(segue
dalla domenica precedente)
4. Gruppi politico-religiosi e sociali nel primo secolo(1)
Differenziare
i movimenti politici da quelli religiosi nel medio oriente del primo secolo è
molto difficile se non impossibile. In quel periodo politica e religione hanno
lo stesso scopo, il benessere del popolo (o almeno dovrebbero averlo), e gli
attori politici e religiosi quasi sempre coincidono. Nella stessa Roma
l’imperatore era considerato un dio e se non si accettava questa convinzione
imposta, si era nemici dello stato con tutte le conseguenze del caso.
Stessa cosa
in Egitto o in Persia.
Situazione
del tutto diversa in Grecia dove gli dei si interessavano di politica ma
raramente intervenivano.
Ancora
diversa la situazione in Israele dove il re veniva proclamato figlio di Dio in
quanto Dio lo guidava e lo aiutava.
Altra cosa i
gruppi sociali che vengono “costruiti e separati” dagli studiosi per cercare di
chiarire le modalità di vita e le interconnessioni personali.
Vediamo,
comunque. Di capirci qualcosa.
4.1.
I Samaritani(2)
I samaritani
(dall'ebraico shamerim, cioè “osservanti della Legge”) erano e sono
ancora i membri di una comunità ebraica in Terrasanta, attualmente ridotta a
qualche migliaio di individui. L'omonima città e regione (Samaria, oggi Nablus
in Cisgiordania) prende il nome da loro.
Da un punto
di vista strettamente storico, i samaritani sono i discendenti di quanti, fra
le popolazioni ebraiche delle tribù del regno settentrionale di Israele, rimasero
sul posto al momento della deportazione delle élites urbane esiliate dagli
Assiri (il re assiro Sargon II si vanta in una sua iscrizione di avere
deportato dalla regione ben 27.290 persone, quindi palesemente non l'intera
popolazione).
Questa
popolazione di “rimasti”, si fuse nel corso dei secoli con una parte delle
popolazioni pagane a loro volta deportate in Israele.
Da un punto
di vista strettamente storico, si trattò di un classico fenomeno di
assimilazione dei nuclei stranieri da parte delle popolazioni già esistenti in
luogo, numericamente prevalenti.
Nella realtà
storica, gli ebrei di Samaria non si convertirono al paganesimo né si
abbandonarono ad una mescolanza di dottrine religiose, secondo l'accusa rivolta
loro da alcuni ebrei. Essi si preoccuparono di preservare il culto di Dio, fino
ad arrivare a costruire (in una data non determinabile del IV secolo a.C.) un
loro tempio, separato da quello di Gerusalemme, sul Monte Garizim, officiato da
sacerdoti di diretta discendenza da Aronne.
Inoltre i samaritani
hanno sempre osservato i precetti di Mosè così come espressi nel Pentateuco e
si sono sempre considerati discendenti di Abramo e quindi eredi del suo patto
con Dio.
Secondo la
versione dei fatti fornita dalla Bibbia, dopo il ritorno dall'esilio di
Babilonia, i samaritani tentarono di opporsi alla ricostruzione del tempio di
Gerusalemme e sotto il re Antioco IV si allearono con i gli invasori persiani
contro i giudei.
Tuttavia la
Bibbia stessa ammette che le “genti del paese”, cioè i discendenti di coloro
che non erano stati mandati in esilio e che si erano mescolati con i popoli
deportati in Israele, offrirono la loro collaborazione per costruire assieme il
tempio ed officiarlo assieme. Solo quando i “ritornati” resero chiaro che non
intendevano mescolarsi con le “genti del paese” (considerate “razzialmente
impure” per i loro matrimoni con non ebrei), costoro assunsero un atteggiamento
ostile, appellandosi ai persiani perché fermassero la costruzione del tempio ed
anche la fortificazione militare di Gerusalemme, correttamente letta come
un'intenzione di dominio sulla regione circostante.
Questo è il
quadro che emerge dal racconto biblico, che, però semplifica in pochi episodi
un processo che fu molto meno lineare ed univoco di quanto racconti il testo
che abbiamo recepito. Lo stesso caos in cui ci sono pervenuti i due libri
principali sul ritorno dall'esilio, il libro di Esdra ed il libro di Neemia,
ricchi di anacronismi e contraddizioni, mostra che essi sono una compilazione
“a posteriori” e molto rimaneggiata di una storia che fu molto più complessa di
quanto ci sia stato tramandato.
Ad esempio,
il fatto che i samaritani abbiano adottato come propria la redazione del
Pentateuco elaborata dai giudei durante l'esilio babilonese (sia pure
epurandola in seguito per mostrare che il “vero” culto era quello sul Monte
Garizim e non quello di Gerusalemme), mostra che almeno all'inizio ci fu
un'intesa pacifica fra le due popolazioni dei “rimasti” e dei “ritornati” ed un
profondo scambio culturale.
La Bibbia giudaica
stessa conserva tracce di un dibattito, che fu sicuramente aspro, fra il
partito politico dei “ritornati” che volevano fondersi coi “rimasti”, e quello
dei “ritornati” che intendevano mantenere la separazione assoluta dalle “genti
del paese” come condizione per preservare la purezza del culto ebraico.
Il Libro di
Ruth rappresenta per esempio una voce dissenziente, che mostra una donna non
ebrea, vedova di un ebreo, mentre si comporta in modo esemplare verso
l'ebraismo e il popolo ebraico, tale da meritarsi di diventare bisnonna del
re-eroe Davide (la polemica politica in questo punto doveva essere palese ai
destinatari dello scritto, anche se oggi a noi può sfuggire). La presenza di
questo ed altri testi nel canone biblico dimostra che il partito politico di
cui erano l'espressione fu a lungo sufficientemente forte da impedirne la messa
al bando prima che diventassero “canonici”.
Se dunque i
libri della Bibbia, scritti dopo l'esilio, presentano la decisione di separare
la comunità giudaica dei “ritornati” da quella delle “genti del paese” come una
decisione chiara, netta, presa senza tentennamenti, la documentazione storica -
a iniziare proprio della Bibbia - mostra che essa fu la conclusione finale di
un lungo scontro politico che per un lungo periodo iniziale sembrò far
prevalere il partito della fusione fra i “rimasti” e i “ritornati”.
Quale che
sia il modo in cui si svolse lo scontro, è la Bibbia stessa ad attestare che,
quando fu imposto a tutti i membri della classe sacerdotale di cacciare le loro
mogli non ebraiche e i figli avuti da loro, un sacerdote che non volle
sottostare a questa imposizione considerava i samaritani sufficientemente
“ebrei” ed “ortodossi” da fuggire presso di loro con la famiglia, garantendo
così la continuazione della linea sacerdotale legittima al culto del loro
tempio.
Quanto
all'ostilità fra le due confessioni religiose, essa è un dato di fatto
storicamente accertato, ma nel giudicarla vanno tenuti in considerazione anche
elementi quali il fatto che alla fine non furono i pagani bensì i giudei a
radere al suolo il tempio di Samaria (sotto Giovanni Ircano, nel 123 a.C.).
Al tempo di
Gesù, l'ostilità fra giudei e samaritani era molto viva: i samaritani erano
considerati scismatici, se non veri e propri pagani. Ma è proprio per questo
motivo che Gesù, raccontando la parabola del buon samaritano, sceglie uno di
loro come esempio per spiegare l'attenzione che bisogna avere verso il prossimo
(Luca), mostrando che è preferibile un “eretico senza dio” come un samaritano,
ma che si comporta con amore verso il prossimo, che non dei sacerdoti, che, per
rispettare la Legge, si comportano senza alcuna carità verso il loro prossimo.
Il vero credente, per questa parabola, è chi nelle azioni si preoccupa del bene
dell’uomo e non chi ottempera alla Legge anche se questo può comportare la
morte di un uomo. La parabola perderebbe quindi una parte del suo significato
se si trascurasse il carattere di “miscredenza” che la parola “samaritano”
portava con sé presso la mentalità ebraica ortodossa.
Lo stesso
vale per l'episodio della “samaritana al pozzo” (Giovanni), il cui
comportamento è ancora più “paradossale” in quanto lei, “miscredente” se non
“pagana”, è capace di comprensione di cose che i credenti ortodossi, che pure
hanno avuto l'educazione necessaria per comprenderle, non arrivano a capire.
Ancora in
Luca, quando Gesù guarisce dieci lebbrosi, uno solo di loro è capace di
gratitudine e va da lui a ringraziarlo ed è, guarda caso, un samaritano.
Gesù stesso
(Giovanni) è accusato dai suoi nemici di essere o posseduto dal diavolo, oppure
essere un samaritano.
L'ebraismo
di discendenza giudaica, che è quello praticato ormai da tutti gli ebrei del
mondo ad eccezione di appena un migliaio di samaritani, ha respinto fin da dopo
l'esilio lo status ebraico dell'ebraismo di discendenza israelitica, giudicando
gli ebrei samaritani scismatici, stranieri, pagani, impuri; la loro ebraicità
era considerata incerta da alcuni rabbini, che li accusavano di adorare le
colombe; il matrimonio tra ebrei e samaritani era proibito.
Oggi una
piccola comunità di un migliaio di samaritani, di lingua araba, ancora guidata
da una gerarchia sacerdotale, sacrifica l'agnello pasquale sul monte Garizim,
luogo santo samaritano da oltre due millenni, vicino Nablus. I samaritani possiedono
una loro versione del Pentateuco, che interpretano letteralmente e anche se non
considerano i profeti e gli agiografi come testi sacri, credono nel messia e
nella resurrezione. Buona parte delle discordanze fra la versione samaritana
del Pentateuco e quella giudaica mira peraltro a stabilire sul monte Garizim,
anziché sul monte del tempio di Gerusalemme, il vero luogo del culto di Dio.
Come altri settari posteriori, quali i sadducei, anche i samaritani possiedono
un loro calendario.
Al giorno
d’oggi in Svizzera vengono anche chiamati samaritani quei volontari che si
rifanno agli ideali di Henri Dunant, fondatore della Croce Rossa. Il movimento
samaritano si occupa di diffondere nozioni basilari e approfondite sul primo
soccorso, in particolar modo impartisce corsi per soccorritori, obbligatori per
ottenere la licenza di condurre ambulanze. I corsi dai samaritani svizzeri sono
riconosciuti dall'associazione internazionale ResQu.
4.2. I Seleucidi(3)
I Seleucidi
furono una dinastia ellenistica che regnò sulla parte orientale dei domini di
Alessandro Magno.
Dopo la sua
morte (323 a.C.), il potere effettivo passò nelle mani dei suoi generali, detti
diadochi, che si divisero le sue immense conquiste. La Persia fu suddivisa tra
vari governatori (satrapi) delle province, tra i quali emerse presto la figura
di Seleuco, satrapo di Babilonia.
Seleuco si
fece incoronare re di Babilonia e nel 306 a.C. impose la sua autorità su tutte
le province orientali. Nel 301 a.C. Antigono Monoftalmo, che governava l'Asia
Minore e la Siria, fu sconfitto da una coalizione degli altri diadochi e
Seleuco si impossessò della Siria dove, sulle rive dell'Oronte, fondò Antiochia
in onore di suo padre.
L'impero di
Seleuco raggiunse la sua massima estensione nel 281 a.C., quando Lisimaco,
signore di Tracia e Asia Minore, fu sconfitto e ucciso alla battaglia di
Corupedio; Seleuco inglobò nei suoi possedimenti l'Anatolia e si apprestava a
invadere le terre europee di Lisimaco, quando fu assassinato, ormai ottantenne,
da un sicario dell'egiziano Tolomeo Cerauno.
La corona
passò al figlio Antioco I e da questi al figlio Antioco II, che regnarono con
il titolo persiano di Gran Re su un impero che si estendeva dall'Afghanistan al
Mar Egeo. Durante quegli anni, l'attenzione dei Seleucidi fu concentrata a
occidente per le ripetute guerre con l'Egitto tolemaico e un'invasione di Galli
in Asia Minore.
Ne
approfittarono i satrapi delle province più orientali per rendersi
indipendenti: Diodoto fondò il regno della Battria, che sopravvisse fino al 125
a.C., e la dinastia arsacide fondò in Partia un piccolo ma agguerrito stato che
presto avrebbe soppiantato quello seleucide. Sotto Seleuco II la crisi proseguì
con la sconfitta nella guerra contro Tolomeo III e con la guerra civile contro
il proprio fratello Antioco Ierace. Nel frattempo i Galli si erano stabiliti
saldamente in Galazia e le province di Bitinia, Ponto, Cappadocia e Pergamo si
erano rese quasi indipendenti.
Antioco III
il Grande, salito al trono nel 223 a.C., riuscì però a restaurare l'autorità e
la gloria dei Seleucidi. Nonostante la sconfitta alla battaglia di Raphia
contro Tolomeo IV, intraprese un'epica campagna decennale in oriente (anabasi),
durante la quale sottomise le province ribelli di Partia e Battriana. Al suo
ritorno, nel 205 a.C., approfittò della minorità di Tolomeo V e si alleò con
Filippo V di Macedonia per scacciare i Tolomei dalla Celesiria, che finì sotto
il suo controllo dopo la battaglia di Panion nel 200 a.C.
A seguito
della sconfitta del suo alleato macedone ad opera dei romani, Antioco invase la
Grecia per rivendicare la supremazia su tutti i domini di Alessandro Magno.
Questo passo segnò l'inizio della sua disfatta. Sconfitto rovinosamente alla
battaglia di Magnesia, fu costretto a cedere i territori in Asia Minore, a
mandare ostaggi a Roma e a pagare un'esorbitante indennità di guerra. Antioco
III morì nel 187 a.C.
Suo figlio e
successore Seleuco IV trascorse gli anni di regno alla ricerca del denaro per
pagare l'indennità a Roma, arrivando a saccheggiare i templi e facendo
guadagnare alla dinastia l'odio dei sudditi; finì assassinato dal suo ministro
Eliodoro. Antioco IV, noto per il tentativo di ellenizzazione di Israele e la
conseguente guerra contro i Maccabei, cercò di restaurare i domini seleucidi,
ma morì durante il tentativo. Dopo la sua morte l'impero fu preda di rovinose
guerre interne fomentate dai romani e dagli egiziani, mentre i Parti
conquistavano e sottomettevano la gran parte delle province orientali.
Nel 140 a.C.
Demetrio II raccolse tutte le sue forze per fermare l'avanzata dei Parti, ma fu
sconfitto e catturato. Babilonia divenne provincia partica. Antioco VII fece un
ultimo tentativo di ristabilire i domini seleucidi, ma dopo alcuni successi
iniziali fu sconfitto definitivamente da Fraate II nei pressi di Ecbatana.
Finiva così il periodo ellenistico dell'Iran. Gli ultimi cinquanta anni della
dinastia trascorsero nell'agonia delle guerre civili per il controllo di ciò
che restava dei suoi domini, una porzione della Siria, fino all'annessione
romana nel 64 a.C.
4.3.
I Maccabei
I Maccabei furono una dinastia ebraica
che guidò la ribellione della Giudea contro il re Antioco IV Epifane nel II
secolo a.C. La dinastia governò la Giudea con questo nome dal 166 al 134 a.C.,
restaurando le istituzioni politiche e religiose dell'antico Israele.
La loro storia è raccontata soprattutto
nel I e nel II libro dei Maccabei.
Dopo essere stati sconfitti dai romani,
i Seleucidi furono costretti al pagamento di un esorbitante indennità di guerra
e per rastrellare il denaro occorrente, non esitarono a saccheggiare i templi.
Il re seleucide Antioco IV, in cambio di privilegi concessi all'élite ebraica
ellenizzata, riuscì ad impadronirsi del tesoro del tempio di Gerusalemme, che
fece sconsacrare e adibire al culto pagano di Zeus Olimpo. Il sacerdote Matatia
uccise l'apostata ebreo preposto al nuovo culto e si rifugiò sui monti insieme
ai suoi cinque figli e a numerosi seguaci, dando l'avvio alla rivolta.
Alla morte di Matatia (166 a.C.), suo
figlio Giuda guidò i ribelli alla vittoria contro l'esercito seleucide, occupò
Gerusalemme e riconsacrò il tempio al culto di Yahwè (164 a.C.); in memoria di questi
eventi fu istituita la festa di Hanukkah(4).
Le grandi capacità di condottiero
implacabile contro i nemici valsero a Giuda il soprannome di Maccabeo
(martello, martellatore) che poi passò all'intera famiglia.
Giuda Maccabeo morì in battaglia nel 161
a.C. e gli succedette il fratello Gionata che, servendosi di alleanze con i
nemici di Demetrio I, tenne a bada il monarca seleucide prima di essere
assassinato. L'ultimo dei figli di Matatia, Simone, sconfisse una spedizione di
Antioco VII, ma morì nei disordini successivi (134 a.C.).
Con la salita al trono di suo figlio
Giovanni Ircano, inizia la dinastia degli Asmonei come furono chiamati i
discendenti dei Maccabei, dal nome di un loro antenato (Asmon). Giovanni ampliò
notevolmente il regno di Giudea portandolo alla sua massima potenza. Gli
succedettero i figli: per breve tempo il sanguinario Aristobulo, che prese il
trono dopo aver ucciso la madre ed il fratello maggiore, quindi suo fratello
minore Alessandro Jannai, non meno sanguinario, che parteggiò per i sadducei
nelle loro lotte contro i farisei.
Alla sua morte, Salomè Alessandra, che
era stata moglie di entrambi, salì al trono nel 78 a.C. e favorì invece i
farisei. Il figlio Giovanni Ircano II divenne re e sommo sacerdote, ma fu
contrastato dal fratello Aristobulo II. Ne scaturì una guerra civile che offrì
a Roma il pretesto per intervenire e Gerusalemme fu quindi conquistata da
Pompeo nel 63 a.C.
Note: 1. Fonte
generale: Punton Anne, Il mondo di Gesù. I
luoghi e la gente che ha conosciuto, le strade che ha percorso. Abitudini e
costumi dei suoi contemporanei, 1980, Elledici. – 2. Fonti: Lewin Ariel, Giudea e Palestina. Dalle origini ebraiche
alla nascita del cristianesimo, 1980, Ed. Arsenale. Lannutti Giancarlo, Guida ai paesi del medio oriente. Siria,
Libano, Giordania, Palestina, Israele, 1980, Datanews. – 3. Fonti: Primo
Andrea, La storiografia dei Selucidi da
Megastene a Eusebio di Cesarea, 2009, Fabrizio Serra Editore. – 4. Festa ebraica
della Consacrazione del Tempio, il cui rituale è stato adottato anche dalla
Chiesa cattolica per la dedicazione di oggetti e luoghi sacri; è detta anche festa
delle lampade.
(continua la prossima
domenica)