Domenica di Pentecoste – Gv 20,19-23
La sera di quel
giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove
si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e
disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i
discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di
nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto
questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui
perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non
saranno perdonati».
Sia
questo brano del vangelo di Giovanni che il brano degli Atti degli Apostoli (At 2,1-11) proposto dal liturgista come
prima lettura di questa domenica, parlano dello stesso avvenimento, ad
ulteriore conferma che i vangeli e gli altri scritti del NT non sono racconti
di natura storica, ma essenzialmente teologica.
Questo
vuol dire che la verità di fede espressa dalla Pentecoste risiede nella
donazione dello Spirito ai seguaci di Gesù; il modo con cui questo avviene ha
relativamente poca importanza(1) ed è affidato all’abilità
letteraria dell’evangelista.
Nel
brano di vangelo in questione l’evento ha luogo nello
stesso giorno della risurrezione, cioè il primo dopo il sabato: si tratta
dunque del primo giorno della settimana, che, come l’inizio della creazione,
segna la nascita di un mondo nuovo. È anche il giorno dell’assemblea cristiana.
“…dove si trovavano i
discepoli per timore dei Giudei…”
Nella costruzione della frase, la parola «discepoli» non indica semplicemente i
Dodici (ora ridotti a undici), ma tutti i seguaci di Gesù, sia attuali che
futuri: infatti Giovanni, sa distinguere, quando lo ritiene opportuno, i Dodici
da tutti gli altri (cfr. Gv 6,66-67).
Sebbene le porte del luogo in cui si trovano i
discepoli siano chiuse per timore dei giudei, Gesù non ha difficoltà a entrare:
egli “si ferma” (in greco estê, stette in piedi)
in mezzo a loro, indizio questo di un nuovo modo di stare con loro diverso da
quello precedente la sua morte in croce.
Presentandosi in mezzo ai discepoli, egli dice
loro: “Pace a voi” (in ebraico shalôm aleichem).
Questo saluto è tipico del costume ebraico(2);
ma fra poco apparirà che con esso egli intende esprimere qualcosa di più di un
semplice saluto.
Gesù, dopo aver pronunciato la parola pace, cioè felicità,
testimonia (quello che si dice deve sempre essere testimoniato) a questi
discepoli che si erano nascosti per paura di fare la fine di Gesù, ciò che lui
ha fatto per loro; mostra i segni dei chiodi nelle mani.
Non è sbagliato a questo punto ricordare che l’ordine di
cattura non era solo per Gesù, ma per tutto il gruppo perché pericoloso non è
Gesù, pericoloso è il suo messaggio(3). Al momento della cattura,
Gesù, che si trova momentaneamente in una posizione di forza(4),
dice: se cercate me, lasciate che questi se ne vadano; in buona sostanza fa un
baratto. E’ il pastore che dà la vita per le pecore.
Gesù mostra loro le mani e il costato: con questo
gesto egli intende non soltanto dimostrare la realtà della sua presenza, ma
anche ricordare come sia proprio in forza della sua morte in croce che egli si
presenta a loro nella sua nuova realtà.
L’apparizione di Gesù provoca nei discepoli una
reazione di profonda gioia: non si tratta semplicemente della soddisfazione di
rivedere in vita una persona cara, ma piuttosto della gioia escatologica(5),
strettamente collegata con la pace, che la presenza di Gesù porta con sé, in
quanto significa l’adempimento della salvezza.
L’evangelista non dà altri dettagli circa
l’apparizione del Risorto, ma si limita a riferire il messaggio da lui rivolto
ai discepoli.
Anzitutto Gesù ripete il saluto: “Pace a voi”. L’usuale formula di saluto
diventa qui espressione di un dono che ha per oggetto la pace, promessa da Gesù
durante l’ultima cena (cfr. Gv 14,27)
e attuata in forza della sua morte. Egli poi prosegue: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”.
Il dono della pace non riguarda solo i discepoli,
ma deve essere esteso a tutta l’umanità. Perciò si giustifica il loro invio,
che è chiaramente universale: esso infatti non è solo modellato su quello che era
stato l’invio di Gesù da parte del Padre, ma ne è anche e soprattutto la
conseguenza e il prolungamento. Si attuano così le parole con cui Gesù,
nell’ultima cena, ha affidato ai discepoli il compito di continuare nel mondo
l’opera da lui attuata nella sua morte (cfr.
Gv 13,20; 17,17-19).
Gesù poi, alitando sui discepoli, conferisce loro
lo Spirito. Anch’esso era stato promesso nei discorsi della cena (cfr. Gv 14,16-17.26; 15,26; 16,13): il
gesto di alitare (emphysaô), che è suggerito dal termine «Spirito» (pneuma,
soffio), richiama il racconto della creazione del primo uomo, che è diventato
un essere vivente solo in forza del soffio divino (Gen 2,7), suggerendo così nuovamente che la venuta dello Spirito
rappresenta una nuova creazione. Lo Spirito viene direttamente da Gesù,
rappresenta quindi la potenza di Dio che promana dalla sua persona, dalla sua
opera e dalla sua morte in croce, dove egli «ha
dato lo Spirito» (Gv 19,30). Solo lo Spirito è in grado di assimilare
profondamente i discepoli al Maestro, mettendoli in piena sintonia con le sue
aspirazioni e i suoi progetti.
Come conseguenza di questo dono egli dà ai
discepoli la capacità di rimettere i peccati: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li
rimetterete, resteranno non rimessi».
Giovanni fa uso a modo suo di questo antico detto
per delineare il compito che i discepoli, guidati e animati dallo Spirito,
dovranno portare a termine in questo mondo: in sintesi essi dovranno rendere
presente la salvezza operata da Cristo, significata nel termine “pace”, che comporta l’eliminazione del
peccato e la riconciliazione di tutti gli uomini con Dio e tra di loro.
Non si dice in che modo dovranno attuare il
mandato di Gesù, ma si suppone che essi dovranno farlo secondo le modalità da lui
adottate, cioè mediante l’annunzio, l’insegnamento, l’esempio, impegnandosi per
la formazione di comunità vive in cui tutti fanno l’esperienza dei nuovi
rapporti instaurati da Gesù(6). Solo in seguito, il brano sarà
letto, come spesso hanno fatto i padri e i teologi nei secoli successivi, in
riferimento ai sacramenti che significano e attuano il perdono (battesimo e
confessione7).
Non è un potere che Gesù concede ad alcuni, ma una capacità,
una responsabilità di tutta la comunità cristiana. La comunità cristiana
secondo il vangelo di Giovanni deve essere il luogo dove splende la luce. La
luce non lotta contro le tenebre, la luce deve splendere. E quando la luce
allarga il raggio d’azione della sua luminosità, la tenebra si ritira.
Allora, quanti vivono sotto la sfera del peccato - e la
lingua greca distingue vari modi di peccato: il termine adoperato
dall’evangelista non indica la colpa occasionale, lo sbaglio, ma indica una
direzione sbagliata di vita - ebbene, assicura Gesù, quanti vivono una
direzione sbagliata di vita e vedono brillare la luce di questa comunità,
vedono lo splendore di questo amore e se ne sentono attratti ed entrano entro
nel raggio d’azione di questa luce, il loro passato viene completamente cancellato.
Quanti al contrario sono nelle tenebre e vedono in questa
luce una minaccia al loro interesse, al loro prestigio, man mano che la luce si
allarga, si ritirano sempre più nelle tenebre, vanno sempre più nella parte più
tenebrosa, perché come ha detto Gesù chi fa il male odia la luce.
Quindi non è un potere che Gesù ha dato ad alcuni, ma una
responsabilità di tutta la comunità. La comunità cristiana deve essere talmente
traboccante d’amore (Giovanni usa l’immagine del profumo che inonda tutta la
casa) che quanti sentono il desiderio di pienezza di vita e se ne sentono
attratti, hanno il passato cancellato e quindi possono cominciare una vita
nuova. Quanti invece non vogliono questo man mano che la luce si espande, loro
si ritirano sempre più nella cappa delle tenebre e dove ci sono le tenebre non
c’è vita, c’è la morte.
Note: 1. In effetti le due modalità del dono hanno avuto
conseguenze importanti: nel vangelo di Giovanni lo Spirito è donato attraverso
Gesù; negli Atti lo Spirito si comporta come persona autonoma. La concezione
teologica giovannea è seguita dalla Chiesa Ortodossa, mentre la concezione
teologica lucana è seguita dalla Chiesa Cattolica (e da alcune chiese
protestanti). – 2. Il significato di questo saluto nella cultura ebraica va al di
là di quello che è il significato etimologico della parola pace; con questa parola si augura all’oggetto del saluto la
prosperità materiale, figli maschi numerosi, una moglie operosa e una morte
“sazio di anni”, quindi una vita in accordo con Dio e con gli uomini. – 3. Tanto
è vero che quando Gesù si troverà davanti al Sommo Sacerdote, questi ignora
Gesù, gli chiede soltanto dei discepoli, vuole sapere dove sono, cosa fanno e
Gesù non risponde per proteggerli. – 4. In
prossimità della Pasqua vi erano in Gerusalemme decine di migliaia di
pellegrini, molti dei quali Galilei, con i quali non si poteva scherzare. I
Galilei erano teste calde, quasi tutti armati e quasi tutti appartenenti al
movimento degli zeloti, pronti a difendere un loro concittadino dalle malsane
idee dei fratelli della tribù di Giuda. I Galilei, durante la Pasqua, vivevano
quasi tutti nelle grotte esistenti lungo le pendici del Monte degli Ulivi,
dove, molto probabilmente, anche Gesù e i Dodici avevano affittato una grotta
per dormire. Queste grotte sono ancor oggi visibili e visitabili da chi si reca
in Terra Santa. Sarebbe bastato un grido di aiuto di Gesù e i galilei presenti
avrebbero facilmente avuto ragione delle guardie del Tempio che, per
disposizione romana, non potevano essere armate che di bastoni. – 5. Ovvero la gioia relativa all’avverarsi delle profezie
degli “ultimi giorni”. – 6. La Celebrazione Comunitaria del sacramento della
Riconciliazione tramite la lettura ed il commento di un brano di vangelo, in
sostituzione della formula tridentina (vedi Catechismo della Chiesa Cattolica
n. 1482), parte esattamente da questa constatazione teologicamente molto
importante. Sottolineo il rammarico che questa modalità celebrativa sia quasi
mai applicata nelle parrocchie italiane in contrapposizione a quanto fatto in
quelle estere (ho avuto esperienze dirette in Francia, Svizzera, Olanda,
Germania ed in USA) ove spesso è affiancata anche dalla assoluzione
dall’altare, visto l’esiguo numero di sacerdoti esistente. E la partecipazione
dei fedeli è imponente, specie se paragonata a quanto accade in Italia. – 7.
Penso sia opportuno ricordare che la frase: “a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”
non va intesa come una facoltà dei discepoli (che, del resto, sarebbe in
contrasto con altre parole di Cristo e con il Padre Nostro) ma un avvertimento
che sottolinea una responsabilità che tutti noi abbiamo nei confronti degli
altri in caso di un nostro rifiuto al perdono.