(segue
dalla domenica precedente)
3. La Palestina proconsolato dell’Impero Romano(1)
Secondo il
vangelo di Luca la nascita di Gesù viene a coincidere col censimento ordinato
dai Romani il 6 d.C., allorché la Giudea venne incorporata per la prima volta
entro il loro impero. Il censimento doveva servire per la ripartizione dei
tributi, cosa che porterà, di lì a poco, alla nascita del partito di
opposizione antiromana degli Zeloti.
Secondo
invece il vangelo di Matteo, Gesù sarebbe nato pochi anni prima della morte di
Erode il Grande, che avvenne il 4 a.C.: una data importante per il popolo ebraico,
in quanto dal 129 a.C., dopo essersi liberati, grazie ai Maccabei, della
dominazione seleucide, gli Ebrei avevano goduto di una accettabile, anche se
parziale, indipendenza nazionale.
Erode era
stato odiato dagli Ebrei per la sua origine idumea e per il suo
filo-paganesimo, e tuttavia, sotto il suo regno, la Palestina non era stata
costretta a pagare il tributo a un governo straniero né a vedere truppe
straniere sul proprio territorio. Ma Erode non poteva decidere, senza il
consenso imperiale romano, chi avrebbe potuto succedergli. Infatti suo figlio
Archelao dovette recarsi a Roma e, proprio in quella occasione, gli Ebrei si
ribellarono alle truppe romane del comandante Sabino, che erano state inviate
per mettere al sicuro l'ingente patrimonio dello stesso Erode, perché gli Ebrei
volevano piena indipendenza nazionale, anche dagli erodiani.
Uno dei capi
di questa sommossa era stato Giuda, figlio di Ezechia, che aveva occupato il
palazzo erodiano di Sephoris in Galilea, impadronendosi dei beni e delle armi.
Come Ezechia era stato giustiziato dal giovane Erode, quando ancora era al
servizio di suo padre Antipatro, prefetto del palazzo di Ircano, ultimo sovrano
asmoneo, così Giuda venne fatto giustiziare per crocifissione, insieme ad altri
duemila, dal governatore romano della Siria, Varo, accorso in aiuto delle
truppe romane stanziate a Gerusalemme.
Gli ebrei
non erano nuovi alle insurrezioni: poco prima di morire, Erode aveva fatto
giustiziare due farisei, Giuda e Mattia, che avevano incitato il popolo a
distruggere la grande aquila dorata che il re aveva fatto innalzare sulla porta
principale del Tempio di Gerusalemme.
L'imperatore
Augusto decise di porre la Giudea e la Samaria sotto il diretto controllo di
Roma, di cui appunto il censimento del 6 d.C. doveva costituire eloquente
dimostrazione, dopo che aveva constatato quanto Archelao, nominato etnarca(2)
di quei territori nel 4 a.C. (fino al 6 d.C.), non fosse all'altezza della
situazione (aveva anche permesso di ricostruire completamente l'insediamento
esseno del Mar Morto, distrutto da un terremoto nel 31 a.C., e che costituirà
una delle basi zelote al tempo della guerra giudaica).
D'altra
parte Roma temeva enormemente che tra le due province di Egitto e Siria fosse
presente un territorio in stato di aperta e continua ribellione.
L'incarico
tecnico del censimento venne affidato a P. Sulpicio Quirinio, legato della
Siria, cui veniva ora annessa la provincia di Giudea e Samaria. Procuratore di
Giudea e Samaria era però Coponio, che governava quella provincia con pieni
poteri, ivi incluso quello delle sentenze capitali.
La reazione
degli Ebrei al censimento fu immediatamente ostile: un certo Giuda di Galilea
(il Galaumita, della città di Gamala), appoggiato da un fariseo chiamato
Saddok, provocò una rivolta, nonostante il sommo sacerdote Joazar cercasse di
dissuaderli. Due figli di questo Giuda, Menahem e Eleazar, diverranno capi
della grande guerra antiromana che scoppierà nel 66 d.C. Questi rivoltosi
facevano parte del partito degli Zeloti, che rappresentava l'ala progressista
del Fariseismo. Alcuni di questi Zeloti si ritroveranno nei discepoli di Cristo
(Mc 3,18; Lc 6,15; At 1,13).
Il partito
zelota era radicale, estremista, teocratico, non disposto a transigere sui
principi e non alieno all'uso di strumenti terroristici e di guerriglia urbana:
molto difficilmente un episodio come quello della conversione di Levi-Matteo al
discepolato di Cristo, avrebbe potuto trovare posto negli "Annali"
delle loro attività.
A Coponio
successe intorno al 9 d.C. Marco Ambibulo, cui seguì Annio Rufo (12-15 d.C.).
Intanto Quirinio, legato di Siria, aveva deposto il sommo sacerdote Joazar,
contro il quale il popolo si era rivoltato, e aveva nominato Ananus suo
successore.
L'interferenza
politica dei Romani in questa prestigiosa carica religiosa era cosa del tutto
inedita per i Giudei. Il successivo procuratore, Valerio Grato (15-26 d.C.),
deporrà e nominerà non meno di quattro sommi sacerdoti, assegnando infine la
carica a quel Caifa che risulterà protagonista principale dell'esecuzione di
Cristo. Questo spiega il motivo per cui il clero del Tempio era caduto
enormemente in discredito presso le popolazioni politicamente impegnate a
lottare contro Roma (non a caso durante la cacciata dei mercanti dal Tempio, da
parte di Cristo, nessuno intervenne per fermarlo).
Poi fu la
volta di Pilato, nominato prefetto della Giudea nel 26 d.C.: vi rimase in
carica fino al 36, cioè fin qualche anno dopo la morte del Nazareno avvenuta
venerdì 7 aprile dell’anno 30(3).
Pilato, che
risiedeva a Cesarea Marittima, non era mai piaciuto ai Giudei, perché troppo
arrogante. Il primo incidente diplomatico, quando egli tentò di introdurre a
Gerusalemme, di notte, le insegne dell’imperatore che i Romani già
consideravano alla stregua di un dio, era avvenuto proprio all’inizio del suo
mandato. I Giudei erano ormai prossimi alla rivolta quando Pilato preferì
rimuovere le immagini profane per evitare il bagno di sangue che ne sarebbe
conseguito. E' però probabile che Pilato avesse ordito una provocazione del
genere, ch'era senza precedenti, su suggerimento di Seiano, il potente favorito
di Tiberio, noto per le sue posizione antisemite.
La seconda
provocazione di Pilato è relativa al momento in cui fece esporre nel palazzo di
Erode a Gerusalemme degli scudi dorati che recavano i nomi dell'imperatore e
delle persone che gli avevano dedicato quegli scudi (probabilmente
nell'iscrizione vi era un riferimento alla "divinità"
dell'imperatore). I nobili della città protestarono presso l'imperatore Tiberio
che, per evitare incidenti, ordinò di rimuovere gli scudi contestati e di farli
appendere nel Tempio di Augusto a Cesarea.
Un terzo
incidente lo si ebbe quando Pilato, senza consultare le autorità civili
ebraiche, impiegò parte del sacro tesoro del Tempio di Gerusalemme per
finanziare la costruzione di un acquedotto che avrebbe portato acqua nella
città: scoppiarono delle rivolte che vennero soffocate nel sangue dai Romani.
Il quarto episodio riguardò Gesù, preceduto
dall'arresto di alcuni rivoltosi coinvolti in un'azione eversiva, di cui v'è
traccia persino nei vangeli, pur sempre molto reticenti nel mostrare gli
aspetti politici del Nazareno. Non dimentichiamo che Gesù fu crocifisso con
altri due sediziosi e barattato con un altro detenuto che
viene liberato al posto di Gesù chiamato Barabba; in aramaico Bar Abbà
significa “Figlio del Padre”. Oltretutto in alcuni manoscritti del vangelo di
Matteo, vedi ad esempio il codice Koridethianus, il vero nome
del prigioniero in aramaico sarebbe Jehoshuà Bar Abbà ovvero Gesù
Figlio del Padre. È singolare quindi che venga rilasciato questo Gesù “Figlio
del Padre” mentre viene giustiziato un altro Gesù, presentato come re dei
Giudei. Matteo non fornisce molte informazioni sull’identità di questo
detenuto, è detto soltanto che si trattava di un “prigioniero famoso”.
Probabilmente un rivoltoso, un capo politico. Ma non è molto semplice credere
che Pilato liberasse un capo popolo, soprattutto in una terra ribelle come la
Palestina di quegli anni, con sommosse e rivolte che scoppiavano dappertutto.
Questa doppia presenza di Gesù Cristo e di (Gesù) Figlio del Padre è stata
interpretata da alcuni come se fossero presenti due figure e non un solo Gesù,
un Messia davidico avente pretese regali e politiche (sarebbe il Gesù
condannato a morte da Pilato) e un Messia sacerdotale, liberato da Pilato. Questo
sdoppiamento della figura di Gesù farebbe pensare ad un artificio letterario
per trasmettere un messaggio teologico chiaro per i lettori di allora, ma
assolutamente incomprensibile oggi(4).
Infine,
sotto la direzione di un loro leader, alcuni samaritani tentarono di radunarsi
sul monte Garizim, a loro sacro, probabilmente per preparare una rivolta contro
i Romani. Pilato prevenne la sedizione inviando l'esercito: molti samaritani
vennero uccisi e i capi della rivolta furono giustiziati. Ne seguì una formale
protesta dei Samaritani presso Vitellio, all'epoca legato della provincia
romana della Siria, che diede loro ascolto e rimandò Pilato a Roma,
sostituendolo con Marcello.
Rimosso
Pilato dal suo incarico, Vitellio si recò a Gerusalemme durante una Pasqua,
forse quella del 36 d.C., per ripristinare l'ordine nella nazione dei Giudei.
L'unica cosa che fece però fu quella di sostituire il sommo sacerdote Caifa con
Jonathan. L'anno dopo, per ordine di Tiberio, radunò le truppe a Tolemaide in
vista di una spedizione punitiva contro Aretas, re di Petra. E su richiesta dei
Giudei evitò di far passare le proprie truppe attraverso la Giudea. Tuttavia,
quando tornò a Gerusalemme depose anche il sommo sacerdote Jonathan,
sostituendolo con Teofilo.
Intanto
giunse notizia della morte dell'imperatore Tiberio: Vitellio impose agli Ebrei
un giuramento di fedeltà a Gaio (Caligola), nuovo imperatore (37-41 d.C.), che
diede prova del suo apprezzamento per l'appoggio ottenuto, per la successione a
Tiberio, da parte Agrippa I, nipote di Erode il Grande, permettendo a
quest'ultimo, nel 39 d.C., di ottenere la tetrarchia ch'era stata di Filippo,
morto nel 34 d.C., insieme col titolo di re e, successivamente, anche la
tetrarchia di Erode Antipa, deposto ed esiliato da Gaio in Spagna.
La luna di
miele tra Roma e gli Ebrei durò tuttavia molto poco. A Jamnia, sapendo che
l'imperatore era ossessionato dall'idea di far accettare, almeno politicamente,
la propria divinità, i Gentili(5), per ingraziarselo, fecero erigere
un altare per offrirgli dei sacrifici. Gli Ebrei della città reagirono
immediatamente distruggendolo. Per vendicarsi Gaio ordinò al legato di Siria,
Petronio, di erigere una colossale statua dorata di Zeus all'interno del Tempio
di Gerusalemme, com'era stato fatto nel 167 a.C. dal re Antioco Epifane.
Petronio si
recò in Giudea, nel 39-40 d.C., con un esercito di due legioni e un forte
contingente di truppe ausiliarie. Intanto Agrippa era riuscito a convincere
Gaio a desistere da un proposito che avrebbe provocato un massacro generale. In
cambio Gaio chiedeva che le comunità di Gentili presenti in Palestina potessero
erigere tranquillamente qualunque altare pagano. Il suo improvviso assassinio
scongiurò la ribellione armata dei Giudei.
Agrippa era
abbastanza stimato dalla popolazione ebraica e persino dai Romani, tanto che il
nuovo imperatore Claudio, per premiarlo della fiducia dimostrata contro le
follie di Caligola, gli concesse di governare anche in Giudea, il che lo
portava ad amministrare un'estensione territoriale equivalente a quella
dell'antico regno di Erode il Grande, anche se sotto l'egida di Roma. Claudio intanto,
nel 41 d.C., fu costretto a proibire l'immigrazione di giudei ad Alessandria,
fuggiti da Israele per l'insostenibilità della situazione fiscale e il processo
di concentrazione della proprietà.
Stando agli
Atti degli apostoli, Agrippa fece assassinare Giacomo, fratello di Giovanni, e
incarcerare Pietro, che fu poi fatto evadere. Prima di questi fatti era stato
eliminato Stefano, che accusava apertamente i sacerdoti giudei di aver fatto
giustiziare Gesù. Pietro fu sostituito, alla guida della comunità cristiana di
Gerusalemme, dal fratello minore di Gesù, Giacomo.
Note: 1. Fonte: Lemonon
Jean-Pierre, Richard François, Il mondo dove visse Gesù. Vol. 1: Gli ebrei e
l’Impero Romano ai tempi di Gesù, 1980, ESD-Edizioni Studio Domenicano. – 2. Titolo
«nobiliare» del mondo greco-romano inferiore a quello di Re e superiore a
quello di Tetrarca. – 3. Un piccolo numero di studiosi indicano la
data del 3 aprile dell’anno 33. – 4. Su queste basi risulta comprensibile la
convinzione islamica che Gesù sia stato sostituito prima della crocifissione
con Giuda. - 5. Persone di etnia non ebrea presenti in Israele. La
dicitura è usata da Giovanni nel suo vangelo.
(continua la prossima
domenica)