XXI Domenica del Tempo
Ordinario – Gv 6,60-69
Molti dei suoi
discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può
ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano
riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio
dell'uomo salire là dov'era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non
giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra
voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi
erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E
diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è
concesso dal Padre».
Da quel momento molti
dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora
Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro:
«Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e
conosciuto che tu sei il Santo di Dio».
Al termine del discorso che, in Giovanni, fa seguito al racconto della
moltiplicazione dei pani, l’evangelista(1) riporta un colloquio con
i discepoli, introducendolo con la notizia che il discorso è stato pronunziato
a Cafarnao (cfr. Gv 6,24), non in un
luogo qualsiasi, bensì nella sinagoga del posto (cfr. Gv 6,59): questa collocazione conferisce all’insegnamento di Gesù una particolare solennità e autorevolezza.
“Molti dei suoi discepoli, dopo aver
ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».” L’evangelista
non dice nulla circa le reazioni dei giudei, che erano stati sin ad allora gli
interlocutori diretti di Gesù(2). Segnala invece quella dei suoi
discepoli, molti dei quali lo seguivano evidentemente spinti solo dall'ambizione e
dal desiderio di potere e di prestigio sperando di condividere con lui il
trionfo del Messia, ed ora erano evidentemente delusi.
“Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi
discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza?…”
Anche i dodici trovano nelle sue parole un ostacolo al loro rapporto con
lui. Di conseguenza essi “mormorano”, come avevano fatto gli israeliti nel
deserto (cfr. Es 16,7;17,3),
mettendosi così dalla parte dei giudei increduli.
Ma Gesù non accetta compromessi: è disposto a
restare senza discepoli piuttosto che rinunciare al suo programma di donazione
totale della vita perché altri ricevano vita. Sono le stesse concezioni che
verranno poi nuovamente formulate in Gv
12,24: "Se il chicco di grano
caduto in terra non muore rimane solo. Se muore produce molto frutto".
Non è possibile trasmettere vita senza donare
la propria. Gesù non chiede tanto di trasmettere un messaggio ma di dimostrare
amore, perché la vita - frutto dell'amore - non si comunica se l'amore non
arriva al dono totale. E la morte ("e
morte di croce", cfr. Fil 2,8)
è la condizione perché nell'uomo si liberi tutta la sua energia vitale e la
vita, che stava rinchiusa e nascosta, si manifesti di una forma nuova perché
soltanto nel dono totale di sé queste si liberano ed esercitano tutta la loro
efficacia. Naturalmente questa morte di cui parla Gesù non è un fatto isolato,
e neanche puramente fisico (ci sono morti molto più dolorose di quella fisica!)
ma il culmine di un processo di donazione di se stesso, l'ultimo atto di una
donazione costante(3).
“…E se vedeste il Figlio dell'uomo
salire là dov'era prima?”. Per Giovanni tutta l’opera di Gesù si concentra
nel suo “discendere” dal Padre, avvenuto quando il Verbo si è fatto carne (cfr.
Gv 1,14), e nel “salire” a lui, che
avrà luogo quando sarà innalzato sulla croce (cfr. Gv 3,14;12,32): in questi due movimenti, di cui il primo si capisce
alla luce del secondo, si manifesta la vita che egli porta al mondo.
Senza smentire quanto ha detto, Gesù fa però una precisazione: “È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla;
le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita.”
Con queste parole egli mette in luce il ruolo dello Spirito, che
rappresenta metaforicamente l’azione potente di Dio nel cuore dell’uomo (cfr. Ez 36,26-27). Solo lo Spirito è in grado
di dare la vita vera, che consiste nella comunione con Dio.
Il rischio che si corre leggendo queste parole è pensare che Gesù stia
denigrando la carne, cioè la fisicità dell’uomo, con tutte le conseguenze
teologiche e comportamentali che hanno avvelenato il cattolicesimo dal IV – V
secolo in poi. Se le parole di Gesù vengono intese a questo livello, dicono
qualcosa di inutile o addirittura dannoso. Ma se sono ascoltate e capite in
riferimento all’azione dello Spirito che va a sostegno dell’uomo spingendolo ad
amare, esse sono portatrici di “Spirito e vita”, cioè comunicano lo Spirito che
dà la vita.
In altre parole, invitandoci a mangiare la sua carne e a bere il suo
sangue, egli non propone una specie di cannibalismo rituale, ma l’incontro con
lo Spirito, che è presente in lui e opera attraverso le sue parole; egli lo
conferisce fin d’ora a chi lo ascolta e crede in lui e dopo la sua morte a
coloro che mangiano il suo corpo e bevono il suo sangue, rappresentati nei
segni eucaristici. Come i primi discepoli, così anche quelli che verranno dopo,
partecipando al rito della comunità, potranno ottenere lo stesso Spirito che
egli ha comunicato ai suoi durante la sua vita terrena.
“Ma tra voi vi sono alcuni che non
credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non
credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho
detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre»”.
Gesù conclude con tristezza: «Ma vi sono alcuni tra voi che non credono».
L’evangelista commenta questa frase osservando che egli sapeva chi tra di loro
non credeva e chi l’avrebbe tradito. La fede in Gesù è l’espressione dell’opera
di Dio, significata nel dono dello Spirito fatto dallo stesso Gesù.
“Da quel momento
molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse
allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?»”. È questo
probabilmente un accenno alla crisi con cui secondo i sinottici si è chiuso il
ministero di Gesù in Galilea (cfr. Mc
6,1-6; Mt 11,16-24). L’amarezza di Gesù è al massimo quando chiede ai
dodici se vogliono andarsene anche loro.
“Gli rispose Simon
Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo
creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio»”.
In queste parole si trova un’eco della professione di fede che un giorno
Pietro, secondo i sinottici, aveva fatto nei pressi di Cesarea di Filippo (cfr.
Mc 8,29); e anche questa volta
inserisce una locuzione che Gesù non gradisce(4): in quella
occasione il termine “Cristo”, ora il “Santo di Dio”, che non ha un significato
diverso. Ma Gesù è troppo triste per ribattere; in un versetto che il
liturgista ha tralasciato, Gesù osserva solo che è stato lui a scegliere i dodici,
ma uno di loro è un uomo della divisione: e l’evangelista fa notare che egli
alludeva a Giuda, il quale stava per tradirlo (cfr. Gv 6,70-71). Mediante la figura del traditore si mettono in luce i
rischi di un rifiuto in cui persino i discepoli possono essere coinvolti.
In questa parte finale del capitolo l’evangelista mette dunque in primo
piano l’opera dello Spirito, che Gesù comunica sia mediante le sue parole, sia
dando la sua carne come cibo e il suo sangue come bevanda a coloro che credono
in lui. In Gesù si attua così la rivelazione piena di Dio, mediante la quale
l’uomo ritrova la comunione con lui, e con essa la vita.
Note: 1. L’esegesi che segue è
liberamente tratta da un articolo di P. Alessandro Sacchi pubblicato su www.NICODEMO.net. – 2. La durezza delle
parole di Gesù e le reazioni degli giudei possono essere comprese leggendo i
vangeli delle scorse domeniche oppure leggendo Gv 6,22-59. – 3. Per il credente, il dono della vita non deve
necessariamente comportare il versamento del sangue, ma sicuramente la
dedizione verso gli altri per il loro benessere e la loro felicità. – 4.
Infatti Giovanni, seguendo l’esempio di Marco, Matteo e Luca, chiama Simone con
il nome proprio unitamente al soprannome intendendo così sottolineare che parte
delle sue parole sono corrette, ma parte non lo sono.