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Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


martedì 19 gennaio 2016

Terza Domenica del Tempo Ordinario



III Domenica del Tempo Ordinario - Lc 1,1-4; 4,14-21

Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch'io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.
Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode.
Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l'unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi,
a proclamare l'anno di grazia del Signore
.

Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all'inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

Luca apre il suo vangelo(1) con un breve preludio (1,1-4) a cui fa seguito il racconto dell’infanzia di Gesù, che rappresenta il vero prologo del vangelo. Quello che in Marco era il prologo (predicazione di Giovanni, battesimo di Gesù, tentazione) diventa così in Luca la sezione iniziale del vangelo (Lc 3,1-4,13). Dopo di essa egli narra il ritorno di Gesù in Galilea e l’inizio del suo ministero pubblico, contrassegnato da un intervento nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,14-30).
Lo scopo dichiarato di Luca è quello di fare un racconto “ordinato” in modo da mettere in luce i legami che uniscono la sua comunità greco-cristiana, erede di Paolo, alla comunità delle origini e questa al Gesù prepasquale. Ordinare significa anche studiare, comprendere ed il risultato sua riflessione teologica è condensata nei due volumi della sua opera, il Vangelo e gli Atti, che egli ha offerto alla sua comunità e alla chiesa di tutti i tempi per renderle possibile incontrare Gesù di Nazaret e basare su di lui la propria vita.
“Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola…”
Luca inizia accennando a quanto altri hanno fatto prima di lui; l’evangelista allude al fatto che per scrivere la sua opera si è servito di fonti. Egli non dice di quale materiale narrativo fosse a conoscenza; Luca aveva certamente a disposizione il vangelo di Marco, anche se non è sicuro se fosse la stessa versione giunta fino a noi. Un’altra fonte è rappresentata dal materiale che è comune a Matteo e non si trova in Marco: esso è comunemente designato con la sigla Q (dal tedesco Quelle, fonte). Infine si può supporre una o più fonti da cui l’evangelista ha ricavato il materiale che non si trova né in Marco né in Matteo.
Luca suppone che nelle sue fonti sia contenuto il resoconto di persone che sono state testimoni oculari fin dall’inizio, cioè fin da quando la vicenda ha preso il suo avvio con il battesimo amministrato da Giovanni il Battista (cfr. At 1,21-22). Luca riconosce dunque che prima di lui c’è stata una “tradizione” che si è configurata in due anelli: quello dei testimoni oculari e quello di coloro che hanno messo per iscritto la loro testimonianza; in questa catena egli rappresenta un anello successivo. I responsabili di questa trasmissione non sono però testimoni neutrali, ma persone direttamente coinvolte in ciò che è accaduto e nel messaggio che ne è scaturito: ciò comporta che essi non hanno riportato semplicemente il nudo fatto, ma lo hanno arricchito con la comprensione teologica che era loro propria.
“…così anch'io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto”.
Luca si rivolge all’illustre Teofilo(2) e gli indica qual è stato il suo contributo: egli non si è accontentato di riprendere le informazioni contenute nelle sue fonti, ma ha fatto ricerche. Con questo seguito di espressioni avverbiali egli vuole sottolineare di aver fatto un lavoro accurato a livello sia di ricerca storica che di elaborazione letteraria. Egli dunque si presenta non come un semplice raccoglitore, ma come uno che ha fatto un accurato lavoro redazionale. Dal modo in cui utilizza le sue fonti, non appare però che egli avesse a disposizione un supplemento di informazioni o un particolare sguardo critico circa gli avvenimenti che racconta: il suo intervento consiste essenzialmente nel dare al materiale tradizionale un ordine e una forma più plausibili, e soprattutto nell’esporli secondo le angolature teologiche che gli stavano a cuore.
In Luca la predicazione a Nazaret è presentata come una specie di portale che introduce il lettore nel ministero pubblico di Gesù.
Il racconto, dopo un brano introduttivo (4,14-15), si divide in due parti: a) discorso tenuto da Gesù a Nazaret (4,16-21); b) rifiuto dei nazaretani (4,22-30). La liturgia riprende la prima parte del testo nella terza domenica del tempo ordinario e riserva la seconda alla domenica successiva.
Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode”.
Per Luca, come per Marco (Mc 6,1-6) e Matteo (Mt 13, 54-57), il ritorno di Gesù nella sua patria di origine segna l’inizio del suo ministero. L’accenno alla presenza in lui dello Spirito allude all’episodio del battesimo (cfr. Lc 3,22): da quel momento Gesù è sempre guidato dallo Spirito. Egli privilegia la sinagoga(3) come ambito di insegnamento perché lì, in giorno di sabato, poteva incontrare tutti gli abitanti del villaggio. Per gli stessi motivi anche i predicatori cristiani, negli Atti degli apostoli, svolgeranno la loro opera a partire dalle sinagoghe.
Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere.”
L’evangelista osserva da una parte che Nazaret era il luogo in cui era cresciuto, e dall’altra che era sua consuetudine recarsi nella sinagoga(4). La funzione liturgica si apriva con la recita dello Shemà (cfr. Dt 6,4-9); seguiva la preghiera delle Diciotto benedizioni (Shemoneh-esreh) e forse del Qaddish(5). Si leggeva poi un brano della Torah (Pentateuco) e un passo dei Profeti (Haftarah), connesso con la prima lettura. Gesù si fa avanti per leggere un testo della Scrittura; Luca ci tiene a sottolineare che Gesù era un giudeo che praticava normalmente la sua religione(6).
“Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l'unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi,
a proclamare l'anno di grazia del Signore
.
Nel mondo giudaico, nella sinagoga, c’era un ciclo triennale di letture. Per cui ad ogni sabato corrispondeva esattamente una lettura. E’ probabile che Gesù non legga quello che era prescritto quel sabato, perchè il termine greco usato dall’evangelista, e tradotto con trovò, è “eureka” che indica un trovare che è frutto di una ricerca. Ha trovato perché ha cercato. Quindi Gesù non legge la liturgia del giorno ma va in cerca di un passo particolare.
Sono indicazioni preziose per la comunità cristiana: l’evangelista ci fa comprendere che Gesù mosso dallo Spirito, non può adattarsi alle prescrizioni della liturgia(7).
Il brano, tratto dal capitolo 61 di Isaia, era un testo molto popolare perché riguardava la venuta dell’inviato da Dio che doveva liberare il popolo dalla dominazione pagana e inaugurare il regno di Israele sottomettendo tutti gli altri popoli (Is 61,1-2).
“Lo Spirito del Signore è sopra di me”. Lo Spirito del Signore è la forza stessa, la vita stessa di Dio. Gesù cita naturalmente Isaia 61, ma si riferisce all’esperienza che ha avuto in precedenza quando al momento del battesimo lo Spirito di Dio è sceso su di lui.
“Per questo mi ha consacrato con l’unzione”.
L’espressione che noi traduciamo con consacrato con l’unzione in ebraico si dice mashià da cui deriva la parola Messia. E il termine Messia tradotto in greco con Cristo, significa unto, da intendere come consacrato. Questa unzione che veniva data ai re e a particolari personaggi indicava un cambio di stato, di condizione e, come segno della scelta divina, indicava che la persona consacrata, unta, diventava inviolabile perché rappresentava la quintessenza dell’umanità ed era la figura stessa dell’immagine di Dio fatto uomo. Questo era il Messia: un individuo che il Signore ha scelto e a cui ha dato delle capacità particolari per essere suo rappresentante e suo agente nell’umanità.
All’epoca di Gesù c’era una forte attesa di questo Messia e la tradizione aveva cercato di individuare quali dovevano essere le specifiche qualità del Messia. Ne elenchiamo solo alcune:
-        il messia era già presente ma nascosto perché neanche lui sapeva di esserlo
-        si sarebbe manifestato all’improvviso durante una festa nel punto più alto del tempio di Gerusalemme: sul pinnacolo del tempio
-        sarebbe stato unto dal profeta Elia che sarebbe ritornato sulla terra
-        si sarebbe distinto compiendo pienamente tutte le prescrizioni della legge, sarebbe stato una persona pia, devota (questo è importante memorizzarlo perché ci farà comprendere la novità portata da Gesù).
Questo era il Messia, l’unto, il consacrato, il Cristo; il gruppo di discepoli di Gesù è stato conosciuto con il nome di cristiani non a Gerusalemme ma ad Antiochia, in Turchia. Scrive Luca negli Atti degli Apostoli (At 11,26): “per la prima volta ad Antiochia i discepoli furono chiamati Cristiani”.
Strano questo, eppure i fedeli di Gerusalemme e quelli di Antiochia credono nello stesso Signore Gesù, ma sono riconosciuti cristiani solo quelli di Antiochia. Questo è accaduto perché quelli di Antiochia sono stati i primi che, anziché pensare alle loro necessità, hanno pensato a quelle degli altri. In occasione di una grande carestia, i fedeli di Antiochia anziché preoccuparsi di sé soltanto, hanno fatto una colletta per i fedeli di Gerusalemme che stavano peggio di loro. Da allora la gente ha riconosciuto che quelli erano cristiani, cioè autentici seguaci di Cristo (At 11,27-30).
Ad Antiochia è stato possibile perché c’era libertà; là dove c’è libertà c’è lo Spirito. Nella chiesa di Gerusalemme, ancora fortemente ancorata alla Torah, non c’era lo Spirito.
Gesù si manifesta come il consacrato, il Messia inviato da Dio e il primo dei compiti da svolgere come azione di Dio stesso, la prima cosa che Dio pensa, non riguarda il culto, non riguarda la religione, non riguarda atteggiamenti di pietà; il primo e quindi il più importante tra i pensieri del Padre è: “…e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio…”.
La buona notizia non è quella di assicurare ai poveri, come è successo durante la nostra precedente devastante generazione, che sono beati perché andranno in paradiso; questa è stata una mistificazione, una presa in giro e, secondo il Concilio Vaticano II(8), la causa del fallimento della trasmissione del messaggio di Gesù; fino agli anni ’50 è stato uno spiritualismo cristiano abbastanza diffuso: soffri di qua perché sarai felice di là.
Dio non è d’accordo: la felicità, prima di tutto, si realizza qui su questa terra. Quindi la prima delle azioni di Dio attraverso il figlio Gesù, che è la sua manifestazione piena, è l’eliminazione della povertà. Nei vangeli non c’è una esaltazione della povertà, non c’è una mistica della povertà. Gesù ci invita, sì, a farci un po’ più poveri, ma non perché è bello essere poveri; Gesù ci invita ad abbassare il nostro livello di vita per permettere a quelli che l’hanno troppo basso di innalzarlo (cfr. Mt 5,3).
Gesù non ci chiede di denudarci ma di vestire chi è nudo. La la prima delle manifestazioni di questo Messia è: annunciare ai poveri la buona notizia. E’ finita la povertà. E’ finita perché c’è il gruppo dei seguaci di Gesù che si prende cura dei poveri e li toglie dalla povertà.
Negli Atti degli Apostoli c’è un brano in cui si dice che la prima comunità dei discepoli di Gesù rendeva testimonianza con grande forza alla resurrezione di Gesù non attraverso un catechismo o una teologia, ma perché nessuno tra di loro era bisognoso.
“…a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore.
Questa è la base di tutte quelle azioni che Gesù poi farà nei Vangeli. Noi non sappiamo tutto quello che Gesù ha compiuto nella sua esistenza. Non si esclude che questo individuo pieno di vita abbia potuto restituire la vista a un non vedente, restituire la sanità ad uno zoppo o purificare un lebbroso. Non si esclude. Ma non è questo ciò che ci dicono gli evangelisti. Gli evangelisti non ci fanno una cronistoria degli eventi di Gesù. Ci dicono quello che la comunità cristiana può fare. L’azione di Gesù di restituire ai ciechi la vista, significa aprire gli occhi alla gente.
Nel vangelo di Giovanni Gesù dirà: ”le opere che io ho compiuto (opere che rendono credibile che l’azione di Gesù è divina) anche voi le compirete e anche di più grandi (Gv. 14,12).
Ma allora come mai in 2000 anni non siamo riusciti a compiere queste opere? Non ci riusciamo. Può darsi che un domani la scienza, e ce lo auguriamo, investendo nel bene e non nel male, potrà restituire la vista ai non vedenti. Noi non ci riusciamo. Ma aprire gli occhi ai ciechi sì. Questo è possibile. Questa è l’azione di Gesù.
Quando Gesù nel Vangelo di Giovanni apre gli occhi al cieco nato e c’è una reazione violenta delle autorità religiose, questa non deriva dal fatto che ha restituito la vista a un non vedente, ma perché ha aperto gli occhi al cieco che rappresenta il popolo. Le autorità religiose del tempo possono spadroneggiare sulla gente finché la gente è cieca. Aprire gli occhi significa insegnare alla gente a ragionare con la propria testa e non con quella delle autorità.
Per questo le autorità religiose hanno il terrore di Gesù e del suo messaggio. Gesù è pericoloso perché apre gli occhi alla gente e mette nel ridicolo la casta sacerdotale.
Continuando l’elenco delle azioni che poi compirà dice la citazione: predicare un anno accetto del Signore.
Si rifaceva all’anno del Giubileo: ogni determinato numero di anni, si rientrava tutti in possesso delle proprietà in modo che una persona non rimanesse povera generazione dopo generazione. Addirittura era stata fatta una legge del piccolo giubileo: ogni sette anni ogni debito veniva cancellato(9).
L’azione di Gesù di proclamare la buona notizia ai poveri si riferisce al fatto che lui è venuto a predicare l’anno accetto al Signore, l’anno in cui tutti i debiti vengono cancellati, l’anno in cui tutti vengono rimessi in libertà (cfr. Lv 25).
“Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all'inserviente e sedette”. Perché non finisce di leggere?
L’atmosfera è carica di tensione. Cosa ha fatto Gesù di grave? La lettura non era terminata perché il testo continua; ma Gesù non è d’accordo con quello che segue. Gesù censura il profeta Isaia: il versetto seguente era atteso dal pubblico della Sinagoga di Nazareth. Questo fa salire la tensione. Quale era il contenuto del versetto? “Questo è il giorno della vendetta del nostro Dio (Is. 61,2)”. E’ questo che volevano sentire loro; è questo che doveva fare il Messia.
Il popolo che da settanta anni era sottomesso ai romani, e che è sempre stato sottomesso ad altre potenze (Babilonesi, Assiri, Persiani, Greci) attende un liberatore. Questo piccolo popolo immagina che Dio si prenda cura di sé sbaragliando tutti i nemici, potentati e principati pagani inaugurando così il nuovo Regno di Israele in modo che Israele domini tutte le nazioni.
Il testo di Isaia continua illustrando quello che è un delirio di onnipotenza: “ci saranno stranieri a pascere i vostri greggi e figli di stranieri saranno vostri contadini e vignaioli, vi godrete i beni delle nazioni, trarrete vanto dalle loro ricchezze” (Is. 61,5).
Il profeta Isaia immagina che il Messia, con la forza di Dio, conquisterà e sottometterà tutti i popoli pagani. Per cui tutte le ricchezze dei popoli pagani confluiranno a Gerusalemme, “…i principi e le principesse pagane saranno i vostri servi.”
La tradizione religiosa dei rabbini che amavano le cose chiare diceva che ogni ebreo, ai tempi del Messia avrebbe avuto 2800 servi pagani. E’ questo che si aspettavano: il giorno di vendetta del nostro Dio.
Gesù non è d’accordo. Gesù nella sua lettura si ferma a l'anno di grazia del Signore che significa liberazione per tutti. Nel Dio di Gesù non c’è alcuna immagine di violenza o di castigo neanche nei confronti di chi lo merita. In tutte le religioni, anche in quella giudaica, uno degli assi portanti è un Dio che premia i buoni ma castiga i malvagi.
Ma nel volto del Dio di Gesù è cancellato ogni aspetto di castigo. Il Dio che castiga, non è un Dio cristiano. Il Padre di Gesù è un Padre che ha un’unica maniera per rapportarsi con gli uomini: offerta continua e crescente del suo amore. Offerta e quindi non imposizione.
Gesù arrotola il libro; lo consegna all’inserviente e si mette seduto. Ha finito la lettura e incomincia la predica. Tutti gli occhi sono puntati su di lui: oltre aver letto un brano che non doveva leggere, non previsto, lo ha pure censurato.
Gesù sicuramente aveva tutte le virtù al massimo grado ma la diplomazia proprio non l’aveva. La gente è tesa, basterebbe tranquillizzarla con una parolina che piace. Invece mette il dito nella piaga e va a tirare fuori due episodi che gli ebrei preferivano dimenticare, ignorare. Due episodi della Bibbia per loro inaccettabili.
Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
E qui, inspiegabilmente, il liturgista tronca il brano rimandando alla domenica successiva la conclusione. Non ha senso, ma non importa. Anch’io questa volta mi fermo e rinvio la conclusione di questo scontro di Gesù con i suoi concittadini a domenica prossima.

Note: 1. L’esegesi che segue è tratta in parte da un articolo di Padre Alessandro Sacchi pubblicato su NICODEMO.net – 2. Il personaggio a cui dedica la sua opera non è noto. Il suo nome, Teofilo, significa “amico di Dio”. Si è quindi pensato che egli indicasse simbolicamente tutti i membri della comunità per la quale il vangelo e gli Atti sono stati scritti. Non è escluso però che si tratti di un personaggio realmente esistito, membro di spicco della comunità, che potrebbe aver finanziato il suo lavoro letterario. – 3. Da notare, però, che Luca sottolinea la distanza di Gesù dal popolo della sinagoga: quando parla di sinagoghe dice le “loro” sinagoghe. Gesù non condivide del tutto la teologia sinagogale. – 4. Qui sorge un problema: un ebreo che avesse superato i 22 anni per essere ammesso nella sinagoga doveva essere sposato (Talmud, Qid. B,29b); se era celibe (caso rarissimo) gli avrebbero impedito l’ingresso perché pubblico peccatore (cfr. Gn 1,28). Di qui la domanda: Gesù era sposato? – 5. Qaddish (letteralmente  Santificazione), è una delle più antiche preghiere ebraiche recitata soltanto alla presenza di un gruppo composto da almeno dieci maschi ebrei maggiorenni, cioè di età supriore a 12 anni. – 6. Nei primi anni di diffusione del Cristianesimo vi furono frequenti e forti attriti tra i giudeo-cristiani e i giudei tradizionalisti che culminarono nella “scomunica” dei giudeo-cristiani decisa nel concilio ebraico tenuto a Javne tra il 90 e il 100 d.C.; la sua dicitura fu aggiunta alla preghiera delle benedizioni, recitate tre volte al giorno, (..."I nazrim periscano all'istante"...). Questo atto comportò la definitiva esclusione dei giudeo-cristiani dalla sinagoga. Dopo questa scomunica le comunità giudeo-cristiane ben presto si estinsero e la Chiesa assunse sempre più un carattere greco-latino, anche a causa della sua notevole espansione in tutti i territori dell'Impero romano. La scomunica ebraica equivaleva alla morte civile: prevedeva infatti che nessun ebreo potesse aver rapporti di nessun genere con lo scomunicato, per cui l’unica alternativa per lui rimaneva l’esilio. Questo racconto è stato probabilmente costruito da Luca tenendo presente la necessità di dimostrare la comune matrice giudaica dei due movimenti per attenuare i motivi di scontro. – 7. La liturgia, se intesa in modo rigido, può paralizzare l’azione dello spirito. Per liturgia si intende un rito dove tutto è prescritto: come muoversi, cosa fare, in che maniera agire, cosa si deve dire, cosa devono rispondere gli altri, quindi un’azione ingessata. Se in una liturgia lo Spirito Santo di Dio vuole parlare, non è previsto perché dall’inizio alla fine è già tutto prescritto quello che si deve fare. Un po’ come è capitato al povero Zaccaria, il Sacerdote: è entrato nel tempio, gli si presenta il Signore e lui non gli crede perché… nel suo libro non c’era scritto che a quel punto si doveva presentare il Signore (Lc 1,8-20). – 8. Cfr. Costituzione Gaudium e Spes n. 19 – 9. Queste disposizioni della Torah (Lv 25), nonostante fossero state indicate come parola di Dio, normalmente non venivano applicate  perché avrebbero ingenerato perdite di potere e di denaro alle caste che governavano Israele. Per questo Gesù lo sottolinea: era l’unico strumento esistente per ridurre la povertà del popolo.