(segue
dalla domenica precedente)
Segue Cap. 3. La Palestina
proconsolato dell’Impero Romano
Avendo
intenzione di consolidare il proprio regno e temendo che i Romani potessero
rimuoverlo in qualunque momento, Agrippa chiedeva un appoggio esplicito da
parte delle autorità giudaiche. Senonché in due occasioni si rese sospetto alle
autorità romane. La prima quando tentò di ricostruire le mura settentrionali di
Gerusalemme, da cui erano entrate le truppe di Pompeo nel 63 a.C. e quelle di
Erode e Sossio nel 37 a.C. (e da dove entreranno anche quelle di Tito nel 70
d.C.): gli venne impedito quando Vibio Marso, legato di Siria, informò del
pericolo l'imperatore Claudio. La seconda occasione fu quando invitò cinque
principi, vassalli di Roma, ad una riunione a Tiberiade, per rafforzare delle
intese politiche nelle province orientali dell'impero.
Agrippa morì
improvvisamente nel 44 d.C., quando il figlio era ancora troppo giovane per
succedergli: il che indusse Claudio ad amministrare direttamente tutti i suoi
territori. Solo qualche anno dopo alcune parti del regno di Agrippa, che non
riguardavano la Giudea, vennero assegnate al figlio Agrippa II.
La seconda
amministrazione romana fu un disastro per le sorti della popolazione ebraica.
Il procuratore Cuspio Fado (44-46 d.C.), il primo succeduto ad Agrippa I, fece
giustiziare Tholomaios, che aveva provocato disordini ai confini con la Nabatea
e l'Idumea. Poi fu la volta di Theudas, un predicatore politico che invitava i
Giudei ad attraversare il Giordano per rifugiarsi in una zona desertica della
Transgiordania, da dove si sarebbero organizzati in funzione antiromana: fu
catturato e decapitato, e con lui molti altri.
Sotto il
procuratore (ebreo apostata) Tiberio Alessandro (46-48 d.C.), succeduto a Fado,
vennero crocifissi due rivoltosi zeloti, Simone e Giacomo (o Giacobbe), figli
di Giuda il Galileo. Sempre al tempo di Tiberio Alessandro ci fu in Giudea una
grave carestia, che per due anni ebbe conseguenze disastrose per buona parte
della popolazione, non più in grado di pagare le tasse, e sotto quello del suo
successore, Ventidio Cumano (48-52 d.C.), si ebbe una nuova strage di Giudei
durante le feste di Pasqua, in prossimità del Tempio di Gerusalemme,
semplicemente perché gli Ebrei radunati nei cortili per il culto reagirono
immediatamente a un gesto osceno fatto da un soldato romano di servizio sul
tetto del portico del Tempio.
Il secondo
incidente si ebbe quando fu assalito e depredato un servitore dell'imperatore
sulla strada che conduceva a Beth-oron(1). Il procuratore inviò
truppe a saccheggiare i villaggi vicini, arrestandone i capi. Durante le
operazioni un soldato romano bruciò una copia della Torah. Gli Ebrei furono
così furiosi che Cumano si risolse a giustiziare il soldato.
Il terzo
incidente segnò la fine del mandato palestinese di Cumano. Tutto ebbe inizio
con l'uccisione di alcuni Galilei, in viaggio verso Gerusalemme, da parte degli
abitanti di un villaggio samaritano. I Galilei chiesero vendetta a Cumano, che
però non fece nulla. Allora i Galilei chiesero aiuto ai Giudei e questi si
misero al seguito di un certo Eleazar, figlio di Deinaios, del partito zelota,
che riuscì a massacrare alcuni samaritani. A questo punto Cumano intervenne con
la forza, eliminando molti rivoltosi giudei. I samaritani però si rivolsero a
Quadrato, legato di Siria, perché svolgesse un'indagine. Questi fece
giustiziare vari Giudei catturati da Cumano e inviò a Roma in catene i sommi
sacerdoti Gionata e Ananias, e il comandante del Tempio, Ananus. Grazie
all'intercessione di Agrippa, questi Ebrei ottennero un verdetto favorevole;
viceversa Cumano fu esiliato e un suo tribuno giustiziato in pubblico.
L'imperatore
Claudio pensò di sostituire il procuratore Cumano con l'ex liberto Antonio
Felice (52-60 d.C.), il quale scandalizzò subito gli Ebrei, sposando Drusilla,
sorella di Agrippa, dopo aver costretto al divorzio il marito di lei. Subito
dopo tentò di stroncare i numerosi movimenti messianici di quel periodo, e
riuscì anche a catturare Eleazar, inviandolo a Roma, e a far crocifiggere molti
Zeloti al suo seguito, che i Romani peraltro cominciarono a chiamare col nome
di "Sicari", in quanto eliminavano clandestinamente con una spada
corta, in occasione di feste religiose, quegli Ebrei di alto rango che
collaboravano coi Romani. Fu così che uccisero il sommo sacerdote Gionata. (Da
notare che i sommi sacerdoti, pur essendo nominati, a partire dal regno di
Agrippa I, dai dinasti erodiani e non più dai Romani, avevano perso qualunque
stima da parte della popolazione ebraica, proprio perché non erano disposti a
un'insurrezione armata contro Roma).
Al tempo di
Felice un pericoloso sovversivo di origine egiziana aveva raccolto una turba di
circa quattromila persone con cui si preparava ad entrare con forza a
Gerusalemme dal Monte degli Ulivi. Felice non si lasciò prendere di sorpresa e
riuscì a uccidere quattrocento rivoltosi e a farne prigionieri altri duecento.
L'egiziano riuscì a fuggire e i suoi seguaci continuarono a incitare i Giudei a
far guerra contro i Romani.
Quando
Nerone subentrò a Claudio, il procuratore Antonio Felice fu sostituito con
Porcio Festo (60-62 d.C.), il quale si trovò subito in urto coi Giudei, non
avendo fatto nulla per impedire ad Agrippa II di costruire un palazzo che
dominava dall'alto il Tempio di Gerusalemme. La cosa si risolse grazie alla
mediazione dell'imperatrice Poppea e Nerone sostituì Festo con Lucceio Albino
(62-64 d.C.).
Lucceio non
era ancora arrivato in Giudea, quando Agrippa II aveva nominato il sadduceo
Ananus sommo sacerdote, il quale, senza chiedere alcuna autorizzazione ai
Romani, convocò il Sinedrio al fine di processare e far lapidare Giacomo,
fratello minore di Gesù e capo della comunità cristiana di Gerusalemme.
L'azione suscitò le proteste di molti uomini influenti della città e Albino, al
suo arrivo, sostituì immediatamente Ananus con Joshua ben Damneo (o Damnaios)
(63 d.C.).
Albino fu
persona particolarmente venale e corrotta, ma il suo successore, il procuratore
Gessio Floro (64-66 d.C.), fu peggio. Costui infatti era particolarmente avido
(metteva mano al tesoro del Tempio) e infliggeva ingiusti castighi,
manifestando apertamente il proprio disprezzo per il popolo ebraico: non si
accontentava di sedare le rivolte ma dava anche ordine alle truppe di
saccheggiare le città. Fu lui, dopo essere stato costretto a ritirarsi da
Gerusalemme, a riferire a Cestio Gallo, legato di Siria, che la Giudea era in
rivolta.
In effetti
Eleazar, comandante del Tempio e figlio del sommo sacerdote Ananus, con alcuni
seguaci Zeloti che si opponevano a Roma e ai collaborazionisti giudei, persuase
i sacerdoti sadducei, nonostante l'opposizione dell'alto clero, a interrompere
il sacrificio quotidiano offerto a favore dell'imperatore e del popolo romano,
che si svolgeva presso il Tempio di Gerusalemme. Era non solo una rottura tra
alto e basso clero, ma anche una provocazione esplicita nei confronti di Roma.
Gli Zeloti
arrivarono persino a distruggere la casa del sommo sacerdote Ananias e i
palazzi dei dinasti erodiani Agrippa e Berenice, e a incendiare gli archivi
pubblici per impedire il recupero dei debiti (di qui il loro successo presso le
componenti rurali). Occuparono anche la fortezza Antonia.
Nell'estate
del 66 d.C. registriamo anche l'attacco zelota alla guarnigione romana della
fortezza di Masada, presso il Mar Morto, che viene occupata dal partito degli
Zeloti capeggiato da Menahem, un figlio di Giuda il Galileo, per ricavare armi
in abbondanza e per difendersi in una roccaforte ben costruita.
Menahem arma
un suo esercito e partendo da Masada marcia verso Gerusalemme, intenzionato a
diventare capo dello Zelotismo: al suo arrivo, gli Zeloti costrinsero
addirittura le truppe di Agrippa II ad arrendersi, mentre alla guarnigione
romana non restava che rifugiarsi nelle tre torri erodiane. Il sommo sacerdote
Ananias e suo fratello Ezekias furono giustiziati. Ma Menhaem entrò in
conflitto con i rivoluzionari di Eleazar, che non volevano riconoscerlo come "messia
galileo" e venne ucciso a tradimento. I seguaci di Menhaem tornarono a
Masada, dove elessero loro capo Eleazar ben Jair, parente di Menhaem. Intanto
Eleazar massacrava gli ultimi Romani rimasti in città.
Al sentire
che a Gerusalemme non esisteva più alcuna guarnigione romana, scoppiarono dei
pogrom antisemiti a Cesarea, Filadelfia, Gerasa, Pella, Gadara, Tolemaide, Gaza
e in molte altre città del Vicino Oriente. Così nell’ottobre-novembre del 66
d.C. Gerusalemme e tutta la Palestina erano in rivolta. Il legato della Siria
Cestio Gallio, su richiesta di Gessio Floro, entrò in Palestina con la XII
Legione, arricchita anche da altri reparti di rinforzo, per normalizzare la
situazione.
Partito da
Antiochia con le sue truppe, Gallio distrugge e saccheggia alcune città della
Galilea e della Samaria, incontrando scarsa resistenza, infine arriva ad
assediare Gerusalemme. Qui tuttavia indugia, temendo di non avere forze
sufficienti per tenere in mano un'intera città; pur essendo già riuscito ad
aprire una breccia nelle mura del Tempio, ordina ai suoi soldati di ritirarsi
sul monte Scopus e poi d'interrompere l'assedio. La cosa lascia stupiti gli
Zeloti, che però ne approfittano subito, inseguendo la legione in ritirata e
distruggendone totalmente la retroguardia.
Gerusalemme
rimase completamente in mano dei Giudei, che eleggono Giuseppe ben Gorion e il
sommo sacerdote Ananus comandanti supremi della città liberata dai Romani, con
l'incarico speciale di organizzare i lavori per l'innalzamento delle mura più
esterne della città. In questo bisogna vedere anche il tentativo, da parte
dell'aristocrazia sacerdotale, di emarginare Eleazar e i suoi seguaci più
radicali.
Con la
disfatta della XII Legione anche il resto della Palestina tornava in mano dei
rivoltosi; vengono eletti dal Sinedrio vari capi che presidiano tutte le
maggiori città: proprio in questo periodo Giuseppe Flavio viene inviato a
governare la Galilea, mentre Giovanni (forse Zebedeo, ma non se ne ha la
certezza), con la sua Apocalisse, chiede ai giudeo-cristiani della
diaspora di appoggiare la rivolta con tutte le loro forze.
Intanto a
Roma l’imperatore Nerone (nel 67 d.C.) sostituisce il legato di Siria, Cestio
Gallio, col generale veterano Vespasiano e lo incarica, coadiuvato da Tito, il
figlio di Vespasiano, di disperdere i ribelli. Vespasiano viene inviato ad
Antiochia, la capitale della Siria, per assumere il comando delle legioni V e
X. Nel frattempo Tito viene inviato ad Alessandria per condurre la XV legione
dall'Egitto alla Siria e unire le sue forze a quelle del padre: in tutto tre
legioni, un certo numero di coorti ausiliarie, truppe fornite da re locali,
amici dei Romani, per un totale di circa sessantamila uomini.
L'attacco
alla Palestina avviene da nord, come già aveva tentato Cestio Gallio. Le truppe
romane prima danno man forte alla città di Sephoris, la più grande della
Galilea, che era rimasta fedele a Roma. Poi attaccano tutte le altre città
della Galilea in mano ai ribelli Giudei, bruciando ogni cosa, trucidando tutti
i giovani e riducendo gli altri in schiavitù. Giuseppe Flavio, dopo un
tentativo di resistenza nella città di Jotapatah(2), è costretto a
fuggire e infine si consegna ai Romani in cambio della vita e della promessa di
aiutarli contro gli Zeloti.
Mentre
Vespasiano si assicura, non senza qualche rovescio di entità limitata, il
controllo delle città della Galilea, a Gerusalemme il partito degli Zeloti,
appoggiati dagli Idumei, mette a morte molte personalità influenti della città,
accusate di collaborare coi Romani (il tradimento di Flavio aveva avuto un
certo peso su queste accuse): anche il sommo sacerdote Ananus, che si era
opposto agli eccessi dell'estremismo zelota, viene giustiziato dai rivoltosi.
Intanto la comunità monastica di Qumran, presso il Mar Morto, viene completamente
distrutta dai Romani nel 68 d.C. Di essa si ritroverà la biblioteca solo nel
1947.
Nel corso di
questi eventi e mentre Vespasiano si preparava a marciare per assediare
Gerusalemme, giunse notizia che a Roma Nerone era morto e Galba gli era
succeduto. Ma dopo circa sette mesi soltanto, Galba venne ucciso e salì al
trono il suo rivale Ottone. Dopo poco tempo Vitellio, che era stato legato
della provincia di Siria, si impadronì del potere a Roma e la situazione
divenne caotica. Di questa situazione gli Ebrei non seppero approfittare per
stringere alleanze con forze straniere.
Nel luglio
del 69 d.C. Vespasiano viene nominato imperatore e quindi ritorna a Roma per
assumere la carica, sicché le operazioni militari rimangono sotto il comando
del figlio Tito. Il 69 d.C. passò alla storia come l'anno dei quattro
imperatori: Galba, Ottone, Vitellio e, infine, Vespasiano, che prevalse sugli
altri.
Tito
raccoglie le tre legioni precedentemente comandate dal padre, aggiunge a queste
la ricomposta XII Legione e, attraversando la Samaria, raggiunge abbastanza
facilmente la zona di Gerusalemme. All'interno della città il potere è detenuto
da almeno tre capi zeloti: Giovanni, figlio di Levi, detto anche Giovanni di
Gischala, un galileo ch'era fuggito dalla sua terra al tempo della conquista di
Vespasiano: governava il centro della città; Simone, figlio di Ghiora, che
presidiava la cinta esterna e infine Eleazar, che gestiva il Tempio.
L'inizio
della scarsità di viveri fece nascere contese tra i vari partiti. Giovanni,
fingendo di offrire un sacrificio, mandò uomini a massacrare Eleazar e i suoi,
impadronendosi così del Tempio. La città si divise allora in due fazioni.
Gerusalemme
a quel tempo aveva ben tre cinta di mura che erano state rinforzate e
ulteriormente protette durante i mesi in cui i Giudei avevano controllato
indisturbati la città: non sarebbe stato facile conquistarla. Intanto Giuseppe
Flavio, che si trovava al seguito dell'esercito di Tito, teneva discorsi vicino
alle mura della città per convincere i suoi connazionali ad arrendersi e a
disertare dalla guerra voluta, secondo lui, dal partito estremista degli
zeloti.
I Romani,
forti della loro esperienza di assedio delle città, impedirono agli abitanti di
fuggire e li costrinsero alla resa per fame. Giovanni di Gischala venne
catturato e imprigionato a vita; Simone figlio di Ghiora, un altro capo zelota,
sarà giustiziato durante le celebrazioni della vittoria sui Giudei. Dopo il
Tempio, anche il resto della città di Gerusalemme venne abbondantemente
distrutto e dato alle fiamme: le mura della città furono completamente rase al
suolo tranne alcuni torri strategiche. I morti furono centinaia di migliaia:
soltanto i prigionieri portati a Roma furono 97.000. Giuseppe Flavio parla
addirittura di 1,1 milioni di morti, su una popolazione complessiva di circa
2,5 milioni. Tacito sostiene che i morti a Gerusalemme furono circa 600.000.
Chi
descrisse con dovizia di particolari tutte queste cose fu Giuseppe Flavio, il
quale però non fa mai alcun riferimento al movimento nazareno o cristiano. Anzi
nei suoi testi tutti i riferimenti al Cristo o ai cristiani sono chiaramente
interpolati, per cui essi non hanno alcun valore per riuscire a capire il
contenuto politico del messaggio del Nazareno e dei suoi seguaci, né il ruolo
che i cristiani ebbero nel corso della Guerra giudaica. E' interessante
tuttavia osservare che, secondo la tradizionale storia della Chiesa, durante la
guerra del 66-74 i cristiani, in gran parte, fuggirono a Pella, oltre il
Giordano, evitando così di compromettersi con la rivolta. I sinottici (Mc 13,1-36; Mt 24,1-51; Lc 21,5-28),
scritti o rimaneggiati dopo il 70, contengono riferimenti alla distruzione del
Tempio e alla guerra giudaica.
In ogni caso
la comunità cristiana di Gerusalemme scomparve definitivamente dopo il 70.
Negli anni
successivi alla distruzione del Tempio, fino al 74 d.C. le operazioni di
rastrellamento e di distruzione dei centri di resistenza dei ribelli
continuarono con l’assedio e l’assalto alle fortezze di Masada, Macheronte,
Herodium... Erano infatti rimaste attive delle roccaforti o delle fortezze in
mano ai Giudei. Uno degli ultimi episodi della guerra giudaica fu l'assedio e
la conquista della fortezza di Masada, avvenuto verso il 74 d.C. Quando i
Romani riuscirono a prendere e ad entrare nella cittadella fortificata,
trovarono che i soldati ebrei avevano ucciso tutte le donne e i bambini e si
erano suicidati tutti quanti per non subire l'onta di cadere nelle mani del
nemico (i morti furono 960). Gli ultimi Zeloti rifugiatisi in Egitto furono
sterminati.
Al tempo di
Traiano, tra il 115 e il 117 d.C., si ebbe una seconda rivolta dei Giudei,
questa volta della diaspora. La repressione romana fu violenta e secondo le
cronache provocò centinaia di migliaia di morti. Eusebio riporta anche che a
Cirene il leader locale Andrea (o Lukuas) venne acclamato come Messia dalla
popolazione.
Una
ribellione dei Giudei ancora più grave ebbe luogo nel periodo 132-135 d.C., al
tempo in cui l’imperatore Adriano aveva deciso di intraprendere una politica di
massiccia ellenizzazione e romanizzazione della Palestina, che culminò con due
provvedimenti gravissimi per i Giudei: la proibizione della circoncisione sia
ai pagani che ai Giudei e la decisione di ricostruire la città santa di
Gerusalemme col nome di Aelia Capitolina.
Scoppiò così
una guerra tra Giudei e Romani, l'ultimo grande conflitto che richiamava la
grande aspettativa messianica giudaica. Capo della rivolta antiromana questa
volta era Simon bar Kosheba, un leader che il rabbino Aquiba, un esponente
molto importante dell'ebraismo di quel tempo, aveva addirittura riconosciuto
come Messia. Simon bar Koseba era chiamato anche Simon bar Kokhba, un nome di
battaglia messianico che significa "figlio della stella", secondo la
profezia di Nm 24,17.
Dopo un anno
dall'inizio della rivolta l'esercito giudaico aveva completamente annientato
almeno una legione romana, forse due. In Palestina non c'erano più truppe
romane, Gerusalemme era stata conquistata ed era stata insediata
un'amministrazione ebraica. La rivolta arrivò a un passo dal successo e fallì
principalmente perché a bar Kokhba vennero meno i suoi alleati.
Secondo un
suo disegno grandioso, le truppe avrebbero dovuto ricevere il sostegno di forze
provenienti dalla Persia, dove risiedeva un gran numero di Ebrei che godevano
del favore della casa regnante. Ma proprio nel momento in cui Simon bar Kokhba
aveva più bisogno del loro aiuto, la Persia subì l'invasione di tribù bellicose
scese dalle montagne del nord, che richiese l'intervento dei soldati persiani e
lasciò Simon privo dell'aiuto sperato.
Intanto in
Siria, fuori dei confini della Palestina, i Romani si riorganizzavano sotto la
guida dell'imperatore Adriano, che aveva come comandante in seconda Giulio
Severo, in precedenza abile governatore della Britannia. L'esercito romano
composto di dodici legioni, per un totale di circa ottantamila soldati, invase
di nuovo la Palestina e con una tattica a tenaglia costrinse bar Kokhba a
rifugiarsi a Beitar, il suo quartier generale, a pochi km da Gerusalemme (135
d.C.).
La seconda
rivolta giudaica fu così ancora una volta repressa nel sangue; Gerusalemme, già
abbondantemente distrutta al tempo della prima guerra giudaica, venne
completamente spianata e divenne colonia romana col nome di Aelia Capitolina. Agli
Ebrei fu persino proibito di entrare nella nuova città, ricostruita
completamente secondo il modello greco, e nel luogo dove sorgeva l’antico
Tempio, distrutto dalle truppe di Tito e mai più ricostruito, venne eretto un
Tempio in onore di Giove.
La guerra
del 132-135 d.C. segnò la fine delle speranze messianiche del giudaismo e la
scomparsa di tutta la tradizione apocalittica giudaica. Da quel momento
l'ebraismo verrà a coincidere con il rabbinismo di tradizione farisaica, che
sostanzialmente è rimasto lo stesso fino ad oggi.
Se
Gerusalemme avesse dimostrato di saper resistere ai romani, non solo tutta la
Palestina sarebbe insorta, ma anche tutto il Medio Oriente, e se questo fosse
riuscito nell'intento, altre regioni dell'impero si sarebbero ribellate:
germaniche, danubiane, sarmate... L'impero aveva già raggiunto la sua massima
estensione: poteva soltanto essere progressivamente ridimensionato. La
sconfitta di Israele sarà invece l'ultima grave disfatta di una nazione
occupata da Roma, che permetterà all'impero di sopravvivere per altri tre
secoli.
Note: 1. Casa di Horon, piccola città del centro di Israele citata
nel libro di Giosuè. - 2. Antico villaggio fortificato a nord di Sephoris.
(continua la prossima
domenica)