderio di condivisione e libertà ho appreso dai miei cari, che mai come oggi vorrei avere vicini? "Se sarò raggiunta dal loro messaggio", devo mettermi in cammino, scoprire, non trascurando la conoscenza, che si fa ogni giorno più drammatica, che cosa posso fare, io, personalmente, seguendo la mia coscienza per aiutare quella larga parte di umanità che oggi viene così pesantemente offesa.  Non devo aver certamente dubbi sul scegliere la disobbedienza civile, da sola e in gruppo, perchè le leggi ingiuste non possono obbligarmi a nessun rispetto se mi allontanano da scelte di vita ben più profonde.
I giornali, la televisione, come sempre in questi periodi di oscurantismo, non dicono nulla, nulla che possa orientare le mie scelte. Allora il primo impegno è scegliere il canale giusto di comunicazione per informarsi ed informare e dedicare a questo tutto il tempo necessario. Se si entra in questa prospetiva (ciascuno ha la sua ovviamente) è possibile conoscere persone e creare gruppi e, con quella creatività che nasce dal confronto, organizzare attività, predisporre situazioni di aiuto concreto e diffuso per tutti questi poveri, ogni giorno più numerosi ..."prima che gridino anche le pietre" secondo l'ultimo e interessante libro di Zanotelli.
Qualcosa iniziamo a fare ... ma anche nello spazio più piccolo della mia famiglia questo Natale deve dire qualcosa di diverso, deve segnare un cambiamento in tutti noi (grandi e piccini), deve essere il superamento di ogni forma e approfondire invece la capacità di saperci esprimere la gioia dell'essere insieme solo attraverso la solidarietà verso gli altri.
Scusatemi: mi sono dilungata un po' troppo, ma comincio a sentire tanto la nostalgia delle nostre chiacchiere prima della messa ... un abbraccio.
Sandra Rocchi

mercoledì 14 novembre 2018

Una risposta a Messori

"All'interno dell'ultimo libro di Vittorio Messori (il titolo è eloquente: "Quando il cielo ci fa segno") c'è una esplicita citazione attribuita al defunto cardinale Caffarra, secondo cui sarebbe tempo che la Chiesa infrangesse il proprio silenzio sul soprannaturale.
Sono d'accordo, ma per un motivo esattamente opposto a quello sostenuto da Messori [...]
La Chiesa dovrebbe anzi dichiarare che il soprannaturale non esiste, e che anzi il culto di esso, oltre che primitivo e poco rispettoso del messaggio cristiano, è una palese offesa all'intelletto, e dunque alla dignità dell'uomo.
È ormai superfluo ricordare che, a partire dal Concilio Vaticano II, la rinascita di un approccio esegetico, storiografico, letterario e critico alle sacre scritture invita alla lettura dei presunti eventi miracolosi del Vangelo nell'ottica del profilo teologico: i fatti descritti – dalle guarigioni, alla nascita verginale, addirittura alla risurrezione del Cristo - devono essere di necessità letti come avvenimenti reali, cioè autentici nell'esperienza simbolica e sempre viva del credente, ma non necessariamente storici, cioè apprezzabili dai sensi umani in un determinato spazio e in un determinato tempo.
In altre parole, sarebbe bene ricordare (senza che qualche benpensante tiri in ballo la pericolosa eresia gnostica, peraltro dimostrando di non conoscere affatto chi fossero gli gnostici), la differenza etimologica tra i termini "segno" e "miracolo", il significato anagrafico e non ginecologico della parola "parthenos" (vergine, giovinetta) e tutta una fiorita letteratura sulla spiegazione spirituale e meta-fisica del sepolcro vuoto e delle apparizioni del Risorto (Rahner, i teologi del novecento e, emblematicamente, l'ottimo "La risurrezione senza miracolo" di Andrés Torres Queiruga).
Bisognerebbe che Messori motivasse quale senso abbia citare, a sostegno della sua tesi, le narrazioni straordinarie che brulicano attorno alle figure dei santi e dei beati, quando la medicina e la scienza sono in grado di spiegare, con umiltà e rispetto ma senza timore di smentita, l'apparenza di stigmate, fenomeni apparentemente extrasensoriali, il sangue che si scioglie, le madonne che piangono e via discorrendo.
Quale valenza possa offrire, ad un credo spirituale onesto, il racconto di una santa che parla con le anime del purgatorio, allorché – vogliamo dircelo? - la trattazione teologica dei luoghi dei "novissimi": paradiso, inferno, purgatorio è una montagna di tradizione che non ha alcuna, dico alcuna aderenza con le parole dell'Antico o del Nuovo Testamento.
Dovrei essere più credente sulla base di quello che insegnano gli evangelisti o dei messaggi a senso unico recati da ciò che dovrebbe succedere a Medjugorie (e le madonne delle apparizioni sono sempre tristi, pronte a proteggere i loro figli dall'ira fustigatrice di un Dio che non ha nulla a che vedere col Dio misericordioso ed esclusivamente buono di Gesù, a prezzo di rosari, novene e recite di mantra senza senso)?
Nessuno di noi può escludere che il destino eterno dell'essere umano, eterno più in senso qualitativo che temporale - questo sì, davvero promesso dai Vangeli in una dimensione di perfetta crescita nel Padre e col Padre - possa tradursi in intime esperienze, personali e spesso non facilmente descrivibili tra noi e chi ci ha solo apparentemente lasciato, nella vera "comunione dei vivi e dei morti" che è reale professione di fede. Sono anzi personalmente convinto che ciò avvenga continuamente.
Ma, caro Messori, tutto il resto (tutto il soprannaturale, il fantasioso, il magico) resta per me né più né meno che superstizione e nessuno riuscirà mai a convincermi del contrario.
E' solo rispettando l'intelligenza dell'uomo che si può fare esperienza di Dio.
[...]"
Michele Meschi

sabato 3 novembre 2018

Reinventiamo la fratellanza

Migliaia di persone in fuga da miseria e violenza in cammino dall’Honduras verso gli USA, una massa di persone unita che forse nutre ancora speranze e mi fanno pensare ai giudei esuli che lasciano Babilonia per andare verso la casa dei loro padri.  Ma l’umanità oggi sembra aver compiuto una repentina svolta antropologica, l’accoglienza non è più un sentimento, un atteggiamento che trova molto spazio nella nostra società. Trump, proprio ieri sera, in un twitter, diceva di approvare la manovra economica del nostro governo e la sua politica migratoria. Cioè una politica di restringimenti di diritti e respingimenti di persone. E questa è la situazione che troveranno quei tanti profughi in arrivo negli Stati Uniti dopo giorni e giorni di marcia  e di fatiche.  Perché viene più naturale respingere che accogliere? Non vediamo più nelle persone la ricchezza di un volto nuovo,un volto che potrebbe diventare amico e collaboratore. Alle persone non pensiamo più, ci spaventa il peso materiale che queste possono rappresentare: ospitalità, integrazione, condivisione di beni e di cultura. Il cambiamento che la loro presenza chiede alla nostra umanità: saper vedere in una dimensione nuova – come il cieco di Gerico che urla e viene azzittito perché disturba – ecco, dobbiamo imparare a disturbare, andare controcorrente, aprire gli occhi e capire che la strada dell’ascolto e dell’accoglienza è quella che Gesù ci dice di perseguire.  Si parla molto di libertà e di uguaglianza (si parla … non che si faccia molto), ma dalla “trilogia” famosa è scomparso il termine fratellanza. Bisogna reinventarla, cioè viverla; non è un’utopia sentimentale, ma va posta nel cuore della storia come forza di cambiamento e di trasformazione.  Aiutiamoci, è un compito oggi urgente che ciascuno di noi ha davanti perché le barriere non le costruiscono solo gli Stati.  Mi è sempre piaciuta tanto e me la ripeto spesso e l’ho ripetuta tanto ai miei figli che “fratelli non si nasce ma si diventa”.
Sandra Rocchi

domenica 21 ottobre 2018

Riflessione

Nei Vangeli la strada verso il Regno di Dio è ben diversa da come la Chiesa nei secoli  ci ha proposto, con suoi dogmi, precetti, catechismi e  interpretazioni …per lo più inclini a favorire i potenti, per conservare o ottenere potenza.
E ancora oggi, malgrado tanti tentavi di riformarla non solo da parte di papa Francesco, non è cambiata, però,  “ è volontà degli uomini: può cambiare…” E' un grande spiraglio di speranza! Certo, se questa constatazione fosse presa in considerazione specie da chi è  guida nelle parrocchie.
La libertà... Perché continua invece attraverso dogmi, precetti ecc, opprimere anziché liberare? Noi stessi dobbiamo liberarci, liberare le nostre coscienze (…se penso che ogni dubbio in materia di fede fino a non molti anni fa era oggetto di confessione..)   
E come,  dal momento che sono pochi i privilegiati che hanno l’opportunità di incontrare la Parola attraverso il vero approfondimento del senso delle s. scritture. Considerato che nelle omelie parrocchiali  è rarissimo si approfondiscano i testi sacri e che venga inculcato nei seguaci lo stimolo alla ricerca delle verità liberatrici che racchiudono, e che i testi vengono per lo più esposti…tale quale, parola per parola, (...di Dio) come se non incidessero i secoli e  millenni del trascorso contesto storico, senza tener conto delle probabili sovrapposizione di  interpretazioni e traduzioni incorse, di aggiunte posteriori, così pure come il simbolismo di molti passi dei Vangeli (v. Gv.) che continuano a venire proposti come realtà oggettiva.
Possono i cattolici, che frequentano queste celebrazioni  cambiare la Chiesa? Come ?
Penso a un pastore come il cardinal Romero e altri come lui, che hanno affermato di essere stati “ convertiti”  alla realtà del Vangelo dal loro popolo, o meglio, dai poveri del loro gregge.
ma siamo capaci di sopportare il prezzo di questa libertà?”
La libertà, bene prezioso, comporta però tutta la sua responsabilità e coerenza di vita.. 
Mi attraversa la mente : “ Come era bello quando si credeva… come nelle fiabe…!”
Ma poi la vita scorre in fretta, e sarà lei stessa a risvegliarci facendoci scoprire quanto ci siamo lasciati vivere anziché vivere, e quanto invece, attraverso una impegnativa, ma liberatrice presa di coscienza, si sarebbero fatte scelte ben diverse; quelle volte al  vero senso di questa, sempre brevissima, vita.  
Giovanna Bianchi 

domenica 14 ottobre 2018

Siamo Cattolici ma non Cristiani!!!

Siamo  stati resi ottusi dalla paura di perdere le nostre inutili ricchezze tanto che non sentiamo più il fascino, la bellezza la forza della sua Parola che eppure : “è viva”! Tanto viva, che per non udirla ci si trincera nel più aberrante egoismo. Saranno cattolici, ma non Cristiani, coloro che accettano i soprusi che quasi ogni giorno prendono a bersaglio i più deboli, che non si ribellano contro l’evidente deriva dei nostri Paesi occidentali, lasciando che “a fare il lavoro sporco”  siano i  governanti da loro eletti,  e così credendo di  tirarsi fuori da una responsabilità vergognosa riguardo questi tanto temuti poveri diventati davvero l’oggetto di tutte le loro/nostre(?) paure.....
Quanti, nel rivedere le angherie cui sono stati oggetto, negli anni ’30 e ‘40 i perseguitati dal totalitarismo di destra, si sono chiesti: perché sono accaduti questi fatti terribili? Perché tutti i popoli, la popolazione italiana compresa è rimasta inerme a guardare, così come  anche la Chiesa stessa non hanno fatto sentire all'unisono,  forte e alta, la loro voce.
E oggi, cosa aspettiamo, noi che cerchiamo il Regno di Dio.
La sua Parola, che è sempre viva,   ci dice, “cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia”    
Giovanna Bianchi

domenica 7 ottobre 2018

PERCHÈ LO ODIANO


Perché vogliono distruggere papa Francesco fino a chiederne le dimissioni e a volere un nuovo Conclave?
La cosa è diventata chiara all’apertura del Sinodo dei giovani. Dopo tanto parlare della crisi dei giovani, del loro sbandarsi senza la bussola di una vocazione, del loro aver perduto la fede, il papa nel discorso dall’altare all’apertura dell’assise ha chiesto loro di “non smettere di profetizzare”; ma perché questo avvenga, perché i giovani amplino i loro cuori alla dimensione del mondo, sono gli adulti o anziani, a cominciare dai vescovi, che devono cambiare, “allargare lo sguardo”. Essi devono essere capaci di sogni e speranze, perché i giovani siano capaci di profezia e di visione. È un singolare rovesciamento: il papa avrebbe potuto chiedere ai vecchi patriarchi, cardinali, vescovi e preti di fornire la profezia della retta dottrina ai giovani che in genere sono perduti dietro i loro sogni e speranze, e invece ha chiesto agli anziani di sognare e sperare, perché i giovani ne traggano linfa per profetizzare e spingere oltre la vista. Anziani e giovani, secondo il papa, devono sognare insieme, e noi anziani dobbiamo sperare facendoci carico insieme a loro di lottare contro ciò che impedisce alla loro vita di svilupparsi con dignità, e di lavorare per rovesciare le situazioni di precarietà di esclusione e di violenza alle quali sono esposti; e così si ispiri ai giovani “la visione di un futuro ricolmo della gioia del Vangelo” contro i profeti di calamità e di sventura.
Ancora una volta dunque il papa annuncia la gioia, come nell’ “Evangelii gaudium”, nella “Veritatis gaudium”, la “Misericordiae vultus”, la “Laudato sì”, la “Gaudete et exsultate”, l’ “Amoris laetitia”.
Gli avversari non vogliono la gioia, sono intenti ad infliggere dolore: senza dolore il potere non regge, le guerre non si possono fare, i poveri non possono essere esclusi, i naufraghi non possono essere fatti affondare, i porti non si possono chiudere, l’economia non può uccidere, le armi non si possono vendere. Il dolore ci vuole, l’amore deve produrre tormento e non gioia, la massa dannata deve essere soggiogata con la legge e ricattata con la “morte seconda”, la perfetta letizia predicata dal Francesco di Assisi deve essere spregiata come una bambinata buonista.
La ragione per cui papa Francesco è avversato è, a ben vedere, la stessa ragione per cui è stata distrutta la politica; la politica, infatti, fin da Aristotile, ma poi perfino nelle Costituzioni moderne, doveva essere ordinata alla felicità o almeno, come diceva la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti, a garantire il diritto alla ricerca della felicità; doveva corrispondere all’ordine del cosmo o, più modernamente, doveva non solo salvaguardare “la nuda vita”, ma promuovere “la buona vita”; e perfino l’Europa, prima di tradire, si era presentata al mondo con l’Inno alla gioia.
Ma la gioia e il potere che si pretende indiviso, la gioia e il denaro che governa invece di servire, la gioia e il debito sovrano, la gioia e la confisca delle coscienze per addomesticarle a essere oggetto di dominio e di scarto, non vanno d’accordo, non abitano su monti vicini, anzi sono incompatibili.
Per questo motivo oggi viviamo nella contraddizione - e in gran parte è una nuova contraddizione – di una Chiesa ed un papa che militano per la gioia, e un’antichiesa e un mondo che lottano per il dolore. Non a caso la reazione contro il papa si è organizzata e scatenata con “i dubbi” e il rifiuto dell’ “Amoris laetitia”, cioè delle nuove nozze tra l’amore e la gioia.
Da qui nasce la nostra sofferenza di oggi, che potremmo chiamare una sofferenza messianica, perché si fa carico del futuro quando ne va dell’avverarsi o del fallire della promessa di salvezza che dai tempi antichi fino ad oggi ha accompagnato e lenito l’arduo cammino dell’umanità.

Raniero La Valle

sabato 6 ottobre 2018

AFFRONTARE L'ANGOSCIA DEL TEMPO

Ci vuole la fiducia per saper affrontare l'angoscia del tempo-
L'angoscia del tempo, la contraddizione, cara al cardinale Martini, il sapere che la vita è così, prenderne atto e non lasciarsi sopraffare, ma combatterla. Saper sfidare il buio della notte attraversato da lampi di luce (la bella immagine è di Vito Mancuso). Ecco il compito dell'uomo di Dio, dell'uomo attento al tempo, ma anche di ognuno di noi. Insensati coloro che tentano di coprire con il manto dell'effimero l'incapacità di non saperlo fare. "Siamo come semiciechi", dice Nadia Bonaldo, "che vengono illuminati quel tanto che basta per avanzare di un po'". Dice Carlo Maria Martini: "La fede è un affidarsi a Dio che vince l’angoscia: non è un bagaglio di nozioni che esige un faticoso indottrinamento". E Mancuso aggiunge: "Al riguardo si potrebbero portare molti esempi di questa peculiarità del sentimento religioso, penso in particolare agli scritti nati in carcere o nel lager, come le lettere di padre Florenskij alla moglie e ai cinque figli mentre era prigioniero nel lager staliniano delle isole Solovki, le lettere di Dietrich Bonhoeffer nel carcere nazista di Tegel, il diario e le lettere di Etty Hillesum in un’Amsterdam occupata e nel lager di Westerbork, fino alla Consolazione della filosofia di Severino Boezio in carcere a Pavia; tutti testi in cui si assiste alla sconfitta dell’angoscia, grazie a una più forte fiducia nell’eterno".
Mimma De Maio

venerdì 15 giugno 2018

LA SPIRITUALITÀ NON È CARATTERISTICA DELLE RELIGIONI

Nell’uso comune a volte la riduciamo ad una pratica religiosa o all’osservanza di un insieme di leggi e quindi a comportamenti morali. Spiritualità è qualcosa di più profondo. Quando parliamo di spiritualità ci riferiamo ad una qualità di vita, ad una modalità di vedere la realtà e di vivere le esperienze, di impostare quindi il proprio cammino. La qualità della vita che chiamiamo spiritualità non è caratteristica di per sé delle religioni. [...]
Sviluppare la vita spirituale significa sviluppare quelle qualità nuove di vita che fioriscono quando si scopre che in gioco nella vita c’è una forza più grande di noi e che nessuna creatura risponde alla tensione profonda che l’uomo porta con sé. Quando si giunge a questa scoperta, che è già un traguardo di maturità, cambia completamente la prospettiva con cui si affronta la vita e si attraversano le diverse situazioni. Comincia a svilupparsi un atteggiamento di fiducia nella “forza arcana" [...]
Nel cammino della nostra esistenza scopriamo che abbandonandoci con fiducia a questa forza arcana, cominciamo a vivere le esperienze in modo nuovo. A quel punto si sviluppa la dimensione spirituale della persona. Parlando quindi di vita spirituale non ci riferiamo tanto a pratiche religiose, ad alcune modalità di preghiera, o all’osservanza di leggi morali, quanto ad una qualità nuova dell’esistenza, ad un modo particolare di vedere la realtà, di vivere le relazioni. [...]
Il passaggio dalla vita psichica all’uomo spirituale (Paolo 1Cor. 2, 14-16) avviene proprio quando non si è più centrati su di sé, ma ci si affida ad una forza più grande e si assume un particolare atteggiamento di accoglienza fiduciosa. Quando avviene questo passaggio non scompare la vita psichica, ma comincia a fiorire una dimensione nuova, si è “condotti dallo Spirito” come dice Paolo (Rom. 8,14): “Coloro che sono condotti dallo Spirito, costoro sono figli di Dio”. Questo passaggio avviene attraverso una conversione, attraverso un cambiamento profondo di vita. Non avviene all’inizio, richiede un lungo cammino, a meno che non ci siano condizioni particolari (Si pensi ad es. alle particolari condizioni famigliari in cui è cresciuta S. Teresa di Gesù Bambino). Questo atteggiamento può essere anche ateo, anche laico, perché non sempre questa forza arcana viene concepita in modo personale ed è chiamata Dio. 

Carlo Molari

sabato 9 giugno 2018

L'origine del male

Nelle religioni antiche l’origine del male era attribuita all’opera di divinità o di spiriti cattivi. Dovunque esistevano quindi, ed esistono anche oggi in diverse religioni, pratiche magiche orientate a neutralizzare questi influssi malefici. Le concezioni mitologiche hanno lasciato qualche
traccia anche nel mondo biblico, dove si afferma che YHWH vince Raab, il mostro marino, e trafigge il serpente tortuoso (Gb 26,12-13), fiacca i suoi sostenitori (cfr. Gb 9,13) e schiaccia le teste dei draghi e del Leviatàn (cfr. Sal 74,13-14). Ma si tratta per lo più di immagini o di superstizioni
diffuse tra il popolo. La concezione biblica di un Dio unico, creatore e signore di tutte le cose, non lascia spazio all’esistenza e all’opera di altre divinità o spiriti malefici.
Non potendo accusare Dio per i mali di questo mondo, gli autori biblici ne attribuiscono l’origine all’uomo che si ribella a Dio. Il serpente tentatore è solo la proiezione esterna delle inclinazioni perverse del cuore umano. Il peccato dell’uomo viene perciò castigato ma, al tempo stesso, si afferma
la fede nella vittoria finale di Dio di cui la donna sarà lo strumento, come lo era stata nella caduta (cfr. Gn 3,15).
Esiste però un’altra spiegazione dell’origine del male che prende lo spunto da un testo della Bibbia, chiaramente di origine mitologica, in cui la corruzione dell’umanità è attribuita all’unione tra i «figli di Dio» (le divinità inferiori, poi identificate con gli angeli) e le «figlie degli uomini» (Gen 6,1-4). Da questo testo ha origine la credenza, attestata nei libri giudaici al di fuori della Bibbia, secondo cui alcuni angeli si sono ribellati a Dio e, pur conservando le loro prerogative soprannaturali, sono diventati i suoi più fieri nemici (cfr. 1En 6-36; Giub 10,1-8). Questi angeli decaduti, chiamati
in greco «diavoli» o «demòni», vengono identificati  con la figura biblica di «satana» (l’avversario) che appare in alcuni casi, come nel libro di Giobbe, come uno spirito incaricato da Dio di mettere alla prova l’uomo. Il serpente della Genesi viene allora identificato con il demonio (cfr. Sap 2,24). Al tempo stesso si fa strada la concezione secondo cui i demòni popolano il mondo tentando l’uomo al
male e provocando disgrazie, malattie e morte (cfr. Tb 3,8; 8,3). In modo speciale le malattie mentali vengono attribuite all’influsso e alla possessione del demonio.

Padre Alessandro Sacchi

sabato 2 giugno 2018

Corpus Domini

Leggo volentieri le Scritture e seguo con interesse l'evolversi della loro interpretazione, però la mia vita ritrova in queste solo un riscontro culturale. Io credo che possa esistere una fede religiosa e una fede laica che non portano alla distinzione tra credenti e non credenti, ma accomuna tutti nella fiducia del "mistero". Credo Gesù uomo, uomo che ha saputo essere coerente fino all'ultimo alle sue scelte di rinnovamento, di comunione e di condivisione. Seguendolo ci rendiamo liberi - ci salviamo - da un comportamento incoerente e spesso contradditorio, incapace di arrivare fino in fondo alle scelte fatte. L'eucaristia per me è un momento profondo di comunicazione con i fratelli e la ritrovo - non nell'ostia che è un gesto puramente simbolico - ma nei fratelli in carne ed ossa, quelli con cui in un altro momento della liturgia scambio la pace a suggello di una pace e di una condivisione che voglio portare nel mondo, con il mio pensare e agire.

Sandra Rocchi

venerdì 18 maggio 2018

Pentecoste

La religione è una forma culturale, come più volte abbiamo detto, legata a un tempo e ad un luogo. Suscettibile quindi di cambiamenti. Ma tutte le religioni pensano la cultura, in cui si è espressa e continua ad esprimersi la propria religione, come una cultura universale, quindi oltre a restare legata a espressioni religiose superate e non più rispondenti alla capacità di viverle dei credenti di oggi, invadono gli spazi delle altre religioni con cui, invece di dialogare ed arricchirsi vicendevolmente, sono in perenne lotta. Supererei il concetto di religione e lo sostituirei oggi con quello di spiritualità, intesa come l'insieme di quei processi interiori che ognuno percorre nella sua libertà, fedele a se stesso e alla sua ricerca personale, arricchendo quella dimensione profonda già costitutiva dell'essere umano, che può esistere dentro e fuori le religioni. Su questa linea riesco a portare avanti la mia ricerca di fede. Ricerca che non ha tempi, perchè non è limitata a qualcosa da imparare (come al catechismo), ma si svolge ed evolve nel corso di tutta la vita: "molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso". Ci ravviso il concetto di evoluzione, dove dobbiamo essere capaci di inserirci responsabilmente. L'evoluzione non è un concetto astratto, ma si realizza nella misura del nostro impegno e della nostra capacità di apertura all'altro. Non penso che l'evoluzione si realizzi per ogni individuo preso isolatamente,ma per il cosmo intero. Appare ancora una volta l'importanza della relazione - "si trovavano tutti nello stesso luogo -", del cercare e del vivere insieme perchè solo così possiamo sperare di inaugurare una nuova epoca per la spiritualità umana, dove la differenza tra credenti e non credenti si attenua molto ... "cominciarono a parlare in altre lingue" e coglie invece la spiritualità come espressione della nostra stessa umanità: di un'umanità che ha il coraggio di essere libera:"non camminate più sotto la legge".

Sandra Rocchi

giovedì 17 maggio 2018

COME A GERUSALEMME


L’assedio intorno a papa Francesco si fa più stringente, mentre il suo messaggio oltre muri e posti di blocco continua libero a correre in questo mondo di fuoco. Questa volta la contestazione che gli muovono un cardinale olandese e alcuni vescovi tedeschi è più seria di quella con cui gli si oppose l’assemblea romana del 7 aprile del cardinale Burke. L’attuale contestazione infatti riguarda un punto nodale del programma cristiano, che è l’unità dei cristiani, richiesta e realizzata da Gesù col dono di sé nella notte in cui fu tradito, e poi perduta dalla Chiesa.
La questione è quella della comunione che protestanti e cattolici possano realizzare e vivere insieme. Che ciò avvenga nel servizio reciproco e nella “lavanda dei piedi” è pacifico e ormai largamente praticato in tutte le Chiese, che dal Concilio in poi sono andate molto avanti nell’ecumenismo, sia alla base che ai vertici. Anche ai vertici, dove molte differenze dogmatiche sono cadute; dove è stato “cancellato il ricordo” delle scomuniche, secondo la formula usata dal Concilio; dove si è riconosciuto, dai capi d’Oriente e d’Occidente, che la divisione avvenne perché le Chiese si erano messe in testa di essere il sole, che brilla di luce propria, mentre erano solo la luna che la riflette, e quindi guardavano a se stesse, invece che al Signore; e dove, cinquecento anni dopo la Riforma, esse hanno riconosciuto il bene venuto da Riforma e Controriforma, ma il cattivo venuto dal loro essere “contro”.
Quello che è rimasto invece come limite invalicabile, ai vertici anche se molto meno alla base, è stata la comunione che si attua nello spezzare il pane dell’eucarestia, anche se da tutte le Chiese si afferma che proprio lì bisogna arrivare, perché è solo nella partecipazione a quell’unica mensa che l’unità cristiana veramente si realizza.
Papa Francesco, discretamente, ha cominciato a sgretolare quel tabù. A una donna protestante, che lo interrogava nella chiesa luterana di Roma, ha detto di rispondere lei, col marito cattolico, se fare la comunione insieme ; e parlando nella parrocchia anglicana di Roma (nella quale era stato invitato come vescovo di tutti i cristiani della città), ha detto che le Chiese giovani hanno più vitalità, più coraggio nel dialogo ecumenico, il quale si fa “in cammino” (anche “le cose teologiche” si discutono in cammino). E ha dato come esempio quello che avviene nel cuore dell’Argentina: “Ci sono le missioni anglicane con gli aborigeni e le missioni cattoliche con gli aborigeni, e il vescovo anglicano e il vescovo cattolico di là lavorano insieme, e insegnano. E quando la gente non può andare la domenica alla celebrazione cattolica va a quella anglicana, e gli anglicani vanno alla cattolica, perché non vogliono passare la domenica senza una celebrazione; e lavorano insieme. E qui (e intendeva qui, a Roma) la Congregazione per la Dottrina della Fede lo sa”.
Ora accade che la Conferenza episcopale tedesca ha deciso di emanare una direttiva pastorale che contempla, a certe condizioni, di dare la comunione al coniuge protestante di un coniuge cattolico (i matrimoni misti sono numerosissimi in Germania). Sette vescovi tedeschi, che non erano d’accordo, hanno chiesto che si andasse a discutere la cosa a Roma, dal papa: una questione di tale portata, che riguarda la fede e la pratica dell’intera Chiesa, non può essere decisa da una singola Conferenza episcopale, hanno scritto, perciò volevano una decisione d’autorità. Una missione della Chiesa tedesca è venuta così a Roma, il 3 maggio, ma il papa non ha deciso d’autorità: il prefetto per la Dottrina della Fede, arcivescovo Ladaria, in un incontro “cordiale e fraterno” ha comunicato che il papa, apprezzando l’impegno ecumenico dei vescovi tedeschi, chiedeva “a loro di trovare, in spirito 


di comunione ecclesiale, un risultato possibilmente unanime”. In tal modo il papa, mentre non poneva preclusioni sul merito, teneva ferma una delle maggiori innovazioni del suo pontificato in attuazione del Concilio, la sinodalità, come dimensione costitutiva della Chiesa, il decidere insieme e non dal vertice di una piramide (semmai, come disse una volta, si tratta di una piramide capovolta dove “il vertice si trova al di sotto della base”).
Ebbene, in una Chiesa sinodale, come era detto in quella ripresa del Concilio Vaticano II che era l’esortazione “Evangelii Gaudium”, le conferenze episcopali devono essere concepite “come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale”.
Secondo due cardinali, l’olandese arcivescovo di Utrecht, Willem Jacobus Eijk, e l’ex prefetto dell’ex Sant’Uffizio, il tedesco cardinale Muller, ciò metterebbe a repentaglio l’unità e la fede della Chiesa; secondo Muller addirittura ne viene che “la Chiesa cattolica è distrutta” e toccherebbe alla Congregazione per la dottrina della fede farsi “guida del magistero del papa”, il che vorrebbe dire che il papa non sia più papa, ciò che è, questo sì, un totale rovesciamento della dottrina cattolica e romana.
Invece è facile giudicare ciò che è avvenuto. Quando nel cristianesimo delle origini nacque un dissidio nella Chiesa locale di Antiochia riguardo a un punto capitale della fede (che per la salvezza fosse necessaria la circoncisione) si decise di mandare una delegazione, con Paolo e Barnaba, a Gerusalemme, perché la cosa venisse decisa d’autorità da Pietro e dagli altri apostoli ed anziani. Ma loro non decisero per tutte le Chiese, rimandarono la delegazione ad Antiochia aggiungendovi Giuda e Sila, perché la decisione fosse presa in quell’assemblea, non secondo la pretesa restrittiva dei credenti che venivano dalla setta dei farisei, non avallata da Gerusalemme, ma secondo la lungimiranza di Pietro per il quale non si doveva imporre alcun giogo degli uni sugli altri, non avendo Dio, “che conosce i cuori, fatto alcuna discriminazione tra noi e loro”. Così papa Francesco ha rimandato la decisione alla Chiesa tedesca, ben sapendo, come aveva detto Pietro che “noi per la grazia del Signore Gesù siamo salvati, come loro”.
Perciò bisogna fare come a Gerusalemme. Come nella Gerusalemme di allora, perché dalla Gerusalemme di oggi viene tutt’altro che pace ma, anche grazie all’istigazione di Trump, viene oppressione conflitto e morte.


Raniero La Valle - 15 maggio 2018 alle ore 18.34

domenica 29 aprile 2018

"Chiedete quel che volete e vi sarà dato"


Spesso mi sono chiesta quale senso dare a questa frase del Vangelo. Si tratta di chiedere guarigioni o altri simili miracolosi interventi? Non credo sia questo il senso e comunque ciò che chiediamo spesso non viene dato. Forse è necessario andare oltre e chiedere al Signore solo il coraggio di affrontare la vita con le sue difficoltà, senza mai perdere la fiducia in quel Regno di Dio che tutti possiamo contribuire a realizzare.

Maria Rita Sibilla

martedì 10 aprile 2018

Gesù era ebreo

Ho avuto la possibilità di leggere questo piccolo pensiero di Mauro Pesce, noto esegeta. Mi sembra di grande interesse.

"Le conseguenze del non considerare Gesù e il movimento post-gesuano come “cristiano” non sono state finora prese davvero in considerazione fino in fondo. Queste conseguenze sono che le diverse tendenze dei seguaci di Gesù erano parte del giudaismo, appartenevano alle diverse correnti giudaiche del tempo, e ragionavano con concezioni e obiettivi e appartenenze solo ed esclusivamente giudaici.
Invece gli storici ed esegeti di oggi continuano a pensare a Gesù e al movimento post-gesuano come fossero antecedenti del cristianesimo ed imprestano loro tendenze, aspirazioni modi di esistere e di collocarsi “cristiani”. Insomma continuano a leggere Gesù e il movimento post-gesuano come fossero parti del cristianeimo, almeno ”in pectore”, “in fieri”. Pensano a Gesù e al dopo Gesù con interessi cristiani, li interrogano a partire da problemi della teologia cristiana, da questioni che si pongono solo a non-ebrei. 

Ma ciò è radicalmente errato. Gesù e i seguaci dopo la sua morte non pensavano affatto al cristianesimo, non aspiravano affatto al cristianesimo, non lo sognavano per nulla, non cercavano un superamento, un’evasione dal giudaismo. Erano e rimanavano solo, esclusivamente, soltanto e per sempre ebrei. 
Uno/a specialista serio/a dovrebbe porsi solo domande ebraiche, ragionando come un/a ebreo/a del I secolo. RIPRENDO DA ZERO VISTO CHE LA DISCUSSIONE HA PRESO LA STRADA SBAGLIATA di una accusa o difesa del cristianesimo cosa che non c'entra assolutamente nulla. Il problema è: come bisogna guardare a Gesù e al suo movimento all'interno dal giudaismo. 
Invece il problema "come è nato il cristianesimo", oppure "è stato fedele il cristianesimo a Gesù?" sono argomenti DIVERSI".

martedì 27 marzo 2018

Comunità Cristiane di Base in Italia



Già passati cinque anni del papato di Francesco, vescovo di Roma e Papa della Chiesa universale. Molti hanno fatto bilanci particolareggiati e brillanti su questa nuova primavera che ha fatto irruzione nella Chiesa. Per quel che mi riguarda, sottolineo solo alcuni punti che interessano la nostra realtà.
Il primo è la rivoluzione fatta nell’immagine del papato vissuta in prima persona. Non è più il Papa imperiale con tutte le insegne ereditate dagli imperatori romani. Lui si presenta come persona semplice che viene dal popolo. Il suo primo saluto ai fedeli è stato “Buona sera”. Poi si è presentato come vescovo di Roma, chiamato a dirigere nell’amore la chiesa che sta nel mondo intero. Prima di impartire la benedizione ufficiale, chiese di essere lui stesso benedetto dal popolo. Scelse di abitare non in un palazzo – cosa che avrebbe fatto piangere Francesco di Assisi- ma nella casa per gli ospiti. E mangia con loro.
Il secondo punto importante è annunciare il Vangelo come gioia, sovrabbondanza del senso della vita, e non come dottrina dei catechismi. Non si tratta di portare Cristo al mondo secolarizzato, ma di scoprirne la presenza nel mondo stesso partendo dalla sete di spiritualità, che si vede da tutte le parti.
Il terzo punto consiste nel mettere al centro della sua attività tre poli: incontro con Cristo vivo, amore appassionato per i poveri e attenzione premurosa per la Madre Terra. Centro è il Cristo, non il Papa. L’incontro vivo con Cristo ha il primato sulla dottrina.
Invece della legge, annuncia instancabilmente la misericordia e la rivoluzione della tenerezza, come disse ai vescovi brasiliani nel suo viaggio in Brasile.
L’amore verso i poveri è espresso nel suo primo intervento ufficiale: “Mi piacerebbe che la Chiesa fosse Chiesa dei poveri”. È stato al raduno dei rifugiati che arrivavano all’isola di Lampedusa nel sud Italia. Lì pronunciò parole dure contro un certo tipo di civiltà moderna che ha smarrito il senso di solidarietà e è incapace di piangere sulla sofferenza dei propri simili.
Ha innescato l’allarme ecologico con la sua enciclica Laudato sii: sulla cura della casa comune (2015), diretta a tutta l’umanità. Mostra chiara coscienza dei rischi che il sistema-vita e il sistema-Terra stanno correndo. Per questo allarga il discorso ecologico al di là dell’ambientalismo. Dice con enfasi che dobbiamo fare una rivoluzione ecologica globale (n.5): L’ecologia è integrale e non solo verde, perché abbraccia la società, la politica, la cultura, l’educazione, la vita quotidiana e la spiritualità. Unisce il grido dei poveri al grido della Terra (n.49). C’invita a far nostro il grido della natura, perché tutti abbiamo legami intrecciati con tutti in una rete di relazioni. Ci convoca ad “alimentare la passione per la cura del mondo… una mistica che ci dà coraggio, ci sprona, ci motiva, c’incoraggia e dona senso all’azione personale e comunitaria. (n.216).
Il quarto punto significativo è stato rappresentare la Chiesa non come un castello chiuso e circondato da nemici, ma come un ospedale di campagna che accoglie tutti, senza badare all’appartenenza di classe del malato, al colore della pelle o alla religione. E’ una chiesa perennemente in uscita verso l’altro, soprattutto verso le periferie esistenziali che spopolano nel mondo intero. Essa deve servire di coraggio, infondere speranza e far vedere un Cristo venuto per insegarci a vivere come fratelli e sorelle, nell’amore, nella parità e nella giustizia, aperti al Padre che ha tutte le caratteristiche di Madre di misericordia e di bontà.
Infine, ha idee chiare sul fatto che il vangelo sta all’opposto delle potenze di questo mondo, che accumulano in modo abnorme lasciando gettando in miseria gran parte dell’umanità. Viviamo in un sistema che mette il denaro al centro e che è assassino dei poveri e predatore dei beni e servizi della natura. Contro questi usa le parole più dure. Dialoga con tutte le tradizioni religiose e spirituali. Alla lavanda dei pedi del Giovedì Santo c’era una bambina musulmana.
Ama le chiese con le loro differenze, unite nel servizio al mondo, specialmente ai meno protetti. E’ vero ecumenismo di missione.
Con questo Papa che “viene dalla fine del mondo” si chiude una Chiesa occidentale e comincia una Chiesa universale, adeguata alla fase planetaria dell’umanità chiamata a incarnarsi in varie culture e a costruire un nuovo volto, partendo dalla ricchezza inesauribile del Vangelo.

Leonardo Boff ( Traduzione di Romano Baraglia e Lidia Arato)

giovedì 8 marzo 2018

In conclusione....




Sono passati un po’ di anni da quando ho iniziato a scrivere questo blog. Vi ho messo tutto il mio essere cristiano, la mia fede, il mio ringraziamento a Jehoshuà ben-Joseph (permettetemi di chiamarlo col suo vero nome) per aver accettato la parola del Padre contro tutto e contro tutti con le conseguenze che abbiamo visto. Doveva avere un bel caratterino, deciso e testardo nel conseguimento dei suoi obiettivi fino al limite della presunzione, ruvido nel rapporto con i suoi discepoli fino a chiamare satana (nemico) il povero Pietro che era zuccone perché, da buon ebreo, aveva assorbito la tradizione fino ad identificarsi con essa (mai fidarsi di cosa dice la tradizione!!!!!).
Ho spiegato i vangeli, vi ho fatto qualche timido accenno di teologia, vi ho descritto il mondo in cui la vicenda di Jehoshuà ben-Joseph si è sviluppata.
Molto ci sarebbe ancora da dire, sulla Chiesa cattolica, ad esempio, che io ho volutamente tralasciata perché per essere cristiani è sufficiente conoscere il Cristo e la sua parola. E poi non è detto, come diceva sorridendo uno dei miei insegnanti in seminario, che essere cattolici voglia dire essere anche cristiani….
Per questo ora mi fermo; lascio aperto il blog che vedo viene consultato come fosse una piccola biblioteca. Se avete domande da fare, intervenite nel blog, aggiungete i vostri post, i vostri commenti e io risponderò, se sarò in grado di farlo.
A risentirci.

martedì 27 febbraio 2018

La Palestina del primo secolo – 9



 (segue dalla domenica precedente)

Il tempio di Gerusalemme era un centro di potere enorme sostenuto dal tesoro del Tempio, una vera e propria banca che gestiva una mole smisurata di ricchezze proveniente dalle offerte dei fedeli che vi accorrevano più volte all’anno in occasione delle feste comandate e dei sacrifici purificatori. Tutto il potere ed una ricchezza enorme nelle mani di un solo uomo segnerà la fine per quel popolo e quella nazione.
Le entrate del Tempio erano costituite da due ingressi: uno la tassa del Tempio, la seconda l’allevamento e la vendita degli animali per i sacrifici. A tutto questo si deve aggiungere che le bestie sacrificate venivano vendute nelle macellerie di Gerusalemme che erano di proprietà prevalentemente delle famiglie dei sacerdoti più importanti, generalmente dei sommi sacerdoti.
Il tesoro del Tempio, che conteneva monete in oro e argento, ma anche altri manufatti in metalli preziosi, era veramente enorme. Tanto per dare un’idea dell’entità del tesoro, dopo la distruzione del Tempio nel 70 d.C., i romani misero sul mercato il contenuto del tesoro provocando un crollo del prezzo dell’oro al 25% circa del suo valore dell’anno precedente.

5.4. Le Sinagoghe

Dal greco synagoghè che significa assemblea, così come il termine cristiano ekklesìa che ha lo stesso significato di assemblea, convocazione o comunità, e indica anche lo stesso edificio che ospita l’assemblea. Ma gli scrittori del N.T. prestano la massima attenzione a separare la sinagoga dalla chiesa.
È chiamata in ebraico beth-ha-kenesèth o semplicemente kenesèth (casa dell'assemblea o assemblea) o anche beth-ha-thephillah (casa della lode) oppure bet ha-midrash (casa della ricerca). Nella diaspora ogni comunità ne aveva una, ed erano indicate generalmente col termine greco proseuché (luogo della preghiera). Durante l’esilio in Babilonia gli Ebrei avevano fatto l’esperienza che Dio poteva essere pregato anche senza Tempio, Terra, Toràh, senza sacerdoti e senza sacrifici.
La sinagoga come istituzione nacque probabilmente in quegli anni, ma assunse un'importanza enorme solo dopo la distruzione del Tempio nel 70 d.C. con la scomparsa della classe sacerdotale e la fine della liturgia sacrificale: il Tempio viene sostituito dalla Legge e tutto il popolo è chiamato ad essere santo sotto la guida di scribi, dottori della legge e rabbì, esperti della Sacra Scrittura e depositari della sua interpretazione autentica e legittima. Ma gli scribi, che disprezzavano chi non poteva studiare la Legge, assunsero nella società dell’epoca una posizione dominante privilegiata e finirono per diventare una categoria che sostituì la casta sacerdotale. La sinagoga diventò allora il centro della vita civile e religiosa della società giudaica come luogo di preghiera, lettura e commento della Legge ma anche come tribunale, con processi e condanne. L’edificio tipico era formato da una sala disadorna, talora a tre navate, con un treppiede o un armadio, posizionato al centro della sala, per appendere i rotoli della Toràh, con vicino al candelabro a sette braccia (Amenorà). Su di un podio leggermente rialzato, il lettore (un qualsiasi uomo adulto – quindi maggiore di 12 anni - poteva farlo, anche se solitamente erano deputati gli esperti) proclamava la Parola di Dio e la commentava. C'era anche quella che veniva nominata la "cattedra di Mosè" ove sedevano i "Dottori della Legge", ossia gli scribi. Contro di loro Gesù lancia una pesante invettiva in Mt 23,1-6: “Allora Gesù si rivolse alla folla e a suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filatteri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati rabbì dalla gente»”.
Le donne potevano assistere alle funzioni, radunate in un matroneo, oppure dietro una grata, lontano dagli occhi degli uomini, senza poter in alcun modo intervenire. E, se la sinagoga era troppo piccola per contenere tutti, stavano fuori. Era retta da un consiglio di dieci anziani, con a capo un arcisinagogo (talora più di uno) incaricato dell'amministrazione e dell'organizzazione della vita della comunità, del culto e talora anche della giustizia.
In Mc 5,22 è nominato uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro. Un factotum fungeva da inserviente. Narra Luca a proposito di Gesù (4,16-21): “Venne a Nazaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore. Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato»”. Le sue parole non sono gradite e destano riprovazione. Nei versetti 28-30 è scritto: “All’udire tutte queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori dalla città e lo condussero fin sul ciglio del monte, su cui era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino”.
La comunità si riunisce tutti i sabati e i giorni delle festività religiose, ma le persone pie anche il martedì e il giovedì, giorni di digiuno per i farisei. La riunione si apre con la recita dello Shemà Yisrael (Ascolta, Israele), seguito dalle “Diciotto benedizioni”. Poi l’anziano o il rabbino (anche se qualsiasi maschio adulto può farlo), legge brani del Pentateuco, dei Profeti, seguiti dalla recita di Salmi. L’assemblea si chiude con la recita della benedizione di Nm 6, 22-26: “Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”.  Al tempo di Gesù nella Palestina e in Gerusalemme esistevano numerosissime sinagoghe che Gesù frequentava il giorno di sabato al solo scopo di insegnare. I vangeli non dicono mai che Gesù abbia partecipato al culto e anzi scandalizzava i presenti compiendo gesti ed atti contro il riposo sabbatico.
Tra le condanne che i capi della sinagoga potevano infliggere, una era particolarmente temuta: la scomunica, a seguito della quale il condannato perdeva tutti i diritti civili e religiosi, con gravissimo pericolo anche per la sua sopravvivenza. Narra Giovanni nell’episodio del cieco dalla nascita (9,22-23): “Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui»”. Non erano allontanati solo dal culto, perché la scomunica comportava anche l’esclusione dalla società e gli esclusi non erano più avvicinabili da nessuno: quindi era la morte civile. Era proibito a tutti avere rapporti con loro, mangiare, bere, commerciare e si doveva rimanere lontano almeno due metri dallo scomunicato. Gli evangelisti, a cominciare da Marco, che scrive a breve distanza di tempo dalla morte di Gesù, presentano una situazione di conflittualità con la sinagoga, diventata luogo di pericolo per i cristiani. L’evangelista la chiama “la loro sinagoga” (1,23-39) e più avanti (13,9) dice: “Ma voi badate a voi stessi! Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe e comparirete davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro”. Pochi secoli dopo, le parti si invertiranno e cominceranno le persecuzioni degli ebrei, non ancora finite.