Con la denominazione “chiesa del silenzio” ci si riferisce a una chiesa
oppressa e perseguitata da un sistema politico ostile. Storicamente sono
state chiese del silenzio quelle dell’est europeo sotto il potere
dell’Unione Sovietica. Ma la definizione “chiesa del silenzio” si
estende anche a tutte quelle comunità cristiane, a qualunque latitudine,
che vivono nel nascondimento, nella clandestinità, in luoghi dove non è
consentito dichiararsi apertamente cristiani e dove ogni forma di culto
o di attività evangelica viene severamente proibito e represso. Ma
questa chiesa del silenzio, anche se è invisibile, è esistente. È
silenziosa perché viene costretta al silenzio, non per propria scelta. È
una chiesa martire, ma per questo viva e vivificante.
C'è un’altra chiesa, in silenzio, è quella ben visibile, ma praticamente
devitalizzata, che può parlare, e straparla, di quel che non le
compete, ma tace sul suo unico mandato, quello di cercare “il regno di
Dio e la sua giustizia” (Mt 6,33).
È questa una chiesa silenziosa non perché costretta al silenzio, ma che
tace semplicemente per convenienza. È silente perché connivente con
ogni forma di potere, pur di non diminuire il proprio. Ma una chiesa,
che per motivi di opportunità taccia, non ha nulla a che vedere con quel
Gesù, che non ha soggezione di alcuno perché non guarda in faccia a
nessuno (Mc 12,14),
e che invia i discepoli ad annunziare la buona notizia senza aver paura
della persecuzione (“Non abbiate dunque paura di loro…”, Mt 10,26; 5,10). Una chiesa che invita ad annunciare sempre e in ogni circostanza la Parola (“Guai a me se non annuncio il Vangelo!”, 1 Cor 9,16), senza calcoli di convenienza: “insisti al momento opportuno e non opportuno” (2 Tm 4,2).
Le guide, i pastori e i fedeli delle chiese costrette al silenzio hanno
spesso pagato, e pagano tuttora, con la persecuzione, il carcere, e
anche la morte, la loro fedeltà al vangelo di Gesù. Ma il Signore si
identifica con essi (Gv 15,20).
I pastori e i fedeli della chiesa in silenzio, quelli che non parlano
perché è più conveniente restare zitti, non solo non offrono la propria
vita per salvare il gregge (Gv 10,11),
ma tacciono, per non disturbare il lupo. Vedono il massacro perpetrato
dalle belve, ma preferiscono tacere. Non alzano la voce contro
l’ingiustizia per non perdere i benefici che il lupo, il potente di
turno, può loro togliere o elargire. Ma per il Signore, quei pastori che
per il loro interesse, per il loro quieto vivere, per non mettere in
pericolo la loro posizione, la loro carriera, non difendono il gregge,
sono più pericolosi delle bestie feroci. Il gregge infatti cercava in
essi una protezione, e ha invece trovato fauci spalancate (“Strapperò
loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pasto… sono come
lupi che dilaniano la preda, versano il sangue, fanno perire la gente
per turpi guadagni”, Ez 22,27; 34,10).
Per Gesù, costoro non sono neanche pastori, seppure pessimi, ma solo
dei mercenari che svolgono un’attività esclusivamente per il proprio
interesse e a proprio vantaggio, perché “non gli importa delle pecore” (Gv 10,16).
"Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci!” (Mt 7,15)
avverte Gesù. E il Signore indica anche come riconoscere questi
elementi pericolosi. Sono quanti sbandierano il vangelo, ma lo negano
con loro comportamento (“Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, Mt 7,21).
Di fronte all’esibizione di inutili attestati di ortodossia, e
l’ostentazione di simboli religiosi, il Cristo dirà loro: “Non vi ho mai
conosciuti” (Mt 7,23),
perché l’unica garanzia di comunione con il Cristo è una profonda
compassione, umanità, una tenerezza che porta a non escludere nessuno
dal raggio d’azione del proprio amore.
I pastori che non solo non smascherano i falsi profeti, ma li imitano,
per non perdere la loro posizione di privilegio e prestigio, sono anche
essi falsi profeti, disposti a piegarsi come giunchi ad ogni vento (Mt 11,7),
di adattarsi ad ogni politica, fosse anche la più disumana e quindi
antievangelica, sapendo che così ne avranno solo benefici.
Il vero profeta è l’uomo dello Spirito, come Giovanni il Battista. È su
di lui che scende la Parola di Dio, e non sui potenti (“La Parola di Dio
venne su Giovanni”, Lc 3,2),
e per questo riesce ad affrontarli e sfidarli, da quei farisei che
vogliono impedirgli la sua missione (“Perché dunque tu battezzi se non
sei il Cristo, né Elia, né il profeta?”, Gv 1,24), a quell’Erode al quale grida: “Non ti è lecito!” (Mt 14,4).
E ci ha rimesso la testa. La fedeltà al messaggio di Gesù comporta il
rifiuto e la persecuzione da parte del potere, ma il tradimento alla
buona notizia comporta il rifiuto da parte del Cristo (“Chi si
vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione
adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui”, Mc 8,38).
Per questo la vera Chiesa, quella del Cristo, è da sempre la chiesa
degli apostoli e di Pietro, gli antesignani della disubbidienza civile:
“Bisogna ubbidire a Dio invece che agli uomini” (At 5,29).
Alberto Maggi