Quinta Domenica di Pasqua –
Gv 15,1-8
«Io sono la vite vera
e il Padre mio è l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo
taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi
siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io
in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella
vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci.
Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non
potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e
secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me
e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto.
In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate
miei discepoli.
Il
brano di questa domenica è in stretta relazione con quello della lavanda dei
piedi (Gv 13,1-15), dimostrazione
pratica dell’amore che si esprime nel servizio agli altri. Gesù, dopo aver
lavato loro i piedi annunzia ai suoi discepoli: “Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore”.
Tra
le tante piante(1) a cui riferirsi, Gesù ha scelto la vite. Vuole
evidentemente sottolineare la trasmissione della linfa vitale che passa
attraverso i rami e si trasforma in frutto. Gesù parla di vera vite(2)
e del Padre suo come vignaiolo. Ed ecco la prima dichiarazione di Gesù: “Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo
taglia”.
E’
opportuno collocare questo insegnamento di Gesù all’interno del gesto che ha
fatto: Gesù ha lavato i piedi ai discepoli, ha comunicato loro tutto il suo
amore attraverso questo servizio. Lui è la vite, la linfa vitale di questo
amore si trasmette al tralcio. Ma il tralcio - cioè il componente della
comunità cristiana che, pur ricevendo questo servizio d’amore da parte di Gesù,
rifiuti di servire gli altri - il tralcio che pur avendo ricevuto
nell’eucaristia il Gesù che si fa pane spezzato per noi, a sua volta non si fa
pane spezzato per gli altri, dice Gesù: “E’ un tralcio completamente inutile”.
Il
valore della persona risiede tutto nel bene concreto che fa agli altri. Gesù
non valuta il valore di una persona per le sue devozioni, per le sue preghiere,
per la sua spiritualità, per la lunghezza delle sue orazioni, per l’assiduità
della frequenza al culto. Gesù valuta la persona nella sua capacità di mettere
la propria vita a servizio degli altri.
L’unico
criterio che Gesù ha per indicare il valore di una persona, è la generosità:
tutti possono essere generosi. La generosità non dipende dalla cultura, non
dipende dalla salute, non dipende nemmeno da quanto uno possiede, perché un
atto di compassione non costa denaro.
Gesù,
nella sua comunità, vuole tutti Signori; Signore è colui che dà. Non c’è posto
per i ricchi: il ricco è colui che ha. Chi tiene per sé, non ha posto nella
comunità di Gesù: vi sono tutti Signori, cioè tutti capaci di dare.
Gesù
sottolinea che il tralcio, pur restando unito a lui e ricevendo questa linfa
vitale del suo servizio e del suo amore, non la trasforma in frutto per gli
altri, è inutile. La conseguenza è che il Padre, l’agricoltore, lo taglia.
Nessuno
è giudice della crescita e del frutto dei fratelli se non il Padre. Guai chi si
sente autorizzato a giudicare il proprio fratello.
Ognuno
di noi potrà produrre frutto, ma in tempi e con modalità differenti, perché
dipende dalla nostra vita, dipende dal nostro tessuto spirituale, morale,
sociale, dipende dalla nostra storia.
Gesù
è chiaro: il tralcio non viene eliminato né giudicato dagli altri tralci, non
viene eliminato neanche da Gesù, ma dal Padre. Il Padre sa se la linfa, che è
ricevuta, porta frutto o non porta frutto e in questo caso lo elimina.
“…ogni tralcio che
porta frutto, lo pota perché porti più frutto…”
Nel
testo greco non c’è la parola “potare”,
ma “purificare”. Questa traduzione,
assolutamente errata, ha dato origine alle immagini più tremende di Dio: il
tralcio che porta frutto il Padre lo pota. Dio vene presentato come un
vignaiolo pazzo che va nella vigna e, trovato un bel tralcio carico di frutti,
zach, lo taglia.
Chi
ha letto S. Agostino conosce questa questione perché Agostino, che è vissuto
tra il IV ed il V secolo, e ha potuto leggere i vangeli in una traduzione
latina priva dell’influenza penitenziale del IX secolo, parla appunto di “purificare”.
Le
persone esperte in viticultura sanno che se c’è una attività difficilissima è
quella della potatura perché una potatura sbagliata può causare danni irrimediabili
alla vite ed inoltre la potatura non va mai fatta durante la fruttificazione.
Sotto
la spinta di quella traduzione sbagliata, tutto quello che accadeva di brutto
nella vita veniva considerato una
potatura che il Signore aveva dato: il Signore, per farti crescere, per farti
santificare, ti ha potato, ti ha tolto quel figlio, ti ha tolto la salute, ti
ha tolto il coniuge, cioè la sofferenza come strumento di crescita. La croce.
Si
diceva, tutti quanti hanno una croce, una prova per dimostrare l’amore che si
ha per Dio, la propria fedeltà. E’ una immagine che, associata alla volontà di
Dio, non poteva non provocare un sordo rancore verso questo Dio assurdo ed
inumano che pota le persone e pota gli affetti familiari.
La
gente dice: sia fatta la volontà di Dio, quando non riesce a fare altrimenti,
quando, di fronte a una malattia, a una situazione brutta, si trova con le
spalle al muro: sia fatta la volontà di Dio!! La volontà di Dio coincide sempre
con gli avvenimenti tristi della propria esistenza. Veniva spiegato che è il
Signore che pota(3).
Gesù
non dice che il Padre, il vignaiolo, pota, ma il Padre purifica. L’azione del
Padre, importantissima, è la liberazione costante, crescente e progressiva di
tutti quegli elementi nocivi che impediscono al tralcio di portare più frutto.
E’ interesse del vignaiolo che il tralcio porti un frutto sempre più abbondante;
quando il Padre individua nel tralcio un elemento nocivo, un qualcosa che gli
impedisce di portare più frutto, è lui che toglie l’impedimento, è lui che
purifica il tralcio.
Non
è l’uomo che deve scrutare se stesso, vedere i propri difetti, impegnarsi
attraverso l’ascetismo, individuare le tendenze negative che ha e cercare di
estirparle. Nulla di tutto questo. Gesù ci chiede invece questo: voi
preoccupatevi soltanto di aumentare il vostro amore e il servizio agli altri.
Se c’è qualcosa di negativo nella vostra esistenza, se c’è qualcosa di nocivo,
non voi, ma il Padre lo eliminerà. L’individuo non deve più individuare i
propri aspetti negativi e cercare di estirparli anche perché può causare dei
disastri tremendi nella propria esistenza.
Nella
prima lettera a Giovanni, c’è una espressione che è straordinaria, invita ad
amare: “Da questo conosceremo che siamo
nati dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore” - il
cuore, nel mondo ebraico, non è la sede dell’affetto, ma è quella che noi oggi
chiamiamo la coscienza – “qualunque cosa
esso ci rimprovera, Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” (1Gv
3,19-20).
E’
un’affermazione straordinaria. La nostra coscienza viene modellata dalla morale
corrente che ci fa ritenere buone certe cose, negative altre. Ma dice l’autore
di questo brano: anche se la tua coscienza ti rimprovera qualcosa, Dio è
infinitamente più grande della tua coscienza. Tu preoccupati soltanto di amare.
Se nella tua vita ci sono aspetti negativi, non te, non gli altri tralci devono
fare i giudici dei fratelli, e neanche Gesù, perché Gesù è comunicazione
d’amore, ma sarà compito del Padre la eliminazione costante e progressiva di
questi elementi nocivi(4). Se questi elementi rimangono, si vede
che, agli occhi del Signore, non sono poi così nocivi.
Questo
è un versetto che può dare tanta serenità e cambiare il nostro rapporto con
Dio.
Gesù
elimina l’idea della perfezione spirituale, quel piedistallo al proprio io al
quale non si riesce mai ad arrivare. Occorre mettere via l’idea della
perfezione spirituale, e mettersi invece a servizio degli altri in modo
immediato e concreto.
Annuncia
ancora Gesù: “Voi siete già puri, -
cioè liberi - a causa della parola che vi
ho annunciato”. C’è una purezza iniziale che viene dalla accoglienza del
messaggio di Gesù.
E
ancora: “Rimanete in me e io in voi. Come
il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così
neanche voi se non rimanete in me”.
Qui
c’è la grande domanda che dobbiamo avere il coraggio di fare: ma Dio è
onnipotente o no? Dipende tutto da noi: nella vite scorre la linfa vitale, se
la linfa trova dei tralci che la accolgono, questa si trasforma in frutto, ma
se i tralci non sono attaccati alla vite, la vite può avere tutta la linfa
vitale che vuole, ma non riesce produrre niente.
E
continua Gesù: “Io sono la vite, voi i
tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me
non potete far nulla”. Senza l’amore l’uomo non vale assolutamente niente.
L’unica cosa che vale nella vita, è il bene concreto che si è fatto agli altri.
Tutto il resto non vale niente.
Avete
capito perché Gesù ha parlato proprio di vite? Ora ce lo fa capire: “Chi non rimane in me viene gettato via come
il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano”.
Gesù si è rifatto alle immagini della vite, perché nel libro del profeta
Ezechiele Dio che dice: “Che pregi ha il
legno della vite di fronte a tutti gli altri legni della foresta? Si adopera
forse quel legno per farne un oggetto?” (Ez 15,2-3).
Il
legno della vite è inutilizzabile, perché non ci si può fare un manico, un
piolo, un appendiabilti, qualcosa che possa servire. Il legno della vite è
buono soltanto per trasportare e trasmettere la linfa, ma non serve
assolutamente ad altro e va bruciato. Gesù si rifà a questa immagine della vite
perché dice: “il tralcio ha valore soltanto nella misura che riesce a produrre
frutto, altrimenti non vale niente, lo gettano nel fuoco e lo bruciano”.
Gesù
ha scelto un albero che o porta frutto o non serve assolutamente a niente: la
nostra esistenza è fatta per portare frutto agli altri, in caso contrario la nostra
è un’esistenza fallita. La persona vale e cresce nella misura che generosamente
si è donata agli altri, perché il criterio di crescita e il valore della
persona per Gesù è la generosità. Generosi tutti possono esserlo, meno una
categoria di persone: i ricchi. I ricchi non possono essere generosi, perché se
fossero generosi, non sarebbero ricchi.
“Se rimanete in me e
le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto”. Noi siamo molto abili
nel selezionare le parti del vangelo che ci interessano e chissà perché abbiamo
imparato benissimo la seconda parte di questo versetto: chiedete quel che
volete e vi sarà dato. Però ci siamo dimenticati quella condizione: se dimorate
in me e le mie parole dimorano in voi. Infatti c’è il rischio di persone che
sono devote di Gesù, persone entusiaste di Gesù e della sua figura, hanno una
devozione verso Gesù, ma non pensano minimamente di lasciare trasformare la
propria esistenza dal suo messaggio. Per loro Gesù è un’immagine, un idolo, o
Dio senza ombra di dubbio, a cui dare una devozione affettiva. Ma non pensano
minimamente di lasciare trasformare la propria esistenza dall’insegnamento di
Gesù. Gesù per evitare questo pericolo dice: se dimorate in me e le mie parole
rimangono in voi…..
Non
basta dare adesione a Gesù, bisogna che le sue parole modifichino la nostra
esistenza. Se dopo tanti anni di ascolto del messaggio di Gesù, di conoscenza
del vangelo, la nostra vita non è stata modificata, significa che non è stata
data adesione a Gesù.
Gesù
assicura: se ci sono queste condizioni, chiedete quel che volete e vi sarà
dato, perché, continua Gesù, “In questo è
glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”.
Qui
Gesù tocca un altro dei punti vitali, delicati della religione. Nella religione
la gloria di Dio si manifesta nella magnificenza di un tempio, di un culto, di
una celebrazione: più una cosa luccica, più è straordinaria, lì si manifesta la
gloria di Dio.
Gesù
dice no! In questo - ed è la parola di Dio stesso – in questo glorificate il
Padre mio: “che portiate molto frutto e
diventiate miei discepoli”. La gloria di Dio non si manifesta nello
splendore, nelle azioni straordinarie, nelle ricchezze. La gloria di Dio si
manifesta in un individuo, in una comunità che aumenta la sua capacità d’amore.
Essendo Dio amore, la sua gloria si può manifestare soltanto nell’amore.
Note: 1. L’esegesi riportata è stata liberamente tratta dalla
conferenza dal titolo “Il Padre non pota, libera” tenuta da P. Alberto Maggi il
16 ottobre 2009 presso l’Aula magna della Facoltà Teologica Valdese di Roma. –
2. Frase in evidente polemica con le concezioni del tempo: per gli isreaeliti
la vite era una delle piante con cui identificavano Isreaele; dichiarandosi
“vera” vite Gesù definisce, in pratica, “falsa” l’immagine di Israele popolo
eletto. – 3. Questa concezione assurda di un Dio assetato di sofferenze,
desideroso di contrastare la felicità dell’uomo, non è cristiana, ma è stata
introdotta in occidente attraverso due correnti di pensiero pagane, il
neo-platonismo greco con l’identificazione del corpo con il male, e il concetto
penitenziale celtico importato da Carlo Magno nel IX secolo. 4. Ho avuto la
possibilità di verificare personalmente i danni creati da un confessore entrato
con gli scarponi chiodati nella coscienza di un penitente, distruggendo tutto
il buono che vi era in quella persona “a
maggior gloria di Dio” facendola allontanare definitivamente dalla fede.
Aveva ragione, una volta tanto, Agostino a definire assurda e blasfema la
pretesa di imporre la confessione orale da uomo ad uomo.